Karlheinz Deschner, Il gallo cantò ancora
Storia critica della Chiesa


Andrea Solario, Ecce Homo (XV-XVI sec.)
Andrea Solario, Ecce Homo (XV-XVI sec.)

Libro primo

I Vangeli e il loro retroterra storico-culturale

7. Al TEMPI DI GESù I MIRACOLI ERANO ABITUALI

Io narro un portento; il portento accadde.
 (Ovidio, cit. da Trede, 46, 5 1)

Non è cosa facile rendersi conto con sufficiente chiarezza della disposizione dell'epoca alla credenza nel soprannaturale, giacché il meraviglioso non era nulla di eccezionale; anzi, era normale, pressoché quotidiano. Il mondo era teso, spaventato, eccitato, pieno di brame fideistiche. Perciò Pausania, viaggiatore accanito, scrive di coloro che facevano da guide nei templi:

"Gli esegeti sanno che non tutto ciò che dicono è conforme al vero, eppure lo dicono, perché non è agevole mutare i convincimenti della massa, una volta che prestino fede a una certa cosa" (ibid. 40).
E Luciano ritiene che
"I turisti non vogliono la verità nemmeno gratis" (ibid. 40)

Nessuno si preoccupava della "possibilità" del miracolo, anzi, una fede cieca in essa ne sarà stato il presupposto indispensabile. "Figliola, la tua fede ti ha salvato" - dice una volta Gesù (Mc. 5, 34) che era consapevole di tale situazione psicologica e operava pochi miracoli laddove s'imbatteva nella sfiducia, giacché in tal caso non poteva realizzare nessun miracolo (Mt. 13, 58; Mc. 6, 5).

Ma questa situazione era allora rarissima: tutto il mondo era dominato dalla superstizione e da fedi apocalittiche. Fiorivano i culti iniziatici, la magia e la mantica; atteggiamenti penitenziali, demonologia, oracolistica imperversavano; dappertutto e universalmente vigeva la fede nella venuta di una qualche divinità 1. Vagabondavano per ogni contrada dell'Impero romano saggi posseduti da "Dio", visionari, guaritori, mistagoghi, taumaturghi, ispirati, che predicavano e operavano miracoli, tutti (ed è ciò quel che li caratterizzava) pieni dello spirito e della forza divina (Wetter, Der Sohn Gottes, 83).

Apollonio di Tiana

Una delle più celebri figure di questo genere, contemporaneo di Gesù e degli Apostoli, è il filosofo neopitagorico Apollonio di Tiana. Intorno al 200 Filostrato ne tracciò un profilo per mandato dell'imperatrice Giulia Domma, e questa ben nota biografia presentava parallelismi tanto sorprendenti coi Vangeli, che per lungo tempo dominò l'opinione che si trattasse di una cosciente contraffazione del Gesù neotestamentario. Ma, come è ormai generalmente riconosciuto, non è nulla di tutto ciò 2.

Già alla nascita, intorno ad Apollonio aleggiano apparizioni celesti. Ancora fanciullo, nel tempio si trova come a casa sua e tutti sono sconvolti dalla sua saggezza. In seguito, accompagnato dai discepoli, percorre predicando l'Asia Minore, la Siria, la Grecia fino a Roma. Grazie alle sue imprese si diffonde la fama della sua divinità ed egli stesso appare come Dio e Inviato divino 3. Al centro della sua attività riformatrice stanno questioni etiche. Migliora la vita di molti uomini, rifiuta i sacrifici di sangue (ibid. 3, 41 e 4, 19), scaccia gli spiriti maligni da un giovane, che diventa suo seguace. A Rodi richiama un ricco giovinetto sull'inutilità della ricchezza. Nel tempio di Asclepio in Ege penetra nell'animo di un malvagio, che sta recando ricche offerte, leggendone addirittura il pensiero. Placa una tempesta marina, fa cessare un terremoto, guarisce paralitici, ciechi, ossessi. A Roma risuscita una fanciulla, che sta per essere seppellita. Agli amici preannuncia il proprio arresto e la propria condanna. E dopo la sua resurrezione viene annunciata la sua ascensione al cielo.

Citiamo qui anche l'imperatore Vespasiano, il quale, come tramanda Tacito, guarì un paralitico e restituì la vista a un cieco davanti a molti testimoni 4, facendo esattamente come Gesù fece in situazioni analoghe, cioè spalmando sulle ciglia un miscuglio di saliva e di polvere (Mc. 8, 23; Jh. 9, 6). Infatti, quest'uso della saliva come mezzo terapeutico o magico era antico e ampiamente diffuso proprio nelle patologie oftalmiche. Suetonio, poi, racconta di portenti verificatisi in occasione della nascita o della morte di imperatori Romani (Cfr., ad es., Suet. Aug. 94 sgg.). è ovvio che ci troviamo qui di fronte non a rapporti di causa-effetto e nemmeno di dipendenza, ma solo a un fenomeno analogico. Ma proprio ciò prova come allora si verificassero ogni sorta di miracoli e come essi fossero ritenuti del tutto possibili.

Si prestava universalmente fede anche ai miracoli degli avversari

Si viveva pensando e credendo in un mondo meraviglioso, come il pesce vive nell'acqua.
(Il teologo Trede, 57)

Nessuno dei grandi taumaturghi ha negato i miracoli del proprio avversario, nessuna parte quelli dell'altra; neppure Celso, pur così ostile ai cristiani, mette in dubbio i miracoli di Gesù, ma ritiene semplicemente che "li abbia appresi dagli Egizi" 5. Dall'altra parte, i miracoli e le profezie dei pagani non venivano negati dai Padri della chiesa, che però li ascrivevano all'opera del diavolo 6. Per la verità, anche gli ebrei avevano ricondotto al demonio i miracoli di Gesù (Mc. 3, 22 sg.; Mt. 9, 34), ma non li avevano negati; e inoltre gli Evangelisti ci informano che anche i farisei e i nemici di Gesù operavano miracoli 7.

Il mondo intero credeva ai miracoli; anche i ceti superiori erano, in massima parte, credenti o superstiziosi come le masse. "Ritengo che nulla sia impossibile": questa frase del retore Apulcio ben caratterizza lo spirito del tempo (Trede, 109). Il pur scettico Celso ammetteva:

"A che scopo enumerare quante profezie sono state espresse con voce divina negli oracoli, in parte da profeti e profetesse, in parte da altri uomini e donne invasati dalla divinità? Quanti eventi miracolosi sono stati compiuti all'interno dei sacrari?... Ad alcuni gli dèi sono apparsi in carne ed ossa" (Orig. Cels. 8,45).

Lo stesso Cicerone sostiene che l'oracolo di Delfo fu verace per molti secoli, e con eguale deferenza si esprime su quello di Eleusi (divin. 1, 19).

Naturalmente questi personaggi non hanno prestato una fede indiscriminata a tutti i fenomeni in questione; ed è per questo che in Celso, accanto al riconoscimento di numerosi miracoli (operato, però, in ossequio alla tradizione storica), incontriamo il disconoscimento di simili eventi. Anche Cicerone ha decisamente negato la possibilità del miracolo, tuttavia ritenendo utile il radicamento di questo tipo di superstizione "nella gente comune". La pensava, dunque, come il famoso geografo greco Strabone (m. 19 d.C.), il quale riteneva che fosse

"necessario condurre al timore di Dio le donne e il popolino mediante favole e storie di miracoli".

Nella tarda antichità esistevano accanto all'esercito dei pii, dei bigotti e degli stupidi, uomini totalmente estranei all'atmosfera di psicosi religiosa di massa, come il grande dileggiatore Luciano di Samosata, il Voltaire del II secolo; il cinico Enomao, che scherniva spietatamente l'oracolistica, oppure il cinico Diogene, il quale in Samotracia, a un tale che se ne stava a bocca aperta ad ammirare gli ex voto, disse:

"Sarebbero di gran lunga più numerosi, se ci fossero anche quelli di coloro, che non sono stati guariti" (Diog. Laert. 6, 59).

Ma è degno di nota il fatto che in epoca cristiana tale scepsi vada via via scomparendo e cresca, invece, ogni forma di creduloneria. La Chiesa stessa si poté permettere per secoli di avvalorare la dottrina della resurrezione dei morti con la rinascita della miracolosa fenice! Col III secolo gli atteggiamenti critici volgono rapidamente alla fine, e nel IV secolo il Cristianesimo divenne Religione di Stato.

Ma Gesù volle essere un "taumaturgo"?

Soltanto all'interno di questo clima di superstizione primitiva risultano comprensibili i miracoli evangelici. Con le guarigioni e coi portenti Gesù doveva essere superiore ai redentori e ai taumaturghi pagani. Ciononostante il mondo di quel tempo scorse nelle sue azioni, come opina un teologo moderno 8, niente di più che normali prestazioni di un qualsiasi guaritore.

Non si può negare che alla base di alcuni dei miracoli raccontati nei Vangeli si trovino avvenimenti storicamente verosimili: ciò vale soprattutto per quei "miracoli", che probabilmente si possono ricondurre a influenze di natura psicologica, specialmente per le guarigioni di malattie psicogene, neurasteniche, isteriche o schizofreniche.

Ma con le storielle miracolistiche viene semplicemente celata o screditata l'essenza della dottrina di Gesù, il quale non intendeva affatto farsi passare per "taumaturgo" 9, poiché nutriva proprio il timore di essere confuso coi ciarlatani, e che venisse stravolto il nucleo essenziale della sua predicazione. Anche Buddha e Maometto usarono una certa circospezione verso il miracolo, né vollero suscitare la fede con questo tipo di strumenti 10. In verità, anche nelle loro comunità i miracoli non tardarono a guadagnare un'importanza sempre maggiore, anche se negli ambienti cristiani la superstizione e la fede nei miracoli - come pensa il teologo Harnack - furono particolarmente smodate, tanto che il Cristianesimo primitivo, se si prescinde dalla crocifissione, non ha creduto se non in avvenimenti leggendari 11.

Ma forse che la cristianità odierna non crede esattamente nelle stesse cose 12? Tutta la dogmatica ecclesiastica non si fonda forse sui miracoli? 13 Ma se Gesù ha compiuto azioni tanto eccezionali, perché mai il popolo non gli ha creduto, perseguitandolo e crocifiggendolo?

La teoria del mistero messianico

Questo interrogativo, avanzato già da Celso nel II secolo, ben presto venne posto apertamente dagli scettici. Il Vangelo di Marco risponde con la teoria del mistero messianico, per cui Gesù cela a ragion veduta la sua vera dignità; solo la resurrezione doveva manifestarla a tutti. E allora, secondo Marco, Gesù esorcizza i demoni proprio perché conoscono la sua origine celeste prima degli uomini, ai quali potrebbero svelarla:

"Ogni volta che gli spiriti immondi lo vedevano, si gettavano ai suoi piedi, gridando: "Tu sei il figlio di Dio!" Ed egli tutte le volte impartiva loro l'ordine severo di non svelarlo!" (Mc. 1, 21 sg. Cfr. anche 1, 23; 1, 34; 1, 44; 5, 18 sg.).

Sempre per la stessa ragione Gesù raccomanda continuamente a coloro che guarisce di non pubblicizzare il miracolo e di salvaguardare l'anonimato 14; e persino i discepoli - come scrive Julius Wellhausen - non devono notare nulla, ma ciononostante vengono talvolta biasimati per non aver notato nulla 15.

Questa tattica mimetica, sistematicamente condotta da Marco, ma presente anche negli altri Evangelisti, contraddice tuttavia il fatto che Gesù voleva ben manifestarsi come inviato di Dio! La consegna del silenzio disseminata un po' dappertutto nei Vangeli è un ingrediente inequivocabilmente aggiunto dagli Evangelisti, come dimostra la leggenda della resurrezione della figlia di Giairo: Gesù suscita la fanciulla dal sonno della morte, ma col sigillo della più stretta riservatezza. Mentre tutt'intorno regna lo stupore, Marco ci presenta il Signore che ordina "veementemente" che "nessuno deve sapere alcunché dell'accaduto" 16: una raccomandazione che sarebbe stata pura follia o ciarlataneria, dal momento che la "morte" della fanciulla era a tutti nota, erano iniziati i preparativi per le esequie e la folla era in attesa davanti all'uscio di casa. Con tutta evidenza, sarebbe stato impossibile mantenere segreto un fatto simile. è semplicemente l'Evangelista che, trascinato dalla sua foga apologetica, attribuisce queste parole a Gesù.

Per altro, già nel V.T. si trovano due resurrezioni del tutto analoghe 17, senza poi tener conto del fatto che molti miracoli e leggende ebraiche, nonché, ancor più numerose, pagane, hanno lasciato una loro impronta nella riplasmazione delle narrazioni neotestamentarie dei miracoli.

continua


Note

1 Trede, 89 sgg. Cfr. anche H.D. Betz, Lukian von Samosata, 53 sgg.
2 Weinreich, Antikes Gottmenschentum, 649.
3 Wetter, cit. 14 sg. Philostr., vita Apoll., 1, 6.
4 Tacit. hist. IV, 81. Cfr. Suet. Vesp. 7. Dione Cassio, hist. rom. 66, 8.
5 Orig. Cels. 1, 46. Cfr. anche 2, 68.
6 Cfr., ad es., Tert. apol. 22 sg. Orig. Cels. 3, 25 sg.
7 Mc. 9, 38; Mt. 12, 27. Cfr. anche Atti 8, 9 sgg.
8 Schneider, Geistesgeschichte, 11, 274.
9Lc. 11, 29; Mc. 1, 35 sgg.; 1, 44. Su questo Bornkamm, Jesus von Nazareth, 122. Cfr. anche Goguel, 128 sg.; Weinel, Biblische Theologie, 136 sg.
10 Mensching, Das Wunder im Glauben u. Aberglauben, 36 sg., 46 sgg. Cfr. anche Schweinitz, 32, sg.
11 Harnack, Mission und Ausbreitung, I, 224, nota 2 e pp. 123 sgg.
12 Vedi, ad es., Bultmann, Synoptische Tradition, 334, secondo il quale la fede cristiana viene espressa prevalentemente attraverso "le parti leggendarie della tradizione evangelica".
13 Ciò sottolinea, a ragione, Nestle, Krisis, 114. Cfr., ad es., Lortz, Geschichte der Kirche, 1, 21 sg.; Schuchert, 17; Eder, 37, 66 sg., 228.
14 Mc. 1, 44; 5, 43; 7, 36. In proposito, Bousset, Kyrios Christos, 65 sgg.; Goguel, 71; Sjöberg, 99 sgg. Fondamentale è Wrede, Das Messiasgeheimnis in den Evangelien.
15 Wellhausen, Das Evangelium Marci, 10 sg. Inoltre Mc 8,30 e 9,9.
16 Mc. 5, 43. Inoltre, Dibelius, Botschaft und Geschichte, I, 309; Drews, Das Markusevangelium, 184.
17 1 Re 17, 17 sgg.; 2 Re 4, 8 sgg.


Web Homolaicus

Si ringrazia l'Editore Roberto Massari per averci concesso di riprodurre parzialmente questo testo.


Enrico Galavotti - Homolaicus - Sezione Storia Antica - Storia critica della chiesa - Nuovo Testamento
 - Stampa pagina
Aggiornamento: 01/05/2015