Bacone: idoli, ragni, formiche, api e filo d'Arianna

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Benedetto XVI contro Bacone

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F. Bacon

Nel cuore di un’enciclica del 30 novembre 2007, la Spe salvi, il papa Benedetto XVI lancia contro Francesco Bacone l’accusa di aver portato fuori strada l’Occidente cristiano.

Affascinato dalle grandi scoperte geografiche e dalle invenzioni tecniche del suo tempo, il filosofo inglese – sostiene il papa – ha visto nel potere della scienza la possibilità per l’uomo di riprendersi il dominio sulla creazione, datogli da Dio e perso nel peccato originale. Nasce con lui e dilaga in età moderna l’ideologia del progresso: il nuovo sapere rimedia agli effetti terreni del peccato originale, lasciando alla fede la cura degli effetti ultraterreni.

Il papa vede in Bacone il padre della distinzione tra la scienza e la fede, tra la fiducia nell’uomo per i problemi di questo mondo e la fede religiosa per la salvezza eterna.

La fede nel progresso – scrive il papa – non nega la fede religiosa ma la ridimensiona e la sposta “su un altro livello – quello delle cose solamente private ed ultraterrene”, e la rende “in qualche modo irrilevante per il mondo”.[1] E’ il peccato originale della modernità. La fede cristiana si riduce alla sola dimensione individuale, a “ricerca egoistica della salvezza” dell’anima, diventa “fuga davanti alla responsabilità dell’insieme”. La speranza cristiana perde la sua originale natura comunitaria e “performativa”, mantenuta fino alle soglie della modernità. Infatti, spiega il papa, il messaggio cristiano “non è soltanto una comunicazione di cose che si possono sapere, ma è una comunicazione che produce fatti e cambia la vita”.[2]

Gesù non è Spartaco, né un “combattente per una lotta politica, come Barabba”, ma il suo messaggio cambia “la società dal di dentro”, “anche se le strutture esterne restano le stesse”. I cristiani “appartengono ad una società nuova, verso la quale si trovano in cammino e che, nel loro pellegrinaggio, viene anticipata”.[3]

“Coerentemente, il peccato viene compreso dai Padri come distruzione dell'unità del genere umano, come frazionamento e divisione. Babele, il luogo della confusione delle lingue e della separazione, si rivela come espressione di ciò che in radice è il peccato. E così la «redenzione» appare proprio come il ristabilimento dell'unità, in cui ci ritroviamo di nuovo insieme in un'unione che si delinea nella comunità mondiale dei credenti”.[4]

Quella cristiana è “una salvezza comunitaria”, “una realtà comunitaria”.

Nella Lettera agli Ebrei – ricorda il papa – san Paolo parla di una «città».

La natura comunitaria e “performativa” originaria – sottolinea Benedetto XVI – è ancora ben presente nel cristianesimo medievale: “Bernardo dice esplicitamente che neppure il monastero può ripristinare il Paradiso; sostiene però che esso deve, quasi luogo di dissodamento pratico e spirituale, preparare il nuovo Paradiso. Un appezzamento selvatico di bosco vien reso fertile – proprio mentre vengono allo stesso tempo abbattuti gli alberi della superbia, estirpato ciò che di selvatico cresce nelle anime e preparato così il terreno, sul quale può prosperare pane per il corpo e per l'anima”.[5]

Il comunitarismo cristiano va, però, in crisi in età moderna.

“Come ha potuto svilupparsi – si domanda il papa – l'idea che il messaggio di Gesù sia strettamente individualistico e miri solo al singolo? Come si è arrivati a interpretare la «salvezza dell'anima» come fuga davanti alla responsabilità per l'insieme, e a considerare di conseguenza il programma del cristianesimo come ricerca egoistica della salvezza che si rifiuta al servizio degli altri?”

“Per trovare una risposta all'interrogativo – scrive il papa – dobbiamo gettare uno sguardo sulle componenti fondamentali del tempo moderno. Esse appaiono con particolare chiarezza in Francesco Bacone. Che un'epoca nuova sia sorta – grazie alla scoperta dell'America e alle nuove conquiste tecniche che hanno consentito questo sviluppo – è cosa indiscutibile. Su che cosa, però, si basa questa svolta epocale? È la nuova correlazione di esperimento e metodo che mette l'uomo in grado di arrivare ad un'interpretazione della natura conforme alle sue leggi e di conseguire così finalmente «la vittoria dell'arte sulla natura» (victoria cursus artis super naturam). La novità – secondo la visione di Bacone – sta in una nuova correlazione tra scienza e prassi. Ciò viene poi applicato anche teologicamente: questa nuova correlazione tra scienza e prassi significherebbe che il dominio sulla creazione, dato all'uomo da Dio e perso nel peccato originale, verrebbe ristabilito.[6]

“Chi legge queste affermazioni – continua il papa – e vi riflette con attenzione, vi riconosce un passaggio sconcertante: fino a quel momento il ricupero di ciò che l'uomo nella cacciata dal paradiso terrestre aveva perso si attendeva dalla fede in Gesù Cristo, e in questo si vedeva la «redenzione». Ora questa «redenzione», la restaurazione del «paradiso» perduto, non si attende più dalla fede, ma dal collegamento appena scoperto tra scienza e prassi. Non è che la fede, con ciò, venga semplicemente negata; essa viene piuttosto spostata su un altro livello – quello delle cose solamente private ed ultraterrene – e allo stesso tempo diventa in qualche modo irrilevante per il mondo. Questa visione programmatica ha determinato il cammino dei tempi moderni e influenza pure l'attuale crisi della fede che, nel concreto, è soprattutto una crisi della speranza cristiana. Così anche la speranza, in Bacone, riceve una nuova forma. Ora si chiama: fede nel progresso. Per Bacone, infatti, è chiaro che le scoperte e le invenzioni appena avviate sono solo un inizio; che grazie alla sinergia di scienza e prassi seguiranno scoperte totalmente nuove, emergerà un mondo totalmente nuovo, il regno dell'uomo. Così egli ha presentato anche una visione delle invenzioni prevedibili – fino all'aereo e al sommergibile. Durante l'ulteriore sviluppo dell'ideologia del progresso, la gioia per gli avanzamenti visibili delle potenzialità umane rimane una costante conferma della fede nel progresso come tale”.[7]

“Al contempo, – scrive ancora il papa – due categorie entrano sempre più al centro dell'idea di progresso: ragione e libertà. Il progresso è soprattutto un progresso nel crescente dominio della ragione e questa ragione viene considerata ovviamente un potere del bene e per il bene. Il progresso è il superamento di tutte le dipendenze – è progresso verso la libertà perfetta. Anche la libertà viene vista solo come promessa, nella quale l'uomo si realizza verso la sua pienezza. In ambedue i concetti – libertà e ragione – è presente un aspetto politico. Il regno della ragione, infatti, è atteso come la nuova condizione dell'umanità diventata totalmente libera. Le condizioni politiche di un tale regno della ragione e della libertà, tuttavia, in un primo momento appaiono poco definite. Ragione e libertà sembrano garantire da sé, in virtù della loro intrinseca bontà, una nuova comunità umana perfetta. In ambedue i concetti-chiave di «ragione» e «libertà», però, il pensiero tacitamente va sempre anche al contrasto con i vincoli della fede e della Chiesa, come pure con i vincoli degli ordinamenti statali di allora. Ambedue i concetti portano quindi in sé un potenziale rivoluzionario di un'enorme forza esplosiva”.[8]

L’uomo moderno baconiano, però, secondo il papa, si è illuso: l’umanesimo “senza Dio” ha fallito, come provano gli esiti delle rivoluzioni e del marxismo.

Nel suo pesante bilancio fallimentare degli ultimi secoli il papa non dedica una sola parola ai fascismi e al nazismo. Li ritiene forse estranei al delirio della modernità per il loro irrazionalismo ed il loro comunitarismo?

L’errore della modernità è, infatti, per il papa la fiducia nella “intrinseca bontà” della ragione e della libertà. Non bisogna fidarsi della ragione e della libertà: i mezzi, le strutture, che la ragione può realizzare non bastano per il benessere sociale e la libertà non va lasciata a se stessa.

“Anche le strutture migliori – scrive il papa – funzionano soltanto se in una comunità sono vive delle convinzioni che siano in grado di motivare gli uomini ad una libera adesione all’ordinamento comunitario. La libertà necessita di convinzione; una convinzione non esiste da sé, ma deve essere sempre di nuovo riconquistata comunitariamente”.[9]

Ragione e libertà hanno bisogno del correttivo religioso e comunitario.

Per il papa “è necessaria un'autocritica dell'età moderna in dialogo col cristianesimo e con la sua concezione della speranza. In un tale dialogo anche i cristiani, nel contesto delle loro conoscenze e delle loro esperienze, devono imparare nuovamente in che cosa consista veramente la loro speranza, che cosa abbiano da offrire al mondo e che cosa invece non possano offrire. Bisogna che nell'autocritica dell'età moderna confluisca anche un'autocritica del cristianesimo moderno, che deve sempre di nuovo imparare a comprendere se stesso a partire dalle proprie radici”.[10]

Il papa invita il cristianesimo a tornare alle proprie origini, per recuperare l’impegno ad agire comunitariamente nel mondo per un controllo, a fin di bene, della ragione e della libertà.

L’umanesimo moderno, messo sotto accusa dal papa, farebbe bene a tornare anch’esso alle proprie origini classiche per approfondire, con la fiducia nella ragione e nella libertà, anche la coscienza dei limiti umani.

Rielaborando il mito di Prometeo, Protagora ha detto con estrema chiarezza che i mezzi tecnici non bastano, che l’uomo non si salva con il semplice dominio delle cose e con le strutture, che il progresso tecnico va integrato con il rispetto e la giustizia (aidòs e dike), con l’educazione morale e politica (paidéia).

L’umanesimo di Protagora non esclude la dimensione religiosa.

Ci è nota la sua posizione sugli dei: “Riguardo agli dei, non sono in grado di sapere né che sono né che non sono, né che natura abbiano: molti, infatti, sono i fattori che impediscono di saperlo, sia l’oscurità della questione sia la brevità della vita umana”.

Non è espressione di ateismo, ma di coscienza dei limiti umani.

L’altro frammento rimastoci di tutta la sua produzione dice: “L’uomo è misura di tutte le cose (cremàton), di quelle che sono in quanto sono, di quelle che non sono in quanto non sono”.

La traduzione del termine greco cremata con la parola “cose” non rende lo spirito dell’umanesimo di Protagora.

Cosa è nella nostra lingua la parola più indeterminata, mentre la parola crema (crematos al genitivo) significa al plurale (cremata) beni, averi, sostanze, ricchezze, fortuna, possesso, tesoro, denaro, merci, mentre al singolare può significare denaro, prezzo, fatto, avvenimento; può significare anche cosa, ma si tratta di un significato molto secondario.

Le cose di cui l’uomo sarebbe misura non sono pertanto le cose indeterminate, gli enti tutti o l’essere, ma le cose con le quali l’uomo entra in rapporto per usarle come risorse per fini suoi, i valori d’uso, i prodotti del progresso tecnico.

Protagora mette l’uomo al centro del proprio mondo, non della realtà tutta escludendo gli dei o altro.

Il suo umanesimo non è superbia insolente nei confronti dell’universo.

Invita l’uomo a contare sulla proprie forze, a misurare il progresso tecnico con tutta l’umanità di cui è capace, cercando di rendersi sempre migliore con l’educazione.

Anche una rilettura del mito di Aracne aiuterebbe a capire che l’umanità ha intuito, fin dai tempi remoti, i limiti del progresso tecnico: chi si crede dio per bravura tecnica scende a livello animale.

Un umanesimo consapevole delle proprie radici classiche può benissimo convivere con un cristianesimo “performativo” e comunitario, purchè il mondo cristiano non pretenda di includere nella propria comunità tutta la realtà sociale di cui è solo parte, piccola o grande fin che si vuole, ma solo parte, non più il tutto come pretendeva di essere fino a non molto tempo fa.

Il papa può benissimo richiamare il suo gregge al comunitarismo performativo delle origini, ma gli egregi, cioè quelli fuori del gregge, stiano attenti: che i cristiani vogliano agire comunitariamente per cambiare il mondo in cui vivono è del tutto legittimo, purchè tengano sempre presente che nel tutto sociale di cui fanno parte ci sono anche gli altri, animati da altre fedi, religiose o solo mondane, comunitarie o individuali; il comunitarismo di una parte, anche se maggioritaria, non può pretendere che la totalità sociale sia comunitaria e conforme al proprio modello.

Il comunitarismo che si riconosce parte, e riconosce sempre ai propri membri il diritto di uscirne, è legittimo; quello che pretende di essere la totalità sociale è opprimente e va combattuto.

Infine, qualche parola in difesa di Bacone.

Si potrebbe cominciare con la lettura del contesto da cui il papa ha tratto gli elementi di accusa. Ad esempio, a conclusione dell’aforisma 129 (libro primo del Nuovo Organo), egli scrive che la potenza tecnica non deve essere abbandonata a se stessa: “la retta ragione e la sana religione”, dirigendone l’uso, possono evitare la “depravazione delle arti e delle scienze”. Anche l’aggettivazione baconiana dovrebbe non risultare sgradita al papa e addolcire la severità inquisitoria dell’ex-prefetto dell’ex-Santo Uffizio.

Si potrebbe continuare con un’attenta lettura dell’opera utopica La nuova Atlantide, per scoprire che, nel suo paese ideale, Bacone non mette gli scienziati al potere come Platone ci metteva i filosofi, ma assicura loro abbondanti mezzi, piena libertà di ricerca e autonomia. Parla di un antichissimo re, Solamone, che tra le tante cose eccellenti fondò la Casa di Salomone, un’istituzione “per la ricerca e la scoperta della vera natura delle cose”, la fondazione che gli abitanti di Atlantide ritengono “la più nobile che mai sia esistita sulla terra, guida e luce di questo regno”. Bacone non ci parla dell’organizzazione politica della sua isola ideale, ma da quel che dice di questa istituzione, di questo collegio di scienziati, si evince che la scienza è libera e autonoma ma non ha potere politico. Scrive infatti: “Teniamo – spiega il “Padre della Casa di Salomone” – consultazioni per decidere quali scoperte ed esperienze da noi realizzate possano essere rese note al pubblico e quali no; prestiamo tutti un giuramento di non diffondere mai quelle che pensiamo debbano essere segrete. Alcune di queste talvolta le riveliamo allo Stato; altre neppure ad esso”.

Garantiti nella loro libertà e autonomia gli scienziati non considerano la loro istituzione parte dello Stato, meno ancora sono al suo vertice politico.

Non c’è in Bacone una scienza di Stato, ma neppure uno Stato degli scienziati. Questi costituiscono, invece, un specie di clero scientifico: convinto che il pubblico sia incompetente e nocivo alla scienza, Bacone restringe la democrazia della scienza agli scienziati.

Gli scienziati ideali di Bacone, più che gestire il potere politico, gestiscono il potere della scienza: un nuovo clericalismo?

C’è ancora un passo del discorso del “Padre della Casa di Salomone” che merita di essere citato: “Abbiamo inni e uffici religiosi che recitiamo ogni giorno, per lodare e ringraziare Iddio delle sue opere meravigliose, e varie forme di preghiere per implorare il suo aiuto e la sua benedizione perché ci illumini nelle nostre fatiche e perché le diriga verso scopi giusti e santi”.

L’ha letto il papa questo passo?

L’autonomia del clero scientifico sembra realizzarsi anche in campo religioso: esso non si rivolge al clero religioso per avere indicazioni divine, ma direttamente a Dio; gli scienziati hanno una morale e una religione, ma sono adulti. Non si possono, però, vedere in questa completa autonomia i presupposti per la separazione tra fede religiosa e fede nel progresso scientifico che il papa lamenta. Forse, semmai, il germe di un conflitto tra due diversi clericalismi.

Note

[1]Paragrafo 17.

[2]Par. 2.

[3]Par. 4.

[4]Par. 14.

[5]Par. 15.

[6]Par. 16.

[7]Par. 17.

[8]Par. 18.

[9]Par. 24.

[10]Par. 22.


Torino 16 gennaio 2012

Giuseppe Bailone


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Aggiornamento: 26-04-2015