ARTE ANTICA MODERNA CONTEMPORANEA |
|||||
|
LA GRANDE STAGIONE UMANISTICA
Ignoto (Piero della Francesca?), Città ideale, metà ‘400 (?), Galleria Nazionale delle Marche, Urbino A determinare la grande stagione umanistica, durata uno-due secoli secondo le regioni europee e confluita, specie in Italia, nel Rinascimento (grosso modo fine ‘400-metà ‘500, l’attenuazione fu decretata dallo scisma religioso occidentale), furono principalmente quattro fattori:
La città del tempo, spesso autonoma, produsse la cultura umanistica. Il fenomeno trovò conforto in alcune prove coraggiose: nel 1440 Lorenzo Valla dimostrò la falsità del documento conosciuto come lascito di Costantino alla Chiesa romana (in concreto tutto l’impero romano d’Occidente). Il documento fu collocato da Valla nel VIII-IX secolo, anziché nel IV come pretendeva la Chiesa. Due anni prima, un’iniziativa medicea (Cosimo) portò a Firenze 650 studiosi bizantini al seguito dell’imperatore Giovanni VIII Paleologo e Gennadio patriarca di Bisanzio, con il tentativo di ricomporre il Cristianesimo e di superare lo Scisma d’Oriente del 1054. La ricomposizione non ci fu, ma poco interessa ai fini culturali. Gli studiosi del seguito fecero conoscere testi classici, esegesi ed interpretazioni utilissime al fenomeno umanistico. In particolare, l’Occidente venne a conoscenza del "Codex Hermeticum" del presunto Ermete Trismegisto. Cosimo de’ Medici ottenne la copia originale del testo nel 1460 tramite il monaco Leonardo da Pistoia e nel 1463 lo fece tradurre in latino da Marsilio Ficino (pochi mesi dopo fu volto in volgare da Tommaso Benci, allievo del Ficino): si trattava del "Pimander" (pastore degli uomini, secondo taluni, o uomo dalla conoscenza di un re, secondo altri), 14 libri che trattano del "viaggio" dell’uomo verso Dio con le proprie sole forze. Il "Pimander" ribalta la visione medievale: là Dio che va verso gli uomini, qui gli uomini che vanno verso Dio. Del Codex si conosceva, nel Medioevo, l’"Asclepius", un sontuoso trattato di magia, da cui si fa derivare l’alchimia, unitamente alla misteriosa "Tavola Smaragdina" (tavola di smeraldo, tradotta dall’arabo in latino nel 1250, anch’essa attribuita ad Ermete Trismegisto ed anch’essa "magica"). Ovviamente il "Pimander" è tutt’altra cosa e questa cosa sarà centrale nella mentalità umanistica, vuoi in modo diretto, vuoi in modo derivato. Esso godrà dell’ammirazione dello stesso Leonardo e più tardi persino di Kant (molto attratto anche dall’"Asclepius"). La valorizzazione di Aristotele, grazie agli Arabi, per cui il platonismo di Ficino e di Pico della Mirandola subì una sorta di positività, non in opposizione all’idealismo, ma a sostegno pratico dello stesso. La presenza di Aristotele, adottata anche dalla Chiesa (che sempre gli preferì Platone) fu motivo di solidità argomentativa e capacità nel sostenere una tesi. Importantissimi gli intellettuali nel periodo, sino ai primi anni del ‘500. Basta riprendere i nomi, fra i tanti, di Marsilio Ficino e di Pico della Mirandola, aggiungere Uberto Decembrio, Flavio Biondo, Paolo Dal Pozzo Toscanelli, Poliziano, Ciricaco de’ Pizzicolli (il salvatore del Partenone), Cosimo de’ Medici, Lorenzo il Magnifico, Vittorino da Feltre, per arrivare, sempre molto brevemente, a Machiavelli, Guicciardini e all’Ariosto. Straordinaria la posizione di Pico della Mirandola: come nessuno egli riuscì a rendere evidente il pensiero degli umanisti. Essi non volevano sostituirsi al potere della Chiesa, ma razionalizzare la presenza ecclesiastica quale depositaria di un sapere spirituale superiore. L’umanista poteva apprezzarne l’intimo valore, non pretendeva di comprenderlo e di manipolarlo. Dell’ermetismo, Pico prendeva l’invito allo scatto verso una possibile confidenza con le cose divine. Del resto, l’uomo era ad immagine e somiglianza di Dio. Dopo l’immagine medievale, ecco la somiglianza intellettuale: andava valorizzata, non celata dietro chissà quale timore. L’arte figurativa contribuì al successo del nuovo personaggio umanistico con prove espressive esplicite, robuste e quanto mai incisive tramite il ricorso ad una vera e propria scienza esecutiva (precise regole prospettiche) fissata, in modo particolare, dagli scritti e dalle opere di Filippo Brunelleschi, Lorenzo Ghiberti (meno rigoroso degli altri due), Leon Battista Alberti, e dalla relativa messa in pratica, con relative nobilitazioni da parte di sommi artisti contemporanei e immediatamente successivi. Ne vedremo alcuni, partendo dai tre citati.
Brunelleschi fu amico di Donatello e di Masaccio. Con il primo fece un lungo viaggio a Roma, per studiarne le rovine e le architetture. Nel campo architettonico realizzò molte opere a Firenze, fra cui la stupenda cupola di S. Maria del Fiore (nella foto), terminata nel 1436 (la sistemazione definitiva della lanterna si deve ad Andrea del Verrocchio, 1472 – fra gli aiutanti, c’era Leonardo). La cupola fu eretta con tecnica originale (in realtà è una doppia cupola) e con grande senso estetico. L’eleganza del manufatto è racchiusa in sé, pronta ad esplodere, ad espandersi in modo incontenibile. Brunelleschi è sobrio ed essenziale, quanto estremamente intelligente e sensibile: sicuro di sé senza esagerare, in linea con il carattere della nuova umanità, idealistica in senso positivo e addirittura oggettivo. L’uomo di Brunelleschi è cosciente delle proprie virtù interpretative della realtà, sia vissuta sia ambita.
Molto interessanti sono i suoi "Commentari" nei quali, pur permeati di autocelebrazione, l’autore tenta una storia approfondita dei procedimenti tecnici usati nell’arte figurativa, non disdegnando raccomandazioni e ricette. L’opera di Ghiberti è caratterizzata, molto sommariamente, da un rispetto per l’espressione tardo gotica impreziosita dalla solennità classica cristallizzata in forme simboliche molto accentuate. Egli tenne poco conto della rivoluzione prospettica in atto con Brunelleschi e Leon Battista Alberti, fidandosi maggiormente del senso prospettico intuitivo, così com’era nel Medioevo. Leon Battista Alberti (1404-1472) è più apprezzato come teorico che come artista. L’artista, egli diceva (a ragione), doveva essere preparato in tutte le discipline. Il padre, fiorentino, era stato scacciato dalla città per motivi politici. L’Alberti ci ritornerà come ecclesiastico e realizzerà delle opere. Sarà chiamato, come architetto anche a Roma, Ferrara, Mantova, Rimini. Gli si devono molti scritti, fra cui il "De pictura" (rivelatore delle proporzioni scientifiche), "De statua", "De re aedificatoria". Il Tempio Malatestiano, a Rimini (qui raffigurato), fu edificato su una preesistente Chiesa di S. Francesco (l’Alberti era per questo tipo d’interventi) e non fu terminato. Si noti la forte compattezza dell’insieme. Dello stesso autore:
|