Il fuoco di Federico Garcia Lorca

Il fuoco di Federico Garcia Lorca

Federico Garcia Lorca

I - II

Dario Lodi


L’aggressione alla vita fu straordinaria in Federico Garcia Lorca ((1898-1936), ma non tanto in prima persona, quanto come esponente, autopromossosi notaio, di una caratteristica del carattere spagnolo. Il musicista De Falla, espresse molto bene questa caratteristica, fatta di passione bruciante, à la carte, per l’esistenza. E di esistenza vera e propria si tratta per certa Spagna a contatto con le pulsioni naturali e in certo qual modo dipendente da esse con convinzione che ciò sia giusto. E’ una Spagna storica, appartata, condizionata da costumi zingareschi, da sangue caliente, dal desiderio incontenibile di cogliere l’attimo, pur in presenza di costrizioni sociali che si debbono accettare per un soprassalto d’idea civile voluta da un potere superiore. E’ un potere giusto?

Garcia Lorca non se lo chiede neppure, piuttosto tenta di trasformare la naturalità storica di certo comportamento storico in qualcosa di colto, attraverso un’operazione oscura nella quale viene comunque esaltato il dato impulsivo.

L’impulsività, per Garcia Lorca, segue un andamento fatto di perspicacia radicale al servizio dell’entità individuale. Il poeta spagnolo non vede come i compromessi sociali possano interferire con la volontà primordiale. Egli decide di esaltare questa volontà e di trasformare l’opposizione ad essa in una sorta di castigo immeritato, dolendosi del fato che vuole questa assurda sconfitta.

L’operazione di Garcia Lorca (esemplare è il dramma “La casa di Bernarda Alba”) cerca di ottenere una consacrazione affidandosi agli stilemi della tragedia classica greca, limando abilmente i contrasti fra le due posizioni, quella classica e quella tribale. E’ un’operazione riuscita?

Formalmente è un’operazione riuscita, sostanzialmente la cosa persuade meno per via di una parzialità nell’accostamento. Garcia Lorca propende (si direbbe tifa) in maniera decisa per l’aura, in certo qual modo selvaggia e in altrettanto certo qual modo pura, che sta intorno alla passionalità irrazionale dei personaggi del dramma. Essi insistono in una direzione, mentre il drammaturgo prepara loro la sconfitta citandola poi ad esempio negativo del destino dell’uomo in genere.

La vicenda drammatica diventa tragica per una scelta precisa fatta a monte: Garcia Lorca intende elevare una certa angoscia fatalistica a fatto estetico tipico di un decadentismo ritardato e malato, da sé, di emarginazione.

I personaggi sono segnati. La storia (tutte le storie di Garcia Lorca sono banali) ha uno sviluppo obbligato. Viene animata da una passionalità genuina, ma fine a se stessa.

Questione di sensibilità. Quella di Garcia Lorca era sicuramente eccezionale, ma il poeta e drammaturgo (nella prima attività risulta più focoso, ma anche più svenevole) risulta più perspicace nella tesaurizzazione della sensibilità in genere, avvalendosi delle prove di altri artisti del tempo, come Jimenez ad esempio, da cui ricavava la solarità dell’espressione.

Quanto era credibile in prima persona? Forse non molto se si considera che nelle sue opere mancano approfondimenti a favore di effetti ed effettacci. Ma c’è una costante genuina nel suo modo di fare: è costituita dall’attrazione spontanea verso l’espressione immediata. La spontaneità non è concepita da Garcia Lorca come un difetto, come una boutade priva di qualsivoglia razionalità, bensì come una comunicazione sincera dei propri sentimenti e dei propri pensieri. L’avvento dell’ordine sociale imposto dall’alto, non sembra, infine, agli occhi del Nostro, un segno di progresso. Garcia Lorca teme la distruzione di un mondo vero e quindi la perdita di valori essenziali, sostituiti con niente. Ovvero con qualcosa di rigidamente impersonale. Egli getta così un sasso nello stagno, stando ad ammirarne gli spruzzi e i cerchi nell’acqua.

L’estetica vuole troppo la sua parte, nel suo caso, a sfavore della sostanza. Un po’ anarchico, un po’ sognatore, intellettualmente molto snob, sessualmente ambiguo (una colpa grave ai tempi, per disprezzo verso le istituzioni, specie quella religiosa), fondamentalmente asociale, Garcia Lorca pagò la sua diversità con la vita. I miliziani di Franco lo fucilarono senza tanti complimenti appena catturato. Si era in una Spagna alla mercé della rivoluzione civile. Garcia Lorca non se ne curava neppure. In fondo egli era un mite sognatore, perso, amabilmente, nelle sue fantasie. E perse finirono le sue tracce chissà dove. Non tutte, per fortuna.

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Enrico Galavotti - Homolaicus - Sezione Letteratura
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Aggiornamento: 10-02-2019