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SCAMBIO DI OPINIONI SU LAICITA' DEMOCRAZIA SOCIALISMO
 In seguito alla lettura del saggio di Pietro Ratto su Del Noce, tra l’autore
ed Enrico Galavotti, si è sviluppato uno spontaneo dibattito via mail, di cui di seguito viene
riportata la versione quasi integrale:
EG. Su Del Noce non accetto interventi che non mettano in luce il
suo tributo al fascismo di Gentile o quanto meno all'integralismo
politico-religioso che ha caratterizzato tutta la sua produzione e che ha
portato il suo principale discepolo, Buttiglione, a dare a C.L. le
fondamenta teoriche.
La tesi che Del Noce sostiene secondo cui il gramscismo sarebbe un fascismo
di sinistra è per me irrazionalistica.
PR. Credo di nutrire, più o meno con la tua stessa intensità, risentimento
nei
confronti di una cultura che non sappia essere totalmente laica e che venga
invece, come in questo nostro inquietante tempo, aggredita dalla religione.
Per non parlare di ciò che penso di CL e di Buttiglione stesso, che tu a mio
parere sopravvaluti collegandolo in qualche maniera a una tradizione
filosofica molto più nobile.
Il mio contributo vuole semplicemente mettere in luce una critica di Del
Noce, a mio parere tanto fondata quanto attuale, nei confronti di posizioni
e di partiti politici capaci solo di affermare ciò che intendono negare ma
privi di autentiche idee di rinnovamento.
EG. Di Buttiglione, quando faceva il filosofo ho letto tutto, dall'a alla
zeta,
e la sua pretesa di utilizzare il cattolicesimo romano per inverare le tesi
del marxismo non mi ha mai convinto, non foss'altro che per una ragione:
alla fine dei suoi ragionamenti poneva sempre il problema della morte, e
cioè che di fronte alla morte ogni idea di giustizia terrena perde il suo
senso e scemenze intellettuali del genere.
Ai suoi tempi (30 anni fa) simpatizzavo per Girardi e i cristiani per il
socialismo, nonché per la teologia della liberazione, che almeno avevano
capito l'apporto del marxismo alla lotta di liberazione nazionale e al
decolonialismo.
E comunque Buttiglione lo preferivo più come filosofo che come politico.
La differenza tra lui e Del Noce era che lui voleva applicare le teorie di
Del Noce sul piano politico, creando un movimento sganciato dalla Dc, nella
quale pur CL si riconosceva, specie quando vi erano leader come Moro e
Zaccagnini, ma in cui ha continuato a riconoscersi anche dopo il delitto
Moro, facendo venire il voltastomaco a molti ciellini.
Tutta la polemica di Del Noce contro i modernisti e i catto-comunisti è
fatta da posizioni di destra clericale, cui non voglio dare spazio più di
quanto la destra (politica ed ecclesiastica) ne abbia sempre avuto.
Il fatto che oggi il comunismo sia fallito non sta ad indicare che avesse
ragione questa gente di destra, ma semplicemente che le idee del socialismo
non possono essere realizzate da uno Stato autoritario ma solo da una
società democratica.
Posizioni come quelle di Del Noce o di Buttiglione oggi non hanno da dire
assolutamente nulla. Criticare il capitalismo per dar man forte alla
religione è un'operazione illusoria: anche il fascismo diceva di essere
contro il capitalismo e con la repubblica di Salò diceva addirittura di
voler realizzare il socialismo.
La religione non è in grado di risolvere alcun problema sociale.
PR. Credo fermamente, però, che le ombre del passato che ci stiamo
trascinando
dietro, non solo non servano più, ma ormai stiano evidentemente
compromettendo la politica italiana ed internazionale, a beneficio di chi
queste ombre le ha smascherate fino in fondo e le agita davanti alla gente
soltanto per fare soldi, per ottenere interessi economici.
In un tempo in
cui Internet può portare all'esplosione delle opinioni e delle posizioni
ideologiche, si sta invece producendo una preoccupante omologazione, che
spinge ancora di più la gente ad uniformarsi, a fare gregge. Un tempo in cui
persino la sinistra più radicale espelle chi si contrappone al Papa o alla
guerra.
Ma perché continuare ad insistere su due sole (e ormai infeconde)
direzioni? "Automobilisticamente parlando", svoltare sempre a destra, o
sempre a sinistra, sortisce l'unico effetto di fare il giro dell'isolato,
nulla di più. E andare sempre dritto può evidenziare una rigidità ancora
peggiore, che merita soltanto di schiantarsi contro un muro.
Andare a destra o a
sinistra, secondo me, ormai significa stare fermi a commemorare, come le
figure istituzionali che in questo momento rappresentano l'Italia. Dopo
decenni di lotte politiche e di, quanto meno in apparenza, rifiuti nei confronti
di
soluzioni di compromesso, ora si commuovono a commemorare e scoprire lapidi,
strizzano l'occhio a Ratzinger, consentono basi militari americane, travisano Gramsci fino al punto di presentarlo come un moderato o quasi..
E d'altra parte, quanto ancora serve il marxismo, in un'epoca in cui un
operaio specializzato o un artigiano guadagna molto più di un insegnante e
in molti casi è decisamente più "tutelato"? Per non parlare del fascismo o
di roba del genere, utile solo, all'epoca, a fabbricare e vendere armi per
ingrassare una classe industriale che adesso ha trovato molti e più
redditizi metodi per fare soldi (sport, televisione, musica,
"informazione"..!).
Mai come in questo tempo telematico, l'idea di una democrazia diretta è stata
così realizzabile. Provvedimenti e leggi potrebbero essere proposti dalla
collettività alla collettività, votati dalla collettività, emanati dalla
collettività, via mail! Se l'andare dritti, a destra o a sinistra (nel senso
della moderazione, della conservazione e del cambiamento), fosse finalmente
intesa come attività funzionale ad ANDARE DA QUALCHE PARTE (come accade
quando con la mia auto decido di andare al mare, non stupidamente in una sola
e unica direzione facendo coincidere quest'ultima con la meta stessa!), e
ci si decidesse ad usare le varie e molteplici direzioni a seconda dei casi,
e sempre e soltanto per il bene della collettività, non sarebbe questa
l'unica via per garantire uno stato giusto e un po' più "felice"?
Se invece del bianco e nero delle posizioni precostituite e rigide - che
servono solo a far scontrare tra loro, per le strade, adolescenti che hanno
bisogno di appartenere a un gruppo qualsiasi per affermare la propria
nullità - provassimo a dipingere il quadro servendoci di tutte le sfumature
di colore delle opinioni e delle esigenze delle persone?
Certo, questo sarebbe possibile solo se invertissimo la rotta e provassimo a
spingere i giovani, gia nell'età scolare, a pensare, ad elaborare le proprie
convinzioni personali, ad escogitare idee, e quindi a comporre e realizzare
il proprio "colore". Certo, questo sarebbe possibile se riuscissimo in
qualche modo a liberarci di chi questi vuoti scheletri del passato vuole
continuare ad imporre per non abbandonare i propri posti di potere, per
continuare a farsi rappresentare invece che permettere a tutti di
partecipare direttamente.
Ma non sarebbe questa l'unica via per una società viva, attiva, partecipe e - in quanto specchio, riflesso di tutte le aspirazioni e di tutte le
individualità - platonicamente FELICE?
EG. Mi rendo conto che la sinistra (italiana e straniera) abbia fatto un
milione
di errori, il primo dei quali è stato proprio quello di credere il
capitalismo una categoria economica necessaria per superare il feudalesimo,
ma se guardo a quello che ha sempre proposto la destra e la chiesa da cui
viene rappresentata, mi chiedo se in ultima istanza non sia stato un bene
passare dal feudalesimo al capitalismo.
Quanto meno ci siamo liberati di un'illusione sovrastrutturale, abbiamo
diffuso una certa, seppur confusa, idea di laicismo, anche se ancora
moltissimo resta da fare sul piano della democrazia sociale.
E quando ti parlo di laicismo non mi fraintendere: da studioso della storia
io penso che il cattolicesimo, separandosi dalla più spirituale confessione
greco-ortodossa, abbia contribuito non poco ad affrontare i temi religiosi
in chiave razionalista (basta vedere la trasformazione della teologia
patristica in filosofia scolastica).
Per cui in fondo mi sento di considerare il cattolicesimo-romano come una
tappa, più o meno inconsapevole, a favore della laicità.
Che poi questa laicità venga portata avanti dalla destra o dalla sinistra,
poco importa. Infatti se dovessi scegliere tra un'esperienza di socialismo
alla don Zeno di Nomadelfia e un'esperienza laicista giacobina, sicuramente
preferirei la prima. Proprio perché in ultima istanza, di fronte alle
esigenze del capitale, l'ateismo è culpa levis.
Tuttavia, voglio qui parafrase alla rovescia le parole di don Milani:
"quando verrà quel giorno io ti tradirò". Quando il socialismo sarà
realizzato, mi troverai dalla parte dei laicisti, che considerano la
religione una forma di alienazione.
Questo Del Noce non l'avrebbe mai ammesso e, con lui, il suo discepolo
prediletto.
PR. Io non so.. Non sono mai stato convinto di questo connubio fede-ragione
di
cui tanto va fiera la Chiesa. Il "Credo quia absurdum", come d'altra parte
ritengo giusto che sia, fa capolino dietro al pensiero di ogni Padre della
Chiesa, dietro le teorie di ogni teologo "riconosciuto" dal Vaticano.
Altrimenti perché questo continuo ricorso all'auctoritas, al dogma, al
sensus spiritualis, alle crociate ed ai roghi?
Il discorso di Ratisbona, secondo me, è scandaloso proprio per quello. Lì
per lì davvero sembra contenere un puro e semplice riferimento ad un dialogo
intercorso a fine Trecento tra un imperatore bizantino ed un colto persiano,
Lì per lì davvero si può credere che il Papa non intendesse appoggiare la
tesi secondo cui Maometto abbia portato solo cose cattive e disumane, solo
violenza e distruzione.
Ma poi il ragionamento procede con tutta
l'intenzione di dimostrare la veridicità di questa posizione, proprio sulla
base del supposto binomio "religione - ragione" che, a sentire Ratzinger,
costituirebbe esclusivo appannaggio della Chiesa cristiana (logicamente
cattolica), mentre tutte le altre religioni, islamismo in testa, sarebbero
"false" e "contro natura" in quanto non radicate sulla razionalità, e,
quindi, fanatiche ed integraliste.
Io credo che questo atteggiamento mistificante consistente nel far passare
la religione cristiana per ciò che non è (personalmente amo proprio il
cristianesimo che coglie la sua essenza nel paradosso, nella
coincidentia oppositorum), sia da considerarsi un tenersi costantemente alla
lontana da qualsiasi laicità.
Non è la ragione libera di pensare, di
costruire teorie, di meditare criticamente in modo personale, di istituire
un proprio rapporto con la Divinità anche nell'esperienza del trascendente e
dell'incomprensibile, quella cui si riferisce il pensiero di Ratzinger che,
in tal modo, intende vantare un primato su qualsiasi altra "superstizione".
Si tratta invece di un insieme di motivazioni e di logiche traballanti, che
fortunatamente, proprio perché poco convincenti, non eliminano, loro
malgrado, la libertà di credere o no in Dio. Sono ragionamenti a metà, che
tengono sempre buona la possibilità di utilizzare la carta del mistero,
dell'imperscrutabile, del volontarismo teologico, tutte le volte che non
riescono a reggere il confronto con la logica libera e svincolata da
qualsivoglia autorità. Proprio come fa un Buttiglione.
Questo fingere di avere la razionalità dalla propria parte permette alla
Chiesa di controllare le coscienze di chi non riesce a cercare Dio
camminando per una propria strada. Il misticismo, la comunione con la
divinità, l'essere kierkegaardianamente "davanti a Dio", sono atteggiamenti
che terrorizzano il Vaticano, perché lo mettono da parte, perché ne
delegittimano l'attività di "intermediazione".
Ecco perché temo questo nostro tempo, questo novello medio evo in cui
incredibilmente si sente di nuovo parlare del rapporto ragione-fede, come se
il Rinascimento non si fosse nemmeno mai verificato, in cui si ingaggiano
crociate mediatiche e si torna a distinguere tra imperi del bene ed imperi
del male, in cui si attualizza tutto e tutto si appiattisce disconoscendo
quella meravigliosa invenzione rinascimentale che si chiama Prospettiva e
che è stata applicata a tutto lo scibile dai grandi geni del nostro Paese.
Ecco perché ho paura di un tempo in cui in molti, in troppi, stanno cercando
di nuovo di chiamare l'Europa "Cristianità". Questa è la nostra grande
superiorità, secondo me, rispetto all'Oriente così come agli Stati Uniti
d'America. Noi abbiamo creato e vissuto il Rinascimento. Noi abbiamo
imparato a distinguere tra ragione e fede, tra morale e fede, tra politica e
fede.
Ed ora vogliamo incredibilmente rinunciare a tutto ciò.
EG. Su quanto dici a proposito del discorso di Ratisbona pronunciato dal papa
mi
trovi completamente d'accordo.
L’ho anche scritto subito dopo
www.homolaicus.com/teorici/wojtyla/ratzinger2.htm
Qui si ha a che fare con un ipocrita patentato, della "risma" di Wojtyla,
seppure con molto meno "carisma", che non può certo avere uno che si ritiene
perfettino... Da buon tedesco qual è... Non a caso il moderno ateismo
l'hanno inventato gli esegeti della Sinistra hegeliana e della Scuola di
Tubinga.
Quanto al resto, penso che Hegel abbia formulato in maniera sufficientemente
chiara i processi della dialettica, per cui ritengo che il cristianesimo non
abbia più niente da dire sul piano gnoseologico.
E comunque mi par di capire dalle tue mail che tu ti stia staccando dal
cattolicesimo-romano perorando motivazioni di tipo protestantico.
Io invece inizialmente lo feci cercando di recuperare le origini
"greco-ortodosse" del cristianesimo, dopo aver vissuto un po' di tempo in
Grecia e Romania; poi però capì che non era questione di religione. Le
contraddizioni sociali si devono risolvere in maniera sociale e politica,
relegando la fede alla sfera privata.
Su questo ho scritto molte cose nella sezione
Diritto.
Curioso come tu valorizzi la teoria della Prospettiva, accampando esigenze
di laicità, mentre io, rifiutando il nesso di laicità-borghesia, l'abbia
criticata, preferendo l'intensità spirituale dei volti bizantini, cui a tutt'oggi non siamo riusciti a trovare una valida alternativa sul piano
umanistico (non religioso).
Su questo devi vedere quanto scrivo contro
Giotto e anche gli ipertesti su
Piero della Francesca nella sezione
Arte.
Quanto al fatto di voler richiamare le radici "cristiane" dell'Europa, mi
trovi pienamente d'accordo: è un controsenso.
Sia perché non c'è solo la cultura cristiana ma anche quella laica, sia
perché all'interno dello stesso cristianesimo esistono confessioni del tutto
opposte.
PR. Ho letto con molto interesse il tuo originalissimo saggio su Giotto.
Se solo lasciassero più spesso spazio ai filosofi nel commentare le opere,
magari sui libri di Storia dell'Arte!
Sì, mi piace molto l'idea secondo cui Giotto funga da elemento di coesione e
di sostanziale compromesso tra Chiesa e borghesia, così come mi convince la
tua interpretazione dell'accorgimento prospettico in quanto importante
fattore di de-spiritualizzazione della figura..
Questa demistificazione
dell'immagine, però, questo realismo che mette in secondo piano, anzi
oscura, la spiritualità autentica, ritengo proprio sia ingrediente
essenziale, e per molti aspetti emblematico, del processo di laicizzazione
della nostra cultura così centrale in quell'epoca.
Dal punto di vista
politico Giotto non è un rivoluzionario, non lo è nemmeno il suo Francesco.
Ma contemporaneamente il suo legittimare la borghesia, il suo intessere un
legame tra essa e la Chiesa del tempo, significa proprio, a mio parere,
spostare l'asse politico della società medievale verso sinistra (perché
credo che quella fosse in qualche modo la collocazione ideologica in cui
inserire la borghesia, che stava intuendo sempre più che il potere dei soldi
avrebbe rapidamente eclissato quello dei titoli e dei privilegi nobiliari ed
aristocratici, ancora saldamente in mano al clero).
La stessa borghesia che
poi, pian piano, si è trasformata in una "nuova destra", in un potere
conservatore superficiale e capace soltanto di monetizzare tutto e tutti, ma
che, relativamente all'epoca, non può non essere considerata il motore propulsivo del
progresso e del rinnovamento. Da tutto ciò il popolo era escluso, è
vero, ma una piccola parte di esso stava trovando il coraggio di farsi
strada attraverso la ricchezza acquisita col lavoro, fino al completamento
definitivo di questo processo avvenuto con la Rivoluzione francese, emblema
di un travolgimento dei meccanismi conservatori e aristocratici, che però di
popolare ebbe ben poco.
Insomma, il tuo evidenziare e rimarcare la perdita dell'elemento sacro nel
passaggio dalla dimensione "piatta" della figura bizantina a quella
prospettica e tridimensionale giottesca mi trova assolutamente d'accordo,
anche se mi sembra tradisca quasi una tua nostalgia per l'aspetto spirituale
così tanto adombrato da una chiesa che, come afferma Heidegger, va
considerata uno dei principali fattori di sdivinizzazione della cultura
occidentale.
Quanto al carattere laico dell'uso della prospettiva, forse non
siamo così lontani, proprio perché il realismo che la contraddistingue
scaccia il sacro e mette al centro, se non l'uomo, le sue istituzioni. La
Chiesa che nei dipinti di Giotto è ancora dominante, sarà sempre più messa
da parte dai grandi artisti del Rinascimento. E questo proprio in nome di una
geniale capacità di distinguere il vecchio dal nuovo, di respingere
l'appiattimento di una cultura clericale che tutto confondeva e tutto si
annetteva, di far respirare i soggetti finalmente immersi in un'atmosfera
non più aurea ma trasparente.
La laicizzazione operata dall'uso della
prospettiva (pittorica, politica, filosofica, persino religiosa), si è
insomma servita di una classe borghese ottusa ma "dinamica", che ha
veicolato inconsapevolmente questa nuova capacità di discernimento che
culture come quella che attualmente governa il mondo, vale a dire quella
americana, per ragioni storiche non hanno potuto assorbire, esattamente come
nel caso dell'Islam.
Il risultato è sotto gli occhi di tutti. Un presidente
americano può essere messo in stato di impeachment per una sua relazione
extraconiugale esattamente come è permesso ad un padre musulmano di uccidere
la propria figlia se non segue nei minimi dettagli il Corano. Questa
mancanza di prospettiva caratterizza due popoli ottusi che, infatti,
continuano a farsi la guerra reciprocamente in nome del Bene e del Male.
EG. Indubbiamente Giotto ha contribuito a laicizzare la società presentando
una
pittura realistica o naturalistica, comunque non simbolica (in senso
religioso).
Mi può stare anche bene un processo del genere. In fondo io sono un ateo e
non m'importa nulla della religione.
Tuttavia Giotto l'ha fatto dal punto di vista borghese, cioè di classe, non
esattamente popolare.
Un punto di vista che non poteva costituire un'alternativa davvero
significativa all'iconografia bizantina, ch'era profondamente
spiritualizzata, tant'è che la chiesa romana ci ha messo più tempo a
distruggere quest'arte che non la teologia ortodossa (la scolastica era già
presente nelle università attorno al mille).
A questo punto, dovendo scegliere, preferisco la pittura bizantina, poiché
almeno essa trasmetteva un'emozione più forte, una carica di umanità più
sentita, seppure trasfigurata da elementi religiosi (che restano comunque
una forma di alienazione).
Insomma è vero che della religione non m'importa nulla, ma è anche vero che
attraverso essa si possono trasmettere valori umani superiori a quelli del
laicismo. P.es. nelle raffigurazioni giottesche della povertà di Francesco c'è sempre un'ostentazione insopportabile, un'affettazione formale,
manieristica, che alla fine non dice nulla. Infatti alla fine risultano più
importanti elementi che in teoria avrebbero dovuto apparire secondari, come
un asino in primo piano, le colonne di un tempio, una figura di spalle ecc.
Masse e volumi si sostituiscono all'intensità degli sguardi bizantini.
A me non interessa la contrapposizione schematica, ideologica, tra laicismo
e religione, ma il superamento della religione da parte di una laicità
profondamente umanistica e democratica.
Sotto questo aspetto ho avuto l'impressione che i critici d'arte non abbiamo
capito granché della svolta di Giotto: infatti la qualificano tutti come una
svolta per la modernità, come se la modernità in sé fosse un valore
superiore al medioevo, come se la laicità (storicismo, realismo,
naturalismo...) fosse in sé migliore della religione (simbolismo,
evocazione, metafisica...).
La superiorità di un valore rispetto a un altro va dimostrata praticamente,
nell'ambito della società civile, e al tempo di Giotto la classe ch'egli
rappresentava non era certo una classe che esprimeva gli interessi delle
masse contadine, che costituivano la stragrande maggioranza dei lavoratori.
Era soltanto una classe che cercava di crearsi un proprio spazio di manovra
in mezzo allo strapotere dell'aristocrazia laica ed ecclesiastica.
Ecco perché secondo me oggi occorre un superamento dell'arte giottesca che
non ci porti né al recupero della religione ed eviti accuratamente gli esiti
disastrosi della pittura contemporanea che per quanto affascinanti (cubismo,
astrattismo...), e utili per smontare l'arte occidentale, restano comunque
privi di intensità emotiva fruibile da una coscienza popolare.
A tutt'oggi non abbiamo ancora un'arte laica e popolare.
Forse un timido abbozzo è ravvisabile in Pellizza da Volpedo, nel suo Quarto
Stato.
www.homolaicus.com/arte/pellizza/
PR. La laicità non è migliore della religione, così come la modernità è molto
lontana dall'esser migliore del medio evo. Su questo siamo pienamente
d'accordo, Enrico.
Così come la spiritualità autentica e profonda non può nemmeno essere messa
a confronto con il nichilismo di una massa di persone che ormai nemmeno più
si pone il problema dei princìpi sulla base dei quali edificare la propria
esistenza.
Credo però che il processo di laicizzazione sia comunque e sempre da
intendersi come un cammino di democratizzazione. Se staccarsi
dall'auctoritas della Chiesa non significa rifiutare necessariamente la
religiosità, bensì concepire un'esistenza che possa (e non più debba) essere
religiosa ma che possa anche essere ripensata e rifondata su valori che
dalla religione prescindono completamente, allora questo va inteso comunque
e sempre come un procedere verso un tempo in cui ogni uomo, ateo o no, possa
vedersi riconosciuti pari dignità e pari diritti.
Che Giotto, e con lui
l'intera classe borghese in cui comunque si è riconosciuto anche
artisticamente, abbia consapevolmente tenuto fuori dal suo orizzonte gli
interessi del popolo è fuori di dubbio, così come, però, a parer mio è fuor
di dubbio che alla fin fine egli abbia comunque, seppur inconsapevolmente,
contribuito in modo massiccio (e con lui tutta la borghesia), a far compiere
all'umanità un passo in avanti molto importante verso una società che sappia
distinguere, separare e valorizzare le posizioni e le esigenze individuali.
Che poi ci si sia arrivati, che il cammino sia giunto alla sua conclusione,
chi mai potrebbe ragionevolmente sostenerlo? La nostra società è ancora talmente
condizionata da una mentalità ottusa e autoritaria che, in nome delle
proprie convinzioni religiose e morali, pretende di costringere altre
persone a vivere ed a comportarsi in osservanza di principi che non
riconoscono e che non fanno parte della propria tradizione o del proprio
percorso personale...
Da uomo che crede in Dio, e che desidererebbe ogni tanto piacergli, ti
assicuro che lo ringrazio del fatto che esistano atei convinti e capaci di
dialogare e di far valere le proprie convinzioni. Gli sono grato quasi più
dell'esistenza degli atei che di quella di persone che hanno fede in Lui.
EG. "Credo però che il processo di laicizzazione sia comunque e sempre da
intendersi come un cammino di democratizzazione", così tu dici.
Io invece comincio a nutrire seri dubbi sulla validità di tale equazione.
Noi siamo occidentali, viviamo in un territorio definito sotto tutti i punti
di vista: è quasi impossibile per noi vedere nell'occidente più gli aspetti
negativi che quelli positivi. Non riusciremmo a sopportare per molto questa
contraddizione, senza sentirci autorizzati a reagire in qualche maniera
risoluta.
Mettiamo le cose sulla bilancia: il progresso verso la laicizzazione c'è
indubbiamente stato, ma possiamo dire con sicurezza ch'esso abbia coinciso
con un cammino verso la democratizzazione?
Potrebbe dire questa stessa cosa un africano, un sudamericano, un asiatico
che hanno dovuto sopportare sino ad oggi il nostro colonialismo? E ti parlo
della stragrande maggioranza dell'umanità, che ancora soffre di questo
rapporto ineguale...
Che se ne fanno loro della nostra laicità quando storicamente questa è
andata di pari passo con lo sviluppo di un sistema economico tutt'altro che
democratico?
I nostri contadini al tempo di Giotto sino all'unificazione nazionale, per
non parlare delle due guerre mondiali, che cosa hanno guadagnato dalla
laicità? Non hanno forse perduto molto di più col capitalismo di quanto
abbiano ottenuto dalla laicità?
Al tempo dei romani la cultura latina era a livelli di importanza mondiale,
superata solo da quella greca, che però politicamente era uscita sconfitta
dallo scontro, anche se si riprenderà con l'impero bizantino.
E tuttavia noi possiamo forse dire che lo sviluppo del Medioevo, con la
rozza cultura dei barbari, sia stato un regresso rispetto allo schiavismo
romano? Sì lo diciamo perché tendiamo a paragonare la nostra civiltà
commerciale con quella romana, che per noi costituisce un'anticipazione
senza rivoluzione industriale. Ma lo diciamo perché noi stessi siamo
"borghesi". Se fossimo contadini che lavorano faticosamente la terra (i
tanti contadini terzomondiali che oggi ci sfamano), potremmo dire la stessa
cosa? O non dovremmo invece dire che il Medioevo, nonostante il proprio
clericalismo, fu dal punto di vista della giustizia sociale o economica un
progresso nei confronti dello schiavismo romano?
Sotto questo aspetto ho l'impressione che i nostri manuali scolastici
andrebbero riscritti completamente. Ma chi potrebbe farlo? Certamente non
uno storico occidentale. Noi non riusciamo a decentrarci, non riusciamo a
metterci dalla parte di chi ci subisce. Noi siamo convinti di essere,
nonostante tutti i nostri difetti, un modello per il mondo intero, e il
fatto che grandi paesi asiatici ed ex-comunisti vogliano diventare come noi,
è per noi una prova ulteriore della nostra indiscussa superiorità.
Dunque a che ci serve la laicità? E la religione, che pensa di poter
costituire un'alternativa al capitalismo solo perché pensa di poter essere
un'alternativa alla laicità?
In occidente noi non riusciamo neanche a porre i termini del problema...
Per noi la democrazia è una questione meramente politica (votare una
rappresentanza parlamentare del tutto formale). Se ci pensi il socialismo
dovrebbe essere l'opposto di questa democrazia.
Giotto è morto nel 1337: 40 anni dopo c'è stato il tumulto dei Ciompi... Mi
chiedo cosa avrebbe potuto pensare uno come lui di una protesta del genere.
PR. Infatti credo proprio che la società laica debba considerarsi un
principio regolativo, una meta da raggiungere ad ogni costo. E' la direzione da
tenere, nonostante i venti di questo tempo soffino quasi tutti contro.
La
borghesia ha introdotto disvalori di cui ogni istante si avverte un peso
sempre maggiore. Ma, nonostante questo, ha saputo permettere ai grandi geni
del Rinascimento di coprire di bellezza la nostra terra, di elevare la
dignità dell'uomo al di sopra del rango delle bestie, suggerendo
inconsapevolmente che è possibile uscire da quello "stato di minorità"
lamentato da Kant..
Certo, in realtà si è alleata con la religione, e i rampolli delle grandi
famiglie che nell'ancien régime governavano il mondo in virtù del proprio
sangue, ora guidano la finanza e la politica in virtù dei propri soldi e
delle proprie conoscenze.
Certo, questo tempo venale e mercificante è
nettamente peggiore di quel medio evo fatto di silenziosi simboli da
decifrare e di auree sacralità da rispettare.
Ma il denaro è più "raggiungibile", e per quanto sia incommensurabilmente
più volgare e rozzo delle virtù nobiliari, è un qualcosa di oggettivo, di
concreto, che ha potuto permettere un'indipendenza economica ad individui le
cui discendenze, altrimenti, sarebbero rimaste schiave di pochi potentissimi
inetti per l'eternità.
Molte teste sono cadute, molto sangue blu è stato
versato, affinché solo quello rosso potesse scorrere nelle vene di tutti.
Da decenni però, i benefici della società borghese si sono rivelati fattori
di decadenza morale e spirituale. Da decenni l'uomo ha aperto gli occhi
sulla notte più nera.
Ciò che quindi il denaro ha saputo comprare, ora bisogna cominciare a
svendere; ciò che ha svenduto dev'esser riacquistato.
D'altra parte, la mentalità marxiana di una struttura sociale imperniata
totalmente sull'economia, pur nella sua lotta senza quartiere alla
borghesia, non possiede qualcosa di pesantemente borghese?
EG. La borghesia in Europa occidentale ci condiziona da 500 anni, in Italia
addirittura da mille, salvo quella tristissima parentesi chiamata controriforma.
Marx ha cominciato a capire l'importanza del mondo contadino solo
nell'ultimissima fase della sua vita, quando prese contatti coi populisti russi.
Qualunque riforma o rivoluzione ha sempre risentito in occidente e sempre
risentirà del condizionamento di questa cultura, almeno finché qualcosa di
sconvolgente non vi ponga fine.
I concetti borghesi di "laicità" e di "democrazia" secondo me non valgono nulla
se messi in rapporto ai problemi che all'umanità ha causato il capitalismo:
infatti non è solo con questi concetti che possiamo risolvere le questioni
dell'antagonismo sociale. E se non li risolviamo noi rischiamo l'assoggettamento
da parte di culture oggettivamente inferiori alla nostra (come p.es. avvenne
nell'odierna Turchia, quando gli ottomani sconfissero i bizantini, ma gli esempi
potrebbero essere estesi a tutto il periodo delle invasioni barbariche
medievali). Culture inferiori alla nostra sul piano astratto della riflessione
intellettuale, ma superiori quanto a coerenza fra teoria e prassi, culture più
vicine alla sensibilità della gente comune, culture che promettono maggiore
giustizia sociale. Culture che oggi dove possiamo trovare? In quale angolo
sperduto del pianeta, non contaminato dalla nostra civiltà?
Ormai il discorso non è nemmeno più tra capitalismo e socialismo, ma tra civiltà
e postciviltà: noi dobbiamo uscire dal concetto di "civiltà" per ritrovare
l'essere umano.
PR. Allora forse, se queste culture non esistono nemmeno più,
l'assoggettamento è un rischio da non contemplare. E questo, capiscimi bene, da
intendersi in senso fortemente drammatico, perché significa che la
globalizzazione borghese non ha risparmiato, o non intende risparmiare, nessuna
zona della Terra. Nessuna nazione, nessuna coscienza, nessuno spirito. Il problema sta proprio in
questo: forse non rischiamo proprio un bel niente, perché da niente e da
nessuno può arrivare la Minaccia. E' ciò che intendo quando affermo che, se nel
corso della storia della nostra civiltà la Filosofia è sempre servita per
risolvere i problemi del proprio tempo, ora l'unico problema che la Filosofia
attuale dovrebbe pensare a risolvere consiste nel fatto che non ci siano più problemi. La
Filosofia di oggi non deve eliminare, bensì "creare",
sollevare i
problemi. Il compito del nostro riflettere, del nostro dialogare, del nostro
scrivere, deve assolutamente coincidere con una missione quanto mai importante,
al giorno d'oggi. Questa Filosofia deve tentare, un'ultima volta, di comunicare al paziente, convinto di
godere di ottima salute, che si sbaglia, che è invece molto malato, che è moribondo, che soffre di
una malattia gravissima e disperata la quale, quasi sicuramente, lo porterà alla tomba
molto prima di aver letto fino in fondo il suo stesso referto medico.
EG. Vorrei dirti su questo che da tempo ho smesso di credere in
qualche valore della filosofia. Per avere un suo valore pratico la filosofia
deve trasformarsi in politica. Se non esistessero società o civiltà
antagonistiche sarebbe sufficiente che la filosofia si trasformasse in etica,
cioè in modo umanistico di comportamento. Ma poiché abbiamo a che fare con
conflitti tra ceti e classi, tra etnie e nazionalità, dobbiamo necessariamente
dare un certo primato agli spazi che la politica può creare, in cui poi sia
possibile vivere l'etica, cioè i valori umani.
Ecco sotto questo aspetto ritengo che il limite maggiore della sinistra (dai
tempi di Marx) sia sempre stato quello di non aver dato giusto risalto alle
questioni etiche, cioè di aver dato troppo peso alla politica, che pur deve
averlo, poiché politica significa "gestione del potere", quindi possibilità di
influenzare qualunque concezione etica e filosofica.
Per un momento, quando venne fuori Gorbaciov, ebbi l'impressione che finalmente
la Russia era diventata capace di ridimensionare il primato che il leninismo
aveva voluto concedere alla politica, e di affrontare il problema della
liberazione umana nella sua interezza e globalità.
Ma evidentemente qualcosa non ha funzionato. La valorizzazione del lato "umano"
della politica è stata presa come una forma di "debolezza". 70 di socialismo non
erano serviti a far capire l'importanza della democratizzazione della vita
sociale.
Vedendo il crollo del socialismo da caserma noi occidentali ci siamo illusi di
possedere la vera "democrazia", abbiamo creduto che fosse finita per sempre
l'idea di "socialismo" (che è poi quella della giustizia sociale,
dell'uguaglianza tra gli esseri umani nella gestione della proprietà comune).
Loro hanno capito gli errori compiuti e hanno cercato di porvi riparo,
commettendone (da quel che possiamo vedere) altri ancora più grandi. Noi ancora
non abbiamo capito il lato illusorio della democrazia parlamentare e - nota
questa cosa - tutte le volte che ci è sembrato di capirlo, ci siamo trasformati
in una dittatura.
PR. Sono convinto che tutto sia Filosofia. La Filosofia non si
deve "trasformare" in etica o politica. Coincide con esse, si identifica con
tutto ciò che sta dietro alle cose ed alle azioni. Se intendi però parlare di
quella filosofia che si accontenta di essere teorica o contemplativa, allora
siamo d'accordo. Ma sono anni che combatto per far capire ai miei alunni il peso
di idee, di ideali che a prima vista potrebbero sembrare
inutili, sterili, vuota teoria. Il pragmatismo ed il materialismo di cui ormai
andiamo così fieri ha accantonato definitivamente ogni ideologia, ossia ogni
disposizione d'animo volta a condurre la propria individuale esistenza sulla
base di un insieme di scelte elaborate con logica e messe poi in pratica con
fatica e passione.
Sono così stanco di sentirmi dire che studio, o che insegno,
cose inutili. La politica che si riduce alla sola gestione del potere partorisce
mostri come quello della Ragion di Stato, macina e travolge tutto e tutti
perseguendo strategie basse e volgari cui attribuisce definizioni e
denominazioni roboanti ed eclatanti.
Nella politica che è pratica della
gestione del potere sguazza la maggior parte dei politici nazionali ed
internazionali. E' quella che giustifica atteggiamenti offensivi come quelli di
candidati alla carica di premier che riescono a spostare dalla propria parte
milioni di voti solo promettendo l'annullamento di una tassa, l'abbassamento dei
ticket... Questa è corruzione, non politica. Sono così offeso da questo modo
di fare, da questa presunzione di chi crede di potermi comprare togliendo la
tassa sui rifiuti o abbassando l'Ici.
Questo atteggiamento che tende a comprare
e vendere le persone - ed al quale ci siamo talmente assuefatti da considerare
ormai cosa normale il riservarci di votare a destra o a sinistra all'ultimo
momento, a seconda di quale dei due schieramenti ci prometta di più - è il
risultato del pregiudizio secondo cui la politica - ed in generale, nel senso
più "greco" del termine, la vita quotidiana degli individui - debba
fare a meno delle vuote idee filosofiche, degli ideologici castelli in aria di
pochi fuori di testa che in passato, come spesso sento obiettare dai ragazzi a
scuola, non avevano di meglio da fare.
Socrate è morto per questioni politiche.
Per questioni politiche è morto Giordano Bruno. Esattamente come i patrioti del
risorgimento o i partigiani, che da idee filosofiche di grande portata sono
stati animati. Dobbiamo ricominciare ad insegnare ai ragazzi a farsi comprare
dalle idee, non dai soldi. Dobbiamo ricominciare ad insegnare ai ragazzi a
pensare. Questa è vera politica, questa è vera etica. Questa è autentica
Filosofia.
EG. La filosofia per me è un modo di ragionare "borghese" o comunque
di "classe", che è servito per dare un colpo alla teologia, per laicizzare un
certo modo di vedere le cose, ma che non è servito per democratizzare la vita
sociale a favore delle classi più povere. Si sono forse emancipati i contadini
meridionali quando hanno dovuto fare, emigrando, gli operai nelle fabbriche del
nord?
Sotto questo aspetto non vedo molte differenze tra teologia e filosofia: sono
entrambe ideologie che stanno dalla parte dei "padroni", della terra o dei
capitali. Se al posto di "dio" metti "stato" o "idea", ecco che con parole quasi
uguali hai ottenuto le stesse cose.
Anche la filosofia pre-borghese è stata un fenomeno intellettuale, che ha
interessato solo una cerchia stretta di persone, che campava sfruttando il
lavoro degli schiavi o delle donne.
Io sono una contadina figlia di schiavi e quando sento parlare filosofi e
teologi ho sempre il sospetto che stiano tramando qualcosa contro di me.
Tutte le conquiste intellettuali di queste ideologie gli uomini le vivevano
spontaneamente quando erano in stretto contatto con la natura. Quanto più si
sono "civilizzati" tanto più tempo hanno speso per scoprire cose che già
sapevano e che vivevano senza alcun bisogno di metterle per iscritto,
semplicemente tramandandosele di bocca in bocca.
Filosofia e Teologia sono scienze dell'individuo che ha smarrito la propria
tribù e non sa più come orientarsi e ha bisogno di trovare delle spiegazioni ai
fantasmi che crede di vedere sul suo cammino incerto, pauroso, in cui crede di
vedere nella natura e non in se stesso, nel suo stile di vita individualistico
il principale nemico da affrontare.
Pietro Ratto - www.boscoceduo.it
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