ARTE ANTICA MODERNA CONTEMPORANEA


LA GRANDE STAGIONE UMANISTICA

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Ignoto (Piero della Francesca?), Città ideale, metà ‘400 (?), Galleria Nazionale delle Marche, Urbino

Dario Lodi

A determinare la grande stagione umanistica, durata uno-due secoli secondo le regioni europee e confluita, specie in Italia, nel Rinascimento (grosso modo fine ‘400-metà ‘500, l’attenuazione fu decretata dallo scisma religioso occidentale), furono principalmente quattro fattori:

  • sul piano pratico, il successo delle transazioni commerciali fra i vari Paesi, con inevitabile decadimento dei poteri medievali, Chiesa e Impero
  • sul piano storico, la grave crisi di Bisanzio (nel 1453 conquistata dai Turchi), con conseguente appannamento della romanità (Carlo V, più tardi, tenterà di recuperarla, invano.)
  • sul piano culturale, l’affermazione delle università europee, la notevole alfabetizzazione (per quanto relativa: si calcola tuttavia che almeno il 15% della popolazione dell’Europa sapesse almeno leggere e scrivere, grazie alle esigenze mercantili, e che l’1% fosse intellettualmente preparata: le fonti ci dicono che l’Europa aveva, nel ‘400 (pur conoscendo la peste), circa 100 milioni di abitanti, quindi 50 milioni di uomini (purtroppo le donne contribuirono pochissimo - non certo per colpa loro -, di cui 30 influenti nel funzionamento del sistema; l’1% è dunque rappresentato da 90mila persone che, in un modo o nell’altro, hanno causato l’avvento dell’Umanesimo; naturalmente le fonti sono discordanti, per povertà di dati in partenza, ma la sostanza del cambiamento nel XV secolo, rispetto al passato, è sicura).
  • sul piano speculativo, la scoperta dei testi pagani, quelli greci classici in particolare, come reazione ai tentativi ecclesiastici di confutarli interamente. L’affermazione della laicità fu dovuta all’instaurarsi della vita pratica come modello di riferimento. Questo modello doveva avere anche un riscontro culturale.

La città del tempo, spesso autonoma, produsse la cultura umanistica. Il fenomeno trovò conforto in alcune prove coraggiose: nel 1440 Lorenzo Valla dimostrò la falsità del documento conosciuto come lascito di Costantino alla Chiesa romana (in concreto tutto l’impero romano d’Occidente). Il documento fu collocato da Valla nel VIII-IX secolo, anziché nel IV come pretendeva la Chiesa. Due anni prima, un’iniziativa medicea (Cosimo) portò a Firenze 650 studiosi bizantini al seguito dell’imperatore Giovanni VIII Paleologo e Gennadio patriarca di Bisanzio, con il tentativo di ricomporre il Cristianesimo e di superare lo Scisma d’Oriente del 1054.

La ricomposizione non ci fu, ma poco interessa ai fini culturali. Gli studiosi del seguito fecero conoscere testi classici, esegesi ed interpretazioni utilissime al fenomeno umanistico. In particolare, l’Occidente venne a conoscenza del "Codex Hermeticum" del presunto Ermete Trismegisto.

Cosimo de’ Medici ottenne la copia originale del testo nel 1460 tramite il monaco Leonardo da Pistoia e nel 1463 lo fece tradurre in latino da Marsilio Ficino (pochi mesi dopo fu volto in volgare da Tommaso Benci, allievo del Ficino): si trattava del "Pimander" (pastore degli uomini, secondo taluni, o uomo dalla conoscenza di un re, secondo altri), 14 libri che trattano del "viaggio" dell’uomo verso Dio con le proprie sole forze. Il "Pimander" ribalta la visione medievale: là Dio che va verso gli uomini, qui gli uomini che vanno verso Dio. Del Codex si conosceva, nel Medioevo, l’"Asclepius", un sontuoso trattato di magia, da cui si fa derivare l’alchimia, unitamente alla misteriosa "Tavola Smaragdina" (tavola di smeraldo, tradotta dall’arabo in latino nel 1250, anch’essa attribuita ad Ermete Trismegisto ed anch’essa "magica").

Ovviamente il "Pimander" è tutt’altra cosa e questa cosa sarà centrale nella mentalità umanistica, vuoi in modo diretto, vuoi in modo derivato. Esso godrà dell’ammirazione dello stesso Leonardo e più tardi persino di Kant (molto attratto anche dall’"Asclepius").

La valorizzazione di Aristotele, grazie agli Arabi, per cui il platonismo di Ficino e di Pico della Mirandola subì una sorta di positività, non in opposizione all’idealismo, ma a sostegno pratico dello stesso. La presenza di Aristotele, adottata anche dalla Chiesa (che sempre gli preferì Platone) fu motivo di solidità argomentativa e capacità nel sostenere una tesi.

Importantissimi gli intellettuali nel periodo, sino ai primi anni del ‘500. Basta riprendere i nomi, fra i tanti, di Marsilio Ficino e di Pico della Mirandola, aggiungere Uberto Decembrio, Flavio Biondo, Paolo Dal Pozzo Toscanelli, Poliziano, Ciricaco de’ Pizzicolli (il salvatore del Partenone), Cosimo de’ Medici, Lorenzo il Magnifico, Vittorino da Feltre, per arrivare, sempre molto brevemente, a Machiavelli, Guicciardini e all’Ariosto.

Straordinaria la posizione di Pico della Mirandola: come nessuno egli riuscì a rendere evidente il pensiero degli umanisti. Essi non volevano sostituirsi al potere della Chiesa, ma razionalizzare la presenza ecclesiastica quale depositaria di un sapere spirituale superiore. L’umanista poteva apprezzarne l’intimo valore, non pretendeva di comprenderlo e di manipolarlo. Dell’ermetismo, Pico prendeva l’invito allo scatto verso una possibile confidenza con le cose divine. Del resto, l’uomo era ad immagine e somiglianza di Dio. Dopo l’immagine medievale, ecco la somiglianza intellettuale: andava valorizzata, non celata dietro chissà quale timore.

L’arte figurativa contribuì al successo del nuovo personaggio umanistico con prove espressive esplicite, robuste e quanto mai incisive tramite il ricorso ad una vera e propria scienza esecutiva (precise regole prospettiche) fissata, in modo particolare, dagli scritti e dalle opere di Filippo Brunelleschi, Lorenzo Ghiberti (meno rigoroso degli altri due), Leon Battista Alberti, e dalla relativa messa in pratica, con relative nobilitazioni da parte di sommi artisti contemporanei e immediatamente successivi. Ne vedremo alcuni, partendo dai tre citati.

Filippo Brunelleschi (1377-1446) fu scultore, orafo, architetto fra i maggiori di sempre, e grande teorico. Gli si deve l’invenzione della "prospettiva lineare centrica" da cui deriverà tutta l’arte figurativa rinascimentale. Questa tecnica privilegia un punto di "fuga" principale con irradiazioni predisposte scientificamente, secondo un concetto di rappresentazione controllata della realtà. Il concetto prevede una visione ordinata gerarchicamente secondo considerazioni storicizzate.

Nel fondo si agita la preoccupazione di valorizzare un dato primario e dati derivati, conseguentemente dello stesso tenore, riferentesi, in sostanza, all’ideale dell’ordinamento religioso e quindi divino. In effetti, l’artista intende dimostrare la capacità dell’uomo di creare un mondo perfetto, degno dello spirito superiore che lo anima e lo guida. La luce divina sulle cose viene come catturata ed evidenziata a dovere, quasi che l’uomo fosse divenuto un collaboratore di Dio e non un suo servitore, com’era nel Medioevo.

Brunelleschi fu amico di Donatello e di Masaccio. Con il primo fece un lungo viaggio a Roma, per studiarne le rovine e le architetture. Nel campo architettonico realizzò molte opere a Firenze, fra cui la stupenda cupola di S. Maria del Fiore (nella foto), terminata nel 1436 (la sistemazione definitiva della lanterna si deve ad Andrea del Verrocchio, 1472 – fra gli aiutanti, c’era Leonardo). La cupola fu eretta con tecnica originale (in realtà è una doppia cupola) e con grande senso estetico.

L’eleganza del manufatto è racchiusa in sé, pronta ad esplodere, ad espandersi in modo incontenibile. Brunelleschi è sobrio ed essenziale, quanto estremamente intelligente e sensibile: sicuro di sé senza esagerare, in linea con il carattere della nuova umanità, idealistica in senso positivo e addirittura oggettivo. L’uomo di Brunelleschi è cosciente delle proprie virtù interpretative della realtà, sia vissuta sia ambita.

Lorenzo Ghiberti (1378-1455, a lato il suo autoritratto, porta nord del Battistero di Firenze) fu grande scultore, orafo, architetto. Nacque probabilmente a Firenze, dove, di ritorno da Pesaro, partecipò al concorso per la realizzazione della seconda porta bronzea del Battistero della città (la porta nord, quella sud si deve ad Andrea Pisano). Il suo progetto arrivò a pari merito con quello di Brunelleschi, che abbandonò per evitare il lavoro in cooperativa. Ghiberti realizzò 28 formelle con figure relative ad episodi del Nuovo Testamento (più tardi scolpirà anche le 10 formelle della porta est, la "Porta del Paradiso, aventi per tema il Vecchio Testamento).

Fece molti lavori di scultura a Firenze. Visitò Roma per arricchire il suo bagaglio tecnico, e fu a Venezia, temendo la peste che da Siena si stava diffondendo in Toscana, ma a Firenze passò la maggior parte della sua vita. Come architetto, forse grazie a protezioni politiche, collaborò (ma poi non ne fu in grado) alla risoluzione dei problemi legati al campanile di S. Maria del Fiore, eretto, infine, e magistralmente, da Brunelleschi.

Molto interessanti sono i suoi "Commentari" nei quali, pur permeati di autocelebrazione, l’autore tenta una storia approfondita dei procedimenti tecnici usati nell’arte figurativa, non disdegnando raccomandazioni e ricette. L’opera di Ghiberti è caratterizzata, molto sommariamente, da un rispetto per l’espressione tardo gotica impreziosita dalla solennità classica cristallizzata in forme simboliche molto accentuate. Egli tenne poco conto della rivoluzione prospettica in atto con Brunelleschi e Leon Battista Alberti, fidandosi maggiormente del senso prospettico intuitivo, così com’era nel Medioevo.

Leon Battista Alberti (1404-1472) è più apprezzato come teorico che come artista. L’artista, egli diceva (a ragione), doveva essere preparato in tutte le discipline. Il padre, fiorentino, era stato scacciato dalla città per motivi politici. L’Alberti ci ritornerà come ecclesiastico e realizzerà delle opere. Sarà chiamato, come architetto anche a Roma, Ferrara, Mantova, Rimini. Gli si devono molti scritti, fra cui il "De pictura" (rivelatore delle proporzioni scientifiche), "De statua", "De re aedificatoria". Il Tempio Malatestiano, a Rimini (qui raffigurato), fu edificato su una preesistente Chiesa di S. Francesco (l’Alberti era per questo tipo d’interventi) e non fu terminato. Si noti la forte compattezza dell’insieme.

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Enrico Galavotti - Homolaicus - Sezione Arte
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Aggiornamento: 09/02/2019