ALLE ORIGINI DEL BRIGANTAGGIO LEGITTIMISTA

a cura di Nicola Zitara - www.eleaml.org - duesicilie.info
Associazione Culturale "DUE SICILIE" - Gioiosa Jonica (RC)


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IL BRIGANTAGGIO MERIDIONALE DAL 1860 AL 1870. PREMESSA STORICA

Sulle mistificazioni che una storiografia accademica, pre-gramsciana, ha operato nei confronti del cosiddetto fenomeno del "brigantaggio" dei contadini meridionali, svoltosi nell'arco di un decennio, ha certamente pesato il giudizio del Croce, che vi vedeva un tema troppo scomodo per il culto della mitologia risorgimentale in chiave liberal-moderata.

La "questione meridionale", cioè il fatto che il sud diventi una "questione complessa", difficile da risolvere per il nord egemone, inizia, in un senso diciamo "istituzionale", con l'inchiesta della commissione parlamentare del 1863, i cui risultati rimasero segreti per volontà del governo dell'epoca, poi ignorati per quasi un secolo dagli storici e dagli stessi parlamentari (cfr Il calendario del popolo, n. 492/1986).

I primi studiosi a interessarsi del fenomeno, con risultati poco convincenti, furono Giuseppe Galasso, Alfonso Scirocco, Carlo Tullio Altan. Il difetto principale delle loro analisi stava proprio nel fatto che si vedeva nel mondo contadino in generale, e non solo nel sistema borbonico tardo-feudale, un limite da superare e non una risorsa da valorizzare.

Il fatto che i contadini dovessero diventare operai nelle fabbriche del nord o salariati agricoli per gli agrari del sud o emigranti all'estero era visto più che altro come un destino inevitabile.

Purtroppo per la stragrande maggioranza dei contadini lo sviluppo del capitalismo industriale non significò altro che la necessità di adattarsi a vivere un'esistenza non meno misera di quella sotto i Borboni, anzi, per molti versi, anche peggiore, poiché le esigenze del mercato nazionale andavano a colpire gli interessi proprio dei ceti rurali meno abbienti, i quali, ad un certo punto, ebbero poche alternative di fronte a loro: l'emigrazione all'estero, l'arruolamento nelle forze dell'ordine, l'assistenza pubblica, la criminalità organizzata... Nel migliore dei casi, in presenza di un minimo di alfabetizzazione, vi era l'impiego nell'amministrazione statale.

Di fatto il sud, dopo il 1860, era diventato per il centro-nord una gigantesca colonia interna, da sfruttare sia in senso economico (manodopera a basso costo, risorse naturali a buon mercato, mercato di sbocco di merci industriali ecc.), che in senso politico (voto di scambio, clientelismi e collateralismi nei confronti dei partiti di governo più corrotti o più conservatori).

Che cos'è stato il risorgimento per il nostro paese? Per poter rispondere a questa domanda bisogna prima porsene un'altra: perché il risorgimento ebbe una connotazione marcatamente borghese in un'Italia prevalentemente contadina? Cioè per quale motivo l'unificazione nazionale fu un obiettivo della borghesia, a fronte del quale le masse contadine restarono nel complesso indifferenti se non addirittura ostili?

Anzitutto bisogna dire che il risorgimento si colloca sulla scia di un movimento politico europeo che, a partire dalla rivoluzione francese (a sua volta influenzata da quella americana), voleva portare una classe particolare, quella borghese, arricchitasi nei secoli XVI e XVII, ad avere un ruolo politico non meno importante di quello dell'aristocrazia e del clero.

In Italia, ancora divisa in tanti staterelli, la borghesia s'era sviluppata soprattutto al nord (principato di Savoia in primis), grazie all'influenza della Francia e dell'avventura napoleonica.

Il movimento unificatore parte dal regno sabaudo perché qui le contraddizioni antagonistiche dello sviluppo capitalistico s'erano formate prima che altrove. E sin dalle rivoluzioni borghesi in Olande e Inghilterra era notorio che uno sviluppo della tecnologia industriale finalizzato al mero profitto capitalistico porta ad un certo punto alla necessità di acquisire mercati più ampi, colonie da sfruttare, distruzione delle economie di sussistenza...

Perché la borghesia del nord Italia tardò così tanto a liberarsi degli austriaci, cioè di coloro che impedivano uno sviluppo capitalistico del paese? Per la semplice ragione che non aveva l'appoggio delle masse contadine (cosa che invece Garibaldi riuscì a conquistarsi sul campo rischiando l'impresa dei Mille); dall'altro perché temeva che chiedendo aiuti militari alla Francia, questa avrebbe voluto sostituirsi agli austriaci.

Solo quando fu chiaro che l'alleanza coi francesi non avrebbe significato per il paese finire nelle mani di un nuovo conquistatore (emulo dell'avventura napoleonica), si decise di cacciare gli austriaci militarmente (1859) e di permettere ai garibaldini lo sbarco a Marsala nel 1860.

Se Garibaldi non avesse sconfitto il borbonici, l'avrebbero sicuramente fatto i sabaudi, ma non così presto. Fu una sorpresa per lo stesso Cavour vedere che in pochi anni ci si era liberati sia degli austriaci che dei borboni, ridimensionando altresì le pretese pontificie a uno Stato Vaticano di ridottissime dimensioni.

Va comunque detto, a onor del vero, che l'impresa garibaldina fu finanziata dai piemontesi solo nella speranza che, tenendo occupati i borbonici, questi non si sarebbero alleati agli austriaci. Tant'è che quando Garibaldi minacciò seriamente di istituire una repubblica meridionale sotto l'insegna del mazzinianesimo, Cavour cessò subito i rifornimenti e invitò Garibaldi a cedere il passo al re sabaudo, che scendeva militarmente verso il Mezzogiorno.

Che cosa non funzionò nel processo di unificazione nazionale? Non funzionò l'alternativa al centralismo autoritario e alle dinamiche capitalistiche dei piemontesi.

Da un lato infatti si impose un unico mercato nazionale per il flusso delle merci borghesi da nord a sud, col conseguente travaso di manodopera, rovinata dalla concorrenza dei prodotti industriali, da sud verso nord.

Dall'altro, per far funzionare questi meccanismi socioeconomici profondamente iniqui si volle imporre uno Stato amministrativo centralizzato, fortemente militarizzato e autoritario, basato sul modello francese.

Al sud l'impresa garibaldini, che aveva suscitato entusiasmi anche fra le masse contadine più consapevoli, si rivelerà, nelle sue conclusioni politiche, un fallimento pressoché totale.

Garibaldi praticamente consegnerà il Mezzogiorno di piemontesi su un piatto d'argento, senza porre condizioni favorevoli alla massa sterminata dei contadini, che pur in buona parte l'avevano appoggiato, anche militarmente, visto che i garibaldini arruolati, alla fine della campagna antiborbonica, erano arrivati a 50.000 unità.

I moti e le sommosse contadine scoppiarono già nell'inverno 1860-61, causati dalla miseria e soprattutto dalla fame di terre.

Durante la campagna Garibaldi aveva cercato, in verità, di fare qualcosa a favore dei contadini, ma pochissime di queste riforme restarono in vigore dopo l'unità d'Italia:

  1. nazionalizzò tutte le proprietà reali borboniche e abolì le barriere doganali tra Napoli e la Sicilia;
  2. iniziò lo spezzettamento del latifondo, ma la vendita all'incanto favorì solo i contadini più agiati;
  3. concesse ai contadini più poveri l'uso gratuito dei terreni della Sila;
  4. abolì l'ordine dei gesuiti, nazionalizzandone i beni e annullando i contratti di ipoteca e compravendita;
  5. calmierò il prezzo del pane e abolì la tassa sul macinato e i dazi di importazione sui generi di prima necessità;
  6. fece restituire ai poveri gli oggetti impegnati nei Monti di pietà;
  7. abolì i fondi segreti degli enti pubblici e privati;
  8. devolse ai Comuni il ricavato dei dazi di consumo;
  9. assegnò un sussidio ai disoccupati;
  10. sospese gli sfratti degli inquilini non in grado di pagare l'affitto;
  11. istituì la giuria popolare nelle cause penali;
  12. istituì asili d'infanzia e assicurò la gratuità alla frequenza della scuola elementare;
  13. proclamò la libertà di tutti i culti religiosi;
  14. favorì l'amministrazione civile nelle cause matrimoniali.

Cavour vedeva come fumo negli occhi la maggior parte di queste iniziative e s'affrettò a occupare militarmente Marche e Umbria prima che Garibaldi arrivasse a Roma.

L'errore più grosso che fece Garibaldi fu quello di considerare i piemontesi, nonostante tutto, migliori dei borbonici, non foss'altro perché avrebbero potuto contribuire assai meglio a eliminare il potere temporale della chiesa, che tanto danno aveva procurato alle sorti dell'unificazione nazionale.

Nel Mezzogiorno si fidarono di Garibaldi e nei plebisciti del Napoletano e della Sicilia i contrari all'unificazione furono solo poche migliaia di persone.

I sospetti ch'egli aveva nei confronti dei piemontesi s'erano concentrati soprattutto sul Cavour, per la cui rimozione dall'incarico di primo ministro s'era dato molto da fare.

Il re cercò di rabbonire Garibaldi promettendogli la guida dell'iniziativa militare contro l'Austria, per liberare Venezia, ma così facendo gli impedì di occupare Roma, liberandola anche delle truppe francesi; anzi Vittorio Emanuele II sciolse le truppe garibaldine, evitando di inquadrarle nell'esercito regolare italiano.

Garibaldi insomma, pur avvertendo le nuove contraddizioni del sistema capitalistico sabaudo, non arrivò mai a porsi alla testa del movimento contadino meridionale e se vogliamo nazionale, contro la borghesia piemontese; si accontentò di un processo unitario che sulle prime appariva dichiaratamente laico anche se non repubblicano, e comunque favorevole a una redistribuzione delle terre sottratte agli ordini religiosi.


Web Homolaicus

Enrico Galavotti - Homolaicus - Sezione Storia - Moderna
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