SCRITTORI E SCRITTURE 1 2 3 4 5 6 7

Aldo Busi

Mi alzo alle quattro di mattina e mi chiudo nel mio studio e lavoro anche per quindici ore al giorno, per mesi e mesi. Mi sento una specie di plasma indifferenziato che vaga per la casa. La felicità più grande è sentire questo corpo al servizio di un progetto…
Una trama vale l'altra. La cosa più importante è il punto di vista, cioè Chi racconta Cosa, e quindi in quale modo.
Io ho bisogno di molte stesure; la mia scrittura richiede una pazienza infinita, da certosino. Mi sono sempre rifiutato di avere uno stile, ma tutti i miei libri ne hanno uno, perché i punti di vista sono stati ogni volta diversi. (Avvenimenti, 12 lug 95)

Luca Canali

Scrivo a biro, non so scrivere a macchina. Nella stesura di un'opera narrativa, comincio lentamente, poi accelero sempre di più, concentro le mie energie nello stesso tempo. Per me le ferie non esistono: né le domeniche, né il ferragosto. Mentre lavoro a un'opera, non ho tempo libero. Scriverò poco, quantitativamente, ma per tutto il giorno penso a ciò che devo scrivere. Qualche volta mi sveglio di notte. Una frase, un'idea mi premono: corro a buttarla giù su un fogliettaccio.
Faccio una prima revisione minuziosissima. Poi la ricorreggo. Do a battere la revisione ricorretta, poi la rivedo nuovamente. Quattro o cinque stesure in tutto. (Avvenimenti, 24 mag 95)

Paola Capriolo

Ritengo che lo stile sia sempre una cosa molto personale e istintiva. A me non interessa uno stile che si avvicina al linguaggio parlato.
M'interessano mondi costruiti, artificiali, che mettono in luce problemi psicologici e dinamiche esistenti, reali, ma non legati alla quotidianità immediata. La forma e lo stile debbono coincidere.
Per ottenere la perfezione della forma sono necessari il sacrificio, la freddezza e la rinuncia alla vita reale. In qualsiasi attività di creazione è necessario condensare, paralizzare, rinunciare.
Scrivere è una ricerca della perfezione, è il tentativo di dare una forma compiuta ad un ordine fragile qual è la realtà. Significa dare un senso che la realtà nella sua immediatezza non ha.
Chi si vuole dedicare all'arte certamente deve prevedere nella sua vita una buona dose di sacrificio di sé. (Avvenimenti, 1 mag 96)

Vincenzo Cerami

Io dico che lo scrittore è un cuoco… che mette insieme una serie d'ingredienti per cercare di fare il piatto più buono e raffinato. Poi, il momento d'ispirazione ci vuole, ma il resto è lavoro…
S'impara a scrivere scrivendo, non leggendo il mio libro né altri libri. Leggendo semmai libri di letteratura.
È insostituibile il momento della creatività individuale. Chiunque di noi quando scrive su un pezzettino di carta, parla un po' di se stesso, si guarda allo specchio e ha voglia di far parlare quella parte di sé che sarebbe altrimenti destinata a restare nel silenzio e in cui può trovare la propria identità.
C'è l'impressione che sia sufficiente prendere carta e penna e cominciare a scrivere, raccontando cose vere, dei sentimenti forti che sono in genere autobiografici. Solitamente, quando s'inizia a scrivere, soprattutto i giovani, per cominciare sul sicuro, parlano di ciò che si conosce molto bene, fanno la propria autobiografia e nel fare questo sono costretti a utilizzare una lingua che è la loro lingua.
La letteratura è tutt'altro. È lavorare con lingue diverse, far parlare i diversi personaggi in modo differente, e questo significa conoscere i propri personaggi, la loro lingua. (Avvenimenti, 30 apr 97)

Dino Claudio

Scrivo a mano, assolutamente. Non so nemmeno scrivere a macchina. Il rumore della macchina da scrivere mi ricorda la civiltà meccanica: e io odio tutto ciò che è meccanico. (Avvenimenti, 15 ott 97)

Rossana Campo

Nonostante non mi piacesse studiare, avevo passione per la lettura. Da sempre. Prime impressioni infantili: Piccole donne. Parteggiavo per Meg, la parte inesplorata, un po' malinconica, romantica.
Avevo letto Gita al faro a quattordici anni, ma non ci avevo capito niente. Lo riprendo due anni dopo, durante un viaggio Savona-Napoli: ero decisa a capirci qualcosa. Esco dal treno completamente sballata: la lettura era stata un trip.
E poi, letture bulimiche: Dostojevskij, Cechov, Tolstoj, Mansfield… E insomma mi era venuta voglia di provare.
Avevo inventato cinque storie, ognuna con un nome femminile. Storie tragiche: un'insegnante di latino finiva paralizzata, un'altra si sposava, aveva dei figli, ma si metteva a bere e finiva alcolizzata, un'altra ancora, che faceva la veterinaria, si schiantava contro un albero.
Li ho battuti a macchina con una certa libidine, li ho rilegati; ho messo su una bella fascetta, "Anna Paola e le altre", e li ho fatti leggere alla mia amica Ornella. Pensavo che si mettesse a piangere, invece schiantava dalle risate.
Ho così capito che mi piaceva molto di più far ridere anziché far piangere. Insomma, avevo stabilito il nucleo delle mie storie future: partire da una storia anche tragica, e poi comunque aggiungere vitalità, allegria.
Il lavoro che cerco di fare è mettere la vibrazione del parlato nella lingua letteraria, perché quando non c'è la vibrazione del parlato, la pagina muore.
M'interessava mettere in scena un'idea di femminilità non sentimentale, non patetica… (Avvenimenti, 16 lug 97)

Enzo F. Carabba

Credo esista un luogo di origine dove i generi sono uniti e non sono più così diversi: io cerco appunto quel luogo, quella condizione della mente, o addirittura quel livello di realtà.
Inoltre, dato che conosco solo in modo rudimentale le regole dei diversi generi, li mischio per forza!
I linguaggi, quando non si contaminano, s'impoveriscono fino a morire. La contaminazione è un altro nome della vita.

Penso che l'incapacità di ridere azzeri la letteratura, o quasi. Si può ridere apertamente, come Rabelais, o in modo misterioso, come Kafka, ma il riso è anteriore alla parola e deve nutrirla. È una forza propulsiva per l'arte e la conoscenza in generale. Chi non ride è perduto. È un poveretto. Un demente. (Avvenimenti, 17 dic 97)

Maria Corti

L'italiano di oggi è tecnologizzato, e se si usa un linguaggio tecnico, standardizzato, si è portati ad usare tutti le stesse parole; quindi c'è meno creatività. In questo, forse, sono responsabili i mass-media: sono loro che offrono modelli standard.
Per quanto riguarda la nozione di novità, c'è un'idea rozza che si collega alla mania dello scoop di un "nuovo" effimero da sostituire a breve termine con un altro "nuovo". Bisogna salvare i giovani da questa tendenza, fargli capire che il nuovo è una cosa importantissima, ma matura lentamente sul vecchio. Ce lo ha insegnato Kundera, nel suo bellissimo libro La lentezza, che le cose importanti nascono in un'atmosfera di pensiero rilassata, non di fretta.
I libri non nascono, come si potrebbe credere, mettendosi davanti al computer o alla pagina bianca e cominciando a scrivere la prima pagina. A volte si scrivono prima il finale o parti intermedie.
I libri nascono da annotazioni di idee, maturando riflessioni, quindi da una fase che è necessariamente manoscritta. Poi vengono le primissime stesure. Io le faccio ancora a mano perché così ho la possibilità di mettere davanti a un aggettivo quattro o cinque varianti fra cui poi sceglierò, mentre il computer mi obbliga a sceglierne subito una (quindi impoverisce la lingua). (Avvenimenti, 20 dic 95)

Enrico Galavotti - Homolaicus.com - Letteratura