L'EPOPEA DI GILGAMESH
Dalla civiltà sumerica a quella babilonese


Giuda e Israele

Lo scenario biblico

La Bibbia, dall'illuminismo fino alla prima metà dell'Ottocento, fu considerata dagli studiosi come una raccolta di leggende. Molte di queste riguardavano popoli e regni mesopotamici. Ecco qualche esempio: gli spregiudicati mercanti di Babilonia e Ninive, il carattere sanguinario dei sovrani assiri (Tiglat-Pileser, Salmanassar, Sennacherib, Nabucodonosor), la torre di Babele, lo splendore dei giardini pensili di Babilonia, le opere monumentali di Semiramide e Nitocris, i settanta anni di cattività degli ebrei, i poteri magici degli indovini babilonesi, la vendetta di Dio sulla "grande meretrice", la sua collera che sette angeli versarono sulle terre dell’Eufrate, le terrificanti visioni dei profeti Isaia e Geremia che descrissero la distruzione di Babilona il "più bello dei regni", la magnificenza di Ur dei Caldei travolta come Sodoma e Gomorra (Cer 95, McCall 95).

Grazie alle scoperte dell'archeologia orientale e dell'assiriologia a cavallo tra '800 e '900, si capì che nella Bibbia era rintracciabile un solido nucleo di fatti storici.

I patriarchi

La Genesi racconta di come Abramo, primo "patriarca", partì da Ur, nella Bassa Mesopotamia, fino a raggiungere la Terra di Canaan per qui stabilirsi con la sua tribù. Per la precisione leggiamo che

«Terach prese Abramo, suo figlio, e Lot, figlio di Aron, cioè figlio di suo figlio, e Sara sua nuora, moglie di Abramo, suo figlio e con loro partì da Ur dei Caldei per andare nel paese di Canaan. Giunti a Harran vi presero dimora. Terach morì in Harran...»
(Genesi, XI, 31-32, in  GEN 2000, p. 27)

Harran (o Charan), crocevia commerciale posto alla congiunzione tra Siria e Mesopotamia, era, insieme a Ur, centro supremo del culto di Sin, il dio Luna. Sin era ritenuto dai sumeri (presso i quali si chiamava Nanna) capo supremo degli dei, più tardi sostituito nei culti mesopotamici da triadi divine. La tendenza a un primitivo monoteismo nella vita religiosa di Harran può forse avere avuto influenza sulle azioni successive di Abramo (1)

«E Abramo se ne partì come gli aveva detto il Signore, e Lot con lui. Abramo aveva 75 anni quando partì da Harran, e prese con sè sua moglie Sara, e Lot, figlio di suo fratello, e tutte le sostanze che possedevano e i servi acquistati in Harran, e partirono per andare nella terran di Canaan.»
(Genesi, XII, 4-5, in  GEN 2000, p. 27)

La Terra di Canaan era così chiamata perché i Cananei furono tra le prime etnie semitiche che vi si stanziarono. Questa regione comprendeva gli altopiani e le colline che, a sud della Fenicia, digradano a ovest verso il Mediterraneo e a est dominano la depressione formata dal lago di Tiberiade, dal fiume Giordano e dal Mar Morto. Essa è nota anche col termine greco Palestina derivante dal nome del popolo stabilitosi lungo la costa mediterranea, i Filistei (p. 98 Pro 1986).

Cananei, moabiti, aramei, amaleciti, madianiti, ebrei... (2) erano popolazioni semitiche (quindi appartenenti allo stesso ceppo linguistico) che praticavano in antichità il seminomadismo e presso le quali vigeva un regime patriarcale.

Che cos'era dunque il patriarca? Il più anziano o il più autorevole dei capifamiglia e dei capitribù, che esercitava la suprema autorità religiosa, civile e militare (p. 3 Fir 1999) sull'intera comunità. Primio patriarca dell'etnia ebraica di cui si abbia notizia è quindi Abramo, figlio di Terach. Successore di Abramo sarà il figlio Isacco e, dopo di questo, Giacobbe.

Il terzo patriarca, Giacobbe, fu detto anche Israele e i suoi dodici figli (Giuseppe, Levi, Beniamino, Giuda, Ruben, ecc.) furono assunti come capostipiti delle dodici tribù in cui il popolo di Israele era suddiviso.

Al racconto biblico sui patriarchi, passato attraverso una lunga trasmissione orale, non si può certo richiedere la completezza e la coerenza di una relazione storica. Tuttavia i fatti si possono iscrivere in una situazione generale della periferia del mondo mesopotamico tra la fine della III dinastia di Ur e il regno di Hammurabi (2000-1700 a.C.) quale risulta dai documenti cuneiformi, in particolare dagli archivi di Mari (città dell'Eufrate siriano e grande potenza fino all'epoca di Hammurabi), in cui si parla spesso degli spostamenti delle tribù nomadi amorrite e si citano nomi personali ed etnici confrontabili con quelli che troviamo nella Genesi.

Per esempio, un documento dalla biblioteca di Mari parla esplicitamente di una delle tribù d'Israele. Un alto funzionario chiede a Zimri-Lim sovrano di Mari (sec. XVIII a.C.) se ci si debba fidare o meno dei Benianimiti:

«I capi dei Benianimiti e le loro genti
sono amici delle genti di Zimri-Lim?»
(riportato in Sap 1996 p. 101)

L'autore della Torah

Ai tempi di Giacobbe una tremenda carestia spinse il patriarca e la sua gente a riparare in Egitto, dove gli ebrei ricevettero in assegnazione un territorio, si moltiplicarono, godendo per generazioni di notevole prosperità grazie al favore dei faraoni (esemplare la scalata al potere di Giuseppe). Ma quest’ultimo elemento di sicurezza a un certo punto viene meno: gli ebrei furono costretti a prestazioni di lavoro coatto, assoggettati ad altre vessazioni, in una parola asserviti.

Secondo la Bibbia, sorse allora tra gli Ebrei un capo carismatico, Mosè, che li liberò dalla servitù e guidò il loro esodo (=" uscita ") fuori dell’Egitto. Ovvero: approfittando del periodo di instabilità politica del governo centrale egizio, causata dalla minaccia degli Hyksos, gli ebrei ritornarono nella terra d'origine.

La marcia degli Ebrei verso la Terra Promessa durò, secondo la tradizione, 40 anni. Traduzione: dopo circa mezzo secolo di vita nomade nella penisola del Sinai (3) gli ebrei vennero a stanziarsi nuovamente nella terra di Canaan (XIII secolo a.C.) .

Iniziò così una lunga fase storica, caratterizzata da attriti incessanti per la conquista del territorio con le popolazioni cananee che non avevano abbandonato la regione o con alcuni "popoli del mare" (ovvero i filistei) stanziatesi nel frattempo.

Progressivamente gli ebrei consolidarono una rispettabile potenza regionale che permise loro di conservare indipendenza politica, tradizioni culturali e costumi religiosi condensati nella Torah.

A Mosè la tradizione sinagogale e paleocristiana attribuì la paternità dei primi cinque libri della Torah, ossia del Pentateuco. Vedremo più avanti come questa credenza sia stata superata dall'ipotesi documentaria.

I giudici

Gli Ebrei, trasformatisi da pastori in agricoltori, mantennero tuttavia a lungo le loro strutture politiche su base tribale. La lega delle 12 tribù era incentrata su un santuario federale presso il quale si discutevano periodicamente i problemi riguardanti l'intera comunità. Non era quindi ammesso l'istituto monarchico, in quanto per antico precetto, si riteneva che solo Dio potesse essere re del suo popolo. Solo in casi di emergenza il comando di tutto il popolo veniva assunto da un giudice.

Gli screzi sempre più violenti con le popolazioni confinanti convinsero tuttavia gli ebrei della necessità di un baluardo di difesa contro le minacce esterne e di un comando unificato permanente.

La monarchia

Tale trasformazione politica così rilevante non poteva che avvenire col consenso divino e, infatti, la Bibbia narra come Dio inviò l’ultimo dei giudici, Samuele, a "ungere", ossia consacrare re di Israele, Saul, della tribù di Beniamino.

Saul (1020-1000 a.C.) combatté a lungo contro i Filistei, ma sarà David, suo successore, a sconfiggerli e a strappare ai Cananei una delle loro ultime roccaforti, Gerusalemme, che diverrà capitale del regno. Il primo tempio di Gerusalemme verrà edificato sotto Salomone (970-930 a.C. ca.), figlio di David. Il regno di Salomone fu essenzialmente pacifico e volto al consolidamento dei territori e dell’economia del paese. La fama della potenza del nuovo regno travalicò i confini della regione, estendendosi a terre lontane: l'esempio più noto è la visita resa a Salomone dalla regina di Saba, una regione dell'Arabia sud-occidentale corrispondente all'attuale Yemen.

I profeti

Alla morte di Salomone prevalsero le forze centrifughe tribali e lo stato si scisse in due regni di debole struttura: Israele a nord, formato da dieci tribù e con capitale prima a Sichem poi a Samaria, e Giuda a sud, formato dalle tribù di Giuda e Beniamino, con capitale Gerusalemme.
Quelle che ora emergono non sono le figure di monarchi o di condottieri, ma dei profeti.

L’azione del profetismo e il consenso che raccoglie si spiegano solo in una società dalle strutture poco rigide, con un’autorità civile priva di efficaci strumenti coercitivi. Così Elia, Eliseo, Amos, Isaia (secoli IX-VIII a.C.), più tardi Geremia ed Ezechiele (secoli VII-VI) si scagliano contro i re e contro il popolo, corrotti dai costumi idolatri, sforzandosi di restaurare nella sua purezza la tradizione mosaica, che essi stessi contribuiscono a definire, e annunciando l’incombente castigo divino.

Una delle vicende più drammatiche e appassionanti di questo periodo è il colpo di stato di Iehu (ca. 840 a.C.). Unto dal profeta Eliseo, Iehu soppresse la dinastia di Acab, ristabilendo il culto di Iahvè (II Re 9, 1-37). La "purga" di Iehu travolse Ioram, re di Israele, che tante energie aveva speso nella difesa da Hazael re del confinante Aram, e Acazia, nipote di Ioram e re di Giuda. Inutile ricordare che il colpo di stato di Iehu provocò un forte indebolimento politico di entrambi i regni.

La dominazione assira

Non è un caso che Iehu, padrone in casa, fosse inerme di fronte al colosso assiro che impose pesanti dazi agli ebrei. Nel celeberrimo obelisco nero di Salmanassar III, conservato al British Museum, ci sono cinque registri scolpiti, rappresentanti il tributo al monarca assiro da differenti paesi. Apposta al secondo registro vi è un’iscrizione che suona:

«Tributo di Jehu, figlio di Omri, io ho ricevuto».

George Smith, primo interprete della saga di Gilgamesh, dimostrò che questo Jehu era proprio lo Iehu della Bibbia. Infatti, nella Collezione Kouyunjik, egli scoprì un altro documento, col resoconto della guerra fra Assiria e Siria (ovvero l'Aram, confinante col regno di Israele, e terra degli aramei) che confermava i tributi di Hazael e Iehu ricevuti da Salmanassar III (858-824 a.C.) nel diciottesimo anno del suo regno.

Quali erano i tributi di Israele al sovrano di Assiria? Sono elencati nell’iscrizione dell'obelisco nero: oro, argento, oggetti preziosi, stagno e armi. La debolezza politica della nazione ebraica coincise con l’affermarsi della monarchia assira. Dal IX sec. a.C. si può seguire parallelamente il corso degli avvenimenti sui libri biblici e sugli annali epigrafici assiri. Naturalmente se il racconto biblico illustra soprattutto le vicende interne dello stato, gli annali assiri sono intesi per celebrare le glorie di Assur.

Cosa avveniva quando il regno di Israele non poteva (o non voleva) pagare i tributi? La minaccia assira si tramutava in aggressione militare. Molti furono i sovrani assiri a condurre spedizioni punitive nella terra di Canaan. Più esposto a nord e vulnerabile attraverso la Siria, il regno di Israele ricevette per primo l’onda delle invasioni, come narra un celebre passo dall'Antico Testamento. I personaggi che vi compaiono, Osea e Salmanassar V, sono i rispettivi discendenti di Iehu e Salmanassar III:

«Nel dodicesimo anno di Acaz, re di Giuda, divenne re in Samaria, su Israele Osea, figlio di Ela. Regnò nove anni. Fece ciò che è male agli occhi del Signore, ma non come i re di Israele suoi predecessori. Contro di lui marciò Salmanassar, re di Assiria; Osea divenne suo servo e gli pagò un tributo. Ma il re di Assiria scoprì una congiura di Osea che gli aveva inviato messaggi a So, re d’Egitto, e non spediva più il tributo al re d’Assiria come faceva prima annualmente. Perciò il re di Assiria lo fece imprigionare e lo chiuse in carcere.»
(II Re 17, 1-12)

E il regno di Giuda? Un po' a spese del regno di Israele e un po' attraverso una buona politica di alleanze riuscì a sopravvivere al giogo assiro. Ricordiamo Acaz, undicesimo re di Giuda secondo una linea dinastica ininterrotta dai tempi di Salomone. Egli riuscì a salvare il regno dall'attacco concertato dei sovrani di Israele e di Aram che si erano nel frattempo alleati.
Stretta Gerusalemme d'assedio, Acaz chiese aiuto al sovrano assiro di turno, Tiglat-Pileser III, promettendogli fedeltà se lo avesse aiutato contro gli assalitori. Tiglat-Pileser, persuaso dall'oro e dall'argento che accompagnavano la richiesta, percorse in lungo e in largo la regione siro-palestinese, riservando a Damasco, capitale di Aram, e Samaria il solito trattamento a base di sangue e deportazione.

Fu così che, sia a causa della perdita di buona parte del suo territorio in seguito all'incursione di Tiglat-Pileser, sia a causa di una serie di congiure di palazzo che aveva cambiato per cinque volte la dinastia regnante nello spazio di pochi decenni, fu minata alla radice la solidità del regno di Israele.

La Bibbia interpretò i fatti alla luce di Dio: il regno d’Israele si era reso a lui infedele in modo insanabile nonostante gli ammonimenti dei profeti. Perciò Dio aveva abbandonato Israele proseguendo la storia della salvezza con la tribù di Giuda, perché da essa dovrà sorgere il Messia.

La Bibbia non cita espressamente il nome del sovrano assiro che abbatté il regno di Israele conquistandone la capitale e deportandone la popolazione. Tuttavia gli studiosi (p. 115, Pet 1992) sono d’accordo nel ritenere che fosse Sargon II nel primo anno del suo regno (4):

«Il re di Assiria invase tutto il paese, salì in Samaria e l’assediò per tre anni. Nell’anno nono di Osea il re di Assiria occupò Samaria, deportò gli israeliti in Assiria destinandoli a Calach, alla zona intorno a Cabor, fiume di Gozan, e alle città della Media.
[...] Rimase solo la tribù di Giuda. Ma neppure in Giuda osservarono i comandamenti del Signore, loro dio, ma seguivano piuttosto le usanze praticate da Israele.» (II Re 17, 18-19)

Di Sargon parla anche il profeta Isaia nelle sue sentenze (20, 1). Sul luogo di Samaria Sargon II insediò altre genti, deportate da più lontane regioni dell’impero che, mescolandosi con elementi israeliti, costituirono poi la popolazione dei samaritani, invisa ai giudei per la loro origine mista. Da questo momento delle dieci tribù settentrionali non esisteranno che residui, aggregatisi col tempo alla tribù di Giuda o assorbiti alle altre popolazioni.

Sopravvissuto al crollo di Israele, il regno di Giuda provò a scrollarsi di dosso il giogo assiro con Ezechia, figlio di quell'Acaz che aveva giurato fedeltà a Ninive. L'idea non piacque al successore di Tiglat-Pileser, Sennacherib, che con le sue truppe espugnò Gerusalemme imponendo pesanti sanzioni:

«Nell'anno quattordicesimo del re Ezechia, Sennacherib, re d'Assiria, assalì e prese tutte le città fortificate di Giuda. Ezechia mandò a dire al re di Assiria: "Ho peccato, allontanati da me e io sopporterò quanto mi imporrai". E il re d'Assiria impose a Ezechia, re di Giuda, trecento talenti d'argento e trenta talenti d'oro. Ezechia consegnò tutto il denaro che si trovava nel tempio del Signore e nei tesori del palazzo reale.» (II Re 19, 13)

Fu grazie a questi compromessi che il Regno di Giuda sopravvisse al crollo assiro avvenuto nel 612 a.C. Ovviamente anche la caduta dell'impero assiro trova giustificazione nel disegno divino. Nella Bibbia il giogo assiro è visto come instrumentum dei invocato dai Profeti per punire i peccati del popolo d'Israele. Ma la forza assira è effimera e destinata a soccombere - come il Nimrod della Torre di Babele - al provvidenziale disegno divino per mano di altre genti (Fal 1992 p.9-10).

Egizi e babilonesi

La successiva dominazione egizia fu breve perché nel 605 a.C. il sovrano del neo-impero babilonese Nabucodonosor sconfisse il faraone Necao a Karkemish assicurandosi così il possesso della Siria-Palestina. La Giudea da regno tributario divenne vero e proprio stato vassallo.

Per due volte il regno di Giuda si ribellò a Nabucodonosor ma con esito disastroso: la prima volta (598 a.C.) Gerusalemme venne risparmiata ed il re Ioakin, gli alti funzionari e le famiglie aristocratiche deportati a Babilonia; nella seconda occasione (587 a.C.) la capitale fu saccheggiata, il tempio distrutto, la città abbandonata alle fiamme e tutta la popolazione deportata in Babilonia. La vita degli ebrei di Babilonia, sotto Nabucodonosor e i suoi discendenti, è raccontata nel libro di Daniele (redatto molto più tardi all'epoca dei Maccabei).

Con la fine della monarchia davidica, la Giudea divenne una provincia dell'impero ed iniziò l’esilio (o cattività) babilonese che durerà 50 anni. Nel 538 a.C. il re persiano Ciro, abbattuto il regno Neo-babilonese, emana un editto con cui consente il ritorno in patria dei deportati e la riedificazione del Tempio di Gerusalemme che fu infine consacrato nel 515 a.C.

La Palestina divenne una divisione territoriale dell’Impero Persiano, sottomessa al satrapo di Damasco ma sempre con una certa autonomia. L'amministrazione sociale e religiosa passò in mano alla casta sacerdotale di Gerusalemme, al cui vertice si trovava il sommo sacerdote coadiuvato da un consiglio di anziani, il sinedrio.

Dopo più di due secoli di dominio persiano verranno altri padroni: Alessandro Magno (332 a.C.), i Tolomei d'Egitto (301 a.C.), i Selèucidi di Siria (200 a.C.) e i Romani (64 a.C.).

Il Pentateuco

«L'opera di George Smith fa epoca per la storia culturale e letteraria dell'antichità, e soprattutto per la scienza biblica, in special modo per la comprensione e l'apprezzamento delle storie che hanno preceduto la Genesi e forse anche per la critica del Pentateuco» (F. Delitzsch citato in Dag 1997, p. 44).

Così scriveva Friedrich Delitzsch, nella prefazione all'edizione tedesca di Smi 1876, venticinque anni prima della conferenza "Babel und Bibel" che dimostrò al mondo accademico l'influenza mesopotamica sulla Bibbia.

Questa influenza si disvela a molti livelli. Per semplicità ridurrò l'esame a due soli livelli. Il primo è quello storico ed è quanto visto finora spulciando qua e là nel secondo libro dei Re. Il secondo, particolarmente evidente nei libri più antichi della Bibbia, è quello letterario.  I due livelli riflettono due coinvolgimenti distinti da parte dei redattori finali della Bibbia.

Il primo è accidentale. Il redattore biblico prende atto dell'entrata in gioco di Giuda e Israele nella "politica internazionale" dell'epoca anche se lo interpreta alla luce dei peccati commessi dalle case reali ebraiche e alla luce dell'esegesi della salvezza (filo conduttore dell'intera Bibbia).

Il secondo è intenzionale. Per rendere comprensibile il messaggio delle origini del patto tra Dio e il suo popolo, gli autori della Bibbia si servirono del genere letterario più in voga tra i loro contemporanei, il mito. La tradizione mitico-letteraria del popolo dominatore (assiro o babilonese) fu certamente materiale accessibile sia nella terra di Canaan prima dell'esilio, sia - direttamente - durante e dopo l'esilio a Babilonia.

Per esempio il Libro di Giobbe è accostabile al poemetto del Giusto Sofferente di Nippur del XIII sec. a.C. (vedi trascrizione integrale in Pon 1996 pp.73-82; in Sap 1996 pp. 102-103 sono commentati alcuni passi) oppure la nascita di Mosè è praticamente identica a quella riportata nelle leggende di Sargon di Akkad. I celebri giganti (rephaim) della Genesi sono un'alterazione semantica degli antenati regali (rapi'uma) il cui culto era diffuso presso gli Amorrei (p. 185 Mat 1995)

Ma consideriamo un caso esemplare, il Pentateuco.

Proprio al periodo del post-esilio babilonese si può ascrivere il completamento del Pentateuco. Quella sacerdotale fu infatti l'ultima, in ordine di tempo, tra le numerose tradizioni che contribuirono alla redazione del "libro più antico del mondo". Prima di affrontare la cosiddetta "ipotesi documentaria" che spiega questa affermazione sarà bene rivedere qualche concetto chiave.

Il Pentateuco è la prima sezione della Bibbia. Esso è suddiviso in cinque libri: Genesi (o Bereshit), Esodo, Levitico (che è la sezione più antica della Torah), Numeri, Deuteronomio. Senza dubbio costituisce una pietra miliare della letteratura e della riflessione religiosa dell'umanità. Esso è basato in parte su ricordi della tradizione orale, su leggende, su racconti mitici delle origini elaborati da altre culture ma soprattutto su riflessioni teologiche e liturgiche nate dalla profonda fede in un Dio unico e universale.

Il Pentateuco è certamente molto antico e, in virtù della sua sacralità, fu attribuito al personaggio più carismatico della tradizione ebraica («Mosè scrive ciò che Dio gli rivela»). La paternità di Mosè venne però letteralmente smantellata dagli studiosi biblici a cavallo tra '800 e '900 in seguito alle scoperte dell'archeologia mediorientale e della nascente assiriologia (in proposito si riveda la sezione Babel un Bibel).

L'ipotesi documentaria

I maggiori risultati sull'origine filologica del Pentateuco sono condensati nella cosiddetta ipotesi documentaria, elaborata da Julius Wellhausen (1844-1918) e K. H. Graf (1815-1869). L'ipotesi documentaria è stata nei decenni rivista, messa in dubbio o accettata in modo oltranzista (vedi le Bibbie protestanti con passi stampati in colore diverso a seconda della tradizione alla quale vengono ricondotti!).

Nonostante le controversie (tesi di Klostermann, di Gunkel, di Bultmann, ecc.) essa resta l'ipotesi più accreditata dagli studiosi - come mostra una recentissima edizione Einaudi della Genesi (Gen 2000). Tuttavia, secondo un documento redatto dalla Pontificia Commissione Biblica sull'interpretazione della Bibbia (1993), l'ipotesi documentaria è solo una delle fasi del metodo storico-critico che sarebbe

...il metodo indispensabile per lo studio scientifico del significato dei testi antichi. Poiché la Sacra Scrittura, in quanto «Parola di Dio in linguaggio umano», è stata composta da autori umani in tutte le sue parti e in tutte le sue fonti, la sua giusta comprensione non solo ammette come legittima, ma richiede, l’utilizzazione di questo metodo (Interpretazione della Bibbia nella Chiesa 1993, sez. 1-A).

Il metodo storico-critico attuale per comprendere l’intenzione degli autori e redattori della Bibbia, come pure del messaggio da essi rivolto ai primi destinatari è sommariamente costituito dalle seguenti fasi: 1) analisi del testo (filologia, morfologia e sintassi) 2) analisi letteraria (ipotesi documentaria), 3) analisi delle forme (identificazione del "genere" del passo biblico: liturgico, mitico, giuridico, ecc.), 4) analisi della redazione (contributo personale del redattore e suoi orientamenti teologici nel lavoro di compilazione).

L'applicazione del metodo storico-critico allo studio della Bibbia non è però invenzione moderna. Già nel XVII secolo Richard Simon evidenziava la presenza di doppioni con divergenze nel contenuto e di stile osservabili nel Pentateuco. Nel XVIII secolo Jean Astruc poneva la questione in termini simili. Questi doppioni (e vedremo degli esempi) mostravano che

  1. l'«autore» del Pentateuco si era servito di più fonti o tradizioni orali combinandole assieme
  2. l'«autore» del Pentateuco doveva essere posteriore o coevo alla più recente delle fonti (5)

Nel XIX secolo, con Graf prima e Wellhausen dopo, si sviluppò la critica letteraria della Bibbia. Essa mirava a individuare l’inizio e la fine delle unità testuali e di verificare la coerenza interna dei testi. L’esistenza di doppioni, di divergenze inconciliabili costituiva l'indizio del carattere composito di certi testi, che venivano allora divisi in piccole unità, di cui si studiava la possibile appartenenza a fonti diverse. Da qui nacque l'ipotesi documentaria delle quattro fonti del Pentateuco (p. 135 Gen 2000):

  •  Yahvista (Y). Tradizione proveniente da Gerusalemme e fatta risalire all'epoca di Salomone (X secolo a.C.). I racconti che la compongono sono molto vivi e ricchi di immagini a sfondo mitico come si osserva nel secondo racconto della creazione (Genesi 2, 4b-25) dove Dio appare con tratti antropomorfici e vive familiarmente con gli uomini.
  •  Elohista (E). Tradizione proveniente dalla parte più settentrionale della Terra di Canaan (VIII-VII sec. a.C.)
  •  Deuteronomista (D). Tradizione del VII secolo a cui si ascrive il Deuteronomio ma non la Genesi.
  •  Sacerdotale (P, dal tedesco "priester"). Tradizione più recente risalente agli ambienti sacerdotali della cattività babilonese e della comunità post-esilica (VI-V secolo a.C.). I temi che affronta sono decisamente "tecnici": cronologie, genealogie, il culto, le feste, il tempio.

Alla fonte P apparterrebbe il redattore finale che diede struttura in un corpus unitario alle cinque sezioni del Pentateuco. Le prime due tradizioni prendono nome dal modo con cui, in ciascuna di esse, ci si riferiva tipicamente a Dio. Nella Y, Dio è indicato dal tetragramma JHWH («io sono colui che è») che, per il precetto dell'impronunciabilità, veniva letto Adonai o Kyrios (signore).

Nella fonte E, Dio è indicato dal plurale ebraico di El: Elohim. El indicava il signore degli dei nella tradizione pagana di Aram (Siria), di Ugarit e dei fenici. Una figura non lontanissima da quella degli ebrei se leggiamo nella Storia di Re Kerret (XIV sec. a.C.) da Ugarit: «nel sogno di Keret apparve El, padre di tutti gli uomini...» (citato in Sap 1996 p. 109) e in un poemetto del XIV sec. a.C. sempre da Ugarit: «El il benigno, El il misericordioso, il Creatore delle creature (ibid. p. 162).

Gli indizi e le fonti mesopotamiche

Sarà utile fornire qualche esempio dei doppioni su cui si basa l'ipotesi documentaria, perché alcuni di essi riconducono a tradizioni culturali mesopotamiche.

Nella Genesi troviamo per due volte un racconto della creazione, per due volte Agar viene allontanato, per tre volte incontriamo la situazione di un patriarca che spaccia per sorella propria moglie. Per casa vi assegno il compito di rintracciare questi doppioni sul testo e di provare inoltre ad assegnare ciascuna versione alla fonte originaria (le "risposte" sono consultabili nell'appendice storico-critica di Gen 2000).

Le divergenze più interessanti compaiono nell'episodio biblico del diluvio. Si dice che gli animali per ciascuna specie sono due (Genesi 6, 19) ma poi si afferma che sono sette (Genesi 7, 2). Oppure si dice che la calamità durò quaranta giorni (Genesi 7, 17) per poi rettificare a centocinquanta giorni (Genesi 7, 24). Queste incongruenze sono chiaramente dovute al fatto che nell'episodio si intrecciano due diverse tradizioni (Y e P secondo l'ipotesi documentaria). O meglio molte più di due dato che il mito del diluvio era noto da secoli nella terra di Canaan prima ancora che venisse redatta la versione biblica! Ecco quali secondo un recentissimo articolo apparso, udite udite, su Famiglia Cristiana nel marzo 2003:

«Forse qualche lettore si sorprenderà sentendo dire che Noè non era un ebreo. In realtà egli è una figura nota - sia pure con nomi diversi - ad altri popoli della Mesopotamia e la storia del "diluvio", che è connessa a lui, è proposta anche da antichissimi testi babilonesi di quella regione...»
(Gianfranco Ravasi su Famiglia Cristiana 10/2003 p. 153)

Possiamo agevolmente ricordare alcuni di questi testi (e citati nel suddetto articolo), che sovente incontriamo nelle altre sezioni di questo sito:

  1. il mito del Grande Saggio (Atramkhasis). Per alleviare le fatiche degli dei, Enki crea l'uomo dall'argilla e dal sangue dio un dio ribelle (= versione Y della creazione). La proliferazione dell'umanità irrita Enlil che scaglia il diluvio per sterminare l'uomo. Atramkhasis, seguendo i consigli di Enki si salva grazie all'arca (=versioni Y+P del diluvio).
  2. il mito babilonese della creazione (Enuma Elish). La teogonia e la cosmogonia mesopotamiche hanno luogo dal principio maschile Apsu (l'abisso, le acque dolci) e dal principio femminile Tiamat (il mare). Tiamat compare proprio nei primissimi versi della Genesi col significato di abisso primordiale (in ebraico thehom) sopra il quale si muoveva lo spirito di Dio. Anche l'Enuma Elish contiene la creazione dell'uomo, attuata stavolta da Marduk, in una versione simile all'Atramkhasis.
  3. l'epopea di Gilgamesh. Ripropone il mito del diluvio ma attraverso un'ottica inedita.

(p. 138 Gen 2000) Queste narrazioni sono utilizzate nella Bibbia a volte nei minimi dettagli. Tuttavia il discorso biblico parla di un unico Dio creatore, non di un olimpo litigioso che crea l'uomo per proprio tornaconto. Il Dio degli ebrei promette che non distruggerà più l'universo dopo il diluvio universale, catastrofe dovuta non a un cavillo divino (la rumorosità umana?) ma alla malvagità del genere umano:

«Noè è in realtà l'emblema dei giusti che sono presenti pure nel mondo pagano. Abramo verrà molti secoli dopo. Dio con Noè stabilisce già un'alleanza che anticipa quella che stipulerà poi con Israele sul Sinai (). E' appunto questo l'atto culminante del diluvio. Il Signore nella sua giustizia irrompe e colpisce il male dilagante e lo fa con le acque impetuose che sono per l'antico Vicino Oriente il simbolo del nulla e del caos. Ma egli salva tutti i giusti, incarnati in Noè...»
(ibid. p. 153)

La Bibbia trasmette un messaggio universale di speranza e di salvezza attraverso miti famosi che nella trasposizione biblica assumono un significato del tutto nuovo. Le narrazioni mesopotamiche non vengono semplicemente riciclate ma in buona misura demitizzate, riconducendole a una dimensione realmente umana.

Ringraziamenti: vorrei ricordare sentitamente Antonio G. dell'Università Statale di Milano per i preziosi suggerimenti e correzioni. Naturalmente tutti gli errori che doveste trovare in questa pagina sono miei.

APPENDICE: Paralleli nelle storie del diluvio

Sono riportate le pagine 219-220 da Il Diluvio, mito e realtà del più grande cataclisma di tutti i tempi, Massimo Baldacci, edizioni Mondadori 1999. Ecco la chiave delle abbreviazioni: Gn (Genesi), Gilg (edizione ninivita dell'epopea di Gilgamesh), A-h (poema del Grande Saggio o 'Atramkhasis'). Per completezza ricordo i nomi degli epigoni mesopotamici di Noè: Atramkhasis nella versione accadica del diluvio, Ziusudra nella versione sumerica del diluvio, Utnapishtim nel Gilgamesh.

pag. 219

p. 219, Il Diluvio, Massimo Baldacci, Mondadori 1999

pag. 220

p. 220, Il Diluvio, Massimo Baldacci, Mondadori 1999


  1. Tra gli appellativi del dio Sin abbiamo "Padre, che tieni la vita della Terra nelle tue mani" o "Signore che stabilisci il destino del cielo e della Terra". Un tentativo di instaurazione monoteistica del culto di Sin è di Nabonedo, sfortunato re babilonese (VI sec. a.C.) e figlio di una sacerdotessa di Harran, che osò - inimicandosi la potente casta sacerdotale devota al dio Marduk - trasformare l'adorazione di Sin nel culto nazionale babilonese. Tre stele votive di Nabonedo, scoperte dagli archeologi nel 1956 ad Harran, glorificano Sin come "padre degli dei".
  2. Non i filistei, di compagine indoeuropea, in quanto erano uno dei "popoli del mare" (XIV secolo).
  3. E' stato addirittura sostenuto che il nome del monte Sinai, probabile sito di un luogo di culto già rinomato e sotto il quale fu adorato il Vitello d'Oro, derivasse da Sin, dio Luna babilonese (vedi nota 1). In effetti il culto del vitello d'oro non avrebbe origine dal culto egizio della dea della fertilità Hapi - col quale gli ebrei certamente vennero in contatto durante la loro permanenza nella terra dei faraoni - ma avrebbe radici nei culti cananei precedenti all'esodo. Il culto del vitello, come simbolo di fertilità, era infatti dedicato a Sin ed era diffusissimo presso le popolazioni nomadi semitiche: le statuette votive a forma di vitello trovate in Israele (vedi servizio di Repubblica, 27 luglio 1990) sono tutte datate all'epoca precedente l'esodo.
  4. Col fortuito ritrovamento della reggia di Sargon II ebbe nascita l'archeologia orientale nella seconda metà dell'800.
  5. Ho messo il termine autore tra virgolette perché gli studiosi ritengono che si tratti di più autori, probabilmente appartenenti alla stessa scuola (per la cronaca la scuola sacerdotale a cui faceva capo Esdra). L'evidenza è data dall'omogeneità di riflessione religiosa tra le cinque sezioni del Pentateuco. Ma, in questo ambito, non ci interessa entrare nei termini della questione.

Web Homolaicus

Enrico Galavotti - Homolaicus - Sezione Storia - Storia antica
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Aggiornamento: 01/05/2015