Il sé e la coscienza

TEORIA
Etica Filosofia Antropologia Pedagogia Psicologia Sociologia Ecologia Logica Ateismo...


IL SE' E LA COSCIENZA

I - II - III - IV

La vera conoscenza è la conoscenza di sé, cioè l'autocoscienza, che però, per non essere arbitraria, meramente soggettiva, dev'essere anche conoscenza del sé, cioè della relazione uomo-natura, intendendo per "essere umano" l'insieme delle relazioni sociali che lo caratterizzano.

Il sé non è il noumeno di Kant, ma non è neppure un fenomeno interpretabile con le leggi della matematica. Il sé include la materia al pari della coscienza, che è la forma superiore in cui la materia esprime e interpreta se stessa.

Il sé non può essere colto, nella sua pienezza, dall'individuo singolo, e anche il collettivo autoconsapevole gli si avvicina solo per approssimazione. Tanto più l'approssimazione sarà grande, tanto più avvertiremo i confini del nostro pianeta come troppo stretti.

Il concetto di infinito si estende dalla profondità e vastità della materia a quella della coscienza. Entrambe hanno le stesse leggi, ma la coscienza umana è l'autoconsapevolezza della materia.

Questo è il motivo per cui non è sufficiente conoscere le leggi della natura con l'intelletto. Il senso di umanità della coscienza include leggi che sfuggono all'analisi razionale. Le leggi della libertà sono leggi che anzitutto si sentono.

C'è un sentire nell'universo che è come una pulsazione. Tra il cuore e le stelle l'analogia è enorme. L'automovimento è la pulsazione dell'universo, una forma di energia autosussistente.

Il cuore che pulsa nell'universo è l'espressione della sua coscienza, l'autocoscienza del sé. "Bruciare di passione", in un alternarsi continuo di forza e di debolezza, indica esattamente il tipo di pulsione che pervade l'universo, in cui ogni elemento è connesso all'altro, in una concatenazione reticolare praticamente infinita.

Esiste una gerarchia di forze attrattive e repulsive, di cui quella inerente alla coscienza è superiore a tutte. Il meccanismo della polarizzazione degli opposti, che si attraggono e si respingono, è garanzia non solo di unità ma anche di diversità nell'intero universo.

Bisogna ricondurre tutto all'uno, salvaguardando la molteplicità infinita, la cui origine non sta nell'uno ma nella realtà duale: l'unità minima dell'uno è il due, lo sdoppiamento. In principio non vi è l'uno ma la duplicità che tende all'unità, per poi ridiventare diversità, alterità, in un gioco infinito di tesi-antitesi-sintesi (già scoperto da Hegel). L'uno si sdoppia perché è duplice in sé.

Quel che non riesce a riprodursi è perché ha cessato di vivere. Se l'uno vuol conservare se stesso, ostacolando la riproduzione in generale, ovvero la negazione di sé a favore di una nuova sintesi, la conservazione porta inevitabilmente all'autodistruzione. Chi non accetta di lasciarsi coinvolgere nella dinamica della negazione di sé, vissuta secondo natura, esce in un certo senso dalla storia, perde la propria identità - e questo proprio nel momento in cui è più preoccupato a difenderla!

Per poter rinascere dobbiamo negarci. In astratto è giusta quell'espressione evangelica che dice: "Chi vuol salvare la propria vita, la perderà, ma chi la perderà per una causa comune [l'umanizzazione dei rapporti sociali] la ritroverà". La storia è fatta per i coraggiosi, per chi non ha paura di ritrovarsi dopo aver sacrificato la propria vita.

L'unica cosa di cui bisogna assicurarsi è che la negazione di sé non sia una forma mascherata di suicidio. E' sottilissimo il filo che separa le due cose, proprio perché sappiamo di poter utilizzare la negazione come forma illusoria di positività.

Bisogna demistificare l'uso ideologico del martirio, dell'autoimmolazione come forma di contestazione degli antagonismi sociali.

LA LIBERTA' DI COSCIENZA

Che cos'è la libertà di coscienza? E' la legge principale dell'universo. Tutte le leggi materiali dell'universo (fisiche, chimiche ecc.) si basano su questa legge spirituale, che trova nell'essere umano l'espressione più completa.

Con questo non si vuol dire che l'aspetto spirituale preceda quello materiale, ma semplicemente che ogni aspetto materiale ha in sé un significato spirituale. Spirito e Materia sono indistinguibili, inseparabili. Non esiste libertà di coscienza a prescindere dall'esistenza di un corpo umano. E quando questo si manifesta come "vivo", subito si pone il problema di come rispettare la sua libertà di coscienza, anzi di come farla crescere, di come far sviluppare nel soggetto la consapevolezza di possederla e la padronanza nell'usarla.

La libertà di coscienza è un prodotto della natura, non è un prodotto umano, ma è un prodotto che trova nell'essere umano la possibilità di svilupparsi al massimo livello. Non siamo noi a produrla, noi la ereditiamo come una specifica componente della nostra umanità. Quindi è compito fondamentale dell'uomo preservare e sviluppare questo fondamentale aspetto della natura.

La caratteristica principale della libertà di coscienza è l'unità degli opposti, cioè di quegli elementi che si attraggono e si respingono. L'attrazione e la repulsione di elementi opposti e complementari è una legge fondamentale dell'universo.

Nessun elemento è assolutamente autonomo. Come d'altra parte nessun elemento è assolutamente dipendente da un altro. Là dove ci fosse assoluta dipendenza ci sarebbe violazione della libertà di coscienza; là dove ci fosse assoluta autonomia, non vi sarebbe la coscienza di questa libertà, che è possibile appunto solo mettendosi in relazione a una libertà altrui, a una alterità.

La coscienza di sé non è data dal sé, cioè dalla propria identità, ma dall'altro da sé, cioè da una alterità. L'io esiste perché esiste un tu. Il rapporto duale è all'origine di qualunque altro rapporto.

Un'altra legge fondamentale della libertà di coscienza è che nessuno può essere costretto a fare ciò che non desidera. E d'altra parte nessuno può impedire a nessuno di desiderare. Desiderare di essere se stessi, di potersi esprimere, di poter sviluppare le proprie inclinazioni, i propri talenti, le proprie passioni è l'obiettivo di ogni essere umano. Questo obiettivo non può essere realizzato che stando insieme agli altri, poiché l'essere umano è "sociale" per definizione.

Libertà di coscienza vuol dire avere la possibilità di realizzare un proprio desiderio di autenticità compatibilmente con analoghe esigenze altrui. La libertà di coscienza non può mai essere imposta. Sul rispetto delle norme che regolamentano la libertà di coscienza si può soltanto discutere: non si può imporre niente a nessuno. Si può soltanto rivendicare il diritto a esercitare tale libertà senza costrizioni che ne limitino l'espressione.

Ovviamente è impossibile stabilire in astratto il limite tra una libertà di espressione e un'altra. E' però evidente - essendo l'uomo un essere sociale - che l'espressione di una libertà di coscienza non può avvenire a danno di altre libertà analoghe. La coscienza della libertà è la coscienza di poter fare qualcosa che non danneggia la libertà altrui.

Poiché nessuno può stabilire da solo il confine della propria libertà, è necessario che la consapevolezza di ciò risulti da un confronto democratico, paritetico, coi componenti del collettivo che si vive.

Libertà non può voler dire "fare ciò che si vuole", poiché nessuno è in grado di stabilire da solo quando e come la realizzazione dei propri desideri è utile alla collettività. Libertà vuol dire realizzare dei desideri comuni. Intorno a questi desideri si può soltanto discutere, prendendo decisioni comuni. Chi non si attiene a tali decisioni, non può far parte del collettivo.

Nessuna decisione va stabilita come un dogma indiscutibile. Però quando una decisione viene presa, essa va applicata e va rispettata anche da chi non l'ha approvata, in quanto la minoranza deve attenersi alla volontà della maggioranza, se vuol continuare a far parte del medesimo collettivo.

Questo non vuol dire "impedire la discussione", ma, al contrario, favorire quella su determinati argomenti, già discussi e approvati, al fine di apportare nuovi elementi di discussione, per una diversa approvazione. Sulla base delle nuove discussioni e argomentazioni, si possono formare nuove maggioranze.

I VALORI MARGINALI

Uno dei paradossi della storia è il seguente: quando in una società decadente taluni gruppi marginali riescono a riscoprire i valori positivi della vita (considerati negli ambienti di potere al pari di vuote parole), è assai raro che quegli stessi gruppi riescano, da soli, a far valere la loro visione della vita.

La società è così corrotta che non ha in sé più alcuna forza per riprendersi, e, come tale, essa rischia facilmente d'essere sopraffatta da altre società più coerenti coi valori che professano (che possono essere anche valori negativi. I normanni p.es. avevano sicuramente valori più negativi di quelli professati dai bizantini e dai longobardi, eppure ebbero la meglio nell'Italia meridionale, proprio perché più coerenti nella loro gestione dispotica del potere).

Il paradosso dove sta?

  1. che i gruppi marginali delle società decadenti possono riscoprire valori di alto contenuto democratico ma non avere alcuna speranza di vederli realizzati a livello nazionale;
  2. che tali valori possono essere realizzati, a livello nazionale, da altri gruppi o movimenti, anche meno evoluti sul piano tecnico-scientifico e persino su quello culturale e politico, ma al contempo più coerenti nel rapporto teoria/prassi (come in genere sono state le popolazioni barbariche rispetto a quella romana);
  3. che l'unico modo per sopravvivere, per una società decadente, è quello di affidare la realizzazione dei propri valori (vissuti solo da gruppi marginali) a forze più giovani, più semplici nei costumi, più spontanee nei rapporti, non ancora pesantemente condizionate dall'ipocrisia di una civiltà che predica una cosa e ne fa un'altra. Tuttavia spontaneamente questo passaggio di testimone non avviene mai.

TEMPO E COSCIENZA

Perché tutte le cose non durano? Perché ogni cosa è costretta a negarsi, trasformandosi in altro? Noi sappiamo che il senso della vita sta nell'arrivare a capire che se avessimo potuto creare dal nulla l'essere umano, l'avremmo fatto esattamente com'è, cioè con la facoltà di scelta.

Dunque perché questo ente di natura, dotato di libertà di coscienza, non dovrebbe essere destinato a rimanere in eterno così com'è? Perché desideriamo sempre una qualunque cosa in più (p.es. poter volare), quando sappiamo bene che questo comporterà modifiche rilevanti al nostro essere?

Con Leonardo da Vinci abbiamo iniziato a studiare il volo degli uccelli, perché non ci accontentavamo di essere umani: volevamo volare come loro. E finalmente ci siamo riusciti, costruendo dei volatili meccanici. Non ci siamo accontentati di essere enti di natura, abbiamo voluto essere sovrannaturali, e con questi volatili meccanici ci siamo trasformati. Abbiamo sganciato bombe su decine di città: Guernica, Dresda, Mosca, Leningrado, Stalingrado, Hiroshima, Nagasaki... Eravamo talmente in alto, con strumenti di morte talmente potenti, che non sapevamo neppure chi andavamo a colpire. E dopo gli aerei son venuti i missili, i satelliti, le astronavi, le stazioni orbitanti..., che ancora non sappiamo quanti danni potranno arrecarci.

Sulla terra dovevamo essere soltanto "umani", così come lo eravamo stati per milioni di anni. Invece abbiamo voluto essere "sovrumani", col rischio continuo di ottenere risultati "subumani". Non ci siamo accontentati del desiderio di volare; abbiamo voluto realizzarlo anche a costo di distruggere l'ambiente e noi stessi.

Ciò che non abbiamo capito è che per poterci sentire sempre diversi, non c'è bisogno di andare oltre i limiti che la natura ci ha imposto su questa terra. Noi dobbiamo imparare a rispettare questi limiti, perché quando vivremo in altri luoghi dell'universo, nuovi limiti ci attenderanno.

* * *

In realtà noi non siamo mai esattamente quello che siamo. Se da bambini ci avessero mostrato una foto di come saremmo stati da vecchi, non ci saremmo riconosciuti. Esiste dunque qualcosa d'impercettibile nell'universo, qualcosa di infinitamente piccolo ma di estremamente potente, in grado di restare immutato nella sua essenza, nonostante i mille mutamenti dei suoi aspetti esteriori, delle sue forme fenomeniche: è la coscienza, che è come una scintilla che arde di luce propria, con un calore che, pur essendo fortissimo, può essere ridotto a un nulla.

Questo piccolissimo e potentissimo spicchio di vita è in grado di trasformare qualunque cosa. Essa stessa subisce perenni trasformazioni, ma non quelle che la porterebbero a morire. La morte non esiste nell'universo: noi in realtà non siamo mai nati e non moriremo mai. Noi non conosciamo le nostre origini, perché chiunque ci dirà di essere figlio di qualcuno. Sono così lontane le nostre origini che ci sembrano praticamente illimitate nel tempo.

Già oggi abbiamo la percezione che tutto il genere umano abbia origini così remote da perdersi nella notte dei tempi. Se la coscienza umana fa parte dello stadio superiore della materia, e questa è eterna, lo è anche la coscienza.

Nessuno può spegnere questa coscienza, neppure se fosse essa stessa a farlo; infatti basta un piccolo ravvedimento e subito si ravviva. La coscienza è libera, anche quando sembra spenta: non possiamo aiutarla a riprendersi, a riaccendersi, senza il suo consenso.

E' vero, ci sono tanti modi per spegnere la propria coscienza, persino quello di non sapere di volerlo. Si pensa p.es. che siano il destino, il caso, la sfortuna a farla brillare così poco. Qui in verità solo il rapporto con altre coscienze può aiutarci a capire se davvero il nostro fiammifero è destinato a bruciare poco o può bruciare molto di più.

* * *

Se io so che lo spazio è infinito, ho la percezione che ci possa essere da qualche parte un luogo dove poter ricominciare qualcosa che si era fatta male.

Se io so che il tempo è eterno, ho la percezione che ci possa sempre essere la possibilità di ricominciare.

Spazio e tempo, come materia ed energia, come libertà e necessità, come coscienza ed esperienza, come attrazione e repulsione, come identità e differenza, come maschile e femminile e come tante altre cose che non possono vivere le une senza le altre, sono elementi costitutivi dell'universo.

L'unica scrittura possibile nell'universo è quella che impone a se stessa le regole universali del movimento, le quali appunto escludono che con la scrittura si possa "definire" qualcosa in maniera "chiara e distinta". La scrittura serve soltanto a negare questa pretesa.

* * *

L'autocoscienza può dirsi sufficientemente adeguata quando si è coscienti dei propri limiti. Il che però non è condizione sufficiente per superarli. E non lo è neppure il desiderio di farlo.

Oggi siamo arrivati alla conclusione che non solo serve a poco prendere coscienza dei problemi, per poterli risolvere, ma neppure serve a molto desiderare fortemente di risolverli. Ci vuole ben altro: competenza nell'uso degli strumenti, organizzazione collettiva della loro gestione, senso della disciplina, controllo periodico dei risultati, visione strategica (sistemica, olistica) della realtà... Insomma un insieme di cose per cui la pratica ha una certa preponderanza sulla teoria. La teoria va bene per far partire la macchina e per metterla a punto nel primo collaudo, ma, subito dopo, prima della periodica revisione, occorre che l'autista la usi il più possibile.

Noi possiamo avere consapevolezza di noi stessi solo al negativo, mentre affrontiamo e risolviamo i nostri problemi, ed è proprio questa consapevolezza il motore che ci spinge continuamente a migliorarci. Chi non vuole farlo, pensando che i propri limiti siano insuperabili, si condanna alla frustrazione e persino all'alienazione mentale.

Infatti se è possibile trovare giustificazioni ai nostri limiti, non è possibile sentirsi appagati dopo averle trovate. I limiti son fatti per essere superati, non legittimati. Il buddismo o lo stoicismo, con le loro teorie sul "non desiderare", sono solo auto-illusioni.

Bisogna anzi fare attenzione a chi giustifica i limiti, poiché a volte questo modo serve per conservare dei privilegi acquisiti e per impedire ad altri di lottare contro questi privilegi.

Certo è che la vera consapevolezza delle cose (e di sé) può essere raggiunta solo da un uomo e da una donna maturi, ancora in forze per poter operare dei cambiamenti significativi, per poter rivendicare una certa coerenza. I giovani e gli anziani sembrano essere esclusi da questo processo: i primi perché vogliono tutto e subito e i secondi perché sono rassegnati a non poterlo avere e non vogliono perdere quello che hanno.

DIRITTO, ETICA E LIBERTA' DI COSCIENZA

Che significa che la libertà di coscienza è un concetto universale? Significa ch'essa è un valore dell'universo e non solo del nostro pianeta. Cioè anche quando la Terra avrà cessato d'esistere e la vita sarà solo cosmica, la libertà di coscienza continuerà a sussistere, impedendo che la verità delle cose s'imponga da sé.

Nessuno potrà essere obbligato a fare alcunché contro la propria volontà. Relativamente a questo principio, la differenza tra la Terra e il cosmo consisterà unicamente nel fatto che nel cosmo esso potrà essere effettivamente garantito.

Il problema è che non riusciremo a garantirlo se prima non riusciremo a farlo su questa Terra. Purtroppo gli uomini hanno imboccato una strada, da circa 6000 anni, che impedisce loro di sapere come garantire adeguatamente il rispetto di tale principio. Diciamo che per molto tempo l'hanno saputo e che poi si sono sforzati, purtroppo inutilmente, fino ad oggi, di ritrovare il bene più prezioso che hanno perduto.

Abbiamo tuttavia ancora molto tempo davanti a noi. Sappiamo che il Sole durerà ancora 5 miliardi di anni. In questi ultimi 6000 anni abbiamo sperimentato vari esempi di violazione della libertà di coscienza: lo schiavismo, il servaggio, il capitalismo e il socialismo di stato. Oggi in Cina stiamo assistendo a un nuovo esempio: il socialismo autoritario sul piano politico, unito al capitalismo sul piano economico. Questa forma di socialismo di mercato vuole essere un'alternativa sia al cosiddetto "socialismo reale" che all'attuale capitalismo monopolistico (privato e statale), presente in molte aree geografiche del pianeta.

Sono tutte forme in cui la libertà di coscienza non viene rispettata, e come nel passato ci si è opposti allo schiavismo, al servaggio, al lavoro salariato e alla proprietà statale, così è da presumere che ci si opporrà alla falsa libertà propagandata in quei paesi che vogliono imitare l'Occidente nella convinzione di non doverne subire i medesimi traumi.

È bene tuttavia chiarirsi su un punto: la libertà di coscienza non è cosa che possa essere imposta. Essa è soltanto un diritto che si può rivendicare, e là dove la si rivendica, occorre tutelarla. Non esiste un'esperienza che possa rendere obbligatoria tale libertà, poiché ciò sarebbe un controsenso. Non ci può essere niente e nessuno che impedisca a tale libertà d'essere violata, poiché, se ci fosse, la violerebbe ipso facto. La libertà di coscienza può essere solo tutelata là dove qualcuno afferma che è stata violata; quindi si tratta sempre di una tutela post factum.

Se su questa Terra non riusciamo a capire questo principio e a garantirlo praticamente, non avrà alcun senso la nostra presenza nell'universo, poiché è proprio questo principio che caratterizza meglio la nostra umanità, differenziandoci in maniera decisiva da qualunque altra cosa. Tutto il resto viene dopo e va considerato di secondaria importanza.

Noi dobbiamo porre le condizioni affinché una qualunque violazione della libertà di coscienza trovi qualcuno disposto a farsene carico. Questo ovviamente non può significare che uno, in coscienza, non possa accettare cose che nuocciono alla sua persona. Semplicemente significa che, nel caso in cui uno si penta d'aver fatto una scelta sbagliata, deve sempre avere la possibilità di rimediarvi. Nessuno può essere costretto a pagare in maniera irreparabile il prezzo delle proprie colpe, meno che mai di fronte a una ammissione personale di colpevolezza, in quanto nessuno, a priori, può mai dirsi migliore di un altro. Il buon senso dice che tutti possono sbagliare e che errare è umano. Ovviamente la possibilità del ravvedimento, per diventare un'esperienza reale, va verificata concretamente, sottoponendo l'interessato a varie forme di recupero.

L'unica pena possibile, per una scelta sbagliata, può essere soltanto l'emarginazione, che serve, più che altro, a tutelare sia il colpevole, dai possibili risentimenti altrui, sia le persone innocenti, dai rischi di subire ulteriori violazioni o di cadere nei medesimi errori del colpevole. A Caino fu messo un segno visibile di riconoscimento per evitare il linciaggio.

Emarginazione non vuol dire reclusione ma rieducazione. Cioè chi sbaglia deve essere messo in grado di non-nuocere, cioè di non peggiorare le cose, ma, nel contempo, gli si deve offrire (non una volta ma continuamente) la possibilità di un reinserimento, all'ovvia condizione di rispettare l'altrui libertà.

Non-nuocere vuol semplicemente dire che al colpevole non gli si possono affidare compiti di alta responsabilità, tali per cui possa facilmente e gravemente violare la libertà altrui. Chi vuol nuocere va isolato e nel contempo rieducato al senso della democrazia collettiva. Quindi l'isolamento non può essere qualcosa che lo opprime più di quanto possa fare la sua stessa coscienza: deve soltanto indurlo a capire che non si tratta di una punizione imposta dall'esterno, bensì di una sorta di autopunizione, che può anche terminare di fronte all'autocritica e alla riparazione morale e/o materiale del danno. Compiti di crescente responsabilità, partendo da una forma minima, possono essere assegnati immediatamente, tenendoli costantemente monitorati nelle modalità d'esecuzione e nei risultati ottenuti.

Ciò che più danneggia l'uomo, che è un essere sociale per definizione, è l'emarginazione, ma ciò che più lo ferisce e gli impedisce di ravvedersi è l'emarginazione imposta da una forza esterna, contro cui ha l'impressione di non poter far nulla. L'uomo ha bisogno di sapere che l'autoemarginazione cui è andato incontro per sua colpa, può essere rimediata in qualunque momento con un sincero pentimento. Naturalmente nessuno potrà mai sapere con sicurezza se tale pentimento sarà stato veramente sincero. La verità sta soltanto nei fatti. Gli uomini, siano essi colpevoli o innocenti, pentiti o irriducibili, bisogna metterli alla prova, e non una ma cento volte.

L'idea di martirio e i suoi interpreti


Web Homolaicus

Foto di Paolo Mulazzani


Enrico Galavotti - Homolaicus - Sezione Teoria
 - Stampa pagina
Aggiornamento: 14/12/2018