Andrej Platonov

ANDREJ PLATONOV
(1899 – 1951)

Platonov


Di modesta famiglia operaia (il padre era meccanico ferroviere), Andrej Platonovič Klimentov (questo il suo vero nome; Platonov è il titolo di un dramma di Cechov) nacque a Voronež nel 1899 e, dopo essersi laureato in ingegneria, lavorò per qualche tempo a imprese di bonifica e elettrificazione nella Russia meridionale.

Dopo un modesto esordio poetico, nel 1927 si mette in luce con Epifanskie sljuzy (La chiuse di Epifanij), ove si delineava la contrapposizione tra il popolo, ignorante ma puro, e chi esercita un cerebrale potere oppressivo. La gente, che si sposa solo una volta nella vita e passa molto tempo andando a trovare i vicini di casa, guarda con indifferenza l'impresa dello zar Pietro il Grande, impegnato nella costruzione di chiuse, illudendosi che nel canale ci sarebbe stata acqua sufficiente per renderlo navigabile. Gli abitanti locali, che già sapevano come stavano le cose, consideravano questo lavoro come un gioco dello zar, un'invenzione dei forestieri; solo che non osavano chiedere perché dovessero essere così torturati. La gente radunata per costruire il canale, alla fine va allo sbando, in segno di protesta, e comincia a vivere da eremita in romitaggi.

Pubblica su riviste una serie di racconti e romanzi tra cui Il dubbioso Makar (1929), L'uomo di stato (1929), A buon pro (o A vantaggio) (1931), in cui mostrava di orientarsi verso la linea ornamentale di Gogol', Leskov, Remizov. Densi di spunti satirici contro la burocrazia e attenti al fenomeno della disumanizzazione dell'individuo, questi scritti procurarono a Platonov violenti critiche culminate nell'arresto e nel confino.

Nel 1929, neppure due anni dopo ch'era stata abbandonata la Nuova politica economica, e con lei ogni tentativo di ritorno all'iniziativa privata, Platonov dovette affrontare il primo conflitto con la censura stalinista, in occasione dell'uscita del suo romanzo Čevengur (Il villaggio della nuova vita), che venne impedita all’ultimo momento quando il testo era già in tipografia.

Un redattore della GlavLit ritenne che i personaggi principali dell’opera somigliassero a Don Chisciotte e Sancho Panza. Kopekin, il protagonista, monta un cavallo chiamato "Forza proletaria"; il suo scudiero, un orfano dal carattere ingenuo di nome Dvanov, lo accompagna in giro per la steppa alla ricerca del "Vero socialismo".

Il romanzo era la denuncia delle assurdità della burocrazia cieca, ostinata, autoritaria, che approfitta della propensione che hanno i contadini ad obbedire a un potere assoluto, essendo da secoli abituati al peggio. Platonov infatti s'era subito accorto che introdurre forzatamente e in tempi brevi una collettivizzazione statale nelle campagne, avrebbe portato a effetti disastrosi. Per questo motivo cercò di pubblicare a tutti i costi il suo Čevengur.

Poco più che ventenne, egli aveva fatto parte di un reparto speciale dell'Armata Rossa per reprimere la controrivoluzione dei Bianchi, proprio nella zona di Čevengur, sin dal 1921, dove era ritornato, dopo la laurea nel Politecnico, come specialista di lavori di bonifica: cosa che viene documentata nel volume di Viktor Sklovskij, Terza fabbrica (Mosca 1926).

Nel 1929 mandò il manoscritto direttamente a Maksim Gor'kij, il suo scopritore, giurandogli che il romanzo non era controrivoluzionario; tuttavia Gorkij, allora investito dal compito di vigilare e indirizzare la creatività degli scrittori russi, non poté dargli ragione. Gli riconobbe grande padronanza linguistica, ma lo biasimò come modo di pensare anarchico, poiché dipingeva i rivoluzionari come gente "bislacca" o "seminferma di mente", usando toni satirici e ironici che la censura non poteva permettersi. E gli suggeriva di trasformare il romanzo in una pièce teatrale, imitando Gogol', nelle cui opere l'umorismo è lirico. Insomma doveva lasciar perdere il dramma e puntare sulla commedia.

Il giudizio di Gor'kij fu definitivo: il romanzo non fu mai pubblicato in Urss. Successivamente Platonov dirà di Gor'kij che la sua idea di considerare "rivoluzionaria di per sé" l'intellighenzia scientifica e tecnica, era completamente sbagliata. E non lo diceva da sprovveduto, in quanto, pur avendo sempre fatto lavori manuali, conosceva anche, da autodidatta, Kant, Schelling e Spengler, nonché la filosofia russa di Fiodorov, Soloviov, Berdjaev e altri.

Platonov aveva verso la cultura e gli intellettuali un atteggiamento di grande circospezione, temendo gli entusiasmi infantili, le venerazioni acritiche per questa o quella idea. Sapeva bene che nell'uso feticistico della ragione si cela l'esigenza di sopprimere chi la pensa diversamente. Quando si fanno porcheria - scrisse in Alta tensione - la differenza tra un intellettuale e un ignorante sta soltanto nei mezzi: coltello o cervello.

Più volte aveva denunciato che i risultati concreti dell'intellighenzia erano in ragione inversa alle sue pretese così fortemente innovatrici. Sullo sfondo dell'edificazione sociale eroica e febbrile dei vari ingegneri e inventori appare, nei suoi racconti, un popolo passivo, per nulla convinto, mortificato nei suoi valori, disgregato nei suoi legami tradizionali.

Tra gli scritti più interessanti prima dell'esilio è il racconto Kotlovan (Lo sterro o Nel grande cantiere) del 1930, ma rimasto inedito. Esso è ambientato nel mondo contadino, interessato dalle collettivizzazioni staliniane, tra il dicembre 1929 e l'aprile 1930. Al centro è una metafora, quella della costruzione di un edificio, la "casa proletaria comune", alle cui fondamenta tutti sono chiamati a lavorare. Ma lo scavo si fa via via più largo e profondo. Da questa metafora centrale se ne dipartono altre: l'orso martellatore che partecipa alla spedizione contro i kulaki ma che poi non riesce a fermarsi e continua a far baccano; Nastja la bambina che dovrà abitare la casa comune, mostriciattolo saputello, "uomo nuovo" che parla per slogan e che ha una "coscienza di classe" che si confonde con la crudeltà dei bambini. Platonov ha la netta impressione che il socialismo di stato comporti la distruzione non solo di tutto il passato, ma anche del futuro.

Il racconto non appartiene al genere grottesco né a quello utopico o anti-utopico. E' una rappresentazione del mondo nella sua totalità, la verifica disperata di una speranza iniziale. Voscev, il protagonista, nel giorno del suo trentesimo compleanno viene licenziato dall'officina meccanica in cui lavorava, si mette in cammino per conoscere la verità: il libro è il racconto di questo viaggio. Il protagonista è un ciudak, un bislacco, come tutti i personaggi di Platonov. Vuole conoscere il vero peso delle cose, il perché della vita e della morte, conservare la memoria di tutto in modo che nulla sia stato inutile. Il suo fermarsi allo sterro non scioglie l'incertezza. E' una impotenza che tocca il culmine con le pagine finali sulla morte della bambina: "A che scopo gli serviva ora il senso della vita e la verità sull'origine di tutte le cose, se non c'era più quel piccolo e fedele essere umano, dove la verità si sarebbe fatta gioia e movimento?".

Il suo viaggio è un fallimento annunciato: "e se fosse solo un nemico di classe, questa verità?". La collettivizzazione, la nuova frontiera dell'utopia, è un altro sogno sanguinoso. Linguisticamente il racconto è una amalgama di parole d'ordine, brandelli di slogan, citazioni della propaganda ufficiale, termini scientifici, formule politiche, direttive: un universo linguistico che ricrea un universo reale.

Nel 1931, la rivista "Krasnaja nov" ("Nuova terra rossa") stampò un racconto di Platonov, Vprok, sempre sul delicatissimo tema della collettivizzazione delle campagne. Aveva visitato alcuni kolchoz lungo il corso superiore del Don e aveva capito perfettamente che la collettivizzazione progettata da Stalin il 27 dicembre 1929, che mirava a eliminare la classe dei contadini kulaki (contadini ricchi), sarebbe stata un disastro per l'intera Russia. Quando Stalin lo lesse, scrisse su un margine la parola "podonok", cioè feccia, miserabile, segnando così la morte civile di Platonov per molti anni.

Il suo racconto A vantaggio, sempre del 1931, rimase in sospeso per nove mesi negli uffici della GlavLit. Era una storia sulla disorganizzazione della vita rurale dell’epoca. L’autore rovescia l’aggettivo alla moda "pianificato" e lo cambia in "improvvisato". La sua relazione era in netto e stridente contrasto con l’editoriale della "Pravda" del 2 marzo 1930, dal titolo Un successo vertiginoso, in cui Stalin si compiaceva di essere riuscito ad annientare la classe dei kulaki. Proprio dopo la lettura di A vantaggio Stalin convocò lo scrittore Aleksandr Fadeev, che ricevette istruzioni riguardo a Platonov: doveva attaccarlo pubblicamente.

In seguito all’ordine di persecuzione impartito da Stalin, nessun giornale, nessuna rivista osò più stampare una sola lettera di Platonov, di modo che lo scrittore non poté difendersi pubblicamente. Platonov cercò di nuovo l’aiuto di Gor'kij, ma anche questa volta, essendo anzi la posizione dello scrittore ben peggiore della precedente, rifiutò di difenderlo. Credette sinceramente che Platonov avesse molto talento ma che proprio la sua capacità fosse viziata da uno spirito "corrotto". Secondo la testimonianza della corrispondenza privata, Gor'kij vide la fonte dell’errore di Platonov nel suo legame con B. A. Pilnjak, che aveva pubblicato nel 1930 Il Volga si getta nel Caspio, difendendo, come già aveva fatto con Mogano, i contadini contro gli stalinisti.

Il suo peggior critico persecutore non fu però Fadeev, che anzi, insieme a Šolochov gli impedirono d'essere arrestato, ma Ermilov, lo stesso che indusse Majakovskij al suicidio. Nonostante ciò Platonov, sotto falso nome, riuscì lo stesso a pubblicare alcuni saggi critici, ma mai più i suoi racconti: dal 1931 al 1951 uscirono solo tre volumetti, il più grande dei quali aveva 48 pagine. La narrativa comunque diventava più sobria e pacata, di tono cecoviano, tutta intrisa di commossa e dolente partecipazione al destino dell'uomo e della natura: da Il fiume Potudan (1937) a La famiglia di Ivanov (1946). Alcune sue novelle sono di levatura mondiale: Terzo figlio, Fro, Temporale di luglio, La patria dell'elettricità, Chi sei?, Nel mondo bello e atroce. Lo studio psicologico ed emotivo dei personaggi è molto raffinato.

Al suo posto tuttavia fu arrestato il figlio quindicenne, che nel 1938 venne spedito in un gulag di Noril'sk. Cosa che mandò Platonov in depressione e, se non fosse stato per l'aiuto degli amici, sarebbe morto alcolizzato e in miseria. Per fortuna gli trovarono un posto alla portineria dell'Istituto di Letteratura Gor'kij, dove poteva frequentare la biblioteca e continuare a scrivere.

Un anno e mezzo dopo l'inizio della seconda guerra mondiale Platonov venne mandato al fronte come corrispondente della "Krasnaja Zvezda". Nel periodo post-bellico pubblicò qualche racconto, riacquistando la sua larghezza filosofica e storico-sociale di un tempo, ma nel 1947 Ermilov attaccò con durezza il racconto Ritorno, ritenendolo calunnioso e diffamatorio. Da allora, a parte qualche breve novella per ragazzi, non potrà pubblicare più niente. D'altra parte lui si rifiutava di piegarsi ai consigli dei redattori che gli chiedevano di rifare un racconto o di ritrattare i suoi errori.

Tornerà a fare il portiere all'Istituto di Letteratura, fino a quando, dopo molti stenti, non si ammalerà della stessa tubercolosi che aveva suo figlio, liberato dal gulag nel 1940 e morto poco tempo dopo. Platonov morirà a Mosca nel 1951. Tra le sue carte si troveranno, del tutto inedite, nove commedie, nove sceneggiature cinematografiche, moltissimi racconti e due romanzi, Kotlovan e Čevengur.

Dopo la sua morte vedranno la luce, all'estero, alcuni racconti e romanzi brevi: Raccolti scelti (1958), Nel mondo bellissimo e violento (1965), Alla ricerca di una terra felice (1968).

Una sua prima rivalutazione postuma iniziò in Russia verso il 1964, con la destalinizzazione kruscioviana, La pubblicazione di Džan suscitò l'entusiasmo incondizionato dei critici più esigenti. E poi di nuovo tra il 1986 e il 1988, nel corso della perestrojka gorbacioviana: Il mare della giovinezza (Juvenil'noe more) uscito sulla rivista "Znamia" (n. 6/1986) e in volume autonomo nel 1988; Kotlovan su "Novyj mir" (n. 6/1987); Čevengur su "Druzba narodov" (n. 3-4/1988).

Nel Mare della giovinezza il popolo, estenuato dal pesante lavoro, ascolta gli sproloqui dell'ingegnere Vermo sulle mucche del futuro, che forniranno una cisterna di latte in una sola mungitura, sul riscaldamento delle abitazioni, basato sull'uso dell'energia delle frane di montagna e sull'avvento dell'èra del bolscevismo tecnocratico, quando tutto il mondo sarà trasformato in elettricità. Chi ha dubbi su questo progresso appare come una sopravvivenza dell'idiotismo storico.

Platonov ha dato opere tra le più interessanti e vitali della letteratura sovietica, ma quando cominciò davvero ad essere apprezzato, il disastro, nel mondo contadino, era già stato così grande che tornare indietro non era più possibile.

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Enrico Galavotti - Homolaicus - Sezione Letteratura
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Aggiornamento: 10-02-2019