HERBERT SPENCER 2


Herbert Spencer
 

- Evoluzione, complessità e integrazione

(a) Spencer e Darwin

Spencer sviluppò in modo indipendente quel medesimo tema cui Charles Darwin, negli stessi anni ma nello specifico campo delle scienze biologiche, stava conferendo nuova dignità : quello cioè dell'evoluzione, attraverso la selezione all'interno di un determinato ambiente, degli individui più adatti alla sopravvivenza. E' necessario tuttavia, sgombrare subito il campo da un'idea grossolana ed errata, secondo la quale il filosofo londinese avrebbe espresso a posteriori - dopo cioè aver conosciuto le teorie biologiche ed evoluzionistiche darwiniane - una sistemazione filosofica e astratta di queste ultime.

Egli difatti, se da una parte procedette autonomamente nella sua ricerca, arrivando su alcuni aspetti a risultati estremamente simili a quelli cui giunse Darwin, dall'altra non aderì mai del tutto alla teoria biologica darwiniana (teoria secondo cui "l'organo fa la funzione": basata cioè sull'idea di modificazioni meramente accidentali o fortuite della struttura ereditaria tra genitori e figli) conservandosi invece sempre fedele alla precedente concezione lamarkiana (per la quale le modificazioni sorte nei singoli individui a causa di necessità di tipo ambientale, si trasmettono ereditariamente di padre in figlio - "la funzione fa l'organo").

Ciò che tuttavia - e senza alcun dubbio - accomunò questi due grandi pensatori fu l'idea che il progresso di ogni specie fosse basato sulla selezione degli individui più adatti alla sopravvivenza, ciò che per conseguenza porta a un costante miglioramento e raffinamento sia dell'ambiente che delle forme di vita in esso contenute (il tutto, ovviamente, sulla scia di quel paradigma storicistico - tendente ad affermare la verità come un fatto storico ed evolutivo - inaugurato dalla filosofia hegeliana all'inizio del secolo).

(b) Caratteri dell'evoluzionismo spenceriano

Il discorso evoluzionista di Spencer si fonda sull'idea secondo cui, a partire da un originario stato di (maggiore) omogeneità e indistinzione (ovvero di caos) si passerebbe, per un processo automatico, a uno di maggiore integrazione e complessità tra le parti, attraverso lo sviluppo da parte di queste ultime (un fatto che, almeno per ciò che riguarda gli aggregati inanimati, sarebbe essenzialmente accidentale) di caratteri sempre più specifici, nonché di conseguenza, a livello ambientale, di una struttura sempre più complessa e articolata .

Una tale tendenza, il cui valore si estenderebbe a tutti i fenomeni cosmici (costituendo così la base comune delle scienze nel loro complesso….), sarebbe dovuta all'instabilità congenita di ciò che è privo di una propria coerenza interna. Esso difatti, a causa di tale carattere, sarebbe predisposto a subire l'azione 'aggressiva' di entità meglio organizzate e strutturate.

Ciò che ancora si trova in uno stato di potenzialità e indistinzione insomma, verrebbe posto - secondo una tale visione - da parte di ciò che invece è già maggiormente formato, di fronte a una sorta di aut-aut: o adattarsi acquisendo una struttura specifica e determinata, o scomparire a causa della propria genericità. Esso verrebbe insomma costretto ad assumere a sua volta una forma e una funzione determinata all'interno di una precedente totalità - al cui interno verrebbe così ricompreso.

Come si vede, era in buona sostanza il discorso portato avanti da Darwin in merito al rapporto tra gli individui e l'ambiente naturale, anche se esteso da Spencer su un piano di validità assoluta, e come tale assurgente a fondamento ontologico del reale, nonché a base metodologica di qualsiasi vera indagine scientifica.

Un altro aspetto da sottolineare - e in controtendenza rispetto a ciò che si è appena detto - è la potenzialità sempre latente di un arretramento (o involuzione) del processo evolutivo di ogni aggregazione naturale verso una sempre maggiore complessità e integrazione tra le proprie parti.

Spencer giustificava ovviamente un tale aspetto con l'idea che, essendo l'evoluzione una semplice tendenza (che come tale si imporrebbe solo nella maggioranza dei casi), essa possa conoscere nel tempo anche delle temporanee e contingenti battute di arresto (quando non, addirittura, delle fasi di regresso), anche perché una maggiore complessità significherebbe spesso per un sistema una maggiore vulnerabilità di fronte agli agenti esterni.

Un elemento estraneo quindi, anziché venire inglobato nel sistema stesso, potrebbe facilmente scardinarne il funzionamento interno, divenendo così per esso causa di un'autodistruzione parziale o totale.

Passeremo adesso ad analizzare un po' più in dettaglio gli sviluppi di una tale impostazione di fondo sul piano della scienza sociologica, la quale in assoluto ci appare come la parte più interessante e prolifica della filosofia spenceriana.

(c) Principi della sociologia spenceriana

Come tutte le parti del sistema di Spencer, anche quella sociologica si basa sull'idea di un'evoluzione progressiva delle strutture - in questo caso, di quelle di carattere sociale - verso una maggiore complessità e estensione.

A differenza di Comte, il quale solo pochi decenni prima aveva elaborato le proprie teorie sociologiche in Francia (un paese che, a differenza dell'Inghilterra di Spencer, conosceva una fase estremamente turbolenta della propria storia, lacerata com'era da conflitti sociali e da conati rivoluzionari), Spencer diede un'interpretazione fondamentalmente 'materialista' dei fatti sociali.

Mentre il sociologo francese poneva difatti alla base dei diversi stadi storici (si ricorderà a tale proposito la celebre "legge dei tre stadi") il livello di sviluppo cui le scienze erano giunte in un determinato contesto, facendovi dipendere anche i fattori di organizzazione politica e giuridica, Spencer considerava al contrario le forme politiche e culturali come un'espressione di carattere sovrastutturale (usiamo qui, come si vede, un termine preso a prestito dalla filosofia marxista) rispetto al livello di organizzazione materiale, ovvero di integrazione, raggiunto da una data società.

Non vogliamo ovviamente, con ciò, sostenere che Spencer avesse elaborato una teoria economicistica della società (ovvero una visione per la quale le forme o strutture produttive in essa prevalenti si pongono alla base dell'organizzazione politica e giuridica, come affermato appunto nella visione marxista). Mostreremo anzi più avanti, come la mancanza di un tale tipo di problematiche (o forse, piuttosto, l'assenza di un loro pieno e consapevole sviluppo) sia una delle più profonde carenze della sociologia spenceriana. E' innegabile tuttavia, che per il filosofo londinese - come del resto per Marx e Engels, e contrariamente a Comte - i fattori culturali siano essenzialmente un prodotto dei fattori materiali e organizzativi, e non viceversa!

Quanto alle direzioni di sviluppo della società umana, esse secondo Spencer sarebbero essenzialmente di due tipi, tra loro differenti eppure compatibili (nel senso di poter coesistere come fattori evolutivi all'interno di una medesima società).

A - Da una parte Spencer vedeva la possibilità di uno sviluppo di tipo eminentemente progressivo, movente cioè verso una maggiore complessità ed articolazione della società. Egli individuava in tal senso nello stadio militare la fase sempre precedente lo stadio industriale.

La società difatti, muovendosi verso una sempre maggiore estensione e complessità, per le ragioni di cui abbiamo parlato sopra (ovvero, in sostanza, per la naturale tendenza di ciò che è esterno a un determinato sistema ad entrare a farvi parte, oltre che a causa della competizione - in ragione di risorse limitate - tra le sue stesse parti), conoscerebbe diversi stadi di sviluppo.

Nei primi, essendo ancora poco sviluppata la differenziazione delle attività sociali (ovvero la divisione del lavoro, per usare una terminologia economicistica), è ancora possibile ad un potere centralista (quale quello monarchico) controllare dall'alto le attività che si svolgono all'interno della società stessa. Essendo inoltre l'economia di tali contesti ancora fondamentalmente primitiva, cioè basata in gran parte - oltre che su attività di sussistenza - sulla rapina e sulla guerra, la forza vi svolgerebbe un ruolo fondamentale per mantenere la coesione interna, essendo inoltre un valido mezzo di arricchimento attraverso i conflitti esterni.

Non a caso queste società sono definite da Spencer come militari: in esse infatti se la produzione è essenzialmente agricola, la distribuzione della ricchezza è invece spesso il prodotto della guerra.

A tali tipi di società rigide, gerarchiche e stataliste (ovvero fondate sulla forza militare, oltre che su apparati statali molto forti, e prive a volte dell'idea stessa di proprietà privata… basate quindi su una netta prevalenza della dimensione collettiva su quella privata), farebbero seguito altre di opposta natura, ovvero privatistiche e industriali.

In queste ultime, non è già operante necessariamente l'industria intesa in senso moderno e tecnologico, bensì piuttosto la produzione ai fini del commercio - un'attività quest'ultima di carattere essenzialmente privato!

Un tale tipo di società sorgerebbe dal fatto che, aumentando col tempo il grado di specializzazione delle attività all'interno della società, diverrebbe gradualmente sempre più impossibile per lo stato esercitare su di esse un reale controllo. Per tale motivo, esse si trasformerebbero allora in attività private, ovvero gestite e tutelate dai singoli cittadini - anziché dall'autorità pubblica.

Inoltre, un tale fattore renderebbe ogni persona responsabile non per tutte le altre, ma solo per i propri interessi privati, lacerando così il tessuto sociale, e rendendo tutti almeno in potenza 'nemici' di tutti, ovvero in reciproca competizione. In questo tipo di società, le attività industriali soppiantano quelle militari, la guerra diventando uno strumento obsoleto e sorpassato: alla guerra tra stati seguirebbe infatti quella - commerciale e imprenditoriale - tra i singoli individui.

Anche i confini tra gli stati perderebbero in gran parte la propria funzione divisoria, essendo il commercio un'attività senza confini, senza pregiudizi culturali, ecc.

Abbiamo qui delineato dunque i due stadi essenziali: quello collettivista/statalista e quello, a esso successivo, industriale/individualista.

Nel primo la competizione e la legge di sopravvivenza del più forte si applicherebbe solo - o comunque in primo luogo - alle nazioni (attraverso, chiaramente, lo strumento della guerra), nel secondo invece essa si sposterebbe sulle singole persone, creando inoltre - attraverso le attività di carattere industriale e commerciale - una società non più centralizzata, bensì fondamentalmente aperta.

E' chiaro altresì come le società militari siano più semplici ed arretrare rispetto a quelle industriali, in quanto la loro esistenza sarebbe basata su un minor grado di sviluppo interno nelle attività che vi si svolgono, ovvero nella divisione del lavoro!

Società militari

Scarsa divisione del lavoro, centralizzazione delle attività sociali attraverso gli eserciti e la burocrazia: l'economia è agricola e di conquista;

Società industriali

Maggiore divisione del lavoro, le attività produttive non possono più essere - almeno oltre un certo limite - controllate dallo stato, mentre l'economia diviene industriale, basata cioè sulla produzione dei prodotti finalizzata alla loro vendita.

B - A parte l'osservazione sulla somiglianza col suo 'antagonista' francese, A. Comte, nell'esaltazione della società industriale intesa come esito ultimo dello sviluppo dell'umanità (pur con tutte le differenze del caso, che non verranno però qui esaminate), non si può omettere di sottolineare come il pensiero di Spencer sia decisamente più sfumato e meno univoco di come potrebbe apparire in base a quanto si è finora detto.

Secondo il nostro autore difatti, entra in gioco nella trasformazione della società - oltre alla prima - anche una seconda variabile.

Anche qui, è la polarità tra società militare (difensivo/offensiva) e società industriale (pacifica, individualista e commerciale) a essere il perno della diversità. Ma vi è anche una grossa differenza: in una tale polarità infatti, il divenire non deve necessariamente procedere dal primo (e più arretrato) tipo di società, al secondo!

Come si è già detto difatti, Spencer - pur affermando la validità sui tempi lunghi del principio di crescita della complessità strutturale delle società - non negava assolutamente la possibilità che queste ultime conoscessero anche delle fasi regressive.

Uno dei fattori che potevano più facilmente determinarle, era per lui quello costituito dalla guerra con gli altri stati.

Uno stato - anche complesso e articolato, ovvero già industriale - potrebbe difatti trovarsi nella condizione di doversi difendere da un altro stato con cui intrattiene dei rapporti di tipo conflittuale, magari di guerra.

Alla prima variabile (soc. militare/soc. industriale) se ne aggiunge così un'altra, quella tra società in pace (interna e esterna), e società in condizione di guerra o di conflitto.

E' ovvio come, nel secondo tipo di situazione, si abbia - anche qualora si sia già usciti dalla fase evolutiva prettamente militare - un ritorno ad alcuni dei caratteri di quest'ultima: controllo dello stato sui cittadini, ripresa delle attività militari, ecc.

Spencer individuava quindi in sintesi, alla base del divenire storico, sia una variabile positiva, quasi sempre in atto pur con diverse gradualità (a seconda dei diversi contesti), sia una variabile - di carattere opposto alla precedente, ma con essa spesso coesistente - di carattere negativo, instaurantesi con il sorgere di una situazione di conflittualità verso l'esterno.

Si vede bene, da ciò che si è detto, come l'impostazione materialistica spenceriana fosse basata:

a) sull'idea che la società fosse un'organizzazione fondata sull'interazione tra singoli individui (i quali, secondo la sua visione adattiva e utilitarista, sceglierebbero di aderirvi per motivi di vantaggio personale!),

b) su una concezione filosofica di tipo evoluzionista, secondo la quale ogni società - nel corso di passaggi successivi e graduali - tenderebbe ad una sempre maggiore complessità, attraverso la selezione degli individui più adatti e l'eliminazione dei meno adatti (ovvero, almeno in linea di massima, dei meno specializzati).

Emerge anche, già da questi brevissimi cenni, la somiglianza latente con la filosofia marxista, nella misura in cui sia Spencer che quest'ultima individuano nei processi esistenziali e materiali e nella loro trasformazione graduale (e ciò anche considerando la diversità - che non significa però inconciliabilità - dei criteri posti a base di tali idee di evoluzione), la sostanza più profonda e ultima, il motore stesso della società umana - anche nei suoi aspetti ideologici!

(d) L'antistatalismo di Spencer

Aspetto fondamentale della filosofia sociale spenceriana, al quale egli dovette peraltro gran parte del proprio successo e del proprio seguito a livello popolare, fu la fiera opposizione a qualsiasi ingerenza da parte dello Stato (ovvero, di qualsiasi dimensione di carattere pubblico o sovra-personale) nei confronti degli interessi e delle libere decisioni dei privati cittadini.

Al contrario di Comte, il quale più o meno in quegli stessi anni preconizzava la nascita di uno Stato di tipo totalitario (in senso, come noto, eminentemente tecnocratico) che si spingesse a regolare perfino le attività più 'intime' dei singoli cittadini, Spencer affermava l'esigenza di un'organizzazione sociale fondata il più possibile su principi di carattere privato e contrattuale, un'organizzazione insomma nella quale lo stato si facesse garante il più possibile del rispetto di accordi - come tali, acquisenti anche valore di legge! - stabiliti a titolo privato tra singole persone.

A una concezione statica e rigida - quale era quella comtiana - delle leggi (stabilite in maniera pressoché 'assoluta' dallo stato, ovvero dalle sue più alte sfere decisionali) egli ne contrapponeva dunque una all'interno della quale queste fossero il prodotto incessante e sempre temporaneo delle decisioni dei privati cittadini: il tutto - ovviamente - secondo quella concezione selettiva e dinamica tipica della sua filosofia a tutti i livelli.

Bisogna altresì ricordare, una volta di più, che Spencer non considerava in alcun modo un tale tipo di evoluzione come un fatto inevitabile, e ciò dati i molteplici fattori di arretramento spesso latenti nelle aggregazioni umane (cfr. paragrafo precedente, punto B).

Al contrario, egli considerava un tale assetto come quello più profondamente auspicabile per la convivenza umana, come un'idea alla cui realizzazione la politica avrebbe dovuto concorrere in ogni modo, favorita peraltro da quelle tendenze progressive e progressiste (delle quali si è parlato nel precedente paragrafo, al punto A) sempre in qualche in atto all'interno di ogni dimensione sociale.

Da una tale convinzione appunto, derivò - come vedremo meglio tra poco - la contrarietà di Spencer all'indirizzo coloniale (o imperialista) assunto dall'Inghilterra già negli ultimi anni della sua vita.

Vedremo più avanti, a un tale proposito, i limiti analitici del suo pensiero (i quali lo accomunano, peraltro, a quello comtiano): un pensiero incapace, attraverso i propri mezzi, di prevedere e di comprendere le ragioni profonde dell'evoluzione in senso colonialista delle società capitalistiche.

 

Adriano Torricelli