MARX, FREUD E LA MORALE SESSUALE

“Qualsiasi etica è fondamentalmente antisessuale” – W. Reich

1. Introduzione

La discussione sul rapporto tra il marxismo e la teoria di Freud è nata con quest’ultima. Al suo apparire la psicoanalisi ha mostrato una carica dirompente di critica dell’ordine costituito, che per le ragioni che poi diremo è presto sfumata. Da un punto di vista del marxismo, l’analisi della psiche umana riveste un notevole interesse. Innanzitutto, la psiche, nel suo funzionamento “normale” e soprattutto nei suoi disturbi, costituisce in ultima analisi uno specchio dell’alienazione sociale del capitalismo, la manifestazione più chiara della reificazione dei rapporti tra uomini. In tal modo, questa analisi aiuta la formulazione di una spiegazione di molti problemi che ai lavoratori spesso appaiono avere natura mentale, individuale, e che invece sono squisitamente sociali. Infatti, l’alienazione, che nell’essenza è una cosificazione, la trasformazione dei rapporti tra uomini in rapporti tra cose, si presenta sempre come un problema individuale. Proprio come il carattere sociale della produzione nel capitalismo è nascosto dalla proprietà privata dei mezzi di produzione, la natura sociale dell’alienazione rimane inespressa per la persona che ne sopporta il peso.

In secondo luogo, l’analisi di questi aspetti della vita sociale è di fondamentale importanza per lo sviluppo di una critica all’ideologia dominante. Non a caso, messo alle strette, un critico del marxismo attaccherà sempre il socialismo rifugiandosi nella “natura umana”, meschina, individualista, che rifugge dall’utopia di una società non repressiva. Alla fine, il pensiero borghese in tema di relazioni tra gli uomini non è mai andato oltre Hobbes.

Il marxismo spiega che lo sviluppo della società di classe fa sorgere una frattura tra essere e coscienza: gli individui non possono più rappresentarsi ciò che sono nella società né possono rappresentare la società stessa per ciò che è. Gli uomini sono posti immediatamente nella società e senza una lotta contro questa società non possono diventare coscienti di cosa essa realmente sia. Senza lotta non c’è comprensione, non c’è conoscenza. Per capire che cosa c’è davvero nella propria testa, l’uomo deve capire le basi dei rapporti sociali ed essere pronto a cambiarle. Questa è la dimensione di ricerca che il marxismo propone agli studiosi della psiche umana e questo è il contributo che queste ricerche possono dare alla liberazione dell’umanità.

2. Materia, coscienza, linguaggio

Per capire la mente umana occorre partire dalla nascita della coscienza, cioè da quanto distingue l’uomo dagli altri animali. La coscienza si sviluppa dal lavoro associato. Come ipotizzato da Engels e confermato dalle ricerche successive, il bipedismo e la visione stereoscopica, retaggio della vita arboricola, furono i prerequisiti dello sviluppo del cervello umano. Ma assieme a questi prerequisiti, fisici, almeno altrettanto importante risultò la vita associata. Anche i primi ominidi non avrebbero mai potuto sopravvivere se non procurandosi cibo e dimora collettivamente[1]. La coscienza e il linguaggio sono sorti per rendere infinitamente più efficiente il lavoro associato. Le condizioni materiali hanno determinato lo sviluppo della mente umana. Da allora, dalla nascita rivoluzionaria dell’uomo per mezzo del lavoro associato, le condizioni materiali determinano, dialetticamente, la coscienza dell’uomo:

“Come gli individui esternano la loro vita, così essi sono…Ciò che gli individui sono dipende dunque dalle condizioni materiali della loro produzione…Non è la coscienza che determina la vita, ma la vita che determina la coscienza”[2].

Il funzionamento, la forma, il contenuto della mente derivano dal mondo materiale. Purché si comprenda che cosa sia effettivamente il “mondo materiale”. Molti scienziati guardano al mondo materiale da sensisti anziché da materialisti e considerano “reale” ciò che esiste nel mondo fisico delle cose e “immaginario” tutto il resto. Ma la nascita della coscienza rende questa posizione assai riduttiva per comprendere la “realtà” dell’uomo. Infatti, che cos’è per la nostra specie il mondo materiale? Solo gli atomi, gli oggetti, o non anche e soprattutto i rapporti con i nostri simili? Le relazioni tra gli uomini sono altrettanto oggettive, materiali delle montagne e dei pianeti. Anzi, sotto il profilo evolutivo sono la realtà primaria, essenziale, da cui deriva la sopravvivenza dell’individuo, ben più importanti delle leggi fisiche e chimiche che pure, ovviamente, regolano la vita dell’uomo in senso biologico.

L’uomo sviluppa per necessità relazioni complesse e strutturate con i suoi simili nella produzione (rapporti di produzione) sulla base del livello raggiunto dalle risorse a sua disposizione (forze produttive). Questi rapporti sono insieme sociali, culturali, psicologici, personali e sono la base per la nascita e lo sviluppo della coscienza di ognuno. L’Io nasce come individuazione del Sé in mezzo alla collettività, non come un atomo che incontra altri atomi, ma come parte di un tutto che prende coscienza della propria individualità[3]. Nel corso di questo processo di creazione della propria coscienza l’individuo impara a conoscere se stesso, gli altri, il mondo; forma la propria natura, le proprie motivazioni, credenze, fissazioni. Come notò Vigotskij, siamo coscienti di noi stessi perché siamo coscienti degli altri. Il ruolo della società è essenziale, l’aspetto individuale è secondario, derivato. La coscienza è il caso più eclatante di esperienza sociale. Il vero oggetto di studio della coscienza non è l’individuo ma le relazioni sociali. Percependo le azioni degli altri si capisce la propria prassi.

Il linguaggio, la coscienza si sviluppano sulla base dei rapporti sociali instaurati dall’individuo con i propri simili. La coscienza sorge come relazione, la mente umana è relazione. Questo implica che ogni “parte” e funzione della mente si evolve nelle relazioni sociali e dalle relazioni sociali. Lo sviluppo della coscienza, ovvero di una funzione astraente delle esperienze di una collettività umana, implica necessariamente la nascita del linguaggio.

Ogni parola generalizza il fatto perché astrarre vuol dire generalizzare, riconoscere l’elemento comune, il divenire comune di più fenomeni concreti. Il linguaggio umano è adatto a una visione generalizzante della realtà. La nascita del linguaggio, con il suo potere astraente, ha permesso lo sviluppo senza fine della conoscenza e del pensare stesso, con il sorgere di un metodo astratto di rapportarsi con i fenomeni naturali. E' alla base dei rapidi progressi materiali che l’uomo ha conseguito all’atto di emanciparsi dal mondo puramente animale.

Con lo svilupparsi delle forze produttive e della divisione del lavoro, il pensiero si staccò dalle sue origini. Divenne prerogativa dei gruppi dominanti. Da risultato del lavoro associato divenne, nella mente umana, la fonte della civiltà; nacque l’idealismo filosofico. Il distacco dei capi dal resto della popolazione si tradusse nel distacco del pensiero dall’essere, nella subordinazione di questo a quello, nella nascita di divinità trascendenti, puro pensiero, con il quale dominavano la materia bruta. Nelle parole di Marx ed Engels, i parti della mente divennero più forti del loro creatore:

“gli individui sono ora dominati da astrazioni, mentre prima essi dipendevano l’uno dall’altro. L’astrazione o l’idea non è però altro che l’espressione teoretica di questi rapporti materiali che li dominano. Naturalmente i rapporti possono essere espressi soltanto sotto forma di idee”[4].

Lo sviluppo dei commerci, la generalizzazione degli scambi, condusse ad una progressiva perdita di controllo sulle condizioni di esistenza della comunità. Le prime società umane erano limitate nel loro sviluppo da fattori naturali, ma a parte questo, controllavano la propria vita. Con la nascita di società complesse, classiste, con la nascita delle merci, dello Stato e del denaro, questo controllo venne perso per sempre.

“I prodotti dell’attività umana, in certe condizioni sociali, si mettono a funzionare non solo in modo autonomo, cioè indipendentemente dalla volontà o dall’intenzione dei loro autori, ma addirittura contro la loro volontà”[5].

Lo sviluppo della divisione sociale del lavoro e la produzione mercantile sono il fondamento dell’alienazione: la produzione diviene incosciente, guidata da leggi obiettive di fronte a cui l’uomo si pone come fossero leggi naturali; i risultati della produzione non derivano dai bisogni umani trasformati dalla sua volontà in beni atti a soddisfarli ma sono il risultato di scelte autonome, in contrasto tra loro, che danno luogo, interagendo casualmente, a esiti imprevisti.

Al suo sorgere l’alienazione, che non poteva ovviamente essere compresa, produsse la religione e ogni sorta di pensiero magico. Sebbene già nel mondo classico qualche filosofo arrivò a capire che gli dei erano un prodotto dell’alienazione (come notò Lucrezio “la potenza della natura è ciò che chiamiamo dio” o in un aforisma celeberrimo: “primus in orbe deos fecit timor”), solo lo sviluppo del capitalismo ha condotto alle prime spiegazioni scientifiche dei problemi della mente umana.

3. Marx e Freud: lo sviluppo del pensiero freudiano e la lotta di classe

Marxismo e psicoanalisi hanno alcuni tratti in comune. Innanzitutto, sono teorie evoluzioniste, e ritengono lo sviluppo dell’uomo l’aspetto centrale nel comprendere ciò che l’uomo è e ciò che sarà. In secondo luogo, sono concezioni che spiegano che ciò che l’uomo pensa di se stesso non è quello che veramente è: l’uomo si inganna su ciò che ritiene di essere e questo auto-inganno è un processo necessario alla sopravvivenza. In generale dunque, quello che è conscio non è sempre vero, la verità esce fuori raramente, in periodi di crisi e rivoluzioni: “il centro del pensiero di Freud è che la soggettività umana è, in effetti, determinata da fattori oggettivi - oggettivi, almeno, per quanto riguarda la coscienza umana - che agiscono alle spalle dell’uomo, per così dire, determinandone i pensieri e i sentimenti e, indirettamente, le azioni. L’uomo, così orgoglioso della sua libertà di pensiero e di scelta è, in realtà, un burattino”[6].

Solo partendo da questo principio e facendo una critica delle verità accettate (le idee dominanti) si può essere veramente liberi.

Anche per quanto riguarda la dialettica troviamo dei punti di contatto, seppure nel sistema freudiano la dialettica sia inconsapevole e tendenzialmente Freud fosse un meccanicista. Ne abbiamo molti esempi: Freud spiega che si può amare e odiare allo stesso momento lo stesso soggetto, un’esperienza abbastanza comune, eppure del tutto in contrasto con la logica formale[7].

I punti centrali della psicoanalisi che qui interessano sono i seguenti:

- l’uomo non è padrone in casa propria. I processi psichici, sia quelli inconsci che quelli consci, si svolgono alle spalle dell’Io, il quale è chiamato a dare un senso a fenomeni di cui non comprende l’origine se non, nel migliore dei casi, parzialmente;
- l’inconscio è il portato della storia dell’evoluzione umana, mentre il Super-io è l’incorporazione nell’Io del controllo sociale. Più la società si stratifica, più si stratifica e diviene oscura la psiche umana, che dunque ha una struttura storica oltre che biologica;
- tutto ciò che è pauroso agli occhi dell’Io viene rimosso, perché l’Io non vuole vedere l’universo di orrore senza fine che si è aperto nella storia con la nascita delle classi e quello che ciò ha comportato nelle relazioni tra gli uomini. Occorre rimuovere il disastro, il peccato originale, cercando di nasconderlo nell’inconscio; ma la rimozione funziona solo parzialmente e da questo antro, non appena la mente abbassa la guardia, escono segnali terrorizzanti attraverso le vie più diverse (sogni, lapsus, postura corporale, il ritorno del rimosso).

Il veicolo di questi segnali è da ricercarsi fondamentalmente nella sessualità. Si può dire che ogni attività ricreativa umana è una forma di riorientamento di stimoli sessuali. L’uomo trae piacere sessuale da molte attività, e insieme sessualizza tutto. Questo è in essenza il principio di piacere di Freud: la sessualità è un veicolo delle relazioni sociali e il suo strumento è il corpo umano. L’operare di questo principio di sessualizzazione di tutto il reale è chiaramente osservabile nel linguaggio: una cosa piacevole è “una figata”, mentre chi ci fa arrabbiare è “una testa di cazzo”, o “un coglione” e se non la smette ci fa davvero “incazzare”, e se prendiamo una fregatura è una “inculata” e così via.

La nascita dell’inconscio introduce un aspetto repressivo che si attua attraverso meccanismi difensivi volti a sorreggere l’individuo nella sua marcia verso una tranquilla alienazione, quello che Freud chiama il principio di realtà. Questi aspetti emergono al massimo grado nell’arte, che non a caso ha un ineliminabile contenuto onirico e rappresenta, in sintesi, una fuga dalla realtà che pure rappresenta. Da queste considerazioni Freud trae una conclusione storica: la civiltà (ovvero la società di classe) equivale alla repressione. Non appena sorge una differenziazione sociale, l’uomo viene imbrigliato da forze oscure (l’inconscio, il mercato) che dominano la sua vita a sua insaputa. Naturalmente, nessun animale può liberarsi dal funzionamento fisico e biologico dell’ambiente in cui vive. Dunque una sorta di principio di realtà esiste per ogni essere vivente e anche per l’uomo da quando è comparso sulla Terra. Ma è la natura del principio che è mutata nel tempo. Non appena è sorta la repressione, come conseguenza della differenziazione sociale, la “realtà” con cui fare i conti è divenuta la repressione stessa.

Accanto a questi aspetti davvero potenti dell’analisi dinamica della psiche umana, vi sono dei punti deboli nella concezione di Freud che però non sono intrinseci alla struttura analitica della teoria e che sono sviluppati soprattutto nei suoi lavori filosofici mentre rivestono un’importanza minima in quelli clinici. Essi sono essenzialmente due. Il primo è la immodificabilità della natura umana concepita per giunta secondo l’homo homini lupus, che dunque porta a condannare ogni tentativo di migliorare la condizione dell’uomo. Così, per Freud c’è equivalenza tra umanità e civiltà repressiva, negando con ciò gran parte della storia umana, quella che ha preceduto la nascita dello Stato.

L’uomo che ha in mente la psicoanalisi è un uomo statico, sempre uguale a se stesso. Da qui l’idea dell’istinto di morte, l’autodistruzione congenita all’uomo. Il secondo è l’individualismo. Le teorie psicologiche, come tutte le concezioni borghesi dell’uomo, partono dall’individuo, perdendo di vista la causa dei suoi problemi psichici. In ciò sono giustificati dal fatto che nella vita di ogni giorno l’alienazione si presenta come una serie di stati soggettivi: depressione, paranoia, fanatismo religioso, manie sessuali, perché naturalmente lo stato di alienazione in cui la società è immersa si colora diversamente a seconda delle condizioni singole di ognuno.

I marxisti si pongono il compito di estrarre il nocciolo rivoluzionario della teoria freudiana, come di ogni altra genuina scoperta della scienza borghese, per migliorare la comprensione della società e contribuire alla liberazione del genere umano. E' tipico della ristretta mentalità di alcuni presunti intellettuali marxisti rigettare una nuova teoria come sintomo della “decadenza borghese”, magari con l’aiuto di qualche citazione di Marx o Engels. Ma questo non fu mai l’atteggiamento dei fondatori del marxismo. Al contrario, essi esplorarono per tutta la loro vita la scienza ufficiale alla ricerca di ogni più piccolo avanzamento. Nella corrispondenza tra i due si trovano decine di riferimenti ad autori, teorie, spesso oscuri e poco noti anche per quei tempi. Non c’è dubbio che se Marx ed Engels avessero conosciuto la teoria di Freud ne avrebbero immediatamente colto il carattere rivoluzionario, e si sarebbero certamente presi gioco dei pregiudizi piccolo borghesi di quel medico viennese…

Cercheremo dunque qui di riassumere la storia dell’analisi che il marxismo ha fatto della psicoanalisi per cercare di vedere su quali aspetti è possibile costruire oggi un legame fruttuoso tra queste concezioni.

4. Marxismo e psicoanalisi

La storia dei rapporti tra marxismo e pensiero psicoanalitico è lunga e travagliata. Quando le teorie freudiane cominciarono a circolare, non molti marxisti si mostrarono interessati, e d’altra parte erano assai pochi gli psicologi attenti a questioni politiche. Ma pian piano l’interesse reciproco crebbe. L’apice si toccò negli anni successivi alla rivoluzione russa.

Lo stesso Freud, ai tempi, era agnostico se non benevolo verso l’esperimento di costruzione della nuova società, e accettò di buon grado che i bolscevichi si servissero di alcune sue idee. Diversi analisti fecero il passo di legare disturbi mentali e alienazione sociale, riannodando il filo dell’analisi che Marx ed Engels avevano appena cominciato nell’Ideologia tedesca. Purtroppo, questo scambio fecondo venne troncato dall’involuzione del regime sovietico e dalla reazione imperialista in occidente. La controrivoluzione trionfante, ad est come dittatura burocratica, ad ovest come nazifascismo, sembrò confermare le tendenze più pessimiste e oscurantiste della psicoanalisi. Così Freud propose una revisione della propria concezione con la teoria metafisica di Eros e Thanatos, due pulsioni che sarebbero parimenti importanti per l’uomo e addirittura connaturerebbero ogni essere vivente. Se Freud, un ateo convinto, cedette alla fine alla concezione idealista delle due pulsioni, la gran parte delle scuole post-freudiane (soprattutto Jung e Adler) aveva in comune la negazione degli aspetti rivoluzionari della sua dottrina e tornò alle classiche e tranquillizzanti concezioni filistee: la sottovalutazione della sessualità, l’esagerazione degli aspetti irrazionali della psiche umana.

Sotto il profilo storico, la psicoanalisi ha potuto restare neutrale finché la lotta di classe è rimasta dietro le quinte; a partire dalla rivoluzione russa, si è sviluppata una spaccatura: la maggior parte degli psicoanalisti difendevano il capitalismo, Freud era indeciso e alcuni analisti passarono con la rivoluzione. Nel suo complesso, la psicoanalisi divenne una teoria conservatrice, e in alcune correnti apertamente reazionaria. Non potendo accettare che occorre liberare la società dall’oppressione di classe per guarire i pazienti, si trovò di fronte ad un dilemma fatale: non potendo liberare l’individuo, si sforzò di aiutarlo a inserirsi in una società alienata:

“Freud si rendeva conto fino in fondo di questa discrepanza che…si può formulare nel modo seguente: mentre la teoria psicoanalitica riconosce che in definitiva la malattia dell’individuo è causata e alimentata dalla malattia della civiltà in cui vive, la terapia psicoanalitica tende a curare l’individuo in modo che esso possa continuare a funzionare come una parte della civiltà malata senza capitolare completamente davanti a questa.”[8]

In ultima analisi, la terapia psicoanalitica insegna a rassegnarsi. Ma i primi a rassegnarsi furono gli stessi fondatori della teoria. Freud e ancor di più i suoi seguaci si sbarazzarono delle parti rivoluzionarie della teoria, ricostruendola in linea con le esigenze del capitalismo[9].

Possiamo dire che per certi versi la teoria freudiana ha seguito la sorte del pensiero di Hegel, che si è diviso tra la destra, che assumeva le posizioni specifiche difese dal maestro (il “sistema”), e la sinistra che esplorava le possibilità offerte dei nuovi strumenti analitici (il “metodo”). Ma ai tempi di Freud il movimento operaio era enormemente più sviluppato di quanto non fosse alla morte di Hegel e la sinistra freudiana era una sinistra in senso proprio: era formata da intellettuali socialisti e comunisti che si resero subito conto delle potenzialità delle scoperte di Freud.

Sebbene vi siano diverse scuole che hanno sviluppato “da sinistra” le posizioni di Freud, il punto di riferimento principale in tale ambito, nonostante la parabola tristemente discendente che prese la sua teorizzazione, è senz’altro quella di Reich. Dunque ci concentreremo su questo autore e su alcuni suoi commentatori per analizzare l’apice del rapporto tra marxismo e psicologia freudiana.

5. Reich e Freud

La storia delle teorie di Reich è la storia dell’ascesa e del declino del movimento rivoluzionario sorto con la rivoluzione d’Ottobre. La lotta implacabile di Reich, in psicologia, contro la degenerazione della teoria freudiana e in politica, contro la reazione stalinista, gli attirò l’odio dei restauratori, di quelli che coprirono il fiorire rivoluzionario nella teoria e nella prassi con una cappa soffocante di reazione. La sua sintesi mirabile di concezioni psicologiche e politiche portò la comprensione dei processi di reificazione e di alienazione dell’uomo al livello più alto, una cosa che non fu perdonata da chi su questa alienazione costruiva il suo potere sociale, politico, scientifico.

Reich fu un innovatore in campo teorico e insieme si sforzò di conservare il nucleo rivoluzionario della teoria freudiana. Restò l’unico pronto a difendere la teoria della libido, ovvero il ruolo centrale della sessualità nella psiche, quando i freudiani ortodossi avevano già accettato le nuove posizioni del maestro (Eros e Thanatos), è dimostrò quali erano le basi sociali e politiche per l’involuzione della teoria. Reich ebbe un rapporto complesso con Freud. Gli riconobbe enormi meriti come ricercatore, ma non nascose i suoi limiti di filosofo e teorico. In particolare, Reich rimproverò a Freud di aver avuto paura, di aver scoperchiato la pentola e di aver malamente provato a richiuderla, terrorizzato di quello che vi aveva visto. Ma Reich fu anche tra i primi a capire l’importanza degli studi antropologici di Malinowski, che dimostravano la contingenza storica dell’Edipo e di ogni scoperta freudiana, mostrando che le civiltà senza classi e sfruttamento non avevano nemmeno oppressione di genere o una morale sessuale repressiva.

Nei primi anni, Reich fu un analista abbastanza ortodosso e brillante, uno degli astri nascenti della scuola psicoanalitica. Ma poi venne la svolta. Con la prima guerra mondiale, l’Europa si risvegliò, dopo decenni di relativa pace tra le classi e tra le nazioni, nell’incubo del più orrendo conflitto mai vissuto dal continente. Alcuni psicologi vollero vedere nella guerra, e in ciò che seguì, il segno della barbarie congenita nella specie umana, la belva che usciva fuori non appena si grattava la superficie di civiltà. Reich andò più a fondo. Entrò in contatto con il movimento operaio del suo paese, con il proletariato. Mentre gli altri psicologi se ne restavano comodamente nei loro studi a curare ricchi annoiati, Reich costruì dei consultori popolari con cui venne in contatto con più pazienti di quelli che tutti gli altri analisi assieme avessero mai curato.

Questo gli diede una superiorità immensa sotto il profilo della base empirica e della possibilità di generalizzare rispetto agli altri terapeuti. Mentre questi si attardavano a cercare una astratta natura umana (ovviamente malvagia), Reich studiava i problemi concreti di migliaia e migliaia di uomini. Il contatto con la classe operaia cambiò la sua vita e le sue idee. I consultori popolari costruiti nella Vienna rossa dal ‘26 al ‘30 diedero le basi per organizzare la lotta contro la repressione sessuale come parte della lotta al capitalismo.

Reich, iscritto al partito comunista austriaco dal 1927, ebbe l’idea di costruire un’associazione per la liberazione sessuale a seguito di una visita in Russia nel ’29. Fondò così la “Sexpol”, l’associazione per la sessuopolitica, con lo scopo di unire la teoria freudiana della sessualità e il marxismo come strumenti analitici e di lotta. Questa organizzazione, strettamente connessa al movimento operaio e in particolare al partito comunista tedesco, arrivò a contare centinaia di migliaia di iscritti (secondo alcune fonti, fino a 350.000), per lo più giovani proletari.

Sebbene la “assoluta politicizzazione della vita sessuale”, che costituiva la base del suo programma, fosse un concetto un po’ astratto, l’idea di fondo era corretta: la liberazione dell’uomo è anche liberazione dalla morale sessuale repressiva, i comportamenti sessuali sono dettati dalla morale corrente, cioè dai rapporti tra le classi. Anche l’idea che una maggiore consapevolezza sessuale possa aiutare la militanza politica, soprattutto tra le fasce più arretrati di proletari, è accettabile. Senz’altro, una psiche squilibrata produce un lavoro politico monco. L’interesse dei giovani per questi aspetti era immenso e di fatto la Sexpol divenne una fonte di reclutamento importante per le organizzazioni comuniste.

Quelli furono gli anni in cui il dialogo tra marxismo e psicoanalisi fu più fruttuoso sulla base delle lotte sociali e politiche e dell’esempio della rivoluzione bolscevica. Seppure molti marxisti guardassero con sospetto a queste idee (in fondo solo Trotskij, tra i dirigenti bolscevichi, ne capì subito l’importanza), nella pratica della nuova società le idee di liberazione sessuale e della donna, e l’educazione non repressiva, furono introdotte con successo. Reich dimostrò conclusivamente che “la teoria analitica è rivoluzionaria, quindi il suo posto è a fianco del movimento operaio”.

Mentre Reich stava formulando queste idee, la gran parte degli psicoterapeuti viveva stupefatta gli eventi epocali che si trovava di fronte, cercando di starne a distanza. La parola d’ordine era la negazione del legame tra psicologia e politica. Per questo l’associazione internazionale freudiana (la IPV) faceva enormi pressioni perché Reich cessasse l’attività politica o si dimettesse dall’associazione. Al suo rifiuto, vennero messi in campo comportamenti simili a quelli utilizzati nel movimento comunista contro Trotskij. Cominciarono a calunniarlo sostenendo che seduceva le pazienti e che era schizofrenico, poi lo espulsero spargendo la voce che se n’era andato.

Nonostante nei primi anni Reich fosse considerato un buon terapeuta, un “ragazzo prodigio” della psicoanalisi, e avesse fornito contributi decisivi nello sviluppo delle tecniche terapeutiche, fu emarginato e poi cacciato perché andò oltre Freud. Le cause di questo astio non erano solo politiche ma teoriche. Come osservò Reich stesso, non gli si perdonava di aveva concentrato l’analisi sull’argomento scabroso per eccellenza: la sessualità, di non aver accettato la svolta del maestro verso l’ordine borghese e il biologismo. Non solo, ma per comprendere le radici dei disturbi sessuali dei propri pazienti si era messo a studiare Marx ed Engels e li aveva addirittura apprezzati (“uomini grandissimi, e avevano completamente ragione”), comprendendo la futilità dell’analisi dell’individuo: “la terapia individuale non serve. E' inutile. Oh sì, serve a far soldi e a dare una mano qua e là. Ma dal punto di vista del problema sociale, del problema dell’igiene mentale, non serve. Per questo ci rinunciai. Non vale la pena di curare nessuno se non i bambini.”[10]

Questa critica spietata della psicoanalisi come giustificazione dell’esistente e degli psicoterapeuti come casta professionale significò la fine per Reich come analista. Egli pagò le proprie posizioni politiche in prima persona: fu cacciato dalla IPV perché utilizzava gli strumenti analitici freudiani a fini rivoluzionari, da terapia individuale li trasformò in programma rivoluzionario: “non potete avvicinarvi al problema dell’igiene mentale con idee come il complesso di Edipo. Non è possibile. Non ha senso. ciò che aveva senso era la frustrazione, la frustrazione genitale della popolazione…E qui urtate contro il problema sociale - l’istituzione del matrimoni, le leggi, il dogma cattolico, il controllo delle nascite, e una quantità di altre cose sociali.”[11]

Gli anni dell’involuzione della teoria freudiana segnarono anche la fine dell’ondata rivoluzionaria. Non a caso, Reich venne espulso nello stesso periodo dall’IPV e dal partito comunista tedesco. Gli stalinisti gli mossero le stesse critiche di pansessualismo dei freudiani ortodossi. Nel ’33, per una coincidenza niente affatto sorprendente, i suoi scritti furono vietati contemporaneamente nella Germania nazista e nella Russia stalinista. Gli anni dell’ascesa rivoluzionaria erano stati il periodo dello sviluppo di una nuova morale sessuale nell’Unione Sovietica, o meglio del rifiuto della morale ereditata dallo zarismo; il trionfo della burocrazia stalinista segnò la reazione anche in campo culturale e ideologico.

Se non ci fosse stata la degenerazione dei partiti comunisti su linee staliniste, Reich sarebbe stato il creatore della nuova scienza psicologica frutto della concezione marxista della società e delle intuizioni psicoanalitiche sugli aspetti nascosti della mente umana. Invece, la degenerazione stalinista lasciò Reich isolato politicamente, impossibilitato ad insegnare per le sue idee e i suoi trascorsi politici. Nei primi anni di controrivoluzione termidoriana, Reich sviluppò una critica per certi versi corretta all’involuzione burocratica della rivoluzione[12], anzi, l’analisi che fece del ritorno alla morale familista gli permise di scoprire molto presto la degenerazione dello Stato operaio, proprio nello stesso periodo in cui Trotskij andava affinando il concetto di termidoro sovietico. Nel suo esilio americano, la parabola intellettuale di Reich si concluse con una specie di filosofia biologista del piacere (“l’orgonone”). L’isolamento scientifico e politico avevano fatto il loro corso, spingendo Reich verso concezioni biologiste della mente umana. Le stranezze di questo grande uomo furono colte al volo dal “democratico” regime statunitense come prova della sua insanità: Reich morì rinchiuso in un manicomio. Così la società borghese premiò chi aveva osato svelare i suoi più reconditi segreti.

6. La morale sessuale repressiva

Il contributo fondamentale di Reich è l’analisi della morale sessuale repressiva. Egli scoprì che la repressione dei rapporti sessuali gioca un ruolo importante nella formazione del carattere di un “cittadino” ed è un’arma potente nelle mani della borghesia. Sebbene alcune delle abitudini malsane di cui parlava siano venute meno per il minor peso dell’etica religiosa, la morale di fondo del capitalismo, sessuofobica, alienata, rimane la stessa. Reich fu tra i primi a capire che senza un orientamento chiaro sulla questione sessuale è impossibile affrontare con chiarezza l’analisi dei rapporti umani, la questione femminile e dunque il problema della liberazione dell’umanità.

L’opera fondamentale di Reich è La rivoluzione sessuale. Pubblicata nel 1930, quando Reich era da poco approdato al comunismo dopo una deludente militanza austromarxista, rappresenta un attacco a tutto campo alla morale sessuale borghese e alle critiche riformiste, piccolo borghesi della stessa. In questa opera, Reich approfondisce i disturbi dell’armonia della vita sessuale, e soprattutto la repressione dei bisogni sessuali che si accompagna a una discussione continua, morbosa, di questi temi: “Il nucleo della psicologia pratico-politica è la sessuopolitica, poiché il nucleo del funzionamento psichico è la funzione sessuale. Lo dimostra già il carattere della letteratura e della produzione cinematografica: il novanta per cento dei romanzi e delle composizioni poetiche, il novantanove per cento dei film e degli spettacoli teatrali ecc., sono produzioni per bisogni sessuali.”[13]

Sono passati settant’anni da allora e le percentuali rimangono quelle. Dobbiamo solo aggiungervi i programmi televisivi e i siti Internet.

I rapporti di produzione determinano l’ideologia sociale, plasmando la struttura umana, le tradizioni, i costumi. Questo complesso di idee e tradizioni incanala le pulsioni umane in certe direzioni. Nel modo di produzione capitalistico, l’autoritarismo e la sottomissione sono la base per lo sviluppo della psiche delle masse. La repressione sessuale è una parte fondamentale del generale processo di subordinazione sociale della classe lavoratrice. Per questo il conflitto sessuale non è slegato al conflitto sociale: “oggettivamente, la crisi sessuale è un aspetto del conflitto di classe”. Avvilire i bisogni proletari, anche quelli sessuali, è una potente arma della lotta di classe. Fa parte dell’ideologia dominante descrivere questa repressione come una questione naturale (proprio come gli economisti considerano eterne, astoriche, le caratteristiche dell’economia di mercato), mentre la struttura pulsionale è mutevole, è storica (come dice la teoria psicoanalitica parlando di “plasticità pulsionale”). Reich lo dimostrò conclusivamente discutendo dello sviluppo dell’Unione Sovietica, dove l’andamento della liberazione sessuale ebbe una parabola coincidente con la rivoluzione sociale: in avanti fino a metà degli anni venti, poi la stasi e infine un regresso reazionario a partire anni trenta.

In una società alienata, la mutilazione della capacità di godimento sessuale, le turbe del comportamento sessuale sono l’aspetto centrale di cui deve occuparsi la scienza psicologica. L’individuo si corazza contro l’alienazione del mondo esterno; la parte centrale di questa corazza è costituita da un approccio alienato al sesso. Reich spiegò anche che la coscienza di questa alienazione non basta per essere felici. È solo quando la coscienza dei mali si lega ad una lotta per eliminarli che può sorgere una speranza. Solo la lotta per una società non alienata fornisce la possibilità di liberarsi dalle molteplici deformazioni psichiche indotte dal capitalismo.

La scoperta del legame sesso-repressione venne fatta già da Freud, che però si spaventò per questa scoperta. La teorizzazione successiva di Freud fu un tentativo di ritrattare questa scoperta. In un certo senso possiamo istituire un parallelo con l’economia classica: Ricardo e Smith scoprirono l’origine del profitto nello sfruttamento della classe operaia. Gli economisti borghesi successivi fecero di tutto per nascondere questa scoperta.

Freud scoprì nell’inconscio delle persone dei comportamenti di una violenza incredibile, un insieme di pulsioni antisociali che, se scatenate anche solo parzialmente, annienterebbero la convivenza, almeno così come si presenta nel capitalismo. Scoprì quanto i bambini devono essere schiacciati e coartati, soprattutto nella propria sessualità, per diventare rispettabili membri di questa società. Tali scoperte rivoluzionarie scatenarono la scienza ufficiale contro di lui. Freud, slegato da un’idea di cambiamento reale, accettò di trasformare queste scoperte in una sorta di filosofia della rassegnazione, dell’infelicità come carattere necessario della vita umana, prendendo per caratteristiche eterne, biologiche e pertanto ineliminabili queste pulsioni antisociali, segnando la fine della psicoanalisi anche come tecnica clinica. Se infatti si nega la connessione tra problemi individuali e alienazione sociale non si può curare il paziente ma solo tentare di riconciliarlo con la propria malattia. Il paziente va dallo psicologo perché ha una vita d’inferno e la funzione dello psicoterapeuta diviene di convincerlo ad adattarsi all’inferno come unica forma di convivenza umana.

Sebbene la teoria freudiana e le altre concezioni psicologiche borghesi si siano dunque orientate alla negazione del rapporto tra sessualità e rapporti sociali, l’ideologia dominante stabilisce una connessione tra politica e sesso, come si evince dal fatto che il ben pensante associa sempre comunismo e caos sessuale (come già osservano Marx ed Engels nel Manifesto). Non è un caso. Si accusano i comunisti di voler distruggere lo status quo anche per ciò che riguarda la soddisfazione degli impulsi sessuali. Il borghese non può concepire un mondo senza di lui, cioè senza proprietà privata dei mezzi di produzione, un mondo in cui il sesso non si affitta (prostituzione) né si compra (matrimonio).

L’accettazione della morale borghese è un segno inequivocabile di riformismo politico. Per questo Reich sottolineò come la degenerazione della socialdemocrazia in questo campo era una conseguenza dell’opportunismo politico dei riformisti.

Senza rivoluzione sociale non c’è possibilità di superare la repressione sessuale. La riforma sessuale deve partire dall’eliminazione delle forme economiche che determinano i problemi della vita sessuale. Ecco perché i tentativi di riforma sessuale borghesi sono un fallimento: gli effetti (una nuova morale sessuale) non possono precedere le cause (una nuova società). Allo stesso tempo, l’ingresso delle donne nel mercato del lavoro e la crisi della piccola proprietà familiare minano alla base la famiglia borghese. Queste riforme sono dunque destinate al fallimento; ad ogni modo in quello che hanno di progressista vanno incoraggiate e difese (diritto al divorzio, all’aborto ecc.).

La morale borghese si incardina sulla famiglia. Sebbene da un punto produttivo la famiglia borghese da lungo tempo non giochi più alcun ruolo, la borghesia non può che farne il proprio pilastro ideologico fondamentale perché, nota Reich, “il matrimonio costituisce la spina dorsale della famiglia borghese autoritaria, che è la fucina delle ideologie borghesi”. Riconoscere l’appagamento sessuale senza procreazione come caratteristica centrale della sessualità umana e senza sanzione statale sarebbe un grave danno per l’ideologia dominante. Questo riguarda principalmente i giovani. La repressione sessuale degli adolescenti è la base dell’educazione borghese; la chiave di volta per tentare di farne buona carne da cannone, da fabbrica e da ufficio. La liberazione sessuale e della donna poggiano dunque su basi materiali:

“I presupposti sociali per relazioni sessuali durevoli sarebbero: indipendenza materiale della donna, mantenimento ed educazione dei bambini da parte della società, assenza di qualunque intromissione di interessi economici.”[14]

La rivoluzione ha il compito di spezzare i rapporti di produzione dominanti come primo passo per una trasformazione radicale delle condizioni materiali e dunque della coscienza dell’uomo. Nel periodo di transizione ad una società senza classi e senza repressione cominceranno a forgiarsi nuove forme di convivenza tra gli esseri umani. Non è compito dei comunisti anticipare queste forme (come disse Marx “non forniamo ricette per l’osteria dell’avvenire”), ma costruire l’organizzazione che favorisca il rovesciamento del capitalismo, misura previa di ogni liberazione. Per questo Reich, attaccando i riformisti e appoggiandosi sull’esempio bolscevico, scrisse: “Mai più una classe operaia che abbia raggiunto la vittoria, dovrà tollerare che socialisti preteschi, intellettuali eticizzanti, visionari nevrotici o donne sessualmente malate possano decidere del nuovo ordinamento della vita sessuale.”[15]

E come notò Marcuse riprendendo questa idea: “riteniamo fondamentalmente erroneo e fuorviante l’atteggiamento assunto finora dal movimento operaio secondo cui la morale borghese andrebbe sostituita con una parola “proletaria”… qualunque morale è negazione della vita.”[16]

Le vecchie idee e tradizioni pesano come un macigno nella testa degli uomini. Sopravvivono ad epoche passate arricchendosi di nuove realtà. Si insinuano tra le file del movimento operaio, facendo leva sui pregiudizi, sulla frustrazione. Ma allo stesso tempo, la rivoluzione può liberare energie immense, anche partendo da condizioni arretrate. Così, nel periodo 1918-1921, in Russia si produsse la più grande avanzata civile in campo del diritto familiare mai avvenuta nella storia. Come disse Lenin “delle leggi che infliggevano alla donna una posizione di inferiorità, nella repubblica sovietica non è rimasta pietra su pietra”. Il governo rivoluzionario introdusse in quello che era uno dei paesi più arretrati del mondo la piena libertà di divorzio, di aborto, di rapporti omosessuali; forse solo nei paesi del Nord Europa, ottant’anni dopo, c’è una simile libertà giuridica. Nei primi anni dopo la rivoluzione, l’idea che la sfera sessuale fosse qualcosa di oscuro e privato venne superata e, seppur a fatica, si discuteva di tutto.

Reich sottolineò anche la bontà degli esperimenti di educazione collettiva dei bambini, pur in presenza di una spaventosa miseria (si pensi ai lavori di Vigotskij e della Spielrein). Ad esempio, quando un bimbo ne picchiava un altro non veniva punito ma gli veniva descritto il dolore causato. Nella Russia bolscevica Reich scoprì un mondo in cui chi pizzicava il sedere ad una donna, se membro del partito, poteva essere processato, ma allo stesso tempo si poteva “proporre” molto più facilmente un rapporto sessuale.

Seppure non apertamente e a volte senza nemmeno saperlo, la nuova pedagogia sovietica si servì di alcune idee della psicoanalisi e di Reich, ma allo stesso tempo ne criticò i punti deboli (si pensi sempre all’opera di Vigotsky). La psicoanalisi veniva criticata non solo a causa delle sue radici reazionarie ma anche e soprattutto per lo sviluppo che stava prendendo (la “desessualizzazione”, come la definì Reich). In mezzo a questi esperimenti eroici, si andava costruendo la nuova società, ma non una nuova morale o una nuova cultura. Come fecero Lenin e Trotskij con la “cultura proletaria”, Reich attaccò senza pietà i teorici della “morale proletaria”, che pretendevano di fare di necessità virtù, elaborando curiose teorie anziché ammettere la cruda verità: l’enorme livello di miseria con cui il potere proletario doveva fare i conti.

Il governo rivoluzionario fece ogni sforzo per superare la morale e la cultura tradizionali, ben consapevole che non si possono saltare di getto secoli di arretratezza, eredità dello zarismo. Nello stesso paese si combinavano il governo più progressista della storia e alcune delle istituzioni culturali e sociali più arcaiche del mondo. Non poteva che emergerne un cammino tortuoso e contraddittorio, come emerge, ad esempio, in Rivoluzione e vita quotidiana del 1923, dove Trotskij riassume i risultati di inchieste sulle modificazioni avvenute nel comportamento della classe operaia dopo la presa del potere. L’importanza di questo scritto non sfuggì a Reich il quale approfondì con acutezza il quadro di sviluppo diseguale e combinato per cui una classe operaia particolarmente arretrata aveva preso il potere.

La rivoluzione era necessaria per sviluppare nuove forme di relazioni sociali, ma non permetteva, di per sé, di eliminare l’eredità culturale e di tradizioni che i lavoratori russi si portavano dietro. La vecchia famiglia si stava sfaldando, ma con cosa veniva sostituita? Ai funerali nessuno voleva più il pope né si voleva fare il segno della croce, e si alzava il pugno chiuso, ma bastava? Al linguaggio pieno di imprecazioni e bestemmie del proletariato occorreva sostituire un linguaggio più elevato. Ma non era facile. In realtà la distruzione non risultava difficile, ma la costruzione lo era assai di più.

Alla tradizione si sostituiva il nulla. Decisamente poco. La rivoluzione aveva agito come una bomba, un’immane esplosione che aveva fatto saltare in aria tutto ciò che c’era prima. Dopo si trattava di ricostruire con i brandelli del passato le strutture del futuro. Nel libro Trotskij fa l’esempio dei nomi dei figli. C’erano operai che semplicemente davano ai figli nomi connessi alla rivoluzione (“ottobrina”); altri per sceglierlo facevano un referendum in fabbrica; altri davano ai figli nomi di fantasia e questo era il sintomo della libertà ma anche della difficile avanzata della rivoluzione.

Naturalmente, per quanto eroici gli sforzi del partito comunista, non potevano da soli superare secoli di oscurità. In mezzo al caos della guerra civile, alla gente che si cibava dei propri parenti morti, ai contadini che sgozzavano i comunisti che gli rubavano il grano, quale nuova morale sessuale poteva svilupparsi? Le cause che determinarono la degenerazione della rivoluzione russa condussero, a partire dagli anni ’30, alla reazione nel campo della morale sessuale. La collettivizzazione dell’educazione dei figli, il pilastro della nuova società, lasciò il posto al regresso verso le vecchie forme di autoritarismo morale. La burocrazia andava consolidando il suo potere politico e come ogni casta dominante le occorreva un puntello ideologico a giustificazione del suo potere. Risorse così ogni vecchio pregiudizio, dall’omofobia all’antisemitismo, mentre vennero esaltate la famiglia, la subordinazione al padre e al marito e così via.

Reich constatò amaramente che a metà degli anni ‘30, i sovietici in fatto di famiglia rivaleggiavano con i nazisti, e descrivendo la deriva presa dalla politica sovietica nel secondo piano quinquennale, notò magistralmente: “il risultato sarà allora un’economia altamente tecnicizzata, azionata da nevrastenici e macchine viventi; ma non il socialismo”.

Sulla base dell’esperienza concreta di lotta per la liberazione sessuale, e dell’analisi delle forze politiche che dominavano l’Urss, la direzione della Sexpol trasse insegnamenti rivoluzionari. Non solo aveva abbracciato il comunismo come unica teoria coerente con la liberazione dell’uomo, ma negli anni della stalinizzazione del movimento operaio mondiale, rimase fedele alle tradizioni bolsceviche e fu spesso vicina alle posizioni di Trotskij. Per questo, la controrivoluzione staliniana ne decretò la fine. Non c’era posto per la liberazione sessuale nei partiti stalinisti. La burocrazia sovietica premiava le famiglie numerose, le donne fedeli al loro ruolo tradizionale, figurarsi se si poteva parlare di parità, di educazione non repressiva. I teorici della sessuopolitica fecero la fine di tutti gli altri oppositori del regime stalinista.

Dopo Reich, alcuni filoni del pensiero psicoanalitico hanno fornito contributi interessanti all’analisi del rapporto tra società e disturbi psichici. Tra questi il filone più famoso è quello connesso alla Scuola di Francoforte, animata da filosofi e psicologi tedeschi, poi emigrati in America durante il nazismo, e che partì dai contributi dello stesso Reich e del filosofo marxista Lukacs. Nonostante i molti spunti interessanti, la Scuola di Francoforte non ha mai raggiunto il livello analitico di Reich, anche perché, in primo luogo, i suoi esponenti erano filosofi e non psicoterapeuti e dunque concepivano la teoria freudiana in modo assai astratto; in secondo luogo non furono mai coinvolti nel movimento operaio come fu per Reich, seppure in alcuni periodi, per effetto delle lotte operaie e studentesche, alcuni suoi esponenti si spostarono a sinistra. Ad esempio, se si confrontano le due edizioni di Eros e civiltà di Marcuse si nota come avesse sviluppato molti spunti politici della propria opera e si fosse avvicinato più decisamente al marxismo, arrivando alla teoria secondo cui non occorreva psicologizzare il reale, ma politicizzare la realtà, “sviluppare la sostanza politica e sociologica delle nozioni psicologiche”. Marcuse, il più noto filosofo di questo filone, riprese da Freud l’idea che la civiltà è essenzialmente una struttura repressiva, ma respinse l’idea dell’impossibilità di una civiltà non repressiva:

“La concezione dell’uomo che emerge dalla teoria freudiana è il più irrefutabile atto di accusa della civiltà occidentale, ed è al tempo stesso, la difesa più incrollabile della sua repressione.”[17]

Quando l’uomo passa dal principio del piacere (immediato) al principio di realtà (che implica un appagamento “ragionato” e dunque dilazionato), imparando a rinunciare ai piaceri immediati, si castra da solo. Per Freud questi istinti sono un dato. Questa astoricità, come notarono i suoi critici, si riflette anche nella concezione tripartita della mente: l’Es, regno dell’inconscio, non ha tempo né morale, è il regno del piacere e delle pulsioni, che il “mediatore”, l’Io, tenta malamente di tenere a bada bilanciandosi tra le spinte arcaiche dell’Es e i condizionamenti sociali incorporati dal Super-io, che rappresenta le istituzioni, la società, la “signora Thatcher della psiche”, secondo una efficace definizione. Il Super-io è il controllore, il testimone del peccato originale dell’umanità. Ma qual è questo peccato? Secondo il marxismo, in sostanza il processo storico che ha privato la quasi totalità del genere umano dei mezzi di produzione, il sorgere delle classi. Questo processo, (descritto in moltissime leggende antiche, si pensi alla Genesi e all’Esodo, come Marx e Freud capirono bene) è proprio la guerra civile che portò alla nascita della schiavitù, una caduta da cui l’umanità non si è ancora rialzata. Non a caso, esistono società senza senso di colpa, sono quelle senza classi[18].

Tra i più noti allievi e successori di Reich vi è anche Fromm, che in alcune opere ha fornito contributi eccellenti all’analisi politica della psiche e che continuò per alcuni versi le tradizioni reichiane anche in politica (ad esempio, criticando lo stalinismo, riscoprendo le vere radici del pensiero comunista tanto da esaltare Trotskij nella recensione che fece dei Diari dell’Esilio e chiamando Marx, Engels, Lenin e Trotskij “a flowery of Western humanity”). Attaccò anche alcuni psicologi pseudoprogressisti, che confondevano il marxismo e la cultura hippy.

7. Lotta di classe e liberazione della donna

Una spiegazione materialista, storica e dialettica della psiche umana è fondamentale per comprendere il passato, il presente e il futuro dell’umanità e dunque per la lotta di classe. La critica delle teorie dominanti anche in tema di analisi della psiche, della natura umana e della morale, sono un elemento centrale della critica all’ideologia dominante.

Il marxismo non si limita ad una critica degli assetti economici della società, ma formula una critica di ogni aspetto della civiltà borghese, sottolineando le interazioni di tali aspetti. La morale borghese è funzionale alla massimizzazione del profitto. Allo stesso modo, il venire a patto con la morale corrente è una conseguenza della rinuncia alla trasformazione della società. Per questo, durante il periodo rivoluzionario ‘68-’78, gli stalinisti, dovunque contavano qualcosa, vennero in soccorso della morale borghese attaccando le istanze libertarie del movimento. Ma anche le avanguardie rivoluzionarie erano spesso preda dei pregiudizi borghesi, stretti tra teorie di liberazione sessuale totale immediata e ricostruzione di un consesso repressivo (il gruppo politico al posto della famiglia). Come ha spiegato Reich, il punto centrale è che la repressione sessuale ha l’obiettivo di abituare l’individuo alla sottomissione. Per questo la lotta contro la repressione sessuale è parte integrante della lotta per il socialismo.

Dai tempi di Epicuro i materialisti rivendicano il diritto al piacere, ma i marxisti sanno che il modo con cui esso è soddisfatto dipende, in ultima analisi, dai rapporti di produzione dominanti. Non è possibile, per la società capitalista, tollerare liberamente il piacere sessuale. Non è possibile, senza liberazione dalla schiavitù materiale, giungere alla liberazione integrale dell’individuo.

Freud, come detto, ha scoperto che la nevrosi è il prodotto di una rimozione sessuale fallita, ovvero di un conflitto irrisolto tra diverse istanze pulsionali che conduce a nascondere senza successo gli esiti del conflitto stesso. Ma rifiutando di dare a questa scoperta un connotato storico, di fatto, consigliava all’uomo di adattarsi e alla donna di subire. I marxisti, al contrario, devono mettere in luce il legame tra nevrosi e società, battendosi contro ogni repressione sessuale come parte della più generale repressione contro gli oppressi. Senza dubbio non è facile, perché spesso è proprio la persona malata, repressa, nevrotica a non voler essere curata. È meno doloroso accettare per buona la propria situazione alienata che lottare per cambiarla. Così si preferisce fare uso di qualcosa che renda meno dolorosa la verità: le droghe, i farmaci, la religione.

Non sempre un movimento reazionario è portatore di un’ideologia sessuale repressiva: i nazisti seguivano una mistica sessuale e il loro codice sessuale era straordinariamente tollerante. In cambio, l’ideologia nazista era ferocemente misogina e più in generale repressiva nei confronti delle minoranze. Possiamo dunque concludere che in generale, l’ideologia dominante si basa sulla repressione della donna e anche, tipicamente, sulla repressione sessuale. Le due cose si rafforzano vicendevolmente, dato che la repressione sessuale riguarda principalmente le donne. L’emancipazione della donna, la lotta per una sessualità liberamente dispiegata, il rifiuto della morale dominante, sono dunque parte di una sola battaglia.

Le difficoltà in questa battaglia derivano dal fatto che molte correnti del movimento operaio hanno rifiutato le radici sociali dell’oppressione femminile, sostenendo che l’inferiorità della donna fosse naturale (come alcune correnti riformiste), o che il conflitto tra uomo e donna fosse anch’esso biologico e dunque slegando la repressione della donna dalle condizioni materiali, come diverse correnti femministe.

Il compito dei socialisti non è proporre un modello di famiglia alternativo all’esistente, né “distruggere” la famiglia borghese, ma innanzitutto spiegare le radici della crisi organica e irreversibile dell’istituto familiare e della morale borghesi; in secondo luogo costruire le condizioni sociali, economiche, culturali (la società di transizione) dal cui seno possano scaturire la liberazione della donna e, in seguito, nuove forme di aggregazione sociale.

Questo non fu subito chiaro agli stessi fondatori del socialismo scientifico. Marx ed Engels spiegavano giustamente che non c’era alcuna morale socialista da imporre, ma dai loro primi scritti trapela una certa sessuofobia vittoriana, come si vede nella critica alla dottrina di Fourier che rivendicava per le donne il diritto al libero amore. Ora, è senz’altro vero che la fissazione dei proletari maschi per il sesso non è affatto “naturale”, ma è frutto della miseria e dell’alienazione; ma da questo a dire che la vita monogamica è invece la norma ce ne corre. Lo sviluppo della teoria e lo studio dei lavori antropologici di Morgan aiutarono Marx ed Engels a capire quale sconfitta storica era venuta per la donna dal sorgere della proprietà privata dei mezzi di produzione e la loro concezione dei rapporti tra i sessi divenne pienamente adeguata alla concezione materialistica della storia.

La degenerazione opportunistica della Seconda internazionale si riflesse sulle posizioni dei socialisti in merito alla morale sessuale. Lo si vede chiaramente nel libro, nel complesso corretto, che Bebel dedicò all’argomento. A parole vi si difende la lotta per l’emancipazione e la parità della donna, ma tra le righe si legge l’accettazione riformista della morale dominante (Bebel chiama ad esempio l’omosessualità un “godimento contro natura”). Ogni forma di liberazione sessuale è demandata a dopo la rivoluzione. Ora questa posizione apparentemente corretta e radicale è in realtà comodamente opportunista. Visto che occorre aspettare il socialismo, per ora accettiamo l’oppressione della donna.

Seguendo questa logica i socialisti dovrebbero ritrarsi da ogni attività concreta e ridursi ad un gruppo propagandistico. Ma il fatto che la classe operaia abbia poco da sperare dai padroni non impedisce le battaglie per ridurre l’orario di lavoro, per servizi sociali universali e gratuiti e così via. Lo stesso vale per la questione femminile. Si trattava dunque di un atteggiamento opportunista che non tardò a dare i suoi frutti: nel 1918 il consiglio socialdemocratico dei delegati del popolo dispose licenziamenti di massa di donne a favore dei reduci di guerra. Ecco come i riformisti hanno risolto il problema della disoccupazione postbellica.

La sorte del rapporto tra questione femminile e Terza Internazionale è simile. Anche grazie alle analisi di Reich, l’Internazionale comunista iscrisse sulle sue bandiere la liberazione della donna come obiettivo centrale dell’emancipazione della classe operaia. La controrivoluzione stalinista comportò, in Unione Sovietica, il ritorno all’ideologia familista e nei partiti “comunisti” il corteggiamento di queste stesse ideologie reazionarie sotto forma di alleanza con i lavoratori cattolici, di difesa della “donna madre” e così via.

In conclusione, così come la libertà della donna è un indicatore assai preciso del grado di sviluppo di una società, l’importanza che l’emancipazione della donna ha nel programma di un’organizzazione operaia indica quanto questa organizzazione sia avanzata o quanto sia invece immersa nell’ideologia borghese. I comunisti non sanno come saranno i futuri rapporti tra gli uomini, ma sottolineano come l’abbattimento delle società di classe, del suo Stato e della sua ideologia sono l’inevitabile primo passo per la liberazione della donna, e di tutta l’umanità, dalle loro catene materiali, psicologiche, culturali. Lo scopo del socialismo è porre fine al mondo della necessità, delle privazioni e della alienazione per dare inizio al mondo della libertà, delle possibilità sconfinate, “un mondo dove tutto è possibile”.

Bibliografia

AA VV (Reich, Fromm e altri), Contro la morale borghese
Engels F., Marx K., L’ideologia tedesca
Fromm E., La crisi della psicoanalisi
Fromm E., Marx e Freud
Fromm E., Character and Social Process
Goux J. J., Freud, Marx. Economia e simbolico
Marcuse H., Eros e civiltà
Marx K., Grundrisse
Matte Blanco I., L’inconscio come insiemi infiniti
Merfeld M, L’emancipazione della donna e la morale sessuale nella teoria socialista
Reich W., La rivoluzione sessuale
Reich W., Individuo e Stato
Reich W., Reich parla di Freud
Trotskij L., Rivoluzione e vita quotidiana
Trotskij L., La rivoluzione tradita
Vigotsky L., La coscienza come problema della psicologia del comportamento


[1] Come nota Marx: “quanto più risaliamo indietro nella storia, tanto più l’individuo - e quindi anche l’individuo che produce - si presenta privo di autonomia, come parte di un insieme più grande” (Introduzione del ’57, p. 5). (torna su)
[2] K. Marx, F. Engels, L’ideologia tedesca, pp. 9-13. (torna su)
[3] Coscienza etimologicamente significa proprio questo: “sentire con”, “sentire insieme”. (torna su)
[4] K. Marx, Grundrisse, p. 107. (torna su)
[5] A. Schaff, Saggi filosofici, II volume, p. 41. (torna su)
[6] E. Fromm,  Marx e Freud, p. 118. (torna su)
[7] Freud scoprì che questo nuovo “regno”, l’inconscio, era retto da una logica diversa da quella del pensiero “razionale”, cosciente. Il pensiero cosciente è costretto a focalizzarsi su una cosa alla volta, ciò consente la distinzione, la conoscenza distinta. Lo sviluppo della coscienza (e insieme dell’inconscio) è anche lo sviluppo del pensiero astratto. Freud molto profondamente osservò che lo schizofrenico, e dunque l’inconscio, non distingue tra cose concrete e astratte. L’astrazione è l’essenza della coscienza. La logica dell’inconscio ammette le contraddizioni, ne è intrisa. L’analista deve riuscire a guardare nell’inconscio del paziente, e perciò deve impadronirsi delle leggi della logica inconscia. Come nota l’analista Matte Blanco: “il ‘no’ sembra non esistere per i sogni. Essi mostrano una particolare predilezione a combinare i contrari in una unità o a rappresentarli come una e la stessa cosa.” (L’inconscio come insiemi infiniti). Nello stesso testo Matte Blanco fa un’altra interessante osservazione sulla socialità: la sopravvivenza degli individui in un gruppo dipende dal fatto che adottino la mentalità del “tutti per uno e uno per tutti”. Questo significa identificarsi con l’altro e con la comunità, ovvero negare la logica della distinzione, la logica aristotelica (io sono anche l’altro, io sono anche il tutto). In un certo senso possiamo dunque dire che la logica formale nasce con le classi. Prima di aversi la distinzione di A da B si deve avere quella degli oppressi dagli oppressori. (torna su)
[8] H. Marcuse, Eros e civiltà, p. 255. (torna su)
[9] Come nota Fromm: “Io credo che la principale [ragione della crisi] risieda nella trasformazione della psicoanalisi da teoria radicale a teoria conformista.” (La crisi della psicoanalisi, p. 14). (torna su)
[10] W. Reich, Reich parla di Freud, p. 62. (torna su)
[11] Reich parla di Freud, cit., p. 91. Questo non significa negare l’esistenza di un rapporto edipico tra figli e genitori, ma vuol dire concepire questo rapporto come specchio di una relazione sociale complessiva. (torna su)
[12] Scrisse ad esempio: “Non c’è bisogno di molta lungimiranza per capire che un Lenin o un Engels non avrebbero potuto sopravvivere nella Russia del 1930”, e anche “la Russia è degenerata. Il marxismo comunista è degenerato nello stalinismo e nell’imperialismo”.
Ma allo stesso tempo non riusciva a comprenderne le radici: “non dubitai mai per un solo istante che le teorie e le prese di posizione dei fondatori del movimento socialista fossero giuste. Ogni passo del mio lavoro ed ogni esperienza ne aveva confermato la validità...ma perché allora in Germania comandava Hitler...? perché in Unione Sovietica comandava Stalin e non Trotskij? La Quarta Internazionale di Trotskij mi sembrava un inutile fallimento.” (Individuo e Stato, p. 226). (torna su)
[13] W. Reich, La rivoluzione sessuale, p. 28. (torna su)
[14] Eros e civiltà, cit., p. 207. (torna su)
[15] La rivoluzione sessuale, cit, p. 401. (torna su)
[16] Eros e civiltà, cit., p. 83. (torna su)
[17] Eros e civiltà, cit., p. 59. (torna su)
[18] Intendiamo qui per senso di colpa l’introiezione di divieti sociali e non semplicemente un sentimento naturale, legato all’empatia che un uomo può provare per un suo simile. Un bambino può provare dispiacere per aver fatto male senza volerlo ad un suo compagno di giochi in ogni società, ma solo un lavoratore salariato ben “istruito” prova rimorso perché sta lavorando pigramente. (torna su)


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Aggiornamento: 14/12/2018