PIERO DELLA FRANCESCA
LA FLAGELLAZIONE DI CRISTO


SIGNIFICATO E VALORE DELLA PROSPETTIVA (1-2-3)

Di Piero della Francesca il Vasari scriverà ch'era "il miglior geometra ne' tempi suoi". In che senso "geometra", visto ch'egli si limitò soltanto (o molto prevalentemente) a dipingere?

Il motivo lo dirà lo stesso Piero nel suo trattato De prospectiva pingendi: la prospettiva non è una premessa dell'operazione pittorica, ma la pittura stessa, è la visione nella sua totalità.

Lo spazio si dà interamente nelle cose e ogni cosa è forma dello spazio. Tutto ciò che si vede "è": non vi sono gradi o modi diversi di essere. Non è tanto l'ontologia che conta quanto piuttosto la geometria. L'importanza dei soggetti non è anzitutto data dalla loro interiorità o qualità etiche, che obbligano, come nella pittura bizantina, a tener conto di certe proporzioni ideali o innaturali (prospettiva inversa), ma è data piuttosto dalla loro collocazione in uno spazio prospettico oggettivo. Le proporzioni sono il prodotto di determinate linee.

La pittura serve per dimostrare il valore pratico di precisi assunti formali di tipo logico-matematico. Essa diviene "scienza" grazie appunto alla prospettiva, la quale non ha lo scopo di rendere "reali" le cose, ma di collocarle in uno spazio predefinito, dove poi possono anche prendere forme diverse dalle proprie.

Cose e persone sono soltanto funzioni dello spazio: è il contenitore che dà senso al contenuto. L'oggettività non è data da una qualità intrinseca della cosa in sé, ma dalla precisione geometrica di un calcolo matematico. L'intelletto non possiede nulla che gli occhi non possano vedere, e gli occhi non vedono nulla che l'intelletto non possa capire. L'identità tra contenuto e forma, tra idea e fenomeno deve essere piena, totale.

Questo, di Piero, non è ovviamente un discorso meramente tecnicistico, qui sintetizzato con linguaggio moderno e conseguente. Una rigorosa prospettiva tridimensionale ha lo scopo di porre lo spazio al centro dell'interesse dell'osservatore, il quale deve avere la percezione che il significato dell'opera sia racchiuso in se stessa, ovvero che l'unico rimando possibile a qualcosa di esterno possa essere soltanto quello di un oggettività indipendente dalla volontà umana, che sul piano etico o metafisico si traduce nel concetto di "destino". Il destino impone a tutte le cose una necessità storicamente oggettiva, cui non può prescindere l'esercizio di alcuna libertà umana.

Paradossalmente da un lato la prospettiva permette a qualunque osservatore di avere un ruolo preminente rispetto al contenuto del dipinto, rispetto cioè a chi viene visto; dall'altro invece obbliga l'osservatore a sottostare a rigide regole formali e impersonali, in cui il lato spirituale delle cose viene come assorbito dalla loro rappresentazione geometrica.

Le opere di Piero, pur essendo a ridosso della riforma protestante, non la anticipano in alcun modo, se non appunto in questo concetto di "destino", che però in Piero non è vissuto come esperienza sociale, collettiva, né a livello religioso (in quanto egli era scarsamente credente), né a livello laico (in quanto egli visse un'esistenza prevalentemente aristocratica).

Ecco in questo senso ha ragione il Vasari: Piero avrebbe tranquillamente potuto fare il geometra, o meglio l'architetto, poiché tutte le sue figure vengono viste con l'occhio di un artista abituato a misurare proporzioni e forme, a calcolare distanze e volumi.

La sua pittura è sempre stata considerata come esempio paradigmatico di cosa voglia dire creare armonia di colori e superfici prima ancora di parlare di idee e contenuti.

In lui si ha il trionfo di un'estetica razionale, in cui gli aspetti formali non sono improvvisati ma sapientemente calcolati. La matematica è una delle componenti principali della sua forma mentis. Non si troveranno mai nei suoi dipinti elementi superflui o ripetuti: ogni cosa è collegata ad altre in mutui rapporti logici, quasi a costituire un sistema chiuso in se stesso.

E' giusta l'osservazione di quei critici d'arte che parlano di mirabile sintesi tra il plasticismo di Masaccio, il rigore prospettico di Brunelleschi e di Alberti con la fresca e aperta luminosità cromatica del Beato Angelico e di Domenico Veneziano.

Nelle sue opere infatti la luce forma i volumi. La prospettiva della luce viene fusa e confusa con quella del colore e, in questo, solo Leonardo da Vinci gli sarà superiore.

A tali risultati - va notato - egli giungerà utilizzando una tavolozza di pochi colori, spesso freddi, ma molto sfumati e contrastati, in grado di produrre dei giochi di luce così particolari che sia le figure sia gli elementi architettonici vengono creati e modellati dalla stessa luce, che è appunto fisica non interiore, non viene fuori dai soggetti ma li penetra. Lo spazio di Piero è un mix molto sofisticato di linee colori e luce.

Guardando La Flagellazione di Cristo si nota che persone ed oggetti formano tante altre figure geometriche, come se la sua pittura fosse un sogno matematico, fatto di linee ed angoli che vengono fuori dalla sua mente per diventare una storia dipinta. Anche le vesti cadono in pieghe rigide e parallele, come scanalature di colonna che si confondono con le scanalature delle vere colonne. La figura di Pilato fa infatti di se stesso un triangolo perfetto. Anche le tre figure all'estrema destra sembrano essere prodotte da regole geometriche: i piedi, le pieghe dei vestiti e il cappello, che è geometrico, sono incorporati geometricamente nel tutto.


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Enrico Galavotti - Homolaicus - Sezione Arte
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Aggiornamento: 27/08/2015