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ORIGINI DELLA MEDICINA
La scoperta delle proprietà curative delle piante è, all'inizio, sicuramente un fatto istintivo e casuale. L'uomo primitivo ritrova nella pianta l'alimento, l'indumento, il riparo, l'arnese da lavoro, la fonte del calore, la cosmesi, i profumi e anche naturalmente la medicina, avvalendosi di esperienze dirette e indirette, positive e negative. In origine, racconta il mito religioso, l'essere umano viveva in una sorta di "giardino", che doveva custodire e coltivare, quindi, se vogliamo, prima di diventare "agricoltore" o "allevatore" o "cacciatore", l'uomo era semplicemente un "giardiniere", un "raccoglitore" dei frutti della terra. Il prato e la selva furono la farmacia dell'uomo primitivo. Nella ricerca delle sostanze terapiche egli sicuramente si serviva del comportamento degli animali selvatici, evitando di torturarli con esperimenti "scientifici" nei propri laboratori "artigianali". Stando a certe leggende indiane, la tribù dei Chippewa, che viveva nel Michigan, imparava i rimedi migliori per guarire da come l'orso cercava le radici, le ghiande, le bacche, le erbe... Gli indiani del Nordamerica conoscevano circa trecento piante diverse per curare il raffreddore, la febbre e le ferite e altre duecento con effetti lassativi, sedativi e stomachici. Prima che in Europa si depositasse il marchio dell'Aspirina (esattamente il 1° febbraio 1899 a Berlino), moltissime tribù primitive (e Ippocrate, che è vissuto quattro secoli prima di Cristo, l'aveva detto a tutti i medici) usavano la corteccia di salice per curare i reumatismi: pianta che contiene la salicina, sostanza antidolorifica simile all'aspirina. Per non parlare del curaro, usato per millenni dalle popolazioni sudamericane per catturare gli animali paralizzandone i muscoli, quando in Svizzera lo si scoprì solo verso la metà del secolo scorso applicandolo nell'anestesia generale. L'aspetto istintivo dell'uomo primitivo, che forse tanto "primitivo" non era, divenne razionale quando dalle osservazioni e dagli esperimenti si cercò di migliorare la qualità della vita umana. Chi meglio di tutti conosceva la natura (p.es. lo stregone) era anche tenuto in particolare considerazione, ma va detto che la figura dello "stregone" già presuppone una qualche differenza gerarchica tra i componenti di una tribù e ovviamente la presenza di una qualche religione. Sicché si può presumere che nei tempi più remoti la conoscenza "medicinale" delle piante sia avvenuta semplicemente per trasmissione orale delle conoscenze, di generazione in generazione, senza che qualcuno potesse avvalersene per rivendicare un potere personale, e che solo con l'apparizione degli antagonismi sociali si formò una casta sacerdotale che ereditò delle conoscenze pregresse appartenenti alla collettività. Quanto alla religione, ancora oggi si conoscono popolazioni africane che usano la fitoterapia all'interno di una concezione animistica della natura e dell'esistenza in generale, ma sarebbe sciocco pensare che l'efficacia delle loro cure naturali dipenda dalla fede nell'animismo, cioè in sostanza dall'autosuggestione, non foss'altro perché, se così fosse, dovremmo nel contempo ammettere che analoghi effetti placebo esistono, in campo medico, anche nelle nostre società ultrascientifiche, per non parlare di quegli ambiti ecclesiastici che credono nella potenza dei "miracoli". La realtà è che se, ancora oggi, certe tribù africane, gli indigeni dell'Amazzonia o quelli dell'Australia, nell'uso quasi esclusivo delle piante per curare le malattie, hanno degli stregoni che conservano gelosamente i segreti delle loro erbe, lo fanno più che altro per tutelarsi dalle compagnie farmaceutiche occidentali che vorrebbero acquisirne il brevetto. Sostenere che i primi esseri umani cercavano i rimedi fitoterapici in maniera istintiva e casuale e che cominciarono a cercare gli stessi rimedi in modo "razionale" solo quando si formò l'idea che le malattie potevano essere generate da un'entità estranea che s'impossessava del corpo e della mente, è come dire che l'uomo primitivo, essendo privo di religiosità, non poteva essere capace di una vera e propria "razionalità". E' in tal senso singolare vedere come in ambito scientifico esistano ancora opinioni che ritengono il nesso religione (o magia o superstizione, che è lo stesso) ed erboristeria non una degenerazione della primordiale scienza medica ma, al contrario, una sua positiva evoluzione. Come se il fatto p.es. che gli egizi usassero erbe medicamentose e scongiuri magici li rendesse per questo superiori, nella conoscenza della fitoterapia, a quelle popolazioni indigene ignare degli usi strumentali (in senso politico) della magia. Insomma il processo storico delle piante medicinali non fu quello dall'uso religioso a quello popolare, ma il contrario. Le classi elevate, con la nascita delle civiltà, si appropriarono di conoscenze pregresse, diffuse nelle comunità primitive, e se ne avvalsero per differenziarsi dal volgo, il quale, però, col tempo, riuscì a riappropriarsi, almeno in parte, di ciò che gli era stato indebitamente sottratto. |
Le immagini sono state gentilmente offerte da Davide Fagioli