L’alternativa laica ai poemi omerici


L’Iliade e l’Odissea sono la Bibbia dei greci e Omero è l’equivalente di Abramo o di Mosè, un cantore di cui non si sa nulla di preciso,[1] se non che s’inventò molte leggende sui protagonisti della guerra di Troia.

Alla sua morte nuovi cantori (aedi, rapsodi) aggiunsero altri racconti favolistici, in un crescendo continuo, finché nel VI sec. a.C. il tiranno ateniese Pisistrato decise di uniformare e dare forma scritta al poema che fino ad allora s’era tramandato quasi esclusivamente in forma orale.

Anche i testi ebraici son pieni di miti e leggende e, come quelli omerici, risentono di influenze straniere, ma, sul piano dei contenuti, possiedono alcune differenze sostanziali: non parlano di tanti dèi ma di uno solo, Jahvè, che non si vede, non si sente (se non, metaforicamente, attraverso i profeti) e non si può rappresentare in alcuna maniera; la seconda cosa, ancora più importante, è che, a differenza dei poemi omerici, non esaltano il passaggio dal comunismo primitivo alla civiltà schiavile, ma lo considerano come una sorta di “peccato d’origine” di tutta l’umanità, di cui in qualche modo ci si deve pentire, se non si vuole incorrere nella cosiddetta “ira divina”.

Il mondo socio-religioso dei poemi omerici lo si può desumere, indirettamente, da ciò che gli ebrei dicevano dei pagani (detti anche “gentili”): un popolo di individualisti con un tasso di moralità molto basso. Ma ciò è riscontrabile, molto facilmente, dagli stessi poemi, i cui elementi salienti sono qui elencati:

1. anzitutto i greci (e con questa parola bisogna intendere gli intellettuali e la classe dirigente) erano convinti che il loro presente fosse migliore del loro passato, cioè che il passaggio dal comunismo primordiale alla società schiavile fosse stato assolutamente necessario, per cui fanno di tutto per mettere in cattiva luce chi non vi crede, chi ha cercato in qualche modo di opporvisi o comunque chi rappresenta qualcosa di antico, che si è già superato, materialmente e ideologicamente (p.es. Polifemo, la maga Circe…);

2. Omero e gli altri cantori di queste leggende non possono in alcun modo essere paragonati ai profeti biblici, poiché mentre questi contestavano talune azioni dei potenti e rischiavano anche d’essere giustiziati, i cantori greci invece li esaltavano, si mettevano al loro servizio e fruivano di tutti gli onori. Il loro specifico ufficio era quello di dilettare, sicché in un certo senso si può dire che i poemi omerici possono essere paragonati a una forma di piacevole intrattenimento.

3. Nell’Iliade sussistono forme politiche provenienti da una democrazia guerriera primitiva, in cui i capi militari eleggono temporaneamente il loro sovrano per scopi bellici, ma la tendenza è quella di fare di tali capi un’aristocrazia privilegiata, il cui potere economico sta nella proprietà terriera e schiavile, mentre l’organizzazione politica è strutturata sull’indipendenza delle città-stato (poleis). Gli aristocratici sono dediti soltanto alla politica e alla guerra, ma anche alla conduzione di affari per aumentare i loro patrimoni immobiliari e detengono tutte le cariche prestigiose dell’amministrazione statale della polis, incluse quelle religiose.

4. I valori etici di questa classe sociale e quindi dei poemi epici che la rappresentano sono quelli degli eroi individuali, che vogliono vincere o primeggiare a tutti i costi: il popolo è solo una massa informe che serve per realizzare gli obiettivi dei capi militari. Tutto può servire allo scopo, soprattutto quando si vuol far credere che è la “patria” ad essere minacciata: anche l’inganno, la menzogna, il raggiro, la spietatezza…

5. Tutta la religione (miti e leggende) dei poemi omerici riflette l’ideologia e gli interessi materiali di questa classe egemone aristocratica, che è razzista (in quanto considera i non greci dei “barbari”) e schiavista (anche gli stessi greci, se debitori insolventi, possono essere schiavizzati, ma in genere gli schiavi vengono acquistati sui mercati, oppure sono prigionieri di guerra o frutto di azioni piratesche, e naturalmente devono fare qualunque tipo di lavoro).

In particolare gli dèi rispecchiano la personalità, buona o cattiva che sia, degli uomini di potere, i quali vogliono far credere ch’essi siano sempre presenti, qualunque azione si compia. Gli dèi parteggiano per questo o quell’eroe e quando uno dei due prevale, ciò viene attribuito alla maggior potenza di un dio rispetto a un altro (anche tra gli dèi vi sono le gerarchie), oppure al destino, i cui criteri imperscrutabili di giustizia sono superiori alla stessa volontà divina.

L’unica differenza fondamentale tra uomini e divinità sta nel fatto che gli uomini, quando muoiono finiscono col diventare ombre dell’Ade, un luogo sotterraneo da cui non vi è alcuna possibilità di uscire, e dove non vi sono né premi per i meriti né punizioni per le colpe, per cui il significato della propria vita va cercato solo finché si è vivi sulla terra.

Generalmente gli dèi puniscono la condotta riprovevole degli uomini soltanto quando questa è reiterata o esibita o finalizzata a un interesse meramente egoistico, indifferente a uno scopo superiore; insomma viene punito chi esagera, chi approfitta eccessivamente di qualcosa, chi gioca col destino, chi vuol mettere alla prova la pazienza degli altri (o degli stessi dèi), chi vuole sottrarsi ai propri doveri istituzionali, ecc. La regola fondamentale che ognuno deve rispettare è quella di non infrangere le regole di una società basata sul predominio dell’aristocrazia guerriera, latifondista e schiavista.

A queste regole invece cominceranno ad opporsi i primi filosofi, cioè i rappresentanti di una nuova classe sociale, la borghesia, la cui ricchezza si basava non sulla terra ma sui traffici commerciali, soprattutto marittimi. E ciò avverrà, inizialmente, non nella penisola greca, ma nelle sue colonie più fiorenti: quelle ioniche.


[1]Lo stesso nome può voler dire più cose: “cieco”, “ostaggio”, “incontrarsi”.

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Enrico Galavotti - Homolaicus - Storia antica