LE AVVENTURE DELL'AUTOBIOGRAFIA
quando la vita è un romanzo


Caio Giulio Cesare (100 a.C.- 44 a.C.)

Nato a Roma nel 100 a. C., e appartenente alla gens Julia,. Giulio Cesare affidò il racconto delle proprie imprese militari ai celebri Commnentarii bellis Gallici e Commentati bellis civilis (questi ultimi interrotti ai fatti dei primi due anni della guerra contro Pompeo).

Nell’opera letteraria, generale e oratore sembrano fondersi nello stile tambureggiato di una prosa dalla veloce cadenza di guerra, dalla costruzione per periodi giustapposti, dal ritmo rapido e incalzante di chi deve narrare più fatti che parole. Del resto i suoi commentari hanno proprio la funzione di esaltare il successo militare sia presso i lettori nemici sia verso i suoi sostenitori.

Essi sono un’opera di giornalismo militare che mettono in pratica quei principi retorici con cui Cesare aveva sostenuto nel 77 a. C. l’accusa di concussione nei confronti del sillano Cornelio Dolabella.

Cesare utilizzò la scrittura come arma della politica sia quando nel 49 a. C. doveva attribuire a Pompeo la responsabilità della guerra in corso, sia quando quattro anni dopo, nel 45 a. C., si prefisse di annullare gli effetti politici del suicidio di Catone Uticense nell’Anticato.

Arrivato al vertice del suo cursus honorum nel 59 a. C., accedendo alla carica di console, Cesare dominò la vita romana fino al 44 a. C., anno in cui Bruto e gli altri cesaricidi posero fine alla sua vita, troncando nello stesso tempo il fluente corso della sua attività letteraria.

Cesare, De Bello Civile

IX

Per lui [Cesare] l'onore è sempre stato al di sopra di tutto e più prezioso della vita stessa. Grande dolore gli ha arrecato l'essere stato privato dai nemici, con l'affronto, di un beneficio accordatogli dal popolo romano, e l'essere stato richiamato a Roma, con la conseguente perdita di sei mesi di comando, mentre il popolo aveva decretato che si tenesse conto, benché assente, della sua candidatura alle prossime elezioni.

Cesare

Pure ha sopportato con rassegnazione questa offesa alla sua dignità per il bene dello Stato; quando poi ha inviato una lettera al Senato, chiedendo che tutti i generali abbandonassero i loro comandi, neppure questo ha potuto ottenere.

Si facevano leve in tutta l'Italia, si mantenevano le due legioni che gli erano state sottratte sotto il falso pretesto della guerra contro i Parti, e la città era in armi. A che altro mirava tutto ciò se non alla sua rovina?

Ma tuttavia era pronto ad accettare ogni proposta e a sopportare tutto per il bene dello Stato.

Pompeo raggiunga le sue province, ambedue congedino gli eserciti, in Italia tutti depongano le armi, si allontani il timore dalla città, al senato e al popolo romano siano consentiti liberi comizi e il pieno esercizio del governo.

Perché ciò avvenga più facilmente e con patti sicuri, e si consacri col giuramento, o si avvicini Pompeo o lasci che sia Cesare ad avvicinarsi, attraverso colloqui si potranno appianare tutte divergenze.

Commento al De Bello Civile di Giulio Cesare

Alle origini l’autobiografia si confonde con la memorialistica, in quanto l’autore sembra più interessato a narrare i fatti che le proprie emozioni, le imprese militari piuttosto che le riflessioni intime. A tale variante di genere appartengono sia il De Bello Gallico sia il De Bello Civile, sebbene sia più semplice pensare che queste opere segnalino l'origine di una tendenza eroica dell’autobiografia che interesserà tanto le autobiografie dei condottieri quanto quelle di filosofi e scienziati, cioè si può ritenere che esse costituiscano un modello di narrazione.

Il De Bello Civile (la guerra civile) fa parte della grande operazione di immagine grazie alla quale il vincitore dei Galli cerca di sminuire le sue colpe nelle lotte intestine che caratterizzano l’ultimo scorcio dell’età repubblicana. Insomma, Cesare dice al lettore di non aver voluto la guerra che poi è scoppiata con Pompeo, di non essere stato lui il primo ad iniziare il sanguinoso scontro fratricida.

Si tratta senza dubbio di una calorosa, ma anche ragionata difesa del proprio operato, tendente a sminuire le proprie colpe ma a mettere in luce quelle altrui, cioè di Pompeo. Come se fosse in un’aula di tribunale il grande condottiero pronuncia l’atto insieme della sua difesa e della sua assoluzione.

Possiamo leggere in questo passo il senso del suo discorso traendolo dall'avveduto messaggio che egli indirizza a Pompeo. Esaminiamolo nei punti essenziali:

  1. l’onore militare era per lui il massimo motivo di orgoglio;

  2. a questo ha rinunciato perdendo il comando delle sue legioni per volontà del senato;

  3. avrebbe comunque tollerato l’affronto se fosse servito alla pace della Res Pubblica;

  4. tuttavia gli altri generali hanno conservato il comando delle legioni;

  5. teme e capisce che così si cerca la sua rovina;

  6. è disposto a subirla se gli altri comandanti congedano i loro eserciti, se al senato e al popolo romano sono restituiti libertà, tranquillità e onore.

Ma niente di tutto questo è vero, perché si tratta del primo atto del più famoso colpo di stato della storia.

Cesare G. Giulio, La guerra civile-De bello civili, Mondadori

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Enrico Galavotti - Homolaicus - Sezione Letteratura
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Aggiornamento: 22/04/2012