Le contraddizioni del “Socialismo reale” in Unione Sovietica (pdf-zip)

di Cristina Carpinelli

Ricercatrice del Cespi (Centro Studi Problemi Internazionali) di Milano

 

Antagonismi e contraddizioni

Secondo il politologo Butenko, per i marxisti che riconoscevano l’esistenza delle contraddizioni nel socialismo, il primo problema che si poneva a loro, allorché si accingevano a studiarne e a determinarne il carattere, era quello di scoprire se tali contraddizioni fossero state di tipo antagonistico o non antagonistico. Entrambe le contraddizioni (antagonistiche e non) appartenevano alla società post-capitalistica, cioè al periodo di transizione dal capitalismo al socialismo, ma esse potevano essere presenti anche nella società socialista, che seguiva a questo periodo di transizione. Potrebbe sembrare ingiustificato a prima veduta - diceva Butenko - esaminare insieme le contraddizioni antagonistiche e non, di due periodi storici dello sviluppo sociale qualitativamente diversi. In effetti, nel periodo transitorio, sussisteva ancora lo sfruttamento di una parte della società sull’altra, mentre con l’avvento del socialismo le classi sfruttate sarebbero scomparse. Ma la storia e i fatti concreti avevano dimostrato che l’erezione di una “muraglia cinese” fra questi due periodi aveva contribuito, in larga misura, alla nascita di alcune semplificazioni e degenerazioni nell’interpretazione dei problemi del socialismo sviluppato.

Gli studiosi sovietici avevano aderito dogmaticamente alla nota tesi leniniana: “l’antagonismo e la contraddizione non sono una sola e medesima cosa. Il primo scomparirà, e la seconda tende ancora a rimanere con l’avvento del socialismo”. Sulla base di questo postulato, essi sostenevano che le contraddizioni antagonistiche non fossero più immanenti, mentre quelle non antagonistiche lo erano ancora, persistevano cioè nella società socialista. Questa conclusione metodologica non solo era stata acquisita, ma persino canonizzata, convertita in un dogma che separava radicalmente i due periodi storici sulla base, appunto, di questa distinzione scolastica tra contraddizioni antagonistiche della società post-capitalistica, e contraddizioni non antagonistiche della società socialista. Mentre la prima abbracciava tutte le forme dello sfruttamento e si caratterizzava essenzialmente per gli antagonismi di classe, la seconda - che si trovava ad uno stadio superiore dello sviluppo storico - era rappresentata come una società dove sarebbero gradualmente sparite le contraddizioni non antagonistiche dipinte per lo più come residui della vecchia società borghese. Gli studiosi sovietici avevano inventato la teoria delle “due dialettiche”: quella della società antagonistica e quella della società delle contraddizioni non antagonistiche, ma insieme avevano elaborato una nuova (in)comprensione della dialettica nel socialismo: non esistendo più nella società socialista alcun antagonismo e sparendo nel tempo anche la contraddizione non antagonistica, moriva di conseguenza la “forza motrice”, la fonte generatrice di ogni sviluppo sociale, che era determinata dalla “dialettica” (cioè dalla presenza della categoria della contraddizione nella società).

In questa atmosfera di lotta per la “purezza del marxismo” e di “promesse di fedeltà al leninismo”, la “muraglia cinese” rimase su, grazie ai successi della propaganda formale. Non era, certo, intenzione di Butenko rinnegare quanto aveva detto a suo tempo Lenin, ma egli cercava di reinterpretare il suo pensiero, ripulendolo da qualsiasi dogmatismo. Per Butenko, i due “contrari” (contraddizioni antagonistiche e non) interagivano in maniera “dialettica”; erano due principi mobili, che si condizionavano reciprocamente, e che potevano addirittura trasformarsi l’uno nell’altro. La questione della trasformazione delle contraddizioni antagonistiche in contraddizioni non antagonistiche, e viceversa, durante il corso dello sviluppo del socialismo, e non solo nella fase della sua edificazione, aveva indubbiamente una grossa portata teorica e pratica. Portata teorica, poiché veniva accettata l’idea che i due tipi di contraddizione non fossero in assoluto dei principi “contrari”, e che essi potevano addirittura trasformarsi l’uno nell’altro nel socialismo (in quanto principi dialettici interagivano e s’influenzavano reciprocamente). Inoltre, se secondo Lenin, i “contrari” a volte erano perfino dei “simili” (uno poteva diventare l’altro), perché questa regola non poteva essere ritenuta valida anche per la società socialista? Era, forse, quest’ultima esente da sviluppi sociali “irregolari” (con momenti di avanzamento ed altri di arretramento)? Sarebbe sempre proceduto tutto in modo lineare? La questione della trasformazione delle contraddizioni antagonistiche in contraddizioni non antagonistiche (e viceversa) aveva soprattutto una grossa portata pratica. Secondo i marxisti “formalisti”, gli sfruttatori erano stati “fisicamente” eliminati con l’edificazione del socialismo. La contraddizione antagonistica caratterizzava l’essenza del rapporto sfruttatori-sfruttati, ed esisteva all’epoca in cui i primi detenevano la proprietà privata dei mezzi di produzione e sfruttavano i lavoratori salariati; nel socialismo, la contraddizione antagonistica era stata annullata con la soppressione della proprietà privata e dello sfruttamento. Nuovi rapporti erano sorti fra gli sfruttatori di “ieri” - divenuti lavoratori nella nuova società - e gli sfruttati di “ieri”. Nella configurazione di una tale società non vi era più posto per i rapporti di sfruttamento. Ma in che modo era, allora, possibile analizzare la situazione dei milionari sovietici, dei trafficanti dell’economia sommersa, dei funzionari corrotti delle imprese statali, e così via? Erano, per caso, costoro, esclusi dal meccanismo dell’appropriazione dei risultati del lavoro altrui, vale a dire del meccanismo dello sfruttamento? E cosa dire di quella classe, genericamente definita “burocrazia”, che da tempo amministrava e controllava la proprietà nazionalizzata e socializzata, riservando a sé una posizione di forte privilegio nella società? Il corso storico dell’antagonismo sociale non era affatto esaurito. C’erano molti fatti a sostegno di quest’affermazione. Innanzi tutto, il principio fondamentale del socialismo: “da ciascuno secondo le sue capacità a ciascuno secondo il suo lavoro” non era stato messo in pratica. Dato che persistevano alcune “imperfezioni”, come quella del meccanismo di ripartizione del lavoro, non era possibile abbandonare lo studio dei rapporti d’iniquità nella società sovietica. Inoltre, la giustizia sociale, propria del socialismo, non la si poteva instaurare meccanicamente senza affrontare una lotta quotidiana tenace contro i tentativi di alcuni di “arricchirsi” tramite il lavoro altrui, e contro molte altre forme presenti di sopraffazione e antagonismo dei rapporti sociali.

Al centro del processo storico veniva, dunque, ricollocata la fertile categoria della “contraddizione antagonistica”, con lo scopo di costruire un pensiero strategico non già sulla metafisica delle c.d. leggi della storia, bensì sulla visione critica del potenziale accumulato. Nella pratica, il socialismo realizzato di tipo sovietico conteneva in sé molti tratti specifici di antagonismo. Si era sempre sostenuto che la logica della storia suggeriva lo sviluppo cosciente del socialismo sulla base della guida scientifica della società e della previsione altrettanto scientifica dei risultati di questo processo. E quando ci s’imbatteva nel volontarismo, nella violazione delle leggi oggettive, si trasgrediva immediatamente anche la logica della storia. Tuttavia questo schema interpretativo, utilizzato dalla dottrina sovietica per giustificare qualsiasi forma di deviazionismo e di degenerazione, aveva portato alla rottura del socialismo “ideale” con la sua reale sostanza, e alla non consapevolezza del suo limite storico. Il socialismo non poteva certo contenere in sé la soluzione di tutti i compiti storici. Proprio la comprensione di questo limite storico avrebbe condotto alla presa di coscienza delle sue reali contraddizioni e all’attivazione di quelle leve necessarie per migliorare l’uomo e il sistema. I nuovi studi sovietici prendevano le distanze da una visione del socialismo come sistema sociale “salvifico”, che affondava le sue radici nell’idealizzazione di una forma storica che si poneva in un luogo e in un tempo immaginari. Introducevano, infine, come oggetto serio di riflessione l’elemento “soggettivo” della storia: l’uomo. Anche qui veniva recuperata una comprensione meno “rousseauviana” dell’individuo, più coerente ai complicati processi di apprendimento e di educazione del cittadino ai valori del socialismo.

 

Classi e “gruppi” (1)

Un ventaglio di disuguaglianze (2)

Antagonismi e contraddizioni (3)

L’interpretazione dell’ineguaglianza (4)

Il dibattito sulle contraddizioni sociali nell’Unione Sovietica (5)


Enrico Galavotti - Homolaicus - Sezione Politica
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Aggiornamento: 23-04-2015