LA RIVOLUZIONE D'OTTOBRE
dall'esordio al crollo


DEMOCRAZIA E CENTRALISMO NELLA RUSSIA DEGLI ANNI VENTI

Dall'ottobre 1923 al gennaio 1924 si svolse in Urss una dura lotta politica in seno al partito comunista sovietico, che vedrà nel 1927 l'espulsione di Trotsky dagli organi dirigenti e dalle stesse fila del partito. A questa lotta non poté direttamente partecipare Lenin, che per motivi di salute si era ritirato dalla vita politica sin dal giugno 1922.

Lenin tuttavia aveva individuato nei rapporti tra Stalin e Trotsky il problema fondamentale della stabilità politica del Comitato Centrale (CC) e, a tale scopo, aveva dato alcune indicazioni di massima nel suo Testamento del 4 gennaio 1923:

  • esonerare Stalin dall'incarico di segretario politico, in quanto ritenuto troppo intollerante, e la cui direzione dell'attività dell'Ispezione Operaia e Contadina era già stata severamente criticata da Lenin nell'articolo Meglio meno ma meglio;

  • evitare di assegnare a Trotsky compiti di rilevanza politica, essendo noto il suo "non bolscevismo" (egli era presidente del Consiglio Militare Rivoluzionario e Commissario del Popolo alla Guerra, a motivo del grande contributo dato nell'organizzazione dell'Armata Rossa. Si cercò di ridimensionare di molto la sua autorità in tali organismi militari affiancandogli altri membri del partito, tra cui lo stesso Stalin, ma alla nomina di quest'ultimo Trotsky si oppose sempre tenacemente, al punto che Stalin aveva dovuto rinunciarvi; anzi egli pretendeva maggiori poteri anche alla direzione del Gosplan [organo per la politica economica del paese], che però non gli vennero concessi, sicché le maggiori questioni economiche venivano di fatto gestite dal Politburo);

  • ampliare notevolmente il numero dei componenti del CC.

Nessuno però ebbe il coraggio di estromettere Stalin dall'incarico di segretario generale, anche perché la sua efficienza organizzativa era evidente a tutti. Non a caso nel corso del XII Congresso (il primo senza Lenin) dell'aprile 1923, tutte le risoluzioni furono votate all'unanimità.

Senonché, proprio in occasione di quel Congresso si manifestarono per la prima volta alcuni attacchi di gruppi di opposizione contro i poteri dell'apparato di partito.

Stalin non agiva per conto proprio, ma con l'aiuto di Zinoviev (presidente del Komintern e del Comitato Esecutivo di Pietrogrado) e di Kamenev (vice-presidente del Consiglio dei Commissari del Popolo e presidente del Comitato Esecutivo di Mosca), intenzionati a impedire a Trotsky la scalata agli organi dirigenziali del partito; e anche con l'appoggio di Džeržinsky, presidente dell' Amministrazione Politica di Stato (GPU) e della Commissione Centrale di Controllo (CCC).

Stalin aveva un potere enorme perché faceva parte non solo (come gli altri già citati) del Politburo, ma anche dell'Orgburo e della Segreteria politica, con cui poteva controllare le nomine e trasferire, nella rete nazionale, il personale dirigente in funzione delle decisioni politiche del Politburo, e organizzare le conferenze e i congressi del partito. Con l'accordo di Kamenev e Zinoviev, egli riuscì persino a convincere il Politburo a non rendere pubblico il Testamento di Lenin (come noto, parte degli scritti dell'ultimo Lenin furono pubblicati solo dopo il XX Congresso del 1956).

Al XII Congresso, invece di diminuire il potere di Stalin, si preferì aumentarlo considerevolmente. Il che preoccupò lo stesso Zinoviev, che cercò di far sottomettere, ma invano, la Segreteria al Politburo.

All'estero la situazione non era certo tale da aiutare l'opposizione a Stalin, sia perché era praticamente crollato il movimento rivoluzionario tedesco, sia perché il cosiddetto "ultimatum Curzon" (maggio 1923) faceva temere una nuova guerra contro l'Urss guidata dal Regno Unito (1).

In politica interna la situazione economica si stava pericolosamente aggravando. La Nep era stata varata nel marzo 1921, ma nell'estate del 1923 la disoccupazione era aumentata e i salari decrescevano: l'industria non trovava un mercato adeguato alle proprie merci, esisteva cioè un forte squilibrio tra i prezzi agricoli (molto bassi) e quelli industriali (molto alti). Un'ondata di scioperi s'abbatté su alcuni grossi centri industriali del paese, spalleggiati da gruppi di estrema sinistra avversi alla Nep, come "Gruppo Operaio" e "Verità Operaia", i cui componenti però, alla fine di dicembre, vennero arrestati ed espulsi dal partito.

"Verità Operaia" era seguace delle idee di Bogdanov e considerava la Nep un ritorno puro e semplice al capitalismo. "Gruppo Operaio" voleva la libertà di stampa per tutti, dagli anarchici fino ai monarchici.

L'8 ottobre 1923 Trotsky, che diceva di essersi astenuto dalle critiche pubbliche, nella speranza che con quelle private si potesse risolvere la situazione, inviò una lettera ai membri del CC e della CCC con critiche severe alla pretesa di risolvere la crisi economica con metodi amministrativi e autoritari, e con critiche esplicite al burocratismo dell'apparato di partito, lui che solo pochi mesi prima aveva proposto di costituire un CC ancora più ristretto di quello esistente, affiancato da una CCC avente funzione meramente consultiva; lui che al XII Congresso dell'aprile 1923 aveva parlato di una "originaria accumulazione socialista", al fine di superare i rischi borghesi della Nep, in cui il ruolo prioritario dell'industria avrebbe dovuto essere pagato dal mondo contadino; lui che due anni prima aveva cercato di militarizzare i sindacati.

Il 15 ottobre 46 membri del partito sottoscrissero una Piattaforma con cui attaccarono la dirigenza del partito. Non vi era la firma di Trotsky, ma i punti in comune erano così tanti da rendere difficile non pensare a un attacco congiunto, il cui tema principale era il sistema delle nomine dall'alto dei segretari di partito e la selezione unilaterale dei quadri, ma era in questione anche la politica economica, giudicata inefficiente. In particolare si chiedeva di abrogare il decreto antifrazionistico del X Congresso del partito (quello che impediva il formarsi di correnti), perché giudicato inadeguato alle mutate situazioni del paese. Cosa che d'altra parte era prevista al primo punto della risoluzione adottata a quel Congresso, e cioè che non può esistere "una forma organizzativa di partito giusta in assoluto, adatta a tutti gli stadi del processo rivoluzionario".

I giorni 25-27 ottobre venne convocata una sessione plenaria congiunta del CC e della CCC: vi parteciparono anche 12 firmatari della Piattaforma, capeggiati da Preobražensky, ma la loro mozione fu respinta, anche se si convenne sull'idea di realizzare una maggiore democratizzazione in seno al partito, il quale, nel complesso, non venne a conoscenza, in quel momento, dello scontro politico, limitato alle alte sfere.

La discussione pubblica vera e propria iniziò soltanto a partire da un articolo di Zinoviev, Nuovi compiti del partito, pubblicato sulla "Pravda" il 7 novembre, con cui si prendeva atto di un certo malessere all'interno del partito.

Zinoviev non metteva in discussione la linea generale del partito, ma solo alcuni suoi aspetti: p.es. il fatto che non ci si era preoccupati abbastanza della numerosa presenza dei senza-partito nelle fabbriche. Il che in sostanza voleva dire che le cause dei problemi dell'economia andavano cercate non in una inadeguata politica economica da parte del partito, ma nell'incapacità che la classe operaia mostrava nel momento in cui si dovevano applicare le direttive dall'alto, o comunque nella scarsa consapevolezza e determinazione degli operai iscritti al partito, incapaci di attrarre a sé gli operai senza-partito.

Gli interventi sulla "Pravda" furono però un fiume in piena, e prevalentemente contro la burocrazia dell'apparato di partito, giudicato lento nell'adeguarsi alla nuova situazione creatasi con la Nep. Uno dei più significativi fu quello di Preobražensky, del 28 novembre 1923. Egli (che già era stato esonerato dal suo incarico di segretario del CC sin dal marzo 1921, in occasione del X Congresso) criticava il partito di non essersi adeguato prontamente alle dinamiche della Nep, cioè di non aver saputo rinunciare ai metodi militari o dirigistici usati nel periodo del comunismo di guerra. E precisava altresì che senza democrazia operaia all'interno del partito, lo scollamento tra sistema politico e società economica sarebbe andato sicuramente peggiorando. Gli intellettuali, i funzionari di partito nominati dall'alto stavano imponendo non solo al partito, ma a tutta la società un trend pericoloso, favorevole all'obbedienza passiva, al conformismo.

Il 2 dicembre Stalin, rinunciando a considerare "frazionistica" l'iniziativa dei 46, si sentì indotto a pronunciarsi, in un'assemblea pubblica, a favore di un corso democratico in seno al partito, evitando di polemizzare con Trotsky. La sua non volontà di risolvere i problemi democraticamente si evidenziava sin dalle prime battute, allorché affermava che gli scioperi economici avevano un contenuto politico anticomunista e che essi erano potuti accadere a causa delle deficienze organizzative del partito. Cioè gli scioperi avvenivano non a causa di reali problemi economici, ma a causa di disorganizzazione politica del partito, incapace di controllare la vita aziendale delle imprese.

La burocratizzazione come problema gestionale del partito veniva scaricata da Stalin su alcuni comportamenti a livello locale, del tutto estranei alla dirigenza del partito, che se era colpevole di qualcosa - secondo Stalin-, lo era soltanto nel senso di non essere intervenuta tempestivamente in maniera autorevole.

Stalin insomma accusava la base d'essere troppo passiva e di attendere ordini dall'alto, come quando il partito, per esigenze belliche, era stato trasformato negli anni della guerra civile in un apparato militare. Sicché in sostanza essa non riusciva a risolvere da sola i problemi relativi alle contestazioni rivolte al partito. E ciò, secondo Stalin, era dovuto anche al fatto che molte cellule, presenti nelle regioni più lontane, erano composte di elementi analfabeti, poco esperti nelle cose organizzative e nella comunicazione agli organi centrali.

Un'altra accusa era rivolta direttamente agli organi statali, che secondo lui facevano pressioni di tipo burocratico sul partito, distogliendo quest'ultimo dai compiti più propriamente politici.

Viceversa, nell'aspetto propositivo, non essendo ancora sicuro di poter controllare efficacemente il dissenso interno, Stalin fa proprie le idee di Trotsky, Preobražensky e altri critici del "cesarismo" della dirigenza, sostenendo l'elettività di tutte le istanze del partito, una maggiore democrazia operaia, una maggiore attenzione ai senza-partito, un rapporto più costruttivo col mondo contadino.

Stalin comunque precisava, mettendo le mani avanti, che dopo l'introduzione della Nep il partito era stato costretto a procedere a massicce epurazioni interne, al fine di evitare i condizionamenti borghesi, e in tale situazione s'era visto costretto a privilegiare il sistema dell'anzianità su quello dell'elettività dei suoi membri. In ogni caso la democrazia operaia non poteva portare al frazionismo delle correnti, poiché senza centralismo era impossibile organizzare la gestione dello Stato e della società.

Tre giorni dopo venne approvata dal Politburo e dalla CCC la risoluzione "Sulla costruzione del partito", espressione di un compromesso con l'ala trotskista. Il testo, scritto da Stalin, Trotsky e Kamenev, apparve sulla "Pravda" il 7 dicembre 1923.

In esso si riconfermava il valore della Nep per l'economia del paese, anche se si precisava che la dittatura del proletariato ne sarebbe uscita sconfitta se il capitale privato avesse prevalso su quello statale. Bisognava pertanto realizzare un rapporto più costruttivo tra industria statale e mondo contadino, basato su un'organizzazione più efficiente e razionale dell'apparato produttivo (ma su questo non si disse nulla di concreto).

Si tornava a rivendicare il diritto alla libertà di discussione all'interno del partito, che non poteva essere considerato come una manifestazione di frazionismo, anche se si raccomandava di non usare tale libertà come occasione per formare raggruppamenti frazionistici, particolarmente deleteri per un partito al governo.

Si assicurava l'elettività di tutte le cariche dirigenti, anche se si precisava che per taluni incarichi di direzione doveva valere il principio dell'anzianità, e in ogni caso andava salvaguardato il diritto di conferma dei funzionari da parte delle istanze superiori di partito. Vi erano accenni anche a un dialogo più ampio con le masse "senza partito".

Insomma, nel complesso, lo spirito della risoluzione tendeva a una sostanziale apertura democratica.

Senonché, appena dieci dopo quella risoluzione si scatenò un duro attacco contro Trotsky, accusato d'essere l'ispiratore della Piattaforma dei 46. L'autore ne fu Stalin, con l'appoggio di Zinoviev.

Motivo di questo rivolgimento di fronte fu una lettera che Trotsky inviò l'8 dicembre ad un'assemblea di partito di Mosca, ma anche un suo articolo apparso sulla "Pravda", dal titolo Sul funzionarismo nell'esercito e altrove.

Nella lettera Trotsky ribadiva tutte le sue accuse al burocratismo degli organi dirigenti del partito e si appellava alla "gioventù" ("sicuro barometro"), perché facesse prevalere le istanze delle democrazia su quelle del centralismo, in cui dominava il potere della generazione più anziana, paragonata agli opportunisti e ai traditori della II Internazionale. (L'11 dicembre dovrà però rettificare sulla "Pravda" che non voleva uno scontro "generazionale"). Le sue idee cominciavano a trovare ampi consensi a Mosca tra le cellule universitarie e quelle militari.

Stalin invece il 15 dicembre, sempre sulla "Pravda", sferrava un duro attacco a Trotsky, Preobražensky, Sapronov e Rafail. La sua preoccupazione principale era quella di por fine al dibattito in corso il più presto possibile e, a tale scopo, impose alla redazione del giornale di ridimensionare di molto la rubrica delle lettere e degli articoli di protesta, aventi per oggetto gli organi e la linea del partito.

In particolare egli riteneva che in presenza della Nep fosse da escludere assolutamente la possibilità per il partito di configurarsi nella stessa maniera dei tempi in cui la Nep non esisteva (cioè come un partito composto di gruppi e frazioni), tanto più che certi gruppi (p.es. i "comunisti di sinistra") aveva rischiato di portare il paese alla rovina, opponendosi strenuamente alla pace di Brest-Litovsk.

Nello stesso giorno dell'intervento di Stalin, Zinoviev teneva un discorso molto importante contro Trotsky a Pietrogrado, poi pubblicato sulla "Pravda" il 20-21 dicembre. Anche lui era del tutto contrario allo sviluppo del frazionismo in seno a un partito di governo. E motivava questa sua posizione dicendo che il partito comunista era composto da mezzo milione di iscritti prevalentemente giovani, formatisi nel corso della guerra civile, ma del tutto impreparati sul piano politico-organizzativo; della vecchia guardia restavano solo 10.000 iscritti (su 134 funzionari del CC, ben 90 vi lavoravano da meno di un anno), per cui le preoccupazioni di Trotsky, una volta addestrate le nuove leve, si sarebbe risolte da sola. (Come noto Trotski opponeva a questa posizione, giudicata "pedagogica", questioni di carattere politico vero e proprio).

A partire dal 16 dicembre si chiese ai membri del partito, in varie riunioni, di esprimere piena fiducia al CC e alla risoluzione del 5 dicembre. Radek prese esplicitamente le difese di Trotsky, sostenendo che se questi fosse stato espulso, buona parte dei comunisti tedeschi e polacchi l'avrebbero appoggiato.

A quel punto Trotsky si sentì in dovere di pubblicare, nei giorni 28 e 29, altri due articoli sulla "Pravda", cui la redazione affiancò un lungo saggio a puntate di Bucharin: Abbasso il frazionismo!, in difesa delle posizioni di Stalin e del suo staff.

Trotsky non metteva in discussione il fatto che in un periodo di dittatura doveva esserci un solo partito di governo, ma ribadiva che i gruppi frazionistici si formano proprio perché la dirigenza si comporta in maniera autoritaria e burocratica.

Considerando che ormai il dibattito stesso si stava fossilizzando su tesi precostituite, si ha come l'impressione che Trotsky volesse approfittare del fatto che siccome sotto Lenin il partito era stato più tollerante nei confronti dei gruppi interni, tale atteggiamento doveva valere anche nel caso di un partito al governo che avesse definitivamente superato la fase del "comunismo di guerra", il che in sostanza voleva dire che Trotsky voleva essere riconosciuto come capo di una frazione interna.

Intanto all'articolo di Bucharin risposero Preobražensky e Sapronov, che ottennero molti consensi da parte degli studenti e negli ambienti militari, anche se il 10-11 gennaio 1924 la mozione presentata al CC da Preobražensky ebbe solo 61 voti contro 325.

La svolta decisiva fu presa da Stalin, che con la relazione tenuta il 17 gennaio, aprendo i lavori della XIII Conferenza, elencò i sei errori principali di Trotsky, chiudendo ogni possibile ulteriore dialogo: se c'era "burocraticismo", questo andava imputato agli organi statali e non a quelli partitici. In particolare egli richiese la pubblicazione del "punto 7" della risoluzione del X Congresso, Sull'unità del partito, sino ad allora rimasto inedito per volere di Lenin, cioè la clausola che autorizzava l'espulsione dei membri del CC. Sicché quella che nel 1921 s'era imposta come misura d'emergenza (il centralismo rigoroso e la struttura militarizzata del partito), diventava prassi normale. La posizione di Stalin, che sin dall'inizio aveva chiesto che la discussione rimanesse circoscritta alle istanze superiori del partito, era in sostanza prevalsa.

Lenin morirà due giorni dopo la suddetta Conferenza e la lotta per la sua successione si acuirà ulteriormente. Le disposizioni della Conferenza, volte a restringere la dialettica interna al partito, assumeranno un carattere d'urgenza.

A dire il vero già Bucharin, con le sue Questioni di edificazione del partito, aveva messo in guardia dal pericolo di sclerotizzare la vita del partito proseguendo sulla linea della sua necessaria militarizzazione, ma la sua risoluzione era rimasta lettera morta, in quanto la rivolta di Kronštadt e altre sollevazioni armate in varie regioni del paese obbligarono a conservare il più rigoroso centralismo.

Lenin aveva visto giusto: un cedimento alle tendenze centrifughe in un momento così delicato per la vita del paese avrebbe compromesso le sorti della rivoluzione e probabilmente dello stesso partito. Ma tutti si rendevano conto che quella era una situazione d'emergenza causata dalle caratteristiche particolari del comunismo di guerra (il paese era accerchiato dalle potenze imperialiste).

Chi volle fare di quella eccezione la regola fu proprio Stalin. Il primo tentativo venne fatto all'XI Conferenza del partito (dicembre 1921); il secondo all'XI Congresso e in entrambi i casi s'impose la nomina dall'alto delle cariche principali del partito.

A Stalin interessava organizzare il partito in maniera burocratica, amministrativa, verticistica: non era interessato alle questioni politiche, in cui opinioni diverse si mettessero a confronto.

Su questo suo modo di vedere le cose esercitò indubbiamente un certo condizionamento il fatto che il partito si era trovato ad esercitare nello stesso momento funzioni ch'erano di governo e funzioni amministrative, cioè statali. Lo Stato (come d'altra parte il sindacato) non era che uno strumento del partito unico.

La burocratizzazione del partito dipendeva anche dal fatto che Stalin tendeva a privilegiare i quadri d'apparato, cioè una rigida gerarchia d'anzianità di partito, a prescindere, in un certo senso, dalla provenienza sociale, che per Stalin era sempre stata poco significativa.

Trotsky invece puntava tutte le sue carte sui "giovani", sui nuovi iscritti, come se da questo aspetto "anagrafico" si potesse meglio garantire una maggiore democrazia operaia.

RISOLUZIONE DEL X CONGRESSO

Qui meritano d'essere sintetizzati i punti salienti della risoluzione adottata dal X Congresso dell'8-16 marzo 1921, diretto da Lenin.

La risoluzione si suddivide in due parti: "Questioni di costruzione del partito" e "Sull'unità del partito".

  1. La forma organizzativa e i metodi di lavoro del partito devono essere stabiliti di volta in volta, a seconda delle circostanze storiche.

  2. Queste forme e questi metodi non possono essere meccanicamente trasferiti ad altre strutture politiche o amministrative o economiche del paese.

  3. Nel periodo del comunismo di guerra il partito aveva dovuto privilegiare la forma organizzativa della militarizzazione, per salvare il paese dall'attacco delle forze imperialiste, sicché il centralismo aveva finito col prevalere sulle esigenze della democrazia operaia.

  4. Tale centralizzazione ha inevitabilmente generato un distacco del partito dalle masse, portando altresì alla formazione di privilegi negli organi stessi di partito, nonché allo sviluppo di metodi amministrativi, autoritari e burocratici, sino all'impoverimento del dibattito culturale e politico all'interno del partito.

  5. Nella fase pacifica del paese i nuovi compiti del partito sono quelli di sviluppare la democrazia operaia, di riavvicinare base e vertice del partito e delle istituzioni, operai iscritti al partito e operai "senza partito", operai e contadini, elevando il livello culturale e politico di tutti.

  6. Democrazia operaia significa che tutti i membri del partito hanno diritto di partecipare alla vita del partito, che ognuno di essi deve poter fruire della possibilità di essere eletto dalla base (quindi si esclude ogni nomina dall'alto come sistema) e l'operato di chiunque debba essere tenuto sotto controllo.

  7. I metodi di lavoro del partito devono diventare quelli della libera discussione di tutte le questioni del partito, quelli della libertà di critica, della elaborazione collettiva delle decisioni generali, del rispetto vincolante per tutti delle decisioni approvate.

  8. Gli elementi non comunisti vanno epurati dal partito, perché suo compito non è quello dell'ampliamento quantitativo, ma quello del miglioramento qualitativo (specie dopo la fine degli altri partiti e dopo l'introduzione della Nep).

  9. La violazione della disciplina di partito può comportare sanzioni amministrative, fino all'espulsione.

  10. I nuovi membri che chiedono di entrare nel partito devono essere raccomandati da esponenti iscritti al partito da almeno un anno. Il periodo di candidatura per i non operai e per i contadini deve durare almeno un anno.

  11. Vanno premiate le capacità nella direzione degli organi di partito.

  12. Va affermata la parificazione delle condizioni materiali dei membri del partito.

  13. Va affermata la rotazione periodica delle funzioni, affinché si mantengano rapporti stretti con la base e non si consolidino privilegi di sorta.

  14. La distribuzione territoriale dei quadri di partito va decisa dagli organi superiori; tali funzionari devono mettersi a disposizione degli organi di base, per cui non è necessario che siano investiti di poteri speciali.

  15. Tutti gli organi di partito devono rendere conto del loro operato sia alle istanze superiori che a quelle inferiori. Ovviamente l'organo inferiore non può sospendere l'attuazione di una decisione dell'organo superiore.

Quanto all'unità del partito la risoluzione escludeva la possibilità di creare forme di frazionismo interne al partito, basate su piattaforme diverse e con diversa disciplina di gruppo.

Il partito doveva stare attento al fatto che era sempre possibile che i controrivoluzionari adottassero una fraseologia di sinistra per abbattere la rivoluzione, come p.es. si cercò di fare a Kronštadt.

La lotta al burocratismo andava fatta in nome della democrazia operaia, nel rispetto dell'unità del partito, pena sanzioni amministrative, come la retrocessione a candidato o, come misura estrema, l'espulsione dal partito.


(1) Lord Curzon, ministro inglese degli affari esteri inviò l'8 marzo 1923 un memorandum al governo sovietico in cui accusava la Russia di propaganda antibritannica in Afghanistan, Iran e India, esigeva il richiamo degli ambasciatori dai primi due paesi e le scuse per le loro presunte colpe, nonché un compenso in denaro per le azioni repressive degli organi sovietici nei confronti delle spie inglesi. Il governo inglese cercava di ottenere il diritto d'intervento nelle questioni interne dell'Urss, prendendo a pretesto anche le cosiddette persecuzioni religiose. Il memorandum aveva carattere ultimativo e minacciava la rottura dei rapporti bilaterali. Le guardie bianche riparate all'estero ne approfittarono per assassinare il rappresentante sovietico V. Vorovsky. Contro questo ultimatum si opposero le forze progressiste di vari paesi, al punto che il ministro fu costretto a dimettersi. Nel dicembre 1923 i conservatori furono sconfitti dai laburisti, i quali nel febbraio 1924 riconobbero ufficialmente l'Urss. (torna su)


Bibliografia

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SitiWeb


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Enrico Galavotti - Homolaicus - Sezione Storia - Storia contemporanea
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Aggiornamento: 20/11/2012