STUDI SULL'ATEISMO SCIENTIFICO


L'IDEA DI GUERRA NEL CRISTIANESIMO

Ho sotto mano due corposi volumi di oltre 500 pp. il cui contenuto è per molti versi analogo, anche nell'impostazione storiografica. Uno è Il gallo cantò ancora (ed. Massari 1998, 2006) di K. Deschner, l'altro è Il cattolicesimo reale (ed. Odradek 2008) di W. Peruzzi. Entrambi presumono d'essere una storia "critica" della chiesa.

Prendiamo il capitolo riguardante l'atteggiamento della chiesa verso la guerra. È assodato che con la svolta costantiniana del 313 (Editto di Milano) cambia completamente l'atteggiamento della chiesa cristiana nei confronti del servizio militare e quindi della guerra. Se prima era vietato in ogni caso, ora diventa necessario per difendere un impero "quasi cristiano", che di lì a poco, con l'imperatore Teodosio, diventerà "completamente cristiano".

Ebbene, entrambi gli storici considerano negativamente questo mutamento ed entrambi per la stessa ragione: il Cristo dei vangeli era un pacifista ad oltranza.

Ora, anche ammettendo che lo fosse (il che non è, in quanto è assodato dall'esegesi laica che i vangeli presentano un Cristo del tutto spoliticizzato), che senso ha ritenere incoerente con i propri principi una chiesa che parteggia per un imperatore filo-cristiano? Solo per questo motivo si è costretti a ritenerla una chiesa "politicizzata"?

Uno storico deve sempre fare distinzione, nell'analisi del cristianesimo primitivo, tra la svolta costantiniana e quella teodosiana. Dal 313 al 380 l'impero romano ha potuto beneficiare di un periodo di tolleranza religiosa, persino, in un certo senso, di laicità statale, relativa all'ammissione di una pluralità di fatto delle confessioni di fede. Un pluralismo che pur subì una grave battuta d'arresto quando Costantino, accordatosi col papa Silvestro, decise di convocare e presiedere, in forza della sua carica pagana di "pontefice massimo", il concilio di Nicea (325), il primo ecumenico, in cui si volle condannare l'eresia ariana, perseguitandone i seguaci.

Semmai ci si dovrebbe chiedere il motivo per cui, dopo tre secoli di persecuzioni, la chiesa abbia improvvisamente accettato l'idea di reprimere il "paganesimo" e tutte quelle correnti cristiane che nei vari sinodi e concili venivano definite "eretiche".

Uno storico cioè dovrebbe chiedersi se non sia stata l'idea stessa di "impero" a indurre i cristiani ad assumere atteggiamenti intolleranti nei confronti delle altre religioni. Se per tenere in piedi una realtà politica obsoleta, frutto di violenze secolari inusitate, gli imperatori avevano bisogno, ideologicamente, di uno Stato rigidamente confessionale, allora una religione sarebbe valsa l'altra. La scelta cadde sul cristianesimo solo per motivi di opportunità, sulla base di una semplice considerazione storica, tant'è che per un certo periodo il potere puntò l'attenzione anche sulla fede mitriaca.

Non è stato dunque il cristianesimo, sua sponte, a mutare rotta improvvisamente: diciamo che gli è stato suggerito da esigenze di tipo politico. Il cristianesimo petro-paolino, infatti, non era nato come religione politicizzata, salvo il fatto che non era disposto a riconoscere alcun attributo "divino" agli imperatori. Venne perseguitato per tre secoli semplicemente perché uno Stato confessionale (perché "pagano") come quello romano-imperiale non poteva tollerare la diffusione di una religione che, rifiutando il culto alla statua imperiale, appariva come politicamente inaffidabile.

Anche l'ebraismo, sotto questo aspetto, lo era, ma assai di meno e per due note ragioni: 1) gli ebrei desideravano anzitutto uno Stato nazionale e Gerusalemme era stata distrutta nel 70 e di nuovo nel 135; 2) ebrei si poteva esserlo solo dalla nascita, il che li rendeva poco diffusi. Gli ebrei venivano considerati dal potere romano un'eccezione alla regola generale del confessionalismo pagano, e comunque, di tanto in tanto, venivano espulsi da Roma.

Detto questo, fa meraviglia che questi due storici, nel prosieguo del capitolo, non comprendano l'esigenza cristiana di contrapporsi militarmente all'espansione dell'islam. In tutto il Mediterraneo e nel Medio oriente l'islam non ha potuto diffondersi velocemente con la predicazione, ma solo con le armi. Era un impero in via di formazione contro un altro impero formatosi al tempo delle guerre puniche. Non si possono opporre "parole di pace" alle scimitarre degli invincibili cavalieri arabi e poi turchi.

Anche quando si volesse accettare l'idea di una chiesa assolutamente pacifica, non si può considerare sbagliata l'idea che un cristiano, in quanto cittadino, accetti di difendere con le armi i propri territori. È sufficiente criticare il fatto che non si può, in nome di una vittoria conseguita, imporre una determinata ideologia. E si devono comunque condannare gli eccessi di quei militari che, presi dall'ansia di voler distruggere il nemico, non facevano distinzione tra militari e civili, come spesso accadeva nel corso delle crociate; senza poi considerare che quando i crociati latini usavano il concetto di "guerra santa", non facevano neppure differenza tra bizantini e islamici.

Il torto della chiesa sta nell'essersi lasciata politicamente strumentalizzare dagli imperatori divenuti cristiani, i quali avevano bisogno di un'ideologia unificante per tutto l'impero. La chiesa permise questo al fine di ottenere, in cambio, privilegi a non finire, i quali portarono poi, nell'area occidentale dell'impero, a una progressiva trasformazione della chiesa romana in uno Stato vero e proprio, rivale degli Stati gestiti dai sovrani.

Naturalmente qui non si mette in discussione il fatto che una "guerra di conquista" sia sempre sbagliata, a prescindere dalle motivazioni che l'hanno fatta nascere.

Vedi anche riflessioni sulla guerra e sulla violenza in generale.


Web Homolaicus

Enrico Galavotti - Homolaicus - Sezione Teoria - Ateismo
Invia questa pagina a qualcuno  - Stampa pagina
Aggiornamento: 10/09/2014