JOHN LOCKE: quadro storico e biografia

TEORICI
Politici Economisti Filosofi Teologi Antropologi Pedagogisti Psicologi Sociologi...


JOHN LOCKE (1632-1704)

I - II - III - IV - V - VI - VII - VIII - IX - X

John Locke

QUADRO STORICO

Siamo nel periodo più turbinoso della storia inglese, che diede le due memorabili rivoluzioni: prima, la decapitazione di Carlo I (1649) e la repubblica di Cromwell, seguita nel 1660 dalla restaurazione delle monarchia degli Stuarts; poi, dalla loro cacciata nel 1688, e dalla instaurazione delle monarchia costituzionale con Guglielmo di Orange. E' da rilevare che la questione politica fu alimentata sempre, in questo periodo, da quella religiosa fra le varie chiese che si contendevano il potere anche politico, finché la Chiesa Alta, cioè anglicana, finì con avere il predominio.

QUADRO CULTURALE

Influssi di Cartesio e di Bacone

Cartesio è senz'altro il pensatore a cui Locke deve di più: anche se le conclusioni e lo stesso modo di procedere sono molto differenti, rimangono cartesiani la fiducia nella ragione, l'applicazione metodica della ragione stessa, l'attenzione esclusiva al soggetto, l'esame introspettivo, la problematica essenzialmente psicologica. La sua dipendenza da Cartesio Locke la riconosce a chiare lettere, attribuendo "a quel nobiluomo, giustamente ammirato, la grande obbligazione della sua prima liberazione dalla maniera inintelleggibile di parlare di filosofia in uso nelle scuole". Riassumendo, quindi, queste sono le sopravvivenze cartesiane nella filosofia di Locke:

1) Locke e Cartesio condividono la venerazione per la scienza del mondo esterno;

2) Locke comincia dal dubbio, come Cartesio, e respinge ogni tradizione ed autorità stabilita; ma non cade poi nel dogmatismo e non si avventura nella metafisica; resta fedele all'esperienza e procede guardingo in tutte le sue asserzioni, introducendo il libero esame in ogni ramo del sapere;

3) Locke dà importanza nella sua filosofia all'esperienza immediata interna, che era l'ubi consistam della dottrina cartesiana: infatti nella dimostrazione della nostra esistenza si fonda sul "cogito" di Cartesio, e nella prova dell'esistenza di Dio ricorre alla consapevolezza indubitabile del nostro esistere, quindi sempre al principio cartesiano;

4) infine egli ammette una conoscenza intuitiva delle proposizioni analitiche, della nostra esistenza e del principio di causa, il che ricorda le verità chiare e distinte di Cartesio.

Ma ciò che corregge (e molto profondamente) il suo cartesianesimo è quel modo meticoloso, analitico, positivo di procedere che evita ogni volo metafisico, che si contenta del semplice esame dei "fatti" psicologici. Niente grandi deduzioni generali, niente sistemi onnicomprensivi, niente romanzi filosofici, ma il solo puro dato. Tutto questo lo inserisce nella tradizione "empiristica" inglese di Ockham, Bacone, Hobbes...e ne fa anzi uno dei suoi maggiori rappresentanti.

Una lunga tradizione (che risale ad Hegel) vede in Locke il fondatore del cosiddetto "empirismo inglese" ossia di quella corrente della filosofia moderna, proseguita da Berkeley e Hume, che si sviluppa a cavallo tra Seicento e Settecento e che in parte si inscrive già nell'atmosfera illuministica, di cui risulta una delle componenti di fondo.

Sul piano storico-genetico l'Empirismo si innesta sulla tradizione del pensiero inglese (da Ruggero Bacone a Ockham a Francesco Bacone) e rappresenta un punto di incontro di essa con il cartesianesimo da un lato, da cui desume concetti e terminologia, e con la Rivoluzione Scientifica dall'altro, da cui deriva l'appello all'esperienza ed una nuova metodologia del sapere. Filosoficamente parlando, nei confronti del razionalismo, l'empirismo risulta caratterizzato dalla teoria della ragione come un insieme di poteri limitati dall'esperienza, intesa, quest'ultima:

1) come fonte ed origine del processo conoscitivo; 2) come criterio di verità o strumento di certificazione delle tesi dell'intelletto, che risultano valide solo se suscettibili di controllo empirico. Mentre il primo aspetto riconnette l'empirismo a tutta la tradizione anti-innatistica delle filosofia occidentale, a cominciare da Aristotele, il secondo aspetto, che è il carattere più originale e decisivo dell'empirismo moderno, pur essendo presente in Locke, viene fatto valere in tutta la sua forza e coerenza solo da Hume.

Il richiamo costante all'esperienza fa sì che l'empirismo, in antitesi al razionalismo, tenda ad assumere un atteggiamento limitativo o critico nei confronti delle possibilità conoscitive dell'uomo e a seguire un indirizzo anti-metafisico che respinge fuori dalla filosofia e da ogni ricerca legittima i problemi riguardanti realtà che non sono accessibili agli strumenti mentali di cui l'uomo dispone. Tuttavia né Locke, né soprattutto Berkeley, tagliano completamente i ponti con la metafisica, cosa che solo Hume farà in modo esplicito e rigoroso.

ITER BIOGRAFICO E INTELLETTUALE

+ 1632 Nasce da una famiglia di tendenza calvinista: suo padre aveva preso parte alla guerra civile nel 1642, militando nell'esercito del Parlamento.

+ 1652 Inizia gli studi ad Oxford, dove consegue i primi gradi baccelliere e maestro di arti. In quella università insegnerà poi greco e retorica e infine filosofia morale.

I primi scritti di qualche importanza vanno dal 1660 al 1667, e trattano di questioni politico-religiose.

+ 1664 A quest'anno risale lo scritto dei Saggi sulla legge di natura. La sua importanza non è tanto per l'atteggiamento politico, che qui appare come quello di uno schietto conservatore, ma per quello filosofico, a mezza strada fra Hobbes, che per l'appunto in questi anni esplicava la sua attività letteraria (il Leviatano è del 1651, il De corpore fra il 1655 e il 1658; Hobbes muore nel 1679), e la scuola di Cambridge, dove i teologi, pur divisi su particolari dottrine filosofiche, erano tutti concordi nella lotta contro l'"empio" eversore di ogni libera fede religiosa, e però si appellavano, contro il suo sensismo, a Platone.

Il trattatello svolge questa tesi: che la base di ogni nostra conoscenza è il senso, inteso come atto della percezione che ci dà il mondo dell'esperienza comune a ogni uomo, ma integrato dalla ragione, ch'è in noi il lumen naturale, per mezzo del quale noi veniamo, anzitutto, alla sicura dimostrazione dell'esistenza di Dio creatore. Il terzo saggio del libro è dedicato alla confutazione dell'innatismo con argomenti che, ampliati, ricompariranno nelle opere posteriori, specialmente nel primo libro del Saggio sull'intelligenza umana.

+ 1666 Inizia ad interessarsi a questioni di fisica, chimica e fisiologia in assidua collaborazione alle opere di Boyle e Sydenham. In quest'anno Locke conosce, in qualità di medico, Lord Ashley, che sarà poi conte di Shaftesbury e Cancelliere di Carlo II ed eminente esponente del partito whig, le cui idee liberali prepareranno l'avvento della monarchia costituzionale di Guglielmo d'Orange (1689). Al suo seguito Locke maturerà quelle nuove posizioni che ne faranno il maggior teorico del liberalismo politico del tempo. Divenuto segretario di Lord Ashley, Locke si trasferisce a Londra ed entra attivamente nella vita politica.

+ 1667 Scrive il primo Saggio sulla tolleranza.

+ 1668 Viene eletto membro della celebre Società Reale di Londra per il progresso delle scienze. Farà poi parte del consiglio direttivo.

+ 1671 Questo è un anno di importanza capitale. Locke è ancora in casa di Ashley. In una discussione sterile tra amici su questioni di morale e religione, un'idea lampeggia nella mente di Locke: "Mi venne fatto di pensare che eravamo su una strada sbagliata; e che, prima d'impegnarci in ricerche di quel genere, era necessario esaminare la nostra stessa capacità, e vedere quali oggetti siano alla nostra portata, e quali invece siano superiori alla nostra comprensione" (Epistola al lettore, premessa al Saggio). E' la nascita della posizione moderna del problema critico-gnoseologico come pregiudiziale a tutti i problemi.

In quella discussione Locke ricevette dagli amici l'incarico di redigere un abbozzo per la riunione seguente. Di qui, il primo abbozzo del Saggio sull'intelletto umano, che reca l'intestazione: Sic cogitavit de intellectu humano J. L. an. 1671. Nell'Epistola al lettore Locke non dice, ma oggi noi sappiamo, che, dopo quella prima stesura, egli si mise subito a rielaborare l'abbozzo, nello stesso anno, e ne venne fuori un trattatello di mirabile chiarezza e compiutezza, ch'è davvero un primo abbozzo del Saggio. E tuttavia Locke non lo considerò tale, anzi neppure ne fece mai parola.

+ 1675-79 In questo periodo di alterne fortune per il conte di Shaftesbury, Locke si reca in Francia, dove viene a contatto con la cultura cartesiana ivi dominante e ne subisce notevoli influssi per l'impostazione matura del suo pensiero.

+ 1683 Locke si reca in Olanda, dove prima di lui era fuggito il conte di Shaftesbury, temendo la repressione scatenatasi contro il partito whig.

+ 1689 Rientra in patria, dopo il trionfo della "gloriosa rivoluzione" che portò Guglielmo d'Orange sul trono inglese. L'autorità di Locke diviene da questo momento grandissima, quale massimo esponente intellettuale del nuovo regime liberale. Inizia il periodo più fecondo della sua attività di scrittore. Pubblica anonimi la Lettera sulla tolleranza e i due Trattati sul governo civile. Nello stesso anno, ma datato 1690, pubblica il Saggio sull'intelletto umano.

+ 1693 Dà alle stampe i Pensieri sull'educazione.

+ 1695 Pubblica il Saggio sulla ragionevolezza del cristianesimo. Durante gli ultimi anni, oltre che nella vita politica attiva, fu impegnato in polemiche suscitate dalle sue idee religiose.

+ 1704 Muore a Oates.

ASPETTO ANALITICO E SISTEMATICO

LA GNOSEOLOGIA

L'occasione prossima che orientò Locke alla ricerca gnoseologica-psicologica gli venne dal famoso episodio del 1671 di cui si parla nella premessa al Saggio. Da quella discussione Locke fu ricondotto alla "questione del metodo", cioè all'esigenza di un esame critico del nostro pensiero, per vederne cioè natura, capacità e limiti. Il Saggio sull'intelletto umano di Locke si presenta come un'analisi dei limiti, delle condizioni e delle possibilità effettive della conoscenza umana: "era necessario esaminare le nostre capacità, per vedere quali oggetti il nostro intelletto fosse o non fosse in grado di trattare".

Prima di introdursi nell'analisi dell'opera fondamentale di Locke, bisogna subito notare che nel suo titolo "intelletto" (understanding) non è l'intellectus scolastico (cioè la facoltà di conoscere superiore, separata rispetto alla sensibilità), ma il principio conoscitivo stesso ("the power of thinking"). Quindi non è un termine opposto al senso, poiché il senso stesso è considerato da Locke, non nell'abituale significato fisiologico-psicologico, ma come fonte, nella percezione sensibile, di conoscenza, e perciò implicante già l'intelligenza. Quest'ultima ha però la prerogativa e il compito di superare l'immediatezza del dato percepito in quanto può, riflettendo su di esso, farne l'analisi, e valersi degli elementi, così ricavati, per fare delle sintesi rispondenti ai suoi scopi (teoretici e pratici). "L'intelletto, come l'occhio, ci fa vedere e comprendere tutte le cose, ma non si accorge di se stesso". Occorre quindi un certo sforzo per svincolare l'intelligenza implicata nel dato della percezione, e, presa una necessaria distanza, vederla all'opera nella riflessione sul dato.

Per Locke, la prima e più semplice idea che abbiamo di tale "riflessione" dell'intelletto su se stesso è la percezione, che è "la prima facoltà dello spirito esercitata sulle nostre idee".

E infatti gli elementi della percezione, che l'intelligenza scopre con l'analisi, e dei quali si serve per le sue sintesi, sono chiamati idee, definite anche come l'oggetto del pensiero in generale. Quest'ultimo è il pensiero nella sua "passività", nella "semplice e nuda percezione", che "non può fare a meno di percepire ciò che percepisce", ma il pensiero in senso proprio è "quella specie di operazione dello spirito intorno alle proprie idee in cui lo spirito è attivo" (Vedi Saggio, II, cap.IX, §1).

Da quanto detto viene da sé, quindi, la tesi fondamentale del libro: dato che la percezione è l'atto originario della conoscenza, noi non abbiamo idee di nulla che non faccia capo, in un modo o in un altro, a essa, ossia al mondo della nostra esperienza (di qui, l'empirismo proprio di Locke). Da empirista egli ritiene che che un'idea sia valida solo qualora l'intelletto si comporti recettivamente, cioè passivamente, dal momento che essa ha origine dall'esperienza sensibile.

La polemica contro l'innatismo

Di qui, anche, il rifiuto dell'innatismo, a cui è dedicato il primo libro del Saggio. L'obiettivo della critica fatta da Locke all'innatismo sembrano essere i neoplatonici inglesi di Cambridge (tra cui Herbert di Cherbury). Nella sua disamina Locke prende l'avvio da un criterio generale e costante del suo empirismo, cioè dall'idea che non ci sia nulla nello spirito, di cui lo spirito non abbia coscienza, ossia non sia consapevole.

Gli argomenti contro l'innatismo sono essenzialmente due:

1) Se le idee fossero innate dovremmo averne sempre coscienza, perché, per Locke come per Cartesio, pensiero o idea o coscienza son la stessa cosa. Ora invece noi vediamo che non sempre ne abbiamo coscienza, né d'altra parte tutti hanno queste idee;

2) inoltre: se le idee fossero innate dovrebbero essere universalmente ammesse. Ma avviene il contrario: si può dire che non ci sia idea che non sia soggetta a cambiamenti, a negazioni, a seconda dei tempi e dei luoghi.

Origine delle idee

Il libro I è preparatorio, più negativo che positivo. La costruzione positiva inizia col libro II, fondamentale, perché tratta dell'origine delle idee, di tutte le idee che l'uomo ha e può avere, ossia di ogni attuale e possibile conoscenza.

Locke parte quindi dal presupposto che l'anima sia "tabula rasa", cioè che non abbia idee innate, il problema che deve affrontare è

spiegare da dove venga l'infinita varietà dei nostri pensieri, delle nostre conoscenze, cioè quello che gli chiama "idee", intendendo con esse, "tutto ciò che è oggetto della nostra intelligenza quando pensiamo".

La sua risposta a questo quesito fondamentale è univoca: le idee ci vengono dall'esperienza. Quindi ogni uomo, per Locke, comincia ad avere idee "quando ha una qualunque sensazione".

Fonti della conoscenza

Si comincia, quindi, dalle fonti, le quali sono due:

1) il senso esterno, o sensazione, attraverso cui percepiamo le cose fuori di noi e abbiamo quindi le idee che riferiamo ad oggetti esterni. La loro esistenza è presupposta ed accettata da Locke.

2) il senso interno, per cui percepiamo le operazioni del nostro spirito. Questa seconda fonte è chiamata anche riflessione.

Locke ha della sensazione una concezione puramente meccanicistica, e la riduce ad un movimento causato nell'uomo da stimoli provenienti da corpi esterni.

Varie specie di idee

Dopo aver esaminato le fonti della conoscenza, Locke prende in considerazione le idee che ne otteniamo. La prima distinzione tra le idee è quella che le raggruppa in idee semplici e idee complesse. Le idee semplici sono quelle che immediatamente ci vengono date sia dal senso esterno che da quello interno. Combinando tra loro le idee semplici e variandone quasi all'infinito la combinazione, si hanno le idee complesse, che quindi si presentano come una elaborazione delle prime. Le idee semplici quindi sono "date", lo spirito le riceve, è "passivo" di fronte ad esse; nelle idee complesse, invece, lo spirito è "attivo". Le prime conseguentemente non possono essere né inventate arbitrariamente né distrutte. Il potere dell'uomo, in rapporto alle idee semplici, è solo quello di comporre e dividere questi "atomi" di pensiero che gli provengono dalle sensazioni.

Egli fa inoltre una distinzione tra le idee semplici: quelle che si riferiscono alle qualità primarie delle cose come numero, figura, estensione, ecc. e quelle che si riferiscono alle qualità secondarie, cioè alle sensazioni soggettive come il colore, l'odore, il sapore, ecc.

Si passa poi alle idee complesse. Esse risultano dalla combinazione delle idee semplici, dalla attività associativa e dissociativa della mente, ma, in ultima analisi, hanno sempre la loro origine nell'esperienza sensibile.

Esse vengono classificate in idee di: a) sostanze, riferentesi alle cose stesse immediatamente; b) modi, ossia di punti di vista da cui le consideriamo; c) relazioni, per il rapporto in cui le poniamo.

Critica dell'idea di sostanza

Per le idee di sostanze va rilevata la continua oscillazione fra due atteggiamenti: l'uno, predominante, per il quale, trattandosi di idee complesse costruite da noi, esse possono variare secondo le varie osservazioni ed esperienze, e secondo anche gli interessi pratici che vi portiamo, sì che una effettiva corrispondenza alla realtà in sé delle cose non pare che sia da esigere. Ritorna più volte nel II e IV libro l'affermazione che, per quanto faccia la scienza col suo metodo sperimentale, i poteri intimi, più reconditi delle cose ci restano, e forse ci resteranno sempre, inafferrabili. L'altro atteggiamento invece impedisce a Locke di rinunciare completamente ad un riferimento oggettivo delle idee di sostanze.

Da questo punto si aprono gli sviluppi radicali di Berkeley e Hume:

1) Berkeley: se la percezione ci dà una "collezione di idee", che bisogno c'è delle "cose"? non è, anzi, contraddittorio che le idee, realtà spirituali, abbiano per soggetto una realtà materiale?

2) Hume: il mondo delle idee è, appunto, un mondo di idee; da esse è impossibile passare a una realtà, oggettiva o soggettiva che sia, gratuitamente presupposta.

Locke descrive in questi termini la nascita surrettizia dell'idea di sostanza: la mente considera alcuni gruppi di idee semplici come costantemente legati fra loro e quindi quasi una nuova idea semplice; e poiché non arriva a concepire come un'idea semplice possa sussistere per sé, afferma che esiste un "substrato" che ne sia il supporto. Ma ciò va al di là della nostra esperienza. "L'idea alla quale noi diamo il nome generale di sostanza non è altro che tale supposto ma sconosciuto sostegno delle qualità effettivamente esistenti".

Con questo Locke non intende negare l'esistenza della sostanza, ma che essa sia conoscibile (agnosticismo). Egli sostiene, infatti, che le idee non ci portano alla vera comprensione della realtà, ma solamente alla sua rappresentazione, per cui l'autentica realtà resta inconoscibile. E' evidente che in questo contesto cade il criterio di verità del realismo, cioè l'adequatio rei et intellectus. Noi conosciamo solo i fenomeni (fenomenismo).

Nominalismo

Se è vero che noi conosciamo solo dei fenomeni e se si ammette che essi sono sempre particolari e mai generali, allora è inevitabile per Locke concludere dal fenomenismo al nominalismo. Per Locke, infatti, le idee non rappresentano l'essenza generale delle cose, ma sono solo dei nomi. Gli universali non esistono nella realtà, che è sempre particolare. Quindi essi sono da considerare come "flatus vocis", parole adatte ad esprimere più comodamente un insieme di idee. Le idee "astratte" e i nomi "universali" sono semplici invenzioni umane convenzionali per rendere più facile la comunicazione.

A queste riflessioni sul linguaggio è dedicato il terzo libro del Saggio, a cui Locke attribuiva grande importanza, sembrandogli l'argomento nuovo e quanto mai rilevante. Esso riguarda il linguaggio, per il quale l'idea viene espresse e può essere comunicata agli altri. Il pensiero dominante è quello dell'utilità e insieme del pericolo. La parola racchiude le idee e le conserva per la memoria, rendendo così agevole comunicare agli altri i nostri pensieri. Ma il pericolo è pure incombente, di scambiare la parola con il pensiero, donde le dispute interminabili delle scuole, provenienti dal non adoperare le stesse parole per esprimere le stesse idee (e spesso dall'adoperare parole vuote di idee effettive). L'ideale sarebbe definire il contenuto proprio delle parole che usiamo (come? ci vogliono già le parole).

E' facile ritrovare in queste osservazioni l'influenza della tradizione nominalistica inglese.

Fenomenismo psicologico

Quello che si dice della sostanza in genere, si deve dire in particolare di quella sostanza che è la "res cogitans", il nostro io. Che ci siano idee e che queste siano coscienti, è un dato certo. Ma il passare dalle idee ad una "res" pensante, da una coscienza ad un "io" permanente, questo è ingiustificato (fenomenismo psicologico). Del nostro io noi conosciamo solo i fenomeni e cioè le idee.

Critica dell'idea di spazio

Locke considerò lo spazio come reale e quasi l'identificò con l'estensione, pur ammettendo che vi sono delle differenze (l'estensione è nei corpi, lo spazio è pensabile anche come vuoto, indipendente da ogni materia). E tuttavia Locke arriva ad ammettere di non sapere quale sia la natura dello spazio. Come pure afferma di non poter definire la natura del tempo, per cui ripete il famoso detto di S. Agostino: "Si non rogas, intelligo; si rogas, non intelligo".

Critica dell'idea di causa

Fra le idee di relazione assume particolare importanza quella di causa, la cui critica sarà un tema ricorrente nella filosofia moderna. Anche se Locke ne sottolinea l'aspetto soggettivo, è tuttavia ben lontano dal negarne l'oggettività. L'idea di relazione causa-effetto risulta per lui dal particolare collegamento che siamo indotti a fare fra due idee l'una delle quali si presenta costantemente unita al sorgere dell'altra. Locke, quindi, non nega, come farà Hume la realtà del rapporto causale. Ma lo interpreta, in modo empiristico, come semplice constatazione di una connessione fra idee, che non si presenta come necessaria e che nulla può dirci sulla necessità ontologica del collegamento fra le realtà che provocano in noi tali idee.

Il libro quarto è intitolato La conoscenza. Qui, in realtà, non si tratta del conoscere semplicemente, ma del sapere, in cui le idee sono logicamente organizzate rispetto al loro contenuto. Locke comincia col dire che la conoscenza vera e propria c'è quando abbiamo la percezione, non solo delle idee, ma anche della loro concordanza o meno. Questa è distinta in quattro specie:

a) d'identità o diversità (ogni cosa è se stessa e non un'altra cosa: principio di non-contraddizione);
b) di rapporto;
c) di coesistenza;
d) di esistenza reale.

Per Locke, quindi, la verità è accordo fra le idee o, meglio, è percezione di accordo o disaccordo delle idee tra loro. Quando questo accordo è visto immediatamente si ha l'intuizione; quando invece sono necessarie idee intermedie si ha la dimostrazione.

Viene poi la "conoscenza sensibile dell'esistenza particolare di esseri finiti al di fuori di noi". Per Locke "non c'è niente di più certo dell'idea che noi riceviamo da un oggetto esterno ai nostri spiriti; questa è la conoscenza intuitiva. Ma se ci sia qualcosa di più di quella semplice idea nei nostri spiriti; se possiamo con certezza inferire da essa l'esistenza di qualcosa al di fuori di noi, che corrisponde a quell'idea, è cosa che alcuni considerano problematica... . Ma io credo, tuttavia, che noi siamo forniti di una evidenza che ci pone al di là del dubbio" (IV, 1, §14). Se per Locke la sensazione attuale è l'unico mezzo per conoscere l'esistenza delle cose, il fatto che noi riceviamo attualmente l'idea dall'esterno ci fa conoscere che qualcosa in questo momento esiste fuori di noi e produce l'idea. Nel momento in cui riceviamo una sensazione, siamo certi che esiste la cosa che la produce in noi, anche se non è ammissibile un rapporto necessario tra l'idea e la cosa a cui essa si riferisce. E' ragionevole supporre che le cose e gli uomini continuino ad esistere anche quando io non ne ho la percezione attuale e che esistano anche quelli tra essi, di cui non ho mai avuto una tale percezione. Ma qui si entra nel campo della probabilità, non della conoscenza certa.

IL PENSIERO POLITICO

Esso è contenuto, specialmente in due opere: Epistola de tolerantia e Due trattati sul governo.

Locke è da sempre considerato "il padre del moderno pensiero liberale" ed effettivamente lo è, anche se, prima di giungere al liberalismo, le sue concezioni politiche subirono profonde modificazioni, essendo egli partito da posizioni addirittura assolutistiche. Ad ogni modo, le idee politiche della maturità sono esposte nelle due opere sopraddette, in particolare nei Due trattati. Il primo (di assai minore importanza) è diretto contro Sir Robert Filmer, che sosteneva l'origine ereditaria e patriarcale dell'autorità. Il secondo è contro le teorie politiche assolutistiche di Hobbes che, pur non essendo mai citato, è tuttavia costantemente presente.

Lo stato di natura

Locke accetta questa ipotesi ormai quasi comune ai nuovi pensatori del suo tempo e ne fa anzi il punto di partenza e il cardine delle sue concezioni politiche: "Lo stato di natura è governato dalla legge di natura, che obbliga tutti: e la ragione, ch'è questa legge, insegna a tutti gli uomini, purché vogliamo consultarla...". Tale stato di natura è per Locke molto diverso da quello di Hobbes: mentre per questi "l'uomo è lupo per l'altro uomo" ("Bellum omnium contra omnes"), per Locke l'uomo deve regolarsi secondo la legge di natura, che obbliga anche indipendentemente dalla costituzione della società e che non è se non la legge della ragione e quindi di Dio. Tale legge dice prima di tutto che la nostra stessa libertà è patrimonio comune di tutti gli uomini e che essa deve essere rispettata da tutti. Insomma la legge naturale afferma: "Non fare agli altri quello che non vuoi sia fatto a te". In questo contesto sono chiari i legami di Locke con le teorie giusnaturaliste.

I diritti dello stato di natura

Quali sono i diritti che, in definitiva, costituiscono lo stato di natura? Essenzialmente è uno solo: il diritto alla vita. Da questo promanano tutti gli altri; e primo fra tutti, il diritto alla libertà e, in modo specialissimo, alla proprietà. Senza la proprietà infatti è impossibile conservare la vita o, almeno, conservarla in modo che si possa dire umana. Non per nulla Locke è il teorico della classe borghese, intraprendente e desiderosa di guadagno e potere. Tuttavia egli affermò che la stessa legge naturale pone un limite alla proprietà, e questo è dato dai diritti degli altri.

La società: il patto sociale

Il passaggio dallo stato di natura alla società non è così brusco e assoluto come in Hobbes. Infatti, già nello stato di natura c'è un embrione della società. Prima di tutto perché Dio stesso "impone loro (agli uomini) pressanti obbligazioni di necessità, di convenienza, inclinazione, per spingerli alla società". Poi per il fatto che una piccola società, una cellula sociale, esiste già con la famiglia.

Sta di fatto che, ad un certo momento, gli uomini si associano. I motivi di tale passaggio sono prevalentemente tre:

1) E' necessario un potere, da tutti riconosciuto, che interpreti e specifichi la legge naturale, perché, nonostante essa sia "chiara ed intellegibile da parte di tutti gli esseri razionali", spesso per ignoranza ed interesse non viene riconosciuto il suo potere di obbligazione.

2) E' necessario un potere giudiziario che possa giudicare con attendibilità e imparzialità eventuali delitti contro la legge naturale.

3) E' necessaria un'autorità che punisca chi ha mancato.

E' facile ravvisare in questi tre motivi la formulazione di quelli che saranno i poteri essenziali dello Stato o, almeno, il potere legislativo e giudiziario.

Gli uomini, quindi, entrano in società attraverso un patto sociale. Ma la natura di questo patto lockiano e quindi la natura dello Stato è assai diversa da quella di Hobbes. Per Hobbes infatti gli uomini rinunciano completamente ai loro diritti rispetto allo Stato, che diviene necessariamente assoluto e insindacabile nel suo operare. Per Locke, al contrario:

- Gli uomini si uniscono in società proprio per meglio esercitare i loro diritti;

- i cittadini cedono solo quel tanto dei loro diritti che è necessario affinché la società raggiunga lo scopo che essi si sono prefissi. Cedono in particolare il loro potere legislativo ed esecutivo individuale affinché tali poteri siano esercitati comunitariamente; ma non cedono né il diritto alla vita, né il diritto alla libertà, né il diritto alla proprietà: poiché il motivo per cui si associano è la salvaguardia e lo sviluppo di tali diritti;

- lo stato, una volta costituito non sfugge alla vigilanza dei cittadini (contro il "potere inamissibile" di Hobbes). Al contrario i cittadini che lo hanno formato possono continuamente controllare ed eventualmente variare il potere legislativo, intervenendo nei suoi confronti, quando delibera contro la fiducia in esso riposta. Insomma: non è il cittadino al servizio dello stato, ma lo stato al servizio del cittadino;

- tutto ciò che viene deciso, viene deciso a maggioranza.

La società: i poteri dello stato

I poteri dello Stato sono, secondo Locke, quattro:

- Potere legislativo. Esso costituisce il potere supremo.

- Potere esecutivo.

- Potere giudiziario.

- Potere federativo, che consiste nell'autorità di fare la guerra e la pace e, in genere, di poter stringere alleanze e stipulare trattati.

La seprazione dei poteri (uno dei postulati della moderna democrazia) trova in Locke il primo teorico. Se i poteri non fossero divisi, coloro che guidano la società potrebbero esimersi dall'obbedienza delle leggi, oppure adattarle a proprio vantaggio. Tale distinzione vale però soltanto per i primi due poteri: legislativo ed esecutivo; quello giudiziario e federativo sembrano invece essere considerati parte o specificazione di quello esecutivo.

IL PENSIERO RELIGIOSO

Gli aspetti più tipici del pensiero lockiano sono contenuti nelle due opere: Ragionevolezza del Cristianesimo ed Epistola de tolerantia.

a) La ragionevolezza del Cristianesimo tende a dimostrare che il Cristianesimo non è contrario alla ragione, anzi che esso è la religione che maggiormente rispecchia i dettami della ragione. Tuttavia, Locke, proclamando la razionalità del Cristianesimo, ne epura i riferimenti al soprannaturale: la divinità di Cristo, la grazia, ecc.

b) L'Epistola de tolerantia intende affermare il diritto alla libertà di coscienza. La tolleranza intesa come libertà era ormai un'esigenza impellente, dopo la Riforma protestante, le guerre di religione, la rivoluzione inglese; e la pace di Westfalia l'aveva ormai praticamente sancita.

Locke distingue la finalità della Chiesa da quella dello Stato, affermando quindi la laicità di quest'ultimo. Lo Stato deve intervenire soltanto quando i principi religiosi (male intesi) costituiscano un danno pubblico.

LA PEDAGOGIA

Molto importante il pensiero di Locke anche per l'aspetto pedagogico. Sua opera principale a questo proposito sono i Pensieri sull'educazione. Concetto essenziale è che il ragazzo deve essere educato nella libertà ed alla libertà secondo ragione. Lo sviluppo deve essere armonico e totale, deve investire l'uomo in tutte le sue componenti.

Angelo Papi - Contatto

Fonti

Critica

Download


Web Homolaicus

Enrico Galavotti - Homolaicus - Sezione Teorici
 - Stampa pagina
Aggiornamento: 26-04-2015