Per una nuova teoria biogenetica: capitolo I

IDEE PER UNA SCIENZA UMANA E NATURALE


Per una nuova teoria biogenetica
Ipotesi meccanica sull’origine della materia vivente

di Vittorio Naso

I - II - III - IV - V - VI - VII - VIII

CAPITOLO I
Natura della Vita

I processi vitali sono un grande serbatoio di complicati problemi, con cui l’uomo si è dovuto misurare sin dai tempi in cui acquistò il primo barlume di coscienza. L’interpretazione della vita, a cominciare dal suo significato, è probabilmente, tutt’oggi, la questione che appassiona maggiormente gli studiosi di ogni ordine.

La biologia è la disciplina che dovrebbe chiarire i meccanismi che sono alla base della vita, quindi sia il modo in cui la vita è sorta, sia il modo con cui i processi evolutivi procedono. Le due cose sono strettamente collegate, ma allo stato attuale della ricerca, ciò non può essere né confermato né negato. Le dottrine attuali individuano nel caso e nell’invarianza delle strutture replicative gli artefici dei processi evolutivi, inoltre per quanto riguarda l’origine stessa degli esseri viventi, il casuale assemblaggio dei costituenti chimici essenziali, quindi nuovamente il caso, viene considerato

il promotore della nascita della vita sulla Terra. Sintetizzando al massimo, e con un po’ di malizia, si può tranquillamente affermare che: la causa della vita casualmente si è prodotta e casualmente si evolve, sebbene, in quest’ultimo “caso”, la casualità sia mitigata dalla pressione selettiva.

In sostanza, il caso che mitiga il caso, e che produce quel meraviglioso meccanismo che è la vita. Abbiamo solo un po’ giocato con i termini, e questo per evidenziare meglio il fatto che le attuali teorie danno un peso un po’ elevato ai contenuti statistici dei processi evolutivi, considerando il problema da un’angolatura non del tutto corretta.

La vita è evidente, pone problemi di interpretazione enormi, e su qualsiasi processo di natura biologica si ponga l’attenzione, non si riesce mai a dire o a confermare di averne compreso appieno ogni dettaglio. Eppure, condannati a questa condizione, diciamo di sapere cosa è l’evoluzione da una semplice conta delle mutazioni che avvengono in una popolazione batterica.

È anche vero, però, che non si può, con le attuali teorie, essere certi sulle modalità con cui la vita è sorta, e più passa il tempo più cresce la sfiducia nelle attuali teorie evolutive, troppo legate a concetti di natura statistica, che non soddisfano e non possono soddisfare la complessità di un argomento come la vita. Si assiste, allora, alla proliferazione di teorie antagoniste alle tesi evoluzioniste, che sebbene illogiche, sopravvivono grazie alla facilità con cui è possibile scardinare le basi su cui poggiano le moderne teorie neodarwiniste. Il problema vero, che si pone, quando si afferma che la vita lavori in maniera casuale, come ben sottolineato da Bergson, è che questo modo di operare presuppone che i vari pezzi vengano integrati nel sistema vitale mano a mano e che, pertanto, la vita abbia un comportamento per così dire costruttivo, propositivo, positivo, e che ciò sia determinato dal caso.

Ma la vita non lavora così. Se si guarda qualsiasi processo vitale, la cosa che traspare in maniera evidente, è che il lavoro della vita non è altro che una continua ossessiva resistenza alla materia bruta, ogni atto, ogni modificazione è solo e unicamente una resistenza. È più una negazione che un positivo relazionarsi all’ambiente circostante. Questo vale su qualsiasi livello chimico-biologico si ponga l’attenzione.

La considerazione che la vita operi in questo modo è, probabilmente, la più forte ed approfondita critica che sia mai stata mossa alle teorie meccaniciste (per intenderci le moderne teorie sintetiche dell’evoluzione), poiché scende sul terreno concreto dell’esperienza diretta.

La relazione vita ambiente, se di tipo negativo, costringe, infatti, ad uno spostamento della riflessione non su fattori esterni, che possano modificare casualmente le strutture replicative dei sistemi biologici, ma su fattori interni, propri della vita. L’utilizzazione della statistica, del caso, come possibile veicolo per la nascita dei composti biologici vincola la ricerca, sulle fasi iniziali, in un percorso tortuoso, in cui, proprio secondo le previsioni di Bergson, gli studiosi sono costretti ad ammettere che le varie parti di una cellula si siano casualmente prodotte, casualmente integrate, e casualmente immesse nella struttura replicativa.

Il caso, riteniamo, più eclatante, dell’impostazione odierna delle teorie evolutive, riguarda proprio l’ipotesi che sta alla base della nascita della vita. Infatti, in base ad una impostazione molto accreditata, fu un unico caso, irripetibile, a dare origine ai fenomeni vitali, a produrre quella fantastica molecola che è il DNA. Un rarissimo caso, forse unico ed irripetibile. Si parla di accidente congelato. Ultimamente, studiosi di codice genetico, hanno constatato che anche il codice genetico ha forse subito un’evoluzione e non è quindi frutto del caso ma della selezione naturale. (1)

Ma cosa è la selezione naturale, così come la intendiamo oggi, se non casualità? Se non è casualità, abbiamo a che fare con qualche capacità insolita della materia vivente o del nostro ambiente, ma, se è solo la legge del più forte, non potrebbe avere una grande dinamica nel tempo, basterebbe un piccolo errore casuale, nella scelta del più forte, e la vita sparirebbe. Come si vede, la confusione regna sovrana, proprio perché alla confusione è stato attribuito il dono della vita. Crediamo, invece, che il problema non sia stato sufficientemente approfondito, e si sia sopravvalutata, in maniera eccessiva, la capacità della casualità, da sola, di generare fenomeni complicati e importanti come la vita.

La vita non è materia inerte, se ne distingue nettamente, possiede una tensione propria, che si risolve in un numero infinito di problemi risolti, in un’apparente semplicità con cui i vari meccanismi biologici, attimo dopo attimo, affrontano gli squilibri con l’ambiente esterno, in un’evoluzione delle strutture così precisa e puntuale e spesso identica nelle diverse ramificazioni, che riesce veramente difficile affidare alla casualità, sebbene coadiuvata da milioni di anni di evoluzione, una siffatta capacità generativa di soluzioni. La casualità è importante, è evidente, ma non può essere considerata la vita stessa. Risulta necessario un cambio di rotta, che conduca a modifiche sostanziali nel modo con cui ci si accosta ai fenomeni vitali. Riteniamo che il primo passo da fare sia quello di pensare la vita come un naturale prodotto della natura, un prodotto particolare ma non per questo raro o quasi impossibile. Dove esistono le condizioni adatte la vita si manifesta. L’ambiente è, quindi, la prima condizione, fondamentale, affinché ci sia vita.

Considerando l’ambiente terrestre, vediamo che la vita necessita, per la sua normale attività, di determinati valori dei parametri fondamentali, come calore, gravità ed altri, i quali, sebbene possano subire delle variazioni anche notevoli, devono mantenersi entro confini ben precisi, altrimenti la vita cessa di essere. Nella vita siamo in presenza di una complessa organizzazione, che utilizza energia con un basso potere in termini quantitativi, ma che ha un elevato potere in termini qualitativi; ha, cioè, la capacità di produrre complessi meccanismi chimico fisici.

L’energia di cui stiamo parlando è energia chimica, energia con la quale la vita svolge tutte le funzioni proprie degli esseri viventi. Da questa energia si ricava calore, si producono tutti i mattoni essenziali per la costruzione della materia vivente, si produce movimento, insomma qualsiasi attività vitale trae la sua forza dalla chimica degli elementi. Ma la vita è chimica, tutto il complesso sistema di un essere vivente si basa sulle proprietà chimiche degli elementi, ogni singola capacità, ogni singola azione porta con sé complessi procedimenti chimici, indissolubilmente legati tra loro, la cui comprensione risulta spesso impossibile.

Si può dire che nella vita, la chimica, trova la sua migliore manifestazione, anzi, la sua suprema manifestazione, ponendo un punto fisso da cui non si può prescindere ma, anzi, da cui bisogna partire. La causa risiede, pertanto, nei processi chimici, i quali posti in un ambiente adatto sviluppano delle capacità “nascoste”, che portano alla nascita dei composti biologici, tra cui il DNA, considerata la molecola più complessa e misteriosa, viste le innumerevoli e fondamentali funzioni che svolge negli esseri viventi.

Certo che quando si arriva al DNA, negli studi biochimici, sembra di essere giunti al capolinea, poiché si assiste o a una mitizzazione della stessa molecola, definita come un cristallo anomalo che ha cominciato a riprodursi e ad evolversi, o si assiste allo sgomento, dovuto alla impossibilità di proseguire, poiché sembra vi sia qualcosa di molto oscuro dietro alla doppia elica del DNA. La reazione di sgomento ci sembra la più appropriata, poiché, sebbene alcuni esperimenti sembrano indicare che esista la concreta possibilità che alcune molecole fondamentali per la vita possano essere riprodotte in laboratorio, simulando le condizioni della terra di qualche miliardo di anni fa, nulla, in realtà, ci dicono questi esperimenti, cosa sia la vita, o da quale interazione di forze possa generarsi un molecola così piena di significati come la molecola del DNA. Non esiste nessun tracciato sul quale si possa lavorare per arrivare a comprendere la nascita delle molecole autoriproducentesi, molecole complesse sotto tutti i punti di vista, in cui le stesse sequenze dialogano tra loro e sono attivate da segnali interni ed esterni.

La vita è il più grande laboratorio chimico che noi conosciamo, e presenta problematiche che sfidano non solo la logica dei biologi, ma di tutto il mondo scientifico, invadendo campi come la fisica (in particolare la termodinamica), la chimica, l’astronomia, la matematica, e la lista potrebbe allungarsi. La biologia dovrebbe essere una disciplina privilegiata, ma non è così.

Vi è una sorta di sottomissione incondizionata ad altre discipline, dalle quali discendono dei limiti fondamentali, che non possono che limitare una ricerca che è tuttora apertissima. Uno dei limiti è il grande valore che si attribuisce al caso, che sebbene sia fondamentale per la vita, nella ricerca biologica non porta a nulla, se non forse alla consapevolezza dell’importanza dell’ambiente entro il quale si svolgono i processi vitali.

È evidente, a questo punto, che l’intero discorso sulla vita debba essere spinto oltre, verso una reinterpretazione delle caratteristiche degli esseri viventi, come la riproduzione, conservazione, ed evoluzione, e attraverso ciò tentare di tracciare un leit-motiv, che ci possa aiutare nella formulazione di una nuova e diversa ipotesi, più rispondente a ciò che un essere vivente rappresenta, con la sua complessità, e soprattutto, con la sua profonda divergenza da ciò che vivente non è.

Il caso e la selezione naturale da sole non bastano a chiarire la tensione che domina la vita, perché il caso e la selezione naturale sembrano più degli strumenti in mano alla materia vivente che non quest’ultima il prodotto dei primi. Utilizzando una immagine molto suggestiva, possiamo dire che la vita è la materia che guarda se stessa. Ovverossia la vita, nel suo complesso, genera vari livelli di comprensione del mondo esterno. Un animale sa distinguere ciò che è buono per lui e ciò che non lo è, una pianta riesce a procurarsi ciò di cui necessita tra milioni di composti, scartando il cattivo ed assimilando il buono.

Più che di comprensione è più corretto parlare della capacità degli esseri viventi di andare incontro a ciò che può portare beneficio ed evitare ciò che può nuocere, quindi parlare di conservazione. Gli esseri viventi tendono a conservarsi, ad arginare nel tempo tutti gli effetti negativi che gli agenti esterni producono.

Quando si parla di conservazione, si deve intendere la parola in modo molto estensivo, poiché sotto di essa si celano la maggior parte dei comportamenti (se non tutti) degli esseri viventi, e con essi, le strutture biologiche che sono predisposte, appunto, alla conservazione. Un elenco di tutte le possibili azioni messe in atto anche da un singolo organismo, per contrastare ogni possibile variazione del proprio normale equilibrio, sarebbe veramente molto lungo, ma soprattutto incompleto, poiché molte delle capacità conservative o sono incomprese o addirittura sconosciute. Non ritroviamo nulla, nella natura casuale dei fenomeni e degli eventi, da cui si possa estrapolare un volontà conservativa, semplicemente nulla.

È evidente, allora, che la base logica da cui è sorto il codice genetico non può essere semplicemente il caso, ma qualcosa di più vasto, in grado di contenere al suo interno tutte le reazioni conservative tipiche della vita, compreso il codice genetico.

La conservazione non è comunque la sola caratteristica rilevante degli esseri viventi, abbiamo infatti anche la duplicazione e l’evoluzione, che sebbene siano, esse stesse, processi conservativi, possono essere distinte dalla conservazione propriamente detta. La duplicazione può essere considerata la caratteristica più evidente degli esseri viventi, è quella che più di ogni altra li contraddistingue, ed è quella che più di ogni altra ci fa rimanere stupiti e increduli quando osserviamo i fenomeni vitali.

L’evoluzione, importantissima, può essere vista come un processo conservativo di tipo speciale, di lungo periodo, tramite il quale, gli esseri viventi, migliorano nel tempo le proprie prestazioni rispetto all’ambiente esterno. La causa della vita, nella sua essenza, deve, quindi, giustificare queste caratteristiche, deve già contenere al suo interno, in forma embrionale, una tendenza, una tensione, in cui sia riconoscibile il processo vitale e con esso le caratteristiche appena viste.

In questo senso, è la qualità della azione vitale che deve essere discussa, la quale non può essere giustificata dalla precisa, quanto si vuole, coordinazione tra l’evento casuale, che modifica la struttura replicativa, e la pressione selettiva. Si sta delineando la strada che vogliamo percorrere nell’affrontare un problema così complesso come la vita, ammettendo la presenza di una forza interna ai processi biochimici che specifica la differenza tra vivente e ciò che vivente non è. Al riguardo, dobbiamo affermare, che noi non cerchiamo il fine della vita, ma bensì la causa, e se in questa si possano, poi, individuare dei fini non è un problema che riguarda la nostra ricerca. Diciamo inoltre (sempre concordi con Bergson) che le teorie finaliste, le quali presuppongono che la vita persegua un piano ben preciso, cadono nello stesso errore in cui cadono le moderne teorie evolutive, ammettendo che la vita proceda e si sviluppi attraverso un positivo relazionarsi con l’ambiente esterno, e che i pezzi vengano mano a mano aggiunti in base ad un progetto. In realtà, e lo ripetiamo, la logica che sta alla base della vita è più di natura negativa, è una continua e ossessiva resistenza attuata nei confronti dell’ambiente esterno, piuttosto che un positivo relazionarsi.

È evidente che la nostra ricerca, però, si sposta pure sul significato che questo elemento porta con sé. In questo senso, è più vicina alle teorie finaliste che non alle teorie casualiste. Ma si tratterà, come si vedrà in seguito, di un fine che se esiste è esterno alla vita. Abbiamo volutamente introdotto il discorso sulla natura della vita parlando delle principali caratteristiche vitali, duplicazione, evoluzione, conservazione, ed abbiamo sottolineato che la causa deve darne giustificazione piena. Dobbiamo, pertanto, interrogarci sul loro significato.

È evidente che si tratta di processi di tipo conservativo, che tutelano la vita nella sua interezza, processi globali nella loro dinamica, nulla è lasciato al “caso”, ma ogni strada è percorsa per rinnovare la forza dei processi vitali; talmente globali che la vita, invece di mantenere le sue posizioni, conquista continuamente terreno nel corso del tempo, ed aumenta la sua efficacia nelle risposte date all’ambiente esterno. La conservazione è la capacità di mantenere un oggetto o una condizione inalterati, nello stato originario.

Quello che noi rileviamo, è che nella vita vi è una azione sempre in essere, capace di trovare soluzioni a 360 gradi, nella direzione della conservazione. Non si tratta di un oggetto che noi abbiamo posto in una stanza buia e che naturalmente si conserva. Qui si tratta di una lotta continua e costante, alla luce del sole, dove le trasformazioni non hanno pausa, e dove, evidentemente, la vita non è in equilibrio con l’ambiente circostante. Ora, se la conservazione è la capacità di mantenere un qualsiasi stato inalterato, una azione così vasta, completa e permanente, come è quella svolta dalla vita, indica che non è il singolo evento negativo che induce conservazione, ma qualcosa di altrettanto vasto e completo.

Molto semplicemente, se conservarsi significa mantenersi inalterati nel tempo, questo qualcosa non può non essere il tempo. Il tempo è l’unica cosa su cui la vita può fare riferimento per attuare una lotta per la sopravvivenza così perfetta. Si può contestare che ad una azione corrisponde una reazione, che in realtà il tempo non c’entra nulla, e che ogni qualità vitale è completamente casuale, si può dire tutto, ma tutto ritorna sul terreno della casualità più completa, con tutti i problemi interpretativi che ciò comporta.

Se restiamo sul terreno della logica, invece, non possiamo fare altro che constatare quest’azione limitante l’azione del tempo, che la vita svolge, e provare a ragionare su ciò. Certo è, che quando si inserisce un parametro come il tempo, la nostra ragione sobbalza, poiché siamo abituati a considerarlo non un fatto concreto, ma un mezzo per poter stabilire appuntamenti, date, ore.

In realtà, il tempo, è un parametro fondamentale del nostro universo che, con le ultime acquisizioni della fisica, risulta non costante ovunque ma dipendente da fattori quali velocità, accelerazione, che modificano il modo con cui il tempo scorre. Il tempo, infatti, si dilata laddove si raggiungono accelerazioni enormi e diviene “zero” alla velocità della luce, a quella velocità il tempo non scorre più. Tutto ciò significa che il tempo non è un parametro assoluto, immodificabile, ma che cambia a secondo dello stato in cui si trova la materia.

Ma come si fa a considerare un parametro come il tempo il principale fattore dei processi vitali, quando quest’ultimi si svolgono in condizioni di assoluta quiete rispetto alle energie necessarie per poter modificare lo stesso? Le domande che a questo punto sorgono sono tante, così come è grande la difficoltà di comprensione di un parametro come il tempo, ma ciò che in questo capitolo preme sottolineare, è che l’introduzione negli studi biologici del fattore temporale è necessaria, non perché si vuole complicare maggiormente tutta la tematica, ma perché non considerarlo significa semplicemente eludere il problema della vita.

Come direbbe Monod, è un problema di etica della conoscenza. È un vero paradosso, infatti, che la vita sia piena di meccanismi di previsione, di anticipazione, di sorveglianza, di risposta ad eventi di ogni sorta, ed è ancora più paradossale che si continui a considerare ciò un puro caso, quando tutto ciò, evidentemente, ha una strettissima relazione con il tempo. È sulla dinamica del flusso temporale che si gioca tutta la partita della vita non su altro. Su quale altro parametro la vita può fare riferimento per poter amministrare il flusso di tutti gli eventi, di tutti i fatti accidentali che continuamente producono modificazioni nell’ambiente, positive o negative, e quindi sulla vita stessa. Miliardi di anni non bastano per poter impostare in maniera casuale il programma vita, per un semplice motivo: l’evoluzione dei viventi non ha mai cambiato le principali caratteristiche della vita, le quali, erano quindi presenti agli albori della vita stessa. L’hardware della vita è sempre stato lo stesso, e cioè, contrastare in tutti i modi possibili l’azione dello scorrere del tempo.

È proprio nel tempo che la vita si è formata, è proprio nel tempo che la vita ha prodotto miglioramenti di organizzazione, è proprio nel tempo che la vita ha cominciato ad aggirare lo stesso flusso del tempo, ed è proprio questo che non torna ad un semplice calcolo che vuole la vita inserita nello stesso flusso temporale di una roccia di montagna. Quando si discute di tempo, si preferisce non considerare il rapporto che la vita, noi esseri umani, abbiamo con questo parametro, e si dice che è una questione soggettiva, che la realtà del tempo ci sfugge.

Eppure siamo stati noi esseri umani a scoprire che il tempo non è uniforme, che non è una grandezza assoluta. In una ipotesi di perfetto allineamento delle modalità con cui viene vissuto il tempo, tra la vita ed il resto (l’ambiente), che bisogno ci sarebbe di conoscere il tempo, di analizzare i flussi temporali, di fare previsioni, quando a noi andrebbe bene tutto, anche di morire e scomparire, l’essenziale sarebbe vivere il nostro tempo, non ne potremmo conoscere altri.

È evidente che c’è qualcosa di anomalo in tutto ciò, è inutile nasconderlo, e sebbene sia un argomento molto scomodo per evidenti problemi di trattazione, non si può affatto prescindere dalla assoluta inconciliabilità tra il tempo proposto dagli esseri viventi ed il tempo dell’ambiente circostante.

È prima di tutto una questione di vita o di morte, e come tale, trascende dalle interpretazioni di tipo psicologico che raccontano di come sia percepito il tempo da noi umani o da un’altra razza animale. È in questo senso, allora, che possiamo introdurre la questione psicologica, quando è la vita nella sua interezza ad essere considerata. La vita ha un rapporto psicologico con il tempo, ed è un rapporto privilegiato, unico.

Concludendo, diciamo che la causa va ricercata nell’aspetto preminente che riguarda tutti i fenomeni vitali, ovverossia, la conservazione. È rintracciabile in essa un’evidente resistenza allo scorrere del tempo, sostenuta da un’altrettanta inusuale capacità di rapportarsi allo spazio circostante. Lo studio del modo con cui, il tempo e lo spazio, possano sviluppare e far evolvere i fenomeni vitali diviene il vero problema da analizzare e risolvere. Privilegeremo l’aspetto temporale, ma sarà lo stesso aspetto che ci condurrà a comprendere l’importanza dello spazio, e del modo con cui la vita si rapporta ad esso.

(1) Stefen, J. Freeland & Laurence, D.Hurst, Il Codice dell’evoluzione, Le Scienze, Maggio, 2004, Edizione Italiana di Scientific American

www.lulu.com/content/2017272


Le immagini sono prese dal sito "Foto Mulazzani"

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Enrico Galavotti - Homolaicus - Sezione Scienza -  - Stampa pagina
Aggiornamento: 14/12/2018