LUIGI PIRANDELLO, Lumìe di Sicilia

LUIGI PIRANDELLO, LUMìE DI SICILIA

I - II - III - IV - V - VI - VII - VIII - IX - X

LUIGI PIRANDELLO

Il testo (pdf-zip)


Fa tenerezza e anche rabbia la novella pirandelliana Lumìe di Sicilia del 1910. La prima perché avrebbe potuto concludersi tragicamente, in quanto il protagonista si sentiva tradito; la seconda perché il passaggio dal mondo contadino a quello borghese finisce col modificare in peggio e in maniera irreversibile i sentimenti, anzi i valori della vita.

Forse però, più che il campagnolo Micuccio, il vero protagonista è la cultura che lo ha formato, che in questo caso si esprime nel valore della rassegnazione, che supera le particolarità del carattere. La suddetta transizione viene accettata senza reagire, semplicemente allontanandosene, lasciandola al suo destino, dando per scontato che non avrebbe potuto andare diversamente.

Micuccio Bonavino veniva dalla provincia di Messina e il mondo borghese, quello che veniva dal nord d'Italia e che s'era imposto con la forza, non l'aveva accettato volentieri. Lo si capisce subito da come interloquisce col cameriere dal fare aristocratico. Infatti alla domanda di quest'ultimo di chiarire la propria identità, Micuccio risponde seccato: "C'è o non c'è [Teresina]?... Ditele che c'è Micuccio e lasciatemi entrare".

Questo non è l'atteggiamento del contadino feudale, deferente nei confronti dell'autorità, ma quello di un contadino "emancipato", che si è liberato del "servaggio", anche se, dall'aspetto che mostra (pastrano ruvido, mani senza guanti in pieno inverno, sacchetto sudicio e vecchia valigetta), non ha potuto acquisire una vera posizione sociale. Era soltanto un flautista nella banda del paese. La sua era stata più che altro un'emancipazione virtuale, che di reale non aveva quasi nulla. Il suo, davanti a quel cameriere, era il tentativo di far sopravvivere una dignità in un mondo percepito come ostile.

La novella fa rabbia anche perché nella seconda sequenza, quella del flashback, Pirandello fa capire ch'era stato il mondo contadino a far crescere quello borghese, a promuovere la ricchezza altrui con le proprie risorse, i propri risparmi, la propria fatica, il proprio autosacrificio... Per poi riceverne in cambio che cosa? Nulla. Erano bastati cinque anni per trasformare Teresina da una morta di fame a una affermata cantante lirica, ovvero da una ragazza di buoni sentimenti, innamorata del suo benefattore, a una signora irriconoscente e sessualmente emancipata. Irriconoscente da renderla irriconoscibile, come se si fosse messa una maschera di carnevale.

Lui, in buona fede, l'aveva lasciata andare al conservatorio di Napoli, convinto che lei non l'avrebbe mai dimenticato: aveva impegnato tutti i suoi beni per farla studiare. Un quinquennio inverosimilmente lontani, pagato da un improbabile stipendio da flautista; un giovane ingenuo, ottimista, fiducioso in un proprio avvenire insieme a lei, un innamorato che si accontentava di qualche lettera dell'amata, che stranamente poi non aveva tempo di scrivere...

Forse non c'era bisogno di esagerare su questa ingenuità, su questa generosità, anche perché il lettore finisce coll'avere l'impressione che Micuccio non l'avesse fatto solo per puro altruismo, ma anche pensando al proprio avvenire, come se avesse investito su di sé, puntando sul cavallo vincente. Sicché quando riporta a Teresina la somma che lei gli aveva dato per curarsi della sua malattia, si ha l'impressione che Pirandello l'abbia messo proprio per fugare il dubbio che ci fosse un qualche interesse nella sua generosità. Una vera sciocchezza, poiché lui in fondo si sentiva "fidanzato" da molto prima che Teresina diventasse famosa, per cui non aveva bisogno di farle credere che dietro i suoi sentimenti non ci fosse assolutamente nulla. Se Micuccio era un puro, perché farlo passare per un orgoglioso?

"Eran rimasti d'accordo ch'egli le avrebbe lasciato cinque, sei anni di tempo per farsi strada liberamente: erano giovani entrambi e potevano aspettare". Aspettare senza mai vedersi? senza mai frequentarsi? Accontentandosi di pochissime lettere, scritte peraltro dalla madre di lei, su cui lei scriveva soltanto due righe? Sì, per Micuccio era così e se in tutto questo tempo Teresina non gli aveva fatto capire che le cose erano molto cambiate, la responsabilità va cercata in Pirandello, che non resiste alla tentazione di voler esagerare le cose.

Ma così facendo che cosa ha voluto farci capire? che il mondo contadino meritava d'essere gabbato da quello borghese? Siamo sicuri che Pirandello volesse dirci che il mondo contadino, pur nella propria semplice ingenuità, aveva altissimi ideali di vita? una grandissima forza di volontà? Da che parte sta questo grandissimo scrittore? Da quella degli illusi buoni di carattere, innamorati dei loro sogni, o da quella del progresso che rende obsolete queste figure sociali? Micuccio è stato tradito dalla irriconoscenza di Teresina o dalla propria concezione utopistica dell'esistenza?

Forse la vera espressione di umanità, in questa novella, non è rappresentata dal protagonista, dipinto con tratti troppo marcati per essere credibile. E' la madre di lei, Marta, per lui affettuosamente "zia", che impressiona veramente. E' nel suo modo di fare che ben si vede la drammaticità dell'abisso che separa il mondo rurale da quello borghese.

Quando Micuccio voleva dare tutto di sé per fare la fortuna di Teresina, "zia Marta scoteva amaramente il capo: ne aveva viste tante in vita sua, povera vecchietta, che ormai non aveva più fiducia nell'avvenire [quello promesso, dopo l'unificazione nazionale, dall'ideologia positivistica del progresso]: temeva per la figliola, e non voleva che ella pensasse neppure alla possibilità di togliersi da quella rassegnata miseria".

Temeva le illusioni, sin dai tempi delle imprese garibaldine contro i Borboni, si potrebbe quasi azzardare. Si era rassegnata alla sconfitta che il regno Sabaudo aveva imposto al Mezzogiorno. Certo, anche lei si era arricchita al seguito della figlia, ma quando vede Micuccio ha un sussulto, s'intrattiene con lui, gli parla, non sacrifica quell'incontro sull'altare della carriera professionale, del successo acquisito. Non vive più solo per lei, ora vive anche per lui, nonostante che lei, Teresina (che aveva persino preso un nome d'arte), "faceva cose grandi", riportate su tutti i giornali.

Zia Marta gli diede da mangiare, gli ricordò di farsi il segno di croce prima di toccare cibo e non si preoccupò che lo toccasse con le mani sporche e non smetteva di chiedergli notizie sul paese che aveva lasciato. E' lei la persona più realistica di questa novella, quella meno idealizzata. E' l'anziana di un ex mondo rurale, i cui valori erano rimasti latenti nell'inconscio e che improvvisamente, al vedere Micuccio, riaffiorano d'impeto.

Anche Teresina infatti è poco realistica. Pirandello non vuole amareggiare il lettore con un verismo verghiano. Qui anzi ha voluto accentuare l'indifferenza di Teresina soltanto per rendere più amara la disillusione di Micuccio. La realtà è solo l'occasione di un'ispirazione, il cui svolgimento prosegue secondo propri binari, che alla fine approdano a una finzione surreale. L'importante non è la rappresentazione della nuda realtà, che schiaccerebbe le coscienze impotenti a reagire, ma l'interpretazione che ne mostra i lati più assurdi, per poterne sorridere con amarezza o ironia, a seconda delle circostanze.

Certo Micuccio, vedendo Teresina così fisicamente trasformata, fa fatica a riconoscerla. Ma lei, vedendolo così uguale a se stesso e sapendo bene quanta importanza lui aveva avuto per il suo successo, che bisogno aveva di apparire così fredda e distaccata? Non era forse già famosa? Non poteva interrompere, anche solo per un momento, le formalità, le convenzioni del proprio successo?

Micuccio è stato esagerato nel suo calore, ma Teresina lo è stata nella sua freddezza. Non c'è nessun vero dialogo tra i due, nonostante il quinquennio di separazione e il legame amoroso che li aveva uniti. Lui non riesce a parlare con lei perché la vede troppo diversa, e lei neppure s'accorge che lui esiste.

Cosa voleva farci capire Pirandello? che i meridionali, quando agguantano la fortuna, uscendo dalle loro miserie, assumono un atteggiamento più duro e sprezzante di quello dei settentrionali, già da tempo avvezzi allo stile di vita borghese? e che chi non accetta queste trasformazioni radicali è destinato a uscire dalla storia (Micuccio) o a svolgere il ruolo di mero supporto al successo altrui (zia Marta)?

Micuccio infatti fa pena, tenerezza, compassione... Era come accecato, un sognatore ad occhi aperti, che s'illudeva di trovare un giorno il suo filone d'oro, confidando nella propria pazienza, nella propria tenacia. Un uomo che s'era fissato col suo sogno, col suo obiettivo da realizzare e che non dava retta alla saggezza popolare, ai consigli di amici e partenti. Voleva fare l'idealista a tutti i costi. Un idealista coerente, dignitoso, legato al suo passato, al suo ambiente e ai suoi valori pre-borghesi; non un idealista che pur di raggiungere l'obiettivo è disposto a qualunque compromesso. Il suo ideale era stato quello di favorire al massimo le qualità canore di Teresina, sperando un giorno di poterla sposare, semplicemente perché si era innamorato di lei e forse della propria generosità, cioè di poter aiutare qualcuno in gravi difficoltà.

Già si è accennato alla questione dei soldi. Quando era stato gravemente malato e avuto bisogno d'aiuto per guarirsi, lei gli aveva spedito "una buona somma di denaro"; ebbene, quella parte che lui era riuscito a sottrarre alla rapacità dei parenti, ora aveva intenzione di restituirla. (Triste, en passant, questo antimeridionalismo da parte di un meridionalista come Pirandello, e non perché non ci potesse essere una qualche "rapacità finanziaria" ma semplicemente perché non ne viene spiegata in alcun modo la ragione, sociale, culturale storica..., lasciando così credere al lettore che sia una caratteristica specifica del sud).

Dunque un idealismo dignitoso, che non aveva permesso alla miseria d'abbruttirlo. Forse anche troppo dignitoso, si direbbe anzi orgoglioso, poiché per un momento, vedendo lei così cambiata, lui considera la somma che aveva ricevuto non come il classico aiuto per i momenti di grave bisogno, ma, negativamente, come una forma di "pagamento", di "restituzione", insomma una sorta di risarcimento del danno causatogli dal fatto che aveva venduto un lotto e s'era privato di buona parte dello stipendio per far decollare lei verso grandi traguardi. Lui s'era sacrificato con generosità e disinteresse e certamente perché l'amava; lei invece - secondo lui - l'aveva aiutato in maniera formale, distaccata, dimenticando il loro pregresso, la storia vissuta insieme a Messina.

Nel finale Pirandello prende i panni di zia Marta e la trasforma in una Cassandra inascoltata, facendole perdere il suo realismo. Dopo essersi rammaricata profondamente che Micuccio non avesse accettato la nuova situazione, non avesse cioè capito che per una donna così trasformata lui non aveva alcuna speranza e che non doveva sentirsi in dovere di ridarle quanto gli aveva spedito durante la malattia, e soprattutto che non doveva assolutamente vedere in quella generosa offerta nulla che potesse essere messo in relazione ai tempi più tristi - dopo tutto questo, lei si mise a piangere a dirotto, dicendo, "soffocata dai singhiozzi: 'Non è più per te, hai ragione'... Se mi aveste dato ascolto!" (brutto questo punto esclamativo in una voce che singhiozza).

Perché Cassandra? Perché qui Pirandello fa passare zia Marta per una donna che sapeva già bene a quali risultati avrebbe portato l'abbracciare uno stile di vita borghese. Lei, che era già anziana e che era stata giovane in un modo rurale, sapeva bene una cosa che lui, già uscito, in un certo qual modo, dal medesimo mondo rurale (essendo flautista comunale), non riusciva invece ancora a comprendere. Lei sapeva, prevedeva che la trasformazione di Teresina sarebbe stata radicale e irreversibile e che il comportamento del fidanzato avrebbe avuto dei prezzi salati, in termini di sentimenti umani, da pagare. Una donna che, a parte l'ultimo quinquennio, aveva vissuto tutta la sua vita nella miseria, conosceva in anticipo gli effetti del frutto della tentazione, cioè sapeva che Teresina avrebbe perso i valori umani di un tempo e che lui, Micuccio, un giorno avrebbe detto che non era più degna di lui.

E se per riconoscenza lei avesse accettato di sposarlo? come sarebbe potuta andare a finire? Lui l'avrebbe riportata in Sicilia, troncandole la carriera? Avrebbe accettato di vivere a Napoli facendole fare una sfilza di marmocchi? O l'avrebbe seguita nelle sue tournée teatrali, rinunciando al suo misero mestiere di flautista e magari diventando il suo manager?

Perché Pirandello ha voluto far passare Teresina dalla parte del torto? Per quale ragione ha voluto far vedere che il lato sdegnoso e irritato di Micuccio aveva un tasso di moralità superiore agli altri protagonisti della novella? Non è stato forse un atteggiamento un po' comodo e dunque un po' superficiale far passare Micuccio per una vittima soltanto perché lei aveva accettato di cambiare radicalmente vita?

Il finale è amarissimo, crudele, e Pirandello, che ci è parso persino misogino, se lo sarebbe potuto risparmiare. Teresina diventa cinica, dominatrice di un ex fidanzato illuso e di una vecchia madre piena ancora di scrupoli inconsci. Non si è soltanto trasformata, è diventata un mostro. Non si stupisce neppure che lui se ne sia andato senza neppure salutarla, anzi lo compatisce ("poverino") e si serve del suo regalo simbolico, affettuoso (i limoni profumati) per dare sfoggio di originalità davanti ai suoi invitati.

In queste condizioni è facile trasformare gli sconfitti in rappresentanti degli ultimi brandelli di umanità. Qui non c'è più tenerezza, ma solo rabbia nel vedere schematizzata la vita in maniera così banale.

L'esclusa (zip) - Il fu Mattia Pascal (zip) - Una giornata (zip) - Il turno (zip) - La giara (zip) - Sei personaggi in cerca d'autore (zip) - L'uomo dal fiore in bocca (zip)

Lezioni su Pirandello - Scheda su Pirandello - Il treno ha fischiato - Marsina stretta - Frola e Ponza - Il chiodo

Testi di Pirandello


Web Homolaicus

Enrico Galavotti - Homolaicus - Sezione Letteratura
 - Stampa pagina
Aggiornamento: 10-02-2019