Voltaire

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VOLTAIRE

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Cenni biografici

Nacque a Parigi il 21 novembre del 1694. Fu educato in un collegio di gesuiti. In gioventù le sue frequentazioni dei circoli libertini e i suoi scritti, mordaci e caustici, gli costarono parecchi guai; fu esiliato ed incarcerato più volte. Nel 1726, temendo un nuovo arresto, fuggì in Inghilterra, dove vivrà fino al 1728; lì Voltaire sarà molto influenzato dalla cultura inglese, in particolare dagli empiristi e dai deisti. Nel 1738 pubblica gli Elementi della filosofia di Newton, nel 1740 la Metafisica di Newton.

Nel 1750 accettò l'ospitalità di Federico di Prussia a Sans-Souci, dove visse per tre anni. Dopo altre peregrinazioni, si trasferì nel castello di Ferney. Qui pubblicò il Dizionario filosofico (1764) e la “Filosofia della storia” (1769). Solo a 84 anni ritornò a Parigi dove, ormai celebre, fu accolto trionfalmente. Morì il 30 maggio 1778.

Il pensiero di Voltaire

Nel suo Dizionario filosofico, alla voce Fede, Voltaire riporta “Che cos'è la fede? è forse credere ciò che crediamo evidente? No. A me è evidente che esiste un essere necessario, eterno, supremo, intelligente [...]. La  fede consiste […] nel credere ciò che sembra falso al nostro intelletto”.

Questa è forse una delle migliori definizioni del deismo di Voltaire, una religiosità mutuata dai deisti inglesi, razionale e tollerante; una religiosità che rifiuta il trascendente come via di fuga ma che, al contempo, non nega l'esistenza del male e del dolore nel mondo.  Quest'ultimo punto sarà sviluppato nel più celebre dei romanzi filosofici di Voltaire, il Candide, dove, nelle vesti del professor Pangloss, verrà sbeffeggiato Leibniz e il suo ottimismo provvidenziale. Pangloss, maestro di Candido, nel romanzo si ostina  a  fornire improbabili giustificazioni per le molte disavventure che li colpiscono (disgrazia economica, schiavismo, malattie), continuando a sostenere che “quello in cui viviamo è il migliore dei mondi possibili”.

Il deismo di Voltaire è razionale: non si “crede” in dio, proprio perché la sua esistenza è dimostrabile osservando la natura, che presuppone un artefice perfetto. Il dio di Voltaire è naturale e universale, non ha popoli preferiti; secondo le convinzioni del filosofo le discordie nascono con le religioni positive, che portano a conflitti e a intolleranze.

Se Voltaire si scaglierà con forza contro le religioni “rivelate”, analoga virulenza userà nella sua battaglia contro l'ateismo. E ciò non solo per convinzioni “metafisiche”: Voltaire si rende benissimo conto del ruolo fondamentale della religione come instrumentum regni, per il controllo dei popoli: a tal proposito della religione dirà che: "è il sacro legame della società, il primo fondamento della santa giustizia, il freno dello scellerato, la speranza del giusto" e più avanti dirà: "Lasciamo agli umani la paura e la speranza".

Un'ulteriore polemica sarà interna ai deisti: Voltaire infatti si definirà sempre un teista, per rimarcare la distanza fra sé e i deisti inglesi, come Toland o Collins, che erano stati dei panteisti spinoziani, tendenti però all'ateismo.

Ma, pur nell'asperità della polemica, va notato che quasi mai Voltaire adopererà, stilisticamente, forme aggressive, retoriche; a queste preferisce modelli ironici, allusivi: per esempio, usando un procedimento tipico dei pamphlet libertini, quasi mai egli attacca direttamente la chiesa cattolica, preferendo parlare, a guisa di metafora, degli interessi materiali di altre religioni.

Sempre connessi alla polemica religiosa furono anche i contributi di Voltaire alla storia e alla filosofia. Alla storiografia “teleologica”, che giudicava gli eventi della storia antica unicamente come mezzi che portavano alla nascita del cristianesimo, Voltaire contrappone una storiografia laica che, abbandonando l'ottica eurocentrica, studia e rivaluta anche le altre civiltà.

Sul piano filosofico, invece, la sua principale polemica fu quella contro il sistema cartesiano, di cui Voltaire criticò sia la sostanza sia il metodo: al razionalismo oppose l'empirismo e il metodo newtoniano. Inoltre criticò la bipartizione in res cogitas e res extensa, e la teoria delle idee innate.

Nonostante Voltaire diverrà uno dei “padri nobili” della rivoluzione francese, egli non sostenne mai idee repubblicane. A questo suo giudizio contribuirà il breve soggiorno nella repubblica ginevrina, da Voltaire erroneamente ritenuta uno Stato tollerante.

Egli prediligeva come forma di governo, pur ammirando la monarchia costituzionale inglese, l'assolutismo illuminato. Cerco di realizzare quest'ultimo modello durante il suo soggiorno in Prussia, facendo da consigliere a Federico II.

Nonostante le molte riforme attuate sotto la sua guida, dopo alcuni anni entrerà in attrito con Federico, che lo farà imprigionare. Sicché Voltaire uscirà deluso anche da questa esperienza, rafforzato nel suo disincantato pessimismo.

D'altronde le idee egualitarie del Voltaire filosofo molto poco coincidevano con quelle del Voltaire uomo. Non si pensi infatti che, alla maniera del suo avversario Rousseau, egli si contentasse di poco per vivere, traendo soddisfazione solo dai suoi studi.

Molto vanitoso del suo prestigio di letterato, grande amante del potere, in Inghilterra iniziò ad ammassare - speculando sulle forniture degli eserciti e nel commercio coloniale - la sua fortuna, che l'avrebbe reso, ai tempi di Ferney, uno degli scrittori più ricchi del secolo.

Infine, fra le molte battaglie civili di Voltaire, va senz'altro ricordato l'affaire Calas, che inspirò quello che probabilmente è il pamphlet più celebre di Voltaire, il Trattato sulla tolleranza.

Nel 1761 era stato infatti trovato morto, impiccato ad un trave del suo granaio, il giovane Marc-Antonie Calas, figlio di un commerciante protestante ugonotto. Del ragazzo si vociferava che fosse sul punto di convertirsi al cattolicesimo. In un clima ancora ammorbato dai fanatismi religiosi, la vox populi comincia a mormorare che il ragazzo sia stato ucciso dal suo padre, Jean Calas, per impedirne la conversione. L'uomo viene imprigionato, giudicato colpevole e mandato a morte "per ruota", cioè per tortura, il 9 marzo 1762.

Interessatosi al caso, Voltaire decide di prendere le difese “postume” di Jean Calas: dimostra l'inattendibilità delle prove su cui i giudici si sono basati e argomenta contro il fanatismo dei religiosi che hanno testimoniato contro di lui: riesce infine, il 9 Marzo 1765, a far riabilitare all'unanimità Calas.

Gioele Gambaro - gottholdlessing.wordpress.com

Testi di Voltaire


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Enrico Galavotti - Homolaicus - Sezione Teorici
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Aggiornamento: 26-04-2015