CAPITALISMO E SOCIALISMO

IDEE PER UN SOCIALISMO DEMOCRATICO
L'autogestione di una democrazia diretta


CAPITALISMO E SOCIALISMO

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E' difficile pensare che un sistema di organizzazione collettiva della vita sociale, quale quello socialista, possa essere sconfitto (politicamente o economicamente) da un sistema individualistico quale quello capitalista.

Certo, uno storico borghese non sosterrà mai una tesi del genere, come d'altra parte con moltissima fatica potrebbe sostenere che il servaggio feudale sia stato migliore dello schiavismo, essendo opinione comune che l'impero romano fosse più avanzato del feudalesimo.

Sia nei confronti del passato che nei confronti del presente gli storici borghesi tendono inevitabilmente a edulcorare la questione dello sfruttamento del lavoro altrui, mitigandone l'asprezza; inevitabilmente perché il capitalismo è il sistema in cui essi si sentono rappresentati e che per questa ragione vogliono tutelare. Sulla durezza della condizione schiavile si tende a chiudere un occhio, proprio perché lo schiavismo risulta essere molto più vicino al capitalismo di quanto non lo sia il servaggio feudale. Non a caso i medievisti borghesi esaltano soprattutto la fase che va dal Mille alla scoperta dell'America, cioè la fase borghese del basso Medioevo.

Se si guardassero le cose obiettivamente si dovrebbe convenire sul fatto che ogniqualvolta il capitalismo ha provato ad attaccare il socialismo, ne è sempre uscito sconfitto, come ne esce sempre sconfitto il singolo nel suo confronto con la massa. Solo una mentalità borghese potrebbe accettare l'idea che le ragioni di un singolo hanno maggiori probabilità d'essere giuste rispetto a quelle espresse da un collettivo.

Persino quando il capitalismo, rappresentato da Napoleone, attaccò la Russia zarista, che certo socialista non era, ebbe la meglio l'organizzazione feudale della comune contadina, a testimonianza che la Russia aveva conosciuto una qualche forma di proprietà collettiva, da tempo invece scomparsa in Europa occidentale.

Il socialismo autoritario, nato con lo stalinismo, non è crollato grazie ai colpi del capitalismo (come invece molti storici borghesi sostengono), ma grazie allo sviluppo della democrazia in Unione Sovietica (oggi Csi), tant'è che il crollo avvenne in maniera del tutto inaspettata, proprio mentre l'Urss deteneva incontrastata, insieme agli Usa, il ruolo di superpotenza mondiale.

Si è trattato in sostanza di uno sviluppo endogeno della democrazia nell'ambito del socialismo, ed è crollato un socialismo autoritario (di derivazione stalinista), nella speranza che si sviluppasse un socialismo democratico.

Che poi il senso di democrazia promosso da Gorbaciov e dal suo staff apparisse a molti russi un segno di debolezza, questo fa parte dell'immaturità politica dei popoli, che il più delle volte si attendono dall'alto la soluzione dei loro problemi sociali.

Allo sviluppo di un socialismo democratico il capitalismo non può contribuire in alcuna maniera, anche se da noi si sostiene che, una volta abbattuto il socialismo amministrato, l'Urss sia diventata, proprio grazie all'influenza dell'occidente, un paese democratico.

In realtà il processo verso la democrazia è stato un fenomeno tutto interno al socialismo, ch'era stato inaugurato sin dalle prime critiche di Kruscev allo stalinismo (culto della personalità ecc.), e non è affatto dipeso dalla realtà dell'occidente.

Se non ci fosse stato il coraggio della perestrojka e della glasnost, il socialismo amministrato avrebbe potuto continuare ancora per molto tempo, non ci sarebbe stato il crollo del muro di Berlino, la fine del Comecon e del Patto di Varsavia. Al massimo sarebbe accaduta una situazione analoga a quella cinese, dove, pur di non introdurre la democrazia politica, si è preferito introdurre il capitalismo nella vita socioeconomica.

Certo, l'occidente può operare dei condizionamenti, soprattutto nei confronti delle nuove generazioni, quelle che non hanno subito guerre e devastazioni da parte del nazifascismo, cioè quelle che vedono nel socialismo solo gli aspetti negativi o comunque solo quegli aspetti che nel confronto col capitalismo appaiono negativi (il che non significa che lo siano davvero o che gli aspetti "positivi" del capitalismo siano davvero tali).

Queste giovani generazioni non si rendono conto che gli aspetti positivi del capitalismo sono in realtà frutto di continue guerre e saccheggi e devastazioni sulla scena mondiale, in forza dei rapporti di sfruttamento tra capitalismo e terzo mondo (rapporti che vengono accuratamente taciuti o mistificati dai mezzi di comunicazione).

In realtà il capitalismo non ha alcun aspetto positivo, come non ne avevano i sistemi sociali basati sullo schiavismo. E' solo la propaganda occidentale a sostenere che la democrazia non è possibile in sistemi non capitalistici.

Peraltro, è noto che in occidente la parola "democrazia politica" coincide con "libere elezioni", le quali di "libero" non hanno quasi nulla, essendo fortemente condizionate da questioni economiche, come p.es. la disponibilità di capitali per le campagne elettorali. In occidente la politica è al servizio dell'economia. E la democrazia non è che una forma di oligarchia, soprattutto negli Stati Uniti.

Certo, esistono anche i partiti di sinistra dentro il parlamento, ma solo perché essi hanno ereditato lunghe battaglie politiche compiute dai loro fondatori al di fuori delle aule parlamentari. Nel migliore dei casi dovremmo dire che la democrazia occidentale è cosa "meramente parlamentare", incapace di rappresentare adeguatamente gli interessi della stragrande maggioranza dei cittadini del cosiddetto "paese reale".

La democrazia politica tende continuamente a confliggere con la democrazia sociale, e se questa non si difendesse da sola, ponendo la piazza contro il palazzo, il passaggio dalla democrazia politica alla dittatura sarebbe la cosa più naturale di questo mondo.

Con questo ovviamente non si vuole sostenere che il socialismo abbia meno possibilità di cadere sotto i colpi dei propri errori. Il passaggio dal leninismo allo stalinismo è stato fatale per le sorti del socialismo: lo stalinismo ha sterminato tutta la generazione "leninista", e il suo opposto, il trotskismo, non avrebbe fatto di meglio, se avesse vinto in Urss il confronto con lo stalinismo, essendo anch'esso un'ideologia del tutto insensibile alle esigenze del mondo rurale.

Se ora l'unica alternativa al socialismo autoritario sembra essere quella capitalistica, è solo perché il socialismo è immaturo, nel senso che le vecchie generazioni, sorte durante lo stalinismo, sono state per troppo tempo abituate a ricevere ordini dall'alto, e le nuove non hanno ancora una chiara consapevolezza dei limiti del capitalismo.

Ci si può chiedere il motivo per cui il capitalismo abbia sempre vinto nei confronti delle formazioni economiche pre-capitalistiche e invece abbia perso soltanto quando queste formazioni hanno realizzato una transizione verso il socialismo.

Il motivo sta nel fatto che le formazioni pre-capitalistiche non hanno mai dimostrato di possedere la necessaria consapevolezza della gravità della minaccia incombente; esse hanno sempre sottovalutato la forza del nemico e non hanno mai organizzato una vera resistenza di massa.

Il capitalismo ha saputo, magnificamente e terribilmente, sfruttare una ingenuità di fondo, dovuta al fatto che prima di questa tragedia planetaria v'era stata sì quella dello schiavismo, ma non su scala mondiale, e inoltre lo schiavismo era uscito sconfitto dalla guerra contro le popolazioni cosiddette "barbariche", le quali seppero trasformarlo in servaggio; infine va detto che il capitalismo è una forma di schiavismo sostenuto dalla rivoluzione industriale, dal macchinismo: cosa del tutto inedita per qualunque popolazione del mondo sino al XVI secolo della nostra era. Da notare che proprio il macchinismo rese possibile la transizione dallo schiavismo al capitalismo per vari paesi dell'attuale terzo mondo. Ovviamente i traumi maggiori sono avvenuti là dove il capitalismo s'è sostituito al comunismo primitivo (cioè soprattutto in Africa, che ancora oggi è il continente più disastrato del mondo).

Va tuttavia detto che le popolazioni est-europee avevano dovuto subire gli attacchi dell'occidente europeo sin dai tempi dello sviluppo feudale dell'impero romano-germanico e, se vogliamo, sin dai tempi dello sviluppo dell'impero romano schiavistico. Qui, prima che altrove, da almeno duemila anni esiste una sorta di consapevolezza della gravità della minaccia euroccidentale.

Probabilmente la consapevolezza più acuta di questa minaccia si è avuta quando gli Stati feudali e la stessa chiesa romana hanno fatto di tutto perché scomparisse come entità geopolitica l'impero bizantino, che pur aveva le stesse radici cristiane.

Il fatto cioè che la chiesa romana, dopo il fallimento delle crociate antislamiche e dopo il fallimento dell'ingerenza nei Balcani e nelle terre slave, preferisse una presenza islamica in Turchia più che non una presenza cristiana rivale, allarmò così tanto i cristiani ortodossi (ivi inclusi quelli residenti fuori dai confini dell'impero bizantino) che da allora si guardò sempre con enorme sospetto ogni cosa proveniente dalla parte occidentale dell'Europa.

Probabilmente gli stessi bizantini ad un certo punto preferirono una dominazione islamica a una cattolico-romana, poiché si rendevano conto che l'islam non avrebbe mai potuto sconfiggerli sul piano culturale, essendo l'islam una religione dai contenuti troppo elementari, una sorta di fede priva di vera teologia.

Va anche detto che l'islam, nei confronti del cristianesimo, si pone come una forma di ateismo, in quanto, se si esclude il rigido monoteismo (di derivazione ebraica), l'islam rifiuta molte cose che i cristiani ritengono essenziali alla loro fede (dai sacramenti ai miracoli).

L'islam non è che un ebraismo modernizzato, cioè un ebraismo che ha dovuto tener conto, in qualche modo, della presenza del cristianesimo, il quale, a sua volta, non è che un'altra forma di ebraismo modernizzato. Come l'induismo è il padre di tutte le religioni politeistiche, così l'ebraismo è il padre di tutte quelle monoteistiche. E l'ebraismo può essere considerato l'alternativa più significativa allo schiavismo nell'epoca pre-cristiana.

L'islam non è stato un'alternativa alla decadenza del cristianesimo bizantino, come non lo è stata l'invasione tataro-mongola (da cui provengono i turchi) nei confronti della cultura feudale russa e cinese.

L'unica vera alternativa alla decadenza del cristianesimo bizantino e del cristianesimo feudale in genere è stata posta dal socialismo, e non da quello utopistico, che si pone come una sorta di socialismo cristiano o comunque come una forma di razionalizzazione del capitale (la piccola proprietà privata, gestita anche in maniera collettiva, che si oppone alla concentrazione dei capitali, rinunciando però alla rivoluzione politica vera e propria); bensì da quello scientifico e rivoluzionario del marxismo e del leninismo, che pur oggi vanno integrati con le teorie umanistiche e ambientalistiche.

Il capitalismo infatti non ha fatto che spostare i termini della contraddizione sociale antagonistica dai rapporti tra latifondista e contadino ai rapporti tra imprenditore e operaio. Non c'è mai stato un superamento dell'antagonismo feudale ma solo uno spostamento dei termini principali del conflitto di classe.

* * *

Per quale motivo la rivoluzione socialista s'è verificata prima in Europa orientale (la Comune di Parigi in Occidente è stato un episodio isolato), dove sembrava mancassero del tutto le sue premesse, e non s'è verificata nell'area occidentale, ove da tempo le premesse materiali esistevano?

Forse questo sta a significare che le premesse materiali non sono di per sé un fattore sufficiente per realizzare la transizione verso una società più giusta, in quanto occorre anche il fattore soggettivo (volontà politica, coscienza di classe, organizzazione ecc.)? O forse questo sta a significare che se le premesse materiali non vengono subito utilizzate per fare la rivoluzione socialista, esse poi condizionano gli uomini al punto da renderli incapaci di rivoluzionarle?

Per fare la rivoluzione socialista occorre consapevolezza politica (non basta "l'istinto di classe"): la Comune di Parigi in fondo fallì proprio perché dominata dallo spontaneismo del socialismo utopistico. Va però detto che l'Occidente poteva vantare, rispetto all'euroriente, un'esperienza politica assai maggiore (si pensi agli effetti prodotti dalla Rivoluzione francese). Come mai allora la rivoluzione socialista (seppure nelle forme burocratico-statali) s'è realizzata anzitutto nell'Europa dell'est?

La risposta va cercata anche nel fatto che tutta l'esperienza politica maturata in Occidente prima della Comune di Parigi, era sostanzialmente legata agli interessi della borghesia. La Rivoluzione francese è stata portata avanti sostanzialmente sulla base di rivendicazioni borghesi: i primi impulsi di tipo socialista si sono avuti con la Congiura degli Eguali di Babeuf, cioè a Rivoluzione conclusa. Quindi la coscienza proletaria non si era ancora espressa in modo autonomo, indipendente dalle forze borghesi.

Nell'Europa orientale si passò quasi subito dal capitalismo al socialismo, non permettendo alla mentalità borghese d'intaccare la coscienza proletaria. Per capire come mai ciò sia potuto accadere, bisognerebbe analizzare il valore della cultura, dello stile di vita pre-borghese. Quindi bisognerebbe anzitutto analizzare le grandi differenze fra le tre religioni europee: cattolica, protestante, ortodossa.

La prima di queste differenze sta nella carica ideale, cioè nell'esigenza d'essere conformi a un ideale di vita positivo, umanistico. La rivoluzione socialista è avvenuta quando il capitalismo aveva definitivamente distrutto ogni carica ideale dell'ortodossia (espressa politicamente dal populismo), che già col feudalesimo era entrata irreversibilmente in crisi. Il servaggio infatti rappresentò sempre agli occhi dei contadini una sorta di tradimento della loro religione.

Laddove l'ortodossia non è mai esistita (come a Cuba, nel Vietnam, in Angola e Mozambico, ecc.), la carica ideale era stata presa dalle tradizioni del collettivismo primitivo, che il capitalismo stava distruggendo.

Laddove c'è il capitalismo, c'è anche la possibilità di una rivoluzione, perché nessuna formazione sociale ha il potere di distruggere così tanto una tradizione di umanitarismo, senza alimentare un'altrettanta grande esigenza di liberazione. E' vero il capitalismo può distruggere "fisicamente" ogni cultura, ma se ciò comporta la distruzione fisica anche dei soggetti che la vivono, il capitalismo non avrà poi modo di sfruttarli (anche se l'interesse fosse volto anzitutto alle risorse naturali di un popolo, il capitalismo dovrebbe sempre avere a disposizione una manodopera salariata, la quale, ad un certo punto, potrebbe ribellarsi).

L'unico modo d'impedire che l'esigenza di liberazione si concreti in un'esperienza di liberazione è quello di garantire uno standard di vita sufficientemente elevato: fino ad oggi il capitalismo, nell'area occidentale, vi è riuscito a spese del Terzo mondo.

Lenin ebbe la geniale intuizione di capire che un proletariato lasciato a se stesso, alla propria spontaneità, al massimo è in grado di fare una politica di rivendicazione salariale, limitandosi alla quale esso non fa, in ultima istanza, che gli interessi della borghesia. Il proletariato basato sullo spontaneismo è borghese come sono borghesi gli intellettuali che giustificano lo spontaneismo, rifiutandosi di guidare un movimento politicamente autonomo.

"Niente prassi rivoluzionaria senza teoria rivoluzionaria": questa frase di Lenin stava appunto a indicare l'impossibilità di una rivoluzione politica senza conoscere la tattica, la strategia, l'agitazione, la propaganda e le tecniche militari adatte allo scopo. La rivoluzione politica non può essere l'effetto di un rivolgimento sociale spontaneo delle masse (come credevano Marx ed Engels, i quali cominciarono a pensare a un partito organizzato in modo autonomo solo dopo il fallimento della Comune di Parigi). D'altra parte tutto il marxismo fino a Lenin ha sempre creduto nella spontaneità delle masse, riflettendo, in questo, un condizionamento tipicamente occidentale, prodotto dalla cultura individualistica e intellettualistica dell'Europa occidentale (cultura che, a sua volta, rappresenta la laicizzazione prima del cattolicesimo, poi del protestantesimo).

Non che i rivolgimenti sociali non debbano esserci: è che non sono essi a poter garantire la continuità dell'azione rivoluzionaria. Fare una rivoluzione è relativamente facile, il difficile viene dopo. In tal senso, non ci si può improvvisare dei rivoluzionari: ecco perché Lenin pretendeva dei "professionisti". Occorre un duro tirocinio, un legame molto stretto con le masse, senza le quali nessuna rivoluzione è in grado di sopravvivere a se stessa.

Ecco perché non c'è bisogno di aspettare che le condizioni materiali della rivoluzione si sviluppino in tutte le loro potenzialità. Far dipendere la rivoluzione dalle condizioni materiali significa fare dell'"economicismo", cioè cadere nel fatalismo e nello spontaneismo (automatico).

In realtà bisogna rendere coscienti gli uomini che le contraddizioni vanno superate prima ch'esse abbiano compiuto condizionamenti tali da rendere molto difficile qualunque rivoluzione. Ogni ritardo verrà pagato da un numero sempre più grande di persone e lo sarà sempre più in profondità.

Non si può teorizzare che la rivoluzione può essere fatta solo quando la gente non ne può più. Bisogna diffidare di quei rivoluzionari che attendono passivamente l'acuirsi della crisi per pretendere dalle masse il riconoscimento di meriti che non hanno.

IL SENSO DELLA PERESTROJKA

La crisi del "socialismo reale" non è la crisi dell'idea di socialismo, ma solo la crisi del socialismo burocratico e amministrato, quello dove la base riceve ordini dai vertici e dove si presume che la proprietà, solo perché "statale", debba essere gestita nel migliore dei modi.

La crisi di questa forma di socialismo non può assolutamente implicare la fine della "prassi politica rivoluzionaria", perché di questa prassi nessuno potrà mai stabilire una "fine". Le rivoluzioni, quando riguardano la "mentalità", sono possibili e a volte necessarie persino là dove non esistono interessi antagonistici fra classi contrapposte (che poi l'antagonismo, a livello politico, cioè di potere, di carriera, di nomenklatura, ecc., la perestrojka ha dimostrato essere possibile anche all'interno di una medesima classe o comunque all'interno di una società socialista: ad es. fra burocrati, alti dirigenti e amministratori da una parte, e operai, contadini e impiegati medi dall'altra).

Per quanto riguarda l'idea di "comunismo", si è finalmente capito che nessuno può anticiparne arbitrariamente la venuta, né a livello pratico né, tanto meno, a livello teorico. Il comunismo è una mèta del futuro, oltre che un'esigenza vitale di tutti gli uomini, ne siano essi coscienti o no. La sua realizzazione non dipenderà da uno sforzo di volontà dei partiti comunisti, i quali anzi, "quel giorno", neppure sussisteranno, in quanto la politica come "scontro di classe", come scontro di interessi di potere conflittuali, sarà incompatibile con la società comunista. La sua realizzazione dipenderà dalla maturità etica, organizzativa e sociale dei rapporti umani dell'intera collettività.

Se la perestrojka non è progredita è stato appunto perché chi voleva trarne beneficio pretendeva che i mutamenti fondamentali avvenissero per imposizione dall'alto, esattamente coma avveniva prima, a partire da Stalin. Le lentezze della perestrojka attestano appunto che il socialismo amministrato non favoriva la libera espressione dell'uomo e del cittadino. La perestrojka è la fine del rapporto gerarchico unilaterale, quello cioè in cui i dirigenti non vengono mai posti sotto controllo dalla base o da chi li elegge, ed è quindi l'inizio della responsabilità personale dei singoli individui.

Non è stata essa che ha "scatenato una conflittualità sociale imprevedibile e inimmaginabile": essa ha soltanto "permesso", come una valvola di sfogo, che il conflitto emergesse più facilmente. E questo conflitto non era "imprevedibile", poiché proprio la sua presenza (latente ma non per questo meno reale) ha stimolato il fenomeno della perestrojka, che non può essere nato dal nulla e che non sarebbe mai nato se le disfunzioni avessero riguardato cose di secondaria importanza. La perestrojka insomma ha permesso che il conflitto emergesse senza scoppiare in maniera catastrofica.

È vero, i nazionalismi sono forti, esasperati, ma perché forte ed esasperato era l'egemonismo praticato dallo stalinismo nei loro confronti. Si può forse, in nome dell'internazionalismo (che pur senza dubbio è superiore a ogni nazionalismo), imporre una determinata ideologia? Perché dunque così tanta ostilità nei confronti della perestrojka? Non solo perché molti si attendono la soluzione dei loro problemi come la "manna dal cielo", non solo perché, ovviamente, nessuno vuol perdere i poteri acquisiti, gli schemi mentali consolidati, ma anche perché si considera il conflitto di classe superiore a qualunque forma di collaborazione col cosiddetto "nemico borghese". Questo modo di vedere le cose è ormai diventato terribilmente primitivo, anche facendo astrazione dalla necessità di una coesistenza pacifica nell'epoca nucleare. Il "nemico" è una realtà che si impone da sola, di volta in volta, non è un soggetto da definire o catalogare. Anche perché la sua presenza, la sua "collocazione" non è mai così univoca come sembra.

Si può forse definire "nemico" del socialismo chi sostiene la perestrojka solo per trarne un vantaggio materiale o economico (come i nostri businessmen borghesi)? E che dire del politico occidentale che la appoggia solo perché si illude ch'essa porti alla fine del socialismo? Se questi soggetti non hanno capito o rifiutano di accettare l'idea che la perestrojka è soltanto una ulteriore democratizzazione del socialismo, si deve per questo considerarli dei "nemici"?

Come possiamo notare le ambiguità non mancano né possono mancare. Se la verità delle cose fosse chiaramente percepibile da chiunque, non solo non esisterebbe alcun "nemico", ma non esisterebbe neppure il concetto di "verità" (da contrapporre a quello di "falsità"). La verità non è altro che un ricerca continua delle soluzioni migliori per il benessere dell'uomo. Contrapporsi a questa ricerca con frasi schematiche e astratte, senza neanche un atteggiamento di ascolto, di confronto aperto e sincero, quando attualmente, con la perestrojka, vi sono coinvolte milioni di persone, non è certo il modo migliore per chiarire le cose.

Per quanto riguarda il Pc, mi rendo conto che qui le ambiguità hanno ormai raggiunto un limite insuperabile (come quando ad es. si dice di aver anticipato la perestrojka di molti anni!). Non è singolare che i nostri dirigenti comunisti mettano sullo stesso piano una perestrojka fatta in un paese socialista con una fatta in un paese capitalista?

Ma perché le ambiguità del Pc evolvano in un senso (il riformismo borghese) o in un altro (il socialismo democratico), occorre ch'esse si confrontino con un'alternativa reale, cosa che per il momento in Italia non c'è. All'est la perestrojka ha stimolato un forte movimento di idee politiche e sociali, una partecipazione degli individui e delle masse alla nuova mentalità. Da noi, con il consumismo che ci "mangia il cervello", non si vede ancora nulla. La tecnologia ci permette di superare l'est ma non ci dà automaticamente la capacità di contestare l'ovest. Essa tuttavia crea problemi tali, in questa società antagonistica, che per risolverli gli uomini dovranno lottare con non meno impegno che all'est.


Le immagini sono prese dal sito "Foto Mulazzani"

Web Homolaicus

Enrico Galavotti - Homolaicus - Sezione Politica - Socialismo democratico
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Aggiornamento: 11/12/2018