ARTE ANTICA MODERNA CONTEMPORANEA


Il Rinascimento iTALIANO

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MICHELANGELO BUONARROTI

Dario Lodi

Michelangelo, 1475-1564, visse il periodo più critico della storia della chiesa romana. Due furono i personaggi principali che decretarono la caduta del potere temporale della chiesa, chiudendo un millennio di pensiero spirituale al comando della società umana: Lutero e l’imperatore Carlo V.

Lutero apponendo le sue famose tesi a Wittenberg in Sassonia, regione a nord-est della Germania, e Carlo V punendo Roma per una precedente lega cui Roma stessa aveva aderito con lo scopo di abbattere l’impero. La punizione fu il sacco romano ad opera dei Lanzichenecchi, mercenari svizzero-tedeschi al soldo di chiunque, nel 1527. Carlo V, il più grande imperatore del Sacro Romano Impero dopo Carlo Magno, intendeva riportare la chiesa alla gestione dello spirito e naturalmente privare ogni lega contro di lui di un nemico tanto potente in senso psicologico.

La chiesa romana, dal suo canto, aveva compiuto eccessi con la vendita delle indulgenze, grazie alle quali ogni peccato veniva mondato tramite il semplice versamento di denaro. Questi eccessi erano dovuti alla spese ecclesiastiche per l’erezione della più grande chiesa del mondo, la Basilica di San Pietro. La chiesa era sicura di poter far fronte anche a questi nuovi nemici e per dimostrare la sua grandezza inattaccabile, aveva pensato all’abbellimento di Roma. Il mondo sarebbe rimasto sbalordito di fronte a tanta magnificenza per assicurarsi la quale i papi chiamarono i maggiori artisti del tempo, fra cui, appunto, Michelangelo.

La chiamata di Michelangelo, costretto anche a fare il pittore, fu dovuta alle capacità dell’artista di creare ambienti ideali, monumentali, scene imponenti, personaggi possenti, carismatici, come nessuno ai suoi tempi. Il valore di Michelangelo come artista non passò certo inosservato, egli non arrivò a Roma per fare lo scenografo, ma il suo valore artistico fu qualcosa di più adatto allo scopo spettacolare della chiesa.

Non dimentichiamo il culto del tempo per il neoplatonismo né le raffinatezze intellettuali degli stessi uomini di chiesa. Michelangelo appare più diretto nelle sue considerazioni e soprattutto più amante di una spettacolarità caratterizzata da un senso di profonda partecipazione all’evento narrato. L’evento viene come rivisitato, ordinato e incastonato in un’atmosfera ideale, dove gli insegnamenti biblici raggiungono un’intensità che va ben oltre l’emozione. Michelangelo esegue commissioni papali e deve stare dentro una certa ortodossia, ma in quest’ambito egli sa svolgere un discorso animato che ha come riferimenti cuore e intelletto, fusi insieme da una volontà tutta umana di comprendere sensualmente le cose trascendentali, come da lezione umanistica di Pico della Mirandola.

L’artista sembra raccogliere nel proprio animo il sapere sottile del tempo e metterlo in immagini. Il suo è un inno al Rinascimento che sta volgendo al termine, è una sorta di splendido canto del cigno, del tutto inconsapevole, così come era accaduto a Raffaello di celebrare adeguatamente, con la sua inimitabile pittura, il periodo sinora più glorioso per l’essere umano, l’Umanesimo quattrocentesco illuminato, per così dire, da Leonardo.

HOMO MICHELANGELO

Roberto Giavarini

Scrivere di Michelangelo è come mettere l'oceano in un bicchiere. Egli, come Bach o Proust, Einstein o Pitagora, non fu un alieno giunto col suo disco volante nel deserto terrestre ad incensare con improvvisi doni l'umanità. Il genio avulso dal suo tempo è una chimera, uno stereotipo strampalato.

Quando nacque, Michelangelo aveva già duecento anni; sì, perché ci vollero due secoli di fermento, forse più, perché le botteghe rinascimentali sviluppassero quel sapere che sarebbe stato, a tutti gli effetti e per tutta la vita, le fondamenta del suo lavoro e del suo pensiero.

Giovanissimo, manifestò i tratti di una personalità incline all'arte. Fu affidato alla bottega del Ghirlandaio. Chiunque entrava a far parte di una bottega rinascimentale, iniziava un apprendistato che richiedeva sforzi e impegno notevoli. Si iniziava dai lavori più semplici e umili. Il percorso proseguiva negli anni approfondendo e prendendo dimestichezza con tutte le attività, dai lavori di gioielleria, alla fabbricazione dei piatti, alla pittura, scultura, lettura dei testi letterari e filosofici. I ragazzi venivano condotti nelle Chiese a copiare, per imparare, i dipinti dei grandi maestri che li avevano preceduti.

Questo fu il percorso di Michelangelo. Anch'egli, e stiamo parlando di Michelangelo, dovette sudare per imparare. Si conservano ancora oggi suoi disegni giovanili su carta, a penna e a sanguigna, che sono la copia di affreschi di Masaccio e Giotto. Come un ginnasta, un ballerino o un musicista, egli trascorse anni esercitandosi nella tecnica e affinando la propria sensibilità.

Poi, per lungo tempo, fu in sostanza allevato da Lorenzo il Magnifico che lo accolse in casa sua. Qui ebbe la possibilità di accrescere il suo bagaglio culturale ed intellettuale. Gli furono messe a disposizione sculture antiche per farne copia e perfezionare la sua tecnica. Michelangelo, ragazzo, ebbe quindi ogni possibilità di apprendere con calma e rigore tutto il sapere del suo tempo. Solamente attraverso questa profonda, immensa formazione il suo genio sarebbe potuto sbocciare. E Sbocciò.

I primi bassorilievi sono chiare dimostrazioni del suo amore (che non lo abbandonò mai) per la scultura greca e romana. Fece una statua che tentò di spacciare per antica. Fu scoperto e fu la sua fortuna. Il suo talento parve così evidente che presto arrivarono le prime commissioni. Il primo capolavoro, la Pietà (1498-1499, marmo, altezza 174 cm, profondità 69 cm, San Pietro in Vaticano, Roma), fu scolpita da Michelangelo poco più che ventenne. La perfezione assoluta trascende il classicismo convenzionale. Trasuda spiritualità. La grande scultura greca si fonde con l'essenza del cristianesimo e dà vita a ciò che mai si era visto.

Michelangelo legge Dante (Vergine Madre, figlia del tuo figlio, … PARADISO, CANTO XXXIII, v1), guarda i greci e i maestri del primo rinascimento con l'animo scosso dai tizzoni ancora ardenti che, poco tempo prima, avevano arso il corpo di Girolamo Savonarola. La sua spiritualità fu pervasa tutta la vita da un profondo senso religioso che lo animava e, nel contempo, tormentava.

Nel 1504 Agnolo Doni, ricchissimo mercante fiorentino, gli commissionò una sacra famiglia, dipinto oggi conosciuto con il nome di Tondo Doni (1504-1506, tempera su tavola, diametro 120 cm, Galleria degli Uffizi, Firenze). Ancora una volta Michelangelo guardò al passato e realizzò un'opera nuova, rivoluzionaria, dove il cuore del Nuovo Testamento coesiste con gli ignudi della classicità, a simboleggiare l'universalità dell'uomo. Il dipinto è eseguito a tempera all'uovo. Michelangelo disprezzava la pittura ad olio.

Cacciati i Medici, la Repubblica (Michelangelo fu sempre un fervente repubblicano) gli commissionò il David (1501-1504, marmo, altezza m 410 cm, Galleria dell'Accademia, Firenze).

Il blocco era già stato sbozzato da due scultori diversi anni prima e da tempo giaceva inutilizzato. Michelangelo accettò la sfida e lavorò ininterrottamente per tre anni. Il gigante, come subito venne chiamato e che doveva simboleggiare i valori della neorepubblica, è l'espressione dell'uomo al centro del “Tutto”, forte e proteso all'infinito. Golia, cioè il perdente, non è rappresentato.

Ancora una volta i riferimenti all'antico sono chiari; ancora una volta sono trascesi.

Dopo il David, La battaglia di Cascina, affresco che sarebbe dovuto essere su una parete del Palazzo Vecchio, in gara con Leonardo e la sua Battaglia di Anghiari, opere commissionate dalla Repubblica. Entrambi eseguirono i cartoni preparatori definiti dal Cellini “La scuola del mondo”.

Conosciamo l'impianto di queste opere solamente attraverso copie. Leonardo a causa di problemi tecnici abbandonò il lavoro. Michelangelo venne chiamato dal papa Giulio II perché realizzasse la sua tomba in San Pietro. Michelangelo, inebriato da una commissione così prestigiosa, lasciò Firenze.

La tomba di Giulio II sarebbe dovuta essere una gigantesca installazione, con oltre quaranta statue a celebrare la magnificenza del Pontefice che stava riconquistando i territori perduti della Chiesa e che, a guisa dei maggiori principi europei, voleva rendere unica la sua corte.

Presto mancarono i fondi per un lavoro di quella portata.

Michelangelo aveva già sbozzato alcune sculture che, nei secoli a venire, sarebbero divenute famose con il nome di Prigioni e che avrebbero dato vita ad uno dei luoghi comuni più fuorvianti sull'opera di Michelangelo, ossia che egli si sia avvalso della “Tecnica del non finito”.

Ai nostri occhi, cioè agli occhi di osservatori moderni, abituati agli innumerevoli “ismi” che hanno imperversato, abituati ai Rodin, Medardo Rosso, Giacometti ed altri, è facile cadere nell'equivoco di credere che Michelangelo lasciasse volutamente a quello stadio di lavorazione i cosiddetti Prigioni.

Nessun committente del suo tempo avrebbe mai accettato un'opera lasciata volutamente incompiuta. Nessuno! La definizione “tecnica del non finito” è un'espressione moderna che non rende giustizia né verità a queste opere.

La ragione vera, storica, per cui Michelangelo non finì mai queste sculture, è che il Papa, dissanguato economicamente dai conflitti per la riconquista dei territori, gli tolse la commissione della tomba.

Il non finito dei Prigioni, che ci piaccia o no, è perciò la conseguenza dello stop da parte del committente, non un mezzo espressivo. La loro poesia è comunque immensa.

Giulio II, nonostante, voleva servirsi del talento di Michelangelo e gli commissionò un'opera meno onerosa della tomba, ossia affrescare la Volta della Cappella Sistina (1508-1512, Affresco, 4023-1330 cm, Cappella Sistina, Palazzi Vaticani,Vaticano, Roma) eretta poco tempo prima da suo zio, Sisto IV.

Michelangelo, che non aveva dimestichezza con l'affresco, per di più su un soffitto di tali dimensioni, inizialmente si mostrò titubante ma poi accettò l'incarico.

Sembra che, prima di accingersi ad eseguire gli studi preparatori, tornò a copiare a sanguigna su carta le figure degli affreschi di Masaccio per “imparare”. Uno di questi fogli ci è pervenuto.

Chiamò pittori fiorentini esperti nella tecnica dell'affresco e si fece aiutare ad iniziare il lavoro sulla Volta. Si avvalse sempre di collaboratori.

Vi è rappresentata la Genesi narrata nell'Antico Testamento, ignudi (come nel Tondo Doni) circondano le scene e reggono i medaglioni, Sibille del mondo pagano convivono con i Profeti.

La scelta del soggetto, che inizialmente doveva essere I dodici Apostoli, fu logica e obbligata. Sulle pareti sottostanti Botticelli, Perugino ed altri, avevano già dipinto la vita di Mosè e di Cristo. La Genesi avrebbe dato senso compiuto al tutto.

Michelangelo e i suoi aiutanti vi lavorarono quattro anni. Non lavorò mai solo. L'artista che in solitudine affronta il lavoro colossale è un altro luogo comune da sfatare.

Morì Giulio II e gli eredi gli ridiedero l'incarico di realizzane la tomba in dimensioni più modeste. Questa commissione, con le difficoltà ad onorare il contratto, andò avanti lunghi anni e Michelangelo giunse a definirla “la tragedia della mia vita”.

Il celebre Mosè (1515 ca. altezza 235 cm, Tomba di Giulio II, S.Pietro in Vincoli, Roma) è il punto centrale della tomba.

Anni dopo Michelangelo tornò a Firenze per difendere la Repubblica ma i Medici ripresero il potere ed egli fu ricercato e costretto a nascondersi. Uscito allo scoperto, lo incaricarono di eseguire le tombe dei Medici (1525-1531 ca) nella Sagrestia Nuova in San Lorenzo a Firenze. Vi lavorò col terrore di essere ucciso.

Dopo le tombe dei Medici fu chiamato a Roma per il Giudizio Universale (1537-1541, affresco,1370x1220 cm, Palazzi Vaticani, Vaticano, Roma), ancora Dante, ancora i greci. Poi la Cappella Paolina (1542-1545, affreschi, 625x662 cm, Cappella Paolina, Palazzi Vaticani, Vaticano, Roma). Poi il cantiere della nuova Basilica di San Pietro.

Negli ultimi anni scolpì alcune pietà per se stesso e realizzò per gli amici disegni fatti di spiritualità e bellezza. Poi l'ultima opera, ancora una Pietà, chiudendo il cerchio aperto quando era un giovane uomo: La pietà Rondanini (1552-1564, marmo,altezza 195 cm, Museo del castello Sforzesco, Milano), opera grandiosa e stanca, amata dall'epoca moderna più per i suoi difetti che per i pregi.

In questo breve scritto si è accennato solamente ad alcune opere. Su Michelangelo e la sua opera ci sono tonnellate di libri. Perché scrivere ancora? Interessa evidenziare che Michelangelo fu totalmente un uomo del suo tempo, il risultato di secoli di ricerca e conoscenza che egli seppe condensare in sé e fuori di sé.

Poi ci siamo noi, il nostro tempo, il rifiuto e la non conoscenza della tradizione, l'illusione che da niente possa nascere qualcosa, un'epoca in cui tutti sono artisti, in cui molti, troppi, hanno la faccia tosta (in buona fede, il che è ancora peggio) di ritenersi tali, rincuorati e sorretti dal proprio vuoto e da chi di quel vuoto si nutre e specula. Nessuna epoca, prima della nostra, ha propinato così sfacciatamente il nulla spacciandolo per grandezza. Non ci vergogneremo mai abbastanza.

Senza il rispetto e la conoscenza del passato, di ciò che è stato, non c'è innovazione, non c'è futuro. La storia è l'esperienza del mondo. Ma noi siamo troppo indaffarati a vivere e abbiamo poco tempo per occuparci di questo. Oggi abbiamo la dispensa vuota, dobbiamo correre a fare la spesa.

Forse domani pioverà, dovremo ricordarci di uscire con l'ombrello e passare dal fruttivendolo. Quante cose, siamo tutti molto presi noi, è vero. Ma, almeno dopodomani, troveremo un po' di tempo per pensare? Ma cosa stiamo facendo? Cosa lasceremo a chi verrà dopo di noi?

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Testi di Dario Lodi


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Enrico Galavotti - Homolaicus - Sezione Arte
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Aggiornamento: 09/02/2019