Sisto IV e l'inquisizione spagnola
Papa di guerra
fu Sisto IV (1471-84), la cui politica, mirante a creare uno stato per il
nipote Girolamo Riario, fu connotata da guerre, consueti propositi di crociata
contro i turchi, sanguinose congiure come quella dei Pazzi in cui morì Giuliano
de' Medici e intrighi d'ogni genere. Nel corso di
una sua guerra contro Ferrara, essendo venuto ai ferri corti con i veneziani, il
papa ordinò di farli schiavi, sotto pena di scomunica (74). Sotto il suo
pontificato, anche per effetto della predicazione violentemente antisemita di
Bernardino da Feltre (santo), si scatenò nella provincia di Trento l'odio
popolare contro la comunità ebraica, che fu accusata dell'omicidio rituale di
Simone, un bambino trovato morto. 15 ebrei furono torturati per costringerli a
confessare e giustiziati. Il papa stesso, che per verità in un primo momento
aveva affidato una inchiesta a un suo sovrintendente, essendo poco convinto di
quanto raccontavano le autorità ecclesiastiche locali, alla fine si arrese e
lasciò perdere la sua inchiesta. Un secolo più tardi un altro papa Sisto, il
quinto, dichiarerà Simone santo e martire. A Sisto IV si
deve l'istituzione nel 1478, nel regno di Castiglia, del primo tribunale della
tristemente famosa inquisizione spagnola. Essa fu da principio diretta
soprattutto contro i conversos, cioè gli ebrei convertiti al
cristianesimo che, spesso a torto, solo perché attaccati alla loro cultura
ebraica, erano accusati di essere ancora segretamente ebrei o “giudaizzanti”. La
loro repressione fu feroce e colpì migliaia di persone dal 1480 al 1525, ossia
anche dopo il decreto di espulsione degli ebrei dalla Spagna nel 1492. Molte
furono le condanne a morte, in qualche caso motivate con le accuse di omicidi
rituali di bambini cristiani, che saranno rivolte per tutta l'età moderna agli
ebrei. L'asprezza della repressione è confermata anche dalle cerimonie di
riconciliazione imposte ai giudaizzanti pentiti, come quella della domenica 12
febbraio 1486 in cui, come racconta il Bennassar, si riconciliarono 750 fra
uomini e donne. “Gli uomini tutti insieme, scalzi e senza brache, e per il gran
freddo che faceva si permise loro di mettere una suola sotto i piedi purché la
parte superiore restasse nuda, tutti con un cero spento in mano...Le donne
anch’esse in gruppo, senza sopraveste, con il viso scoperto, scalze come gli
uomini, anch’esse con il loro cero” (75). Nel XV secolo l'inquisitore Tomas de Torquemada condannò a
morte oltre 10.000 eretici, o ritenuti tali. In seguito
l'inquisizione, che si protrasse fino all'inizio del XIX secolo, si diresse
contro eretici cristiani e poi contro i moriscos, cioè gli arabi
musulmani convertiti, rimasti in Spagna dopo la loro espulsione all'inizio del
Seicento. Molte migliaia furono le vittime, anche se la distruzione di gran
parte degli archivi impedisce un conto preciso. Fra i peggiori crimini
dell’inquisizione sono da ricordare “i quemaderos di Siviglia (quattro enormi
forni circolari, ognuno dei quali ‘ospitava’ fino a 40 condannati, introdotti
vivi e che richiedevano per essere ‘giustiziati’ 20-30 ore di supplizio: i forni
funzionarono ininterrottamente per oltre tre secoli e vennero chiusi da
Napoleone nel 1808” (76). L'inquisizione
estese inoltre la sua attenzione anche a reati comuni o alla sodomia ma, dopo i
primi decenni, non fu più riconducibile in senso stretto al papato, poiché vi fu
“una subordinazione piena del tribunale dell’inquisizione al potere monarchico,
che trova in esso un’eccezionale e insostituibile strumento di controllo
‘poliziesco’ dei sudditi” (77). Nel 1568, ad esempio, l'inquisizione spagnola
pronunciò la sentenza di morte per tre milioni di Olandesi che si erano
ribellati alla Spagna e che ottennero poi l'indipendenza, e mise a morte 5-6.000
protestanti, annegati dalle truppe spagnole. 74) v. A.
Corvisieri, Chiesa e schiavitù, Paleario ed., Roma s.d., p. 51
75) B.
Bennassar, Storia dell’Inquisizione spagnola, Rizzoli, Milano 2003, p. 35
76) A. Petta,
Gli scheletri dell'Inquisizione,
www.stampalternativa.it
77) M.
Baigent etc., op. cit., p.11