Umano e Naturale, da qui all'eternità

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Umano e Naturale, da qui all'eternità

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Una persona autoconsapevole non può avere alcun interesse a sapere com'è nata, perché, anche se potesse guardarsi sin dal momento della fecondazione, non sarebbe in grado di riconoscersi. Se quei nove mesi di gestazione fossero davvero importanti, ai fini dell'identità di sé, noi dovremmo conservarne piena memoria; invece noi non ricordiamo neppure i nostri primi anni di vita. La nostra memoria inizia a svilupparsi verso i tre-cinque anni e non ci preoccupiamo affatto di non ricordare nulla di quanto fatto prima.

Questo vuol dire che il momento del nostro concepimento, della nostra gestazione in utero e persino dei nostri primi anni di vita hanno, a parità di condizioni tra un neonato e l'altro, un'importanza relativa. Per noi non è importante conoscere l'inizio della nostra vita, poiché l'ignoranza assoluta di questi stati iniziali di esistenza non ci priva di alcunché. E, viceversa, non aumenterebbe di un cappello la nostra conoscenza neppure se noi, nella fase embrionale, fossimo già dotati di una straordinaria memoria.

In qualunque momento della nostra vita abbiamo già in noi tutto quello che ci serve per diventare quel che dobbiamo diventare. Questo significa che per noi ciò che conta è solo il presente. Lo sviluppo avviene solo nel presente: passato e futuro, in un certo senso, non esistono, rappresentano il non-essere, che pur dobbiamo dare per scontato, in quanto, se vogliamo, esso ci precede e ci supera. Quindi, in un altro senso, il non-essere è anche più importante dell'essere.

Non ricordando nulla dei primi momenti del nostro passato, per noi è come se non fossimo mai nati. E il fatto di non sapere quando verrà la nostra fine, ci fa pensare che non moriremo mai. Solo chi ha coscienza di non essere mai nato è convinto di non poter morire mai.

La morte che sperimentiamo su questa terra è equivalente alla nostra nascita: resta indeterminata. Lo diceva bene Epicuro: "se ci sei tu, non c'è lei e se c'è lei non ci sei tu". Infatti non possiamo assistervi: non possiamo guardarla dall'esterno. Noi non possiamo mai guardarci dall'esterno, nemmeno con uno specchio, poiché, nel momento in cui lo facciamo, non facciamo nulla. Racchiudiamo il presente in un semplice guardarsi, che è quanto di più innaturale. Se ci pensiamo bene, sono i matti  che hanno lo sguardo fisso.

Il fatto di avere coscienza di qualcosa che non ci appartiene (il passato e il futuro, che possiamo vivere solo come presente), ci autorizza a pensare, proprio per questo motivo, che la nostra coscienza è assolutamente illimitata, insondabile nella sua profondità. Cioè la consapevolezza di non poter afferrare completamente tutto il nostro non-essere, rende il nostro essere illimitato. Non a caso noi diciamo di essere figli dell'universo, in cui l'immensità e la profondità e l'infinità della materia per noi costituisce una garanzia assoluta del nostro essere. Non siamo semplicemente figli della terra e tanto meno dei nostri genitori.

Chi pensa che il nostro universo sia limitato o debba implodere o contrarsi o esaurire la propria energia o tornare al punto di partenza, non si rende conto che noi non abbiamo neanche le parole per leggere adeguatamente questo universo. La stessa parola "uni-verso" riflette soltanto quella porzione di universo che noi dalla terra possiamo vedere. Se noi avessimo piena consapevolezza della nostra nascita, ne avremmo anche della nostra morte. Invece questa indeterminatezza si rende assolutamente liberi. La libertà sta proprio nel principio di indeterminatezza, che pur ha le sue leggi.

La garanzia dell'essere è data proprio dal non-essere. Siamo giunti all'opposto di quanto affermava Parmenide col suo schematico principio: "l'essere è, il non-essere non è". In realtà dovremmo dire che l'essere è proprio perché esiste il non-essere.

Se questo è vero, le implicazioni pratiche sono notevoli. Anzitutto diventa impossibile affermare una qualsivoglia identità senza l'apporto della diversità. Una cultura che pretende di farsi valere prima di entrare in rapporto con altre culture, è solo un'arrogante ideologia, una sorta di totalitarismo, che inevitabilmente si esprime anche in forme politiche dittatoriali.

In secondo luogo dobbiamo sostenere che, se siamo figli dell'universo, tutto quanto di umano e naturale non riusciamo a realizzare nella dimensione terrena, dovremmo necessariamente realizzarlo in una extraterrena, per cui sarebbe bene non perdere tempo su questa terra con relazioni di tipo individualistico e antagonistico.

Gli aspetti umani e naturali sono quelli che caratterizzano meglio la nostra identità: se vogliamo essere noi stessi, non possiamo prescinderne. La nostra libertà di coscienza, che è il valore più grande dell'universo, può essere adeguatamente tutelata solo all'interno di condizioni e processi umani e naturali. Quelle condizioni e quei processi che abbiamo abbandonato negli ultimi seimila anni di storia, cioè da quando abbiamo fatto nascere le civiltà.

Se continuiamo ad essere "disumani" e "innaturali", l'universo non saprà che farsene di noi. Non ci permetterà di popolare alcun altro pianeta, anche se, sul piano tecnologico, sembriamo quasi pronti per farlo.

HA SENSO UNA DICHIARAZIONE UNIVERSALE DEI VALORI UMANI?

Si può parlare di diritti o di valori universali dell'uomo? Cioè si può dire che, nonostante le differenze che su questa Terra ci separano, abbiamo degli elementi comuni? Questi elementi, per essere davvero comuni, in mezzo a così tante differenze, dovrebbero essere fondamentali, perché se fossero solo marginali, non varrebbe neppure la pena cercare di stabilirli una volta per tutte.

Infatti la stragrande maggioranza delle popolazioni del mondo non ha contatti così cogenti con altre popolazioni. Certo, si viaggia molto, ma per poi ritornare a casa. E se ci si trasferisce definitivamente in un determinato luogo, si finisce, ad un certo punto, per assimilare gli usi e costumi che s'incontrano.

Dunque se davvero ci si pone il compito di trovare dei valori universali, questi devono proprio essere fondamentali. Altrimenti sarebbe un'operazione inutile per almeno due ragioni: la prima è che non ha senso trovare dei valori universali se poi non si ha modo di farli rispettare. È inutile dirci cosa ci unisce quando poi, in caso di necessità, diamo più peso alle differenze e ci asteniamo dall'intervenire.

La seconda cosa è ancora più importante. Non ha alcun senso pensare che possano esistere delle popolazioni che, al loro interno, non sono capaci di individuare dei valori comuni in grado di farle esistere pacificamente. Se una popolazione non è in grado di trovare, in se stessa, tali valori, inevitabilmente si autodistrugge o costituisce un grave pericolo per altre popolazioni. Sarebbe pertanto del tutto inutile mettersi a cercare dei valori universali con una popolazione del genere (anche quando vi si riuscisse, essa sarebbe la prima a non rispettarli).

Quindi, prima di cercare dei valori umani universali, bisogna dare per scontato che ogni popolazione, al proprio interno, li abbia già trovati. Se si parte da questo presupposto, sarà facile che ogni popolazione si riconosca in una Dichiarazione universale dei valori e dei diritti umani.

Tuttavia, qui bisogna stare attenti a non fare una cosa inutile anche per un'altra ragione. Se per stabilire dei valori umani universali, occorre formulare dei principi molto vaghi e generici, in modo che tutti possano facilmente riconoscersi, è meglio non fare nulla. Se ci si deve riconoscere su degli aspetti minimali o puramente astratti, come è successo per la Dichiarazione dell'Onu, formulata nel 1948, è meglio puntare l'attenzione su cose più concrete, più prosaiche, ma più efficaci.

D'altra parte se si è davvero convinti che sia possibile formulare dei principi di alto livello sui valori umani universali, allora bisogna anche mettersi d'accordo sui mezzi per farli rispettare quando vengono violati.

Ora, è difficile incontrare una popolazione disposta ad accettare una condizione del genere: sia perché le più deboli (politicamente, economicamente, militarmente) temono d'essere fagocitate dalle più forti; sia perché quest'ultime pensano di non aver bisogno di alcun controllo, o comunque di avere sufficiente autorità per poterne fare a meno.

Se esistesse un organismo internazionale avente potere sufficiente per far rispettare i valori umani universali, al suo interno tutti i componenti dovrebbero avere lo stesso potere: il che oggi è impensabile.

Se il mondo non fosse dominato da determinate potenze, forse si potrebbe anche pensare a una Dichiarazione universale dei valori umani. Ma se non ci fossero tali superpotenze, a che servirebbe una dichiarazione del genere? Perché volerla quando già la si vivrebbe nella pratica? Se non siamo tutti liberi, perché dire che la libertà è un valore universale? E se lo siamo, a che serve dirlo?

Se la richiesta di formulare dei valori umani universali è un'esigenza delle sole nazioni più deboli, è evidente che quelle più forti non ne terranno conto, in un modo o nell'altro. Se invece è una esigenza delle nazioni più forti, quelle più deboli possono sempre pensare che sia un modo diverso per intromettersi nei loro affari, o comunque una forma di propaganda per continuare a fare le cose di prima in maniera diversa. Ognuno si rende conto da sé che è possibile parlare di valori universali solo in maniera molto astratta e generica, prescindendo totalmente dalle reali situazioni in cui questi valori non vengono applicati.

Le dichiarazioni universali dei diritti risentano dell'idealismo di matrice cristiano-borghese. Si fanno affermazioni astratte di alto livello filosofico, giuridico e politico, perché evidentemente ci si sente in colpa (p.es. per aver scatenato due guerre mondiali), oppure perché si pensa che quello sia un modo diverso per dimostrare la propria superiorità (in precedenza infatti si era cercato di dimostrarla con strumenti più pratici: scienza, tecnica, armi, capitali...).

Ciò può far pensare che se la borghesia ha bisogno di ricorrere a mezzi così raffinati per continuare a sopravvivere, significa che ha perduto qualche certezza del suo passato, quando essa riusciva a imporsi usando la forza.

Se oggi fossimo un minimo coerenti, cercheremo di applicare i diritti umani universali almeno a quelle situazioni che in maniera molto evidente appaiono illecite, illegittime, inumane, come p.es. la tortura o certe situazioni carcerarie, che spesso portano a rivolte, suicidi, promiscuità sessuale, violenza gratuita. Ma altri esempi si potrebbero fare, non meno eclatanti: le donne che muoiono in stato di gravidanza, perché non sufficientemente assistite o i bambini maltrattati, denutriti, non scolarizzati, soggetti a pedofilia o a prostituzione o costretti a impugnare le armi. Se non riusciamo ad affrontare casi così gravi, dove la violazione dei diritti e dei valori umani è palese, cos'altro merita d'essere discusso?


Web Homolaicus

Foto di Paolo Mulazzani


Enrico Galavotti - Homolaicus - Sezione Teoria
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Aggiornamento: 14/12/2018