STORIA ROMANA


Economia e classi sociali nella Roma antica

1. Le tre fasi dell'economia romana

Nella sua lunga evoluzione da città-stato a Impero, Roma ha attraversato differenti fasi non solo di carattere geografico e politico, ma anche di carattere produttivo: è passata cioè attraverso diverse forme o stadi produttivi.

Molto schematicamente possiamo dire, riguardo a quest'ultimo punto, che si siano susseguite le seguenti modalità:

A - quella 'capitalistica-agraria',
B - quella capitalistica in senso commerciale e mercantile,
C - infine quella agricola o 'pre-feudale'.

A - Nella prima di tali fasi, la grande proprietà tende a accrescersi a spese di quella media e piccola, la quale rimane spesso soffocata dai debiti contratti con la prima e - di conseguenza - anche imprigionata nei vincoli di gratitudine e di asservimento che questa le impone.

Si può perciò parlare di una sorta di "capitalismo" (nel senso di un impulso o di una tendenza costante verso l'accrescimento o la capitalizzazione della ricchezza), ma con la precisazione che si tratta di un capitalismo ancora eminentemente agrario, cioè privo (o quasi) di quelle basi commerciali e monetarie che lo caratterizzano nei suoi sviluppi più maturi e nella sua forma più pura.

C - Nell'ultima fase - che prelude peraltro al feudalesimo (ovvero a quel sistema che diverrà, nel Medioevo, la principale forma di organizzazione sociale ed economica) - si afferma un tipo di economia che possiamo definire di autosussistenza, nella quale ogni centro di produzione locale, detto villa, tende a costituirsi come una realtà sociale e produttiva autonoma.

Tanto la prima quanto l'ultima fase - pur con le dovute e profondissime differenze - sono caratterizzate dalla prevalenza pressoché incondizionata del momento della produzione (legata essenzialmente all'agricoltura e all'allevamento) su quello della distribuzione e dello smistamento dei prodotti.

In esse dunque, secondario se non assente è il fattore commerciale, con tutto ciò che questo comporta (bassa specializzazione a livello della produzione locale, sottosviluppo delle città…).

La differenza più evidente tra esse consiste invece nel fatto che la prima, col suo tipo di organizzazione sociale ed economica, preceda e in un certo grado prepari i futuri sviluppi della società romana: sviluppi di carattere commerciale e - pur con tutti i limiti che un tale termine assume in questo contesto - industriale; l'ultima, al contrario, sorge dal ripiegamento e dal collasso di questo secondo tipo - più avanzato - di organizzazione economica, che sfocerà in un sistema produttivo essenzialmente agricolo: quello feudale.

Oggetto dei prossimi paragrafi saranno fondamentalmente gli aspetti di base del secondo stadio produttivo (B), di quello cioè che potremmo definire capitalistico in un senso più moderno, poiché comprendente tra l'altro: l'uso della moneta, il commercio su larga - e larghissima - scala, nonché un tipo di produzione di carattere 'proto-industriale' (finalizzata cioè alla fabbricazione dei beni in grande quantità!).

Si tenterà, qui di seguito, di delineare il funzionamento del capitalismo romano 'maturo', utilizzando - a mo' di raffronto - i concetti e le categorie sottese all'analisi dell'economia moderna (di quella realtà storica cioè, il cui primissimo inizio si colloca con la rinascita cittadina del XIII sec.).

E' ovvio che la diversità tra "capitalismo moderno" e "capitalismo antico" non può non essere abissale. Per tale ragione si cercherà di mettere sempre in luce - pure nell'affinità di fondo tra i due sistemi - anche le profonde differenze tra essi… insomma si utilizzeranno effettivamente le categorie dell'economia moderna, ma in un modo - si spera - critico ed estremamente prudente.

In ogni caso, il tentativo sarà quello di interpretare il sistema socio-economico della Roma imperiale (e, più in generale, di quella 'imperialista') attraverso categorie 'moderne', utilizzate tanto in senso positivo (mostrandone cioè la sostanziale adattabilità al mondo antico), sia in senso negativo (mostrando anche, cioè, il profondo divario che intercorre tra i due sistemi).

2. Caratteri del capitalismo romano (e in generale di quello antico)

Per comodità, si è deciso di dividere l'argomento in tre differenti paragrafi, corrispondenti a tre diversi livelli del discorso, tra loro strettamente interrelati: quello produttivo (inerente cioè alla produzione: al suo modo di esistere e alla sua redditività, ma anche - più in generale - all'organizzazione delle attività economiche); quello organizzativo (riguardante la ricchezza, nelle sue diverse forme e nel modo in cui esse si articolano); ed infine quello sociale, politico e culturale.

Come si è già detto, si utilizzeranno - ma a mo' di raffronto e non certo in senso univoco - categorie sociali ed economiche moderne, ragion per cui ogni argomento (produzione, commercio, Stato, ecc.) verrà sempre posto in relazione con il suo più giovane - e da noi quindi anche meglio conosciuto - corrispettivo.

A) Caratteristiche produttive

Non può non balzare all'occhio - e non essere al tempo stesso il punto d'avvio del nostro discorso - l'enorme differenza che esiste, sul piano della produttività, tra la società romana (e più in generale antica) e la moderna società industriale.

E' ovvio poi come il minor livello produttivo della prima comporti per essa anche minori eccedenze da reinvestire, in qualità di merci, in attività di tipo 'capitalistico'.

Già da queste brevissime osservazioni si può intuire l'intrinseca debolezza del capitalismo antico [ove col termine "capitalismo" si intenda una pratica economica fondata sul commercio e sul reinvestimento degli utili ricavati attraverso esso in altre attività economicamente redditizie, al fine di una crescita idealmente illimitata della ricchezza] rispetto a quello moderno, dotato tra l'altro di risorse produttive infinitamente superiori. Una debolezza caratterizzante peraltro, sebbene in differenti gradi, tutti i momenti evolutivi (compresi quelli di maggiore splendore) della civiltà romana, e in generale di quella antica.

Né è necessario ricordare come l'economia di quest'ultima sia di tipo fondamentalmente agrario (legata peraltro non solo ai latifondi, ma anche alle medie e piccole proprietà - pur essendo queste ultime molto più indirizzate, rispetto ai primi, verso un'economia d'autosussistenza) o artigianale (praticata sia nella campagne che nei centri cittadini), priva quindi di una vera e propria produzione di carattere industriale, cioè su larghissima scala.

Ma, nonostante la presenza dei fattori appena menzionati (i quali, limitando come si è detto la quantità di merci disponibili sui mercati, influenzano in un senso decisamente sfavorevole lo svolgimento delle attività commerciali) si deve anche ricordare come, inversamente, la crescita e il consolidamento del dominio internazionale di Roma favorisca lo sviluppo o il consolidamento di rotte di carattere commerciale che collegano da parte a parte le diverse aree dell'Impero, e che spingono inoltre la produzione locale in direzione della specializzazione produttiva.

In tal modo quindi, ogni area tende a fornire alle altre una gamma di prodotti - di cui è naturalmente più ricca - ricevendone in compenso degli altri di cui è sguarnita, o che comunque sarebbe in grado da sola di produrre in quantità decisamente minore: un meccanismo che presenta evidenti vantaggi per tutte le regioni dell'Impero e attraverso cui si configura un sistema economico e commerciale 'globale'.

E' poi interessante notare come un simile processo di specializzazione si possa paragonare - seppure molto alla lontana - alla moderna produzione industriale, in quanto finalizzato evidentemente a un tipo di produzione su 'larga scala'.

Un altro elemento distintivo dell'economia romana - anche nei suoi stadi più avanzati - rispetto a quella moderna è il differente rapporto tra città e campagne.

Mentre infatti le città moderne tendono a svilupparsi in opposizione o comunque in un rapporto di notevole autonomia rispetto alle campagne limitrofe, le città antiche mantengono al contrario con esse un rapporto molto più stretto, quasi simbiotico.

E ciò sia perché, rispetto alle prime, la quantità di prodotti che ricevono dalle zone agricole è inevitabilmente molto inferiore (ragion per cui non riescono a sviluppare una eccessiva indipendenza da esse), sia a causa di uno sviluppo molto più basso delle attività commerciali e finanziarie, sia infine per l'assenza di quelle attività industriali che si svolgono oggi - almeno prevalentemente - all'interno delle città o nelle loro periferie.

In conclusione, possiamo dire che tanto il sottosviluppo produttivo del mondo agrario romano - e più in generale di quello antico -, quanto quello (in gran parte conseguenza del primo) delle città e delle attività che in esse hanno luogo, portano come risultato una netta prevalenza delle attività di tipo produttivo (fondamentalmente rurali) rispetto a quelle di tipo capitalistico (legate ai traffici e, in modo complementare, al reinvestimento della ricchezza): ovvero in buona sostanza a una netta prevalenza, in termini sociali ed economici, delle campagne sulle città!

B) Caratteristiche economiche

Oltre alla differenze di tipo produttivo (appena analizzate), vi sono poi quelle riguardanti più specificamente la sfera economica, legate cioè al modo di organizzazione delle attività non specificamente rurali.

Approfondendo tali aspetti, ci si accorge di come - oltre alle già menzionate deficienze di carattere produttivo - ve ne siano altre di tipo finanziario e commerciale.

Prima di tutto, bisogna ricordare come nel mondo antico l'uso della moneta - soprattutto se paragonato a quello che, secoli dopo, se ne farà in quello moderno - risulti estremamente ridotto. Un dato che non può non comportare gravi difficoltà nelle transazioni commerciali [anche se, in senso opposto, possiamo già rilevare la presenza di monete 'internazionali', quali quelle romane del periodo imperiale o - ancora prima - delle 'civette' ateniesi].

In altri termini, la carenza di danaro liquido - e la sua cronica instabilità - finirà per rendere molto più difficoltosi e complicati gli scambi commerciali, costituendo un notevole impedimento - quasi una zavorra - per il loro svolgimento!

Di ciò è prova anche il fatto che la pratica del baratto e quella delle prestazioni in natura, rimangano sempre molto diffuse nell'arco di tutta la storia romana.

Ma il mondo antico è caratterizzato anche da altre deficienze sul piano dell'organizzazione economica, deficienze che riguardano l'assenza - o quasi - di veri e propri strumenti di organizzazione del credito (quali per esempio le moderne banche) che favoriscano il reinvestimento della ricchezza acquisita (piuttosto che posseduta per ragioni d'eredità) in nuove imprese commerciali o finanziarie, secondo un processo - capitalistico appunto - di crescita continua dei profitti.

La carenza insomma tanto di danaro liquido, quanto di veri ed efficienti strumenti di tipo finanziario sarà, nel mondo antico, una delle ragioni alla base della difficoltà di decollo dell'economia propriamente capitalistica, costituendo una pesante (seppure inconsapevole) ipoteca non solo per le attività economiche di carattere commerciale, ma anche per lo sviluppo di una mentalità capitalistica in senso propriamente moderno.

L'estrema debolezza e 'inconsistenza' della ricchezza mobile rispetto a quella immobile, infatti, porterà come conseguenza il fatto che i cittadini più ricchi preferiscano in linea di massima (almeno una volta consolidato il proprio patrimonio) gli investimenti di tipo agrario (legati essenzialmente all'acquisto di terre) a quelli di tipo più propriamente capitalistico, volti cioè a rimettere in gioco il proprio capitale attraverso attività di carattere commerciale e finanziario.

E ciò sia perché questo tipo di investimenti è, all'interno di tale sistema, ancora più rischioso di quanto non lo sia nelle civiltà moderne; sia per ragioni di carattere più propriamente culturale o "di mentalità", essendo le attività commerciali ritenute tendenzialmente dequalificanti per gli individui, e comunque meno prestigiose di un'esistenza di tipo 'agreste' (come si vedrà meglio più avanti).

Un altro elemento sintomatico della debolezza delle attività capitalistiche nel mondo antico è la schiacciante superiorità dello Stato in fatto di ricchezza rispetto ai privati cittadini: nel periodo imperiale infatti è l'Imperatore - e di gran lunga - il più ricco e il più potente capitalista, con possedimenti (e monopoli) che attraversano tutti i territori dell'Impero stesso, e che gli consentono non solo di sostenere finanziariamente gli apparati statali, ma anche di fungere da 'motore' e da sostegno nei confronti di tutta l'economia interna.

A tali attività poi - non estranee ovviamente neanche agli stati moderni - si aggiungano quelle legate al mantenimento dell'ordine e della pace sociale, della sicurezza sulle frontiere, nonchè infine alla manutenzione e promozione di molteplici opere pubbliche: tutti fattori essenziali per il consolidamento dell'economia stessa - e anch'esse non estranee, anzi basilari, per l'economia degli stati moderni.

C) Aspetti politici, sociali e culturali

- Aspetti politici

Un possibile fraintendimento della storia romana - anche di quella più avanzata - consiste nell'applicare a essa, sul piano delle scelte politiche, dei criteri eccessivamente moderni (secondo un tipo di lettura che si suole definire 'modernista').

Seguendo una tale linea interpretativa si considereranno le decisioni della classe dirigente come funzione, in tutto o in buona parte, di obiettivi di natura economica e capitalistica, cioè come finalizzate all'estensione dei mercati piuttosto che ad altre finalità di carattere 'capitalistico'.

Se tuttavia un tale criterio può essere considerato valido per ciò che riguarda gli stati moderni (i cui sviluppi, sia tecnologici che ideologici, hanno portato a un'incontestabile centralità di tali fattori, anche in sede politica), lo stesso non si può dire per gli stati antichi - compresa l'antica Roma!

E' altresì vero che i conflitti internazionali abbiano comportato per essa, nell'arco di tutta la sua lunga storia (soprattutto nella fase ascendente), una notevole estensione non solo dei territori o delle sfere di influenza, ma anche delle rotte commerciali, dei mercati e delle attività capitalistiche, e tuttavia ciò non significa automaticamente che tali conflitti siano stati provocati e intrapresi per motivazioni di carattere capitalistico!

Piuttosto, possiamo dire che alla base delle campagne militari e delle guerre vi siano spesso, oltre a motivazioni di carattere difensivo, le seguenti aspirazioni:

a) aspirazioni di carattere ideologico o comunque non legate alla ricchezza (ad esempio ragioni di prestigio, come l'affermazione a livello internazionale della potenza romana; oppure la ricerca di sicurezza: difesa da potenziali nemici, volontà di civilizzare aree culturalmente ostili… - due fattori questi che spesso, oggi come allora, si mescolano e si confondono tra loro!);

b) prospettive di arricchimento 'a breve termine' (si consideri il fatto che la guerra porta sempre bottini, ragion per cui può anche essere combattuta per se stessa, essendo inoltre convinzione comune che essa debba auto-finanziarsi, ovvero riassorbire le proprie spese attraverso i guadagni immediati dovuti alle battaglie e alle rapine di guerra, o alla riduzione di buona parte dei nemici in schiavitù);

c) possibilità di sfruttamento delle risorse - naturali piuttosto che umane - delle zone oggetto di conquista (una guerra può essere combattuta ad esempio, qualora tali regioni siano ricche d'oro piuttosto che di materie prime, o più semplicemente di manodopera schiavile… in potenza!).

Si può poi ricordare, di nuovo, il ruolo che lo Stato - come autorità politico-militare e come 'maggior capitalista' - esercita solitamente in difesa delle attività economiche nonché della ricchezza interna dell'Impero!

A tale proposito può essere utile ricordare anche come, in tutti gli Stati antichi, siano il sovrano e la sua corte la fonte principale (almeno nei primi periodi di sviluppo dello Stato) delle attività commerciali. Attraverso la loro ricchezza difatti, essi finiscono per esercitare una preziosa funzione di stimolo nei confronti di tali attività, ponendosi così all'origine dei futuri - seppure spesso esigui - sviluppi capitalistici della società. [Ciò vale per esempio per la civiltà egiziana e per quella micenea e minoica, per le quali si parla di solito di "Economia di palazzo".]

- Aspetti sociali

Anche sul piano dell'attribuzione dei ruoli sociali (ovvero del ceto di appartenenza) ai singoli cittadini, vi sono profonde differenze tra il mondo moderno e quello antico romano.

E anch'esse appaiono - ad un'attenta analisi - allo stesso tempo causa ed effetto della relativa marginalità delle attività capitalistiche all'interno di quest'ultimo. Mentre infatti, nella società moderna censo e ceto tendono a corrispondere, in quella antica ciò non è molto spesso vero.

In primo luogo, vediamo come i senatori - gli appartenenti alla classe nobiliare, cioè i cittadini più ricchi in assoluto - non siano autorizzati per legge a esercitare attività di carattere commerciale, o comunque legate in qualsiasi modo ad attività finanziarie o speculative.

Le loro occupazioni pubbliche non possono che essere quindi di carattere politico o militare, mentre l'unica loro fonte di reddito sono i vastissimi possedimenti fondiari.

Anche se è vero che i prodotti della terra sono alla base dei traffici che percorrono in lungo e in largo l'Impero, ciò non deve indurre a credere che i latifondisti esercitino anche attività commerciali in proprio. A seguito di una legge risalente ancora ai primi secoli della Respublica, essi sono difatti costretti a delegare queste ultime ad altri soggetti sociali, per i quali esse sono spesso cospicua fonte di ricchezza.

Al di sotto della nobilitas, troviamo poi la classe degli equestri (cavalieri). Anche a essa si accede a partire da un altissimo livello patrimoniale (anche se, ovviamente, più basso rispetto a quello della classe precedente).

Ai componenti di quest'ultima non è proibito l'esercizio - oltre che delle attività politiche - dei commerci e delle attività finanziarie, ad esempio quelle legate agli appalti pubblici (dominio dei 'publicani') tra i quali compaiono la riscossione delle imposte, il finanziamento delle guerre, quello delle opere pubbliche, ecc. Il fatto che possano impegnarsi in tali attività però, non significa che lo facciano sempre: molti infatti investono i loro guadagni in possedimenti fondiari, come del resto i nobili.

Più in alto ci si eleva nella scala sociale, insomma, più difficile (e quasi disdicevole) diviene 'sporcarsi le mani' col danaro: e ciò anche se esso è, in realtà, alla base dell'ascesa sociale di moltissimi plebei e - come si vedrà subito qui avanti - non solo di essi!

Un discorso analogo a quello fatto per la nobiltà vale infatti, anche se da un punto di vista diametralmente opposto, anche per i ceti di origine più umile: cioè per i liberti, ovvero gli schiavi liberati.

Mentre coloro che appartengono alle classi più alte, quelle nobiliari, non possono (fondamentalmente) esercitare attività di carattere capitalistico, coloro i quali - pur divenuti ricchissimi attraverso i traffici! - appartengono alla classe degli ex-schiavi, non possono entrare a fare parte - come invece gli altri cittadini liberi - di un ceto corrispondente alla propria effettiva rendita personale.

In questo modo, i ceti socialmente più prestigiosi (i nobili e gli equestri) costituiscono, per coloro la cui provenienza sociale sia d'origine schiavile (e anche se ricchi), una sorta di casta chiusa e inaccessibile.

Si è già detto altrove, come i liberti costituiscano un elemento fondamentale del dinamismo sociale ed economico (in senso capitalistico) della società romana, dal momento che - privi come sono in partenza di mezzi propri, in quanto ex-schiavi - possono accrescere la loro ricchezza soltanto attraverso attività di carattere affaristico finanziario.

Ma il fatto che ad essi sia proibito l'accesso alle classi sociali superiori mostra molto bene come i promotori di tali attività godano di una considerazione sociale non certo eccessivamente alta - e inferiore di molto, in ogni caso, a quella dei nobili latifondisti -, e prova inoltre l'esistenza di notevoli pregiudizi (peraltro abbastanza ovvi) nei confronti di individui la cui condizione di partenza sia stata la più infima!

Entrambe queste limitazioni giuridiche (sia quelle inerenti ai nobili, che quelle inerenti ai liberti) sono una chiara manifestazione del perdurare di una mentalità anti-economica - ovvero di casta - all'interno della società romana; una mentalità che - come già si è detto - ostacola il decollo di un'economia capitalistica, essendo poi al tempo stesso manifestazione e prodotto dell'instabilità e della precarietà congenita di quest'ultima.

- Aspetti culturali

Si è appena visto, nel precedente paragrafo, come le limitazioni sociali di carattere giuridico siano espressione di una perdurante mentalità anti-economica (ostile all'idea di un'ascesa sociale individuale per meriti di tipo personale), le cui origini storiche affondano ancora in quel periodo arcaico in cui Roma era divisa in caste fondamentalmente chiuse, e le cui ragioni immanenti si radicano invece nella maggior debolezza della ricchezza monetaria rispetto a quella immobiliare e fondiaria.

Qui avanti cercheremmo di delineare a grandi linee le coordinate di quell'ideale agrario e 'bucolico', che si pone a base della mentalità anti-affaristica del mondo romano e latino; e successivamente di mostrare come e quando una tale mentalità sia stata (almeno in parte) superata o revocata da quelle stesse classi, nobiliari o comunque ricche, che ne sono anche l'incarnazione sociale più pura.

Per quanto riguarda l'ideale agrario, possiamo dire che esso rimanga, nell'arco di tutta la storia romana, un'idea-guida e una fonte d'ispirazione per i comportamenti sociali di molti cittadini (non solo ricchi o nobili) attraverso le proprie scelte di vita.

Esso si fonda sul principio del bastare a se stessi, del condurre cioè un'esistenza autonoma - almeno potenzialmente - rispetto al resto della società e delle attività che in essa si svolgono, per mezzo ovviamente dei frutti ricavati dalla propria terra.

Un tale ideale è inoltre espressione di una mentalità molto più propensa all'accumulazione della ricchezza (peraltro fondamentalmente agraria, e non certo monetaria) che al suo reinvestimento.

A un tale astratto proposito (astratto poiché ovviamente mai realizzato nella sua interezza!) corrispondono poi gli ideali dell'otium e della libertas: valori tipicamente nobiliari e aristocratici, secondo i quali sono da considerarsi neglette tutte le attività pratiche e manuali, e che prediligono invece quelle inerenti al comando militare o alla politica.

E' inoltre superfluo sottolineare come tali idealità trovino una piena realizzazione soltanto nella vita dei nobili o, comunque, dei ricchi, pur informando di sé in un certo grado un po’ tutta la società.
Ed è infatti proprio sulla base di tali valori (e dei comportamenti che ne conseguono) che le classi nobiliari si opporranno allo strapotere politico e ideologico detenuto, all'interno dello Stato, dal princeps e dai suoi apparati di potere!

Da una parte quindi, troviamo le più antiche istituzioni repubblicane, legate ai valori oligarchici e agrari, mentre dall'altra troviamo la nuova società imperiale e internazionale, basata in gran parte su scambi di natura economica e culturale (che concorrono a creare una realtà 'globale') e su valori di segno almeno tendenzialmente opposto a quelli della prima.

Un'inconciliabilità questa, non soltanto culturale ma anche economica (essendo a essa sottese due visioni estremamente differenti e in buona parte incompatibili dell'organizzazione produttiva della società), che si porrà a fondamento della latente - e a volte anche esplicita - ostilità tra Impero e Senato: una rivalità che percorrerà tutta la storia di Roma, a partire da Ottaviano (e, in certo senso, anche da prima) fino al crollo del quinto secolo.

Certo accanto alla tendenza verso la disunione e la conflittualità, ve ne sarà un'altra - definita 'concordia' - in direzione dell'integrazione e dell'accordo tra queste entità (insieme politiche economiche e culturali), la quale sarà celebrata soprattutto nel cosiddetto 'periodo aureo' dell'Impero.

E tuttavia essa sarà solo una disposizione di fondo (peraltro opposta e complementare alla prima), i cui momenti più felici si situano per l'Impero nella fase di maggiore splendore delle attività economiche e commerciali, ovvero essenzialmente nei primi due secoli dopo Cristo.

Sempre molto forte sarà, insomma, sia prima che dopo che durante il cosiddetto periodo d'Oro della storia imperiale, la rivalità tra i poteri (e gli apparati) imperiali e quelli nobiliari senatorii: troppo spesso influenzati da valori e da obiettivi politici tra loro profondamente divergenti!

CONCLUSIONI

Possiamo dire dunque, che nell'arco di tutta la storia romana (nonché in generale di quella antica) sia la forma produttiva agraria (e 'cumulativa') a prevalere nettamente su quella più propriamente commerciale e capitalistica (basata invece sul reinvestimento delle ricchezze).

E' anche vero, d'altra parte, che nel corso della sua lunga fase espansiva e imperialista, Roma svilupperà forme di organizzazione economica di tipo anche commerciale, che svolgeranno peraltro un ruolo essenziale all'interno della sua vita sociale e culturale.

Tuttavia, l'intrinseca debolezza di una tale dimensione è provata chiaramente - tra l'altro - dal fatto che essa, in soli due secoli, finisca per cedere nuovamente il passo a un tipo di società fondamentalmente agraria: quella feudale.

In altri termini, il capitalismo antico può essere visto come una sorta di 'isola felice', in un mondo in cui le forme produttive largamente dominanti sono (per ragioni intrinseche e strutturali) di tipo agricolo - forme che sia prima sia dopo il cosiddetto 'periodo aureo' finiscono per prevalere totalmente nell'organizzazione economica della società.


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Enrico Galavotti - Homolaicus - Sezione Storia
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Aggiornamento: 11/09/2014