L'EPOPEA DI GILGAMESH
Dalla civiltà sumerica a quella babilonese


Tavola XI

Gilgamesh incalza Utnapishtim (1-7)

Gilgamesh parlò a lui, al lontano Utnapishtim:

"Io guardo a te, Utnapishtim,
le tue fattezze non sono diverse, tu sei uguale a me,
si, tu non sei diverso, uguale a me sei tu!

Il mio animo è tutto proteso a misurarsi con te,
e tuttavia il mio braccio è inerme contro di te!

Perciò dimmi: come sei entrato nella schiera degli dei,
ottenendo la vita?".

5

Comincia il racconto del diluvio (8-19) [Commento]

Utnapishtim parlò a lui, a Gilgamesh:

"Una cosa nascosta, Gilgamesh, ti voglio rivelare,

e il segreto degli dei ti voglio manifestare.

Shuruppak - una città che tu conosci,
che sorge sulle rive dell'Eufrate -
questa città era già vecchia e gli dei abitavano in essa.

Bramò il cuore dei grandi dei di mandare il diluvio.

10
Prestarono il giuramento il loro padre An,
Enlil, l'eroe, che li consiglia,
Ninurta il loro maggiordomo,
Ennugi, il loro controllore di canali;
Ninshiku-Ea aveva giurato con loro.
15

L'aiuto di Enki (29-47) [Commento]

Le loro intenzioni (quest'ultimo) però le rivelò
ad una capanna:

"Capanna, capanna! Parete, parete!
Capanna, ascolta; parete, comprendi!

Uomo di Shuruppak, figlio di Ubartutu,
abbatti la tua casa, costruisci una nave,

20
abbandona la ricchezza, cerca la vita!
Disdegna i possedimenti, salva la vita!
fai salire sulla nave tutte le specie viventi!

La nave che tu devi costruire -
le sue misure prendi attentamente,

25
eguali siano la sua larghezza e la sua lunghezza - ;
tu la devi ricoprire come l'Apsu".

Io compresi e così io parlai al mio signore Enki:

"L'ordine, mio signore, che tu mi hai dato,
l'ho preso sul serio e lo voglio eseguire.

30
Che cosa dico però alla città, agli artigiani e agli anziani?"

Enki aprì la sua bocca,
così parlò a me il suo servo:

"Tu, o uomo, devi parlare loro così:

'Mi sembra che Enlil sia adirato con me;

35
perciò non posso vivere più nella vostra città
non posso più porre piede sul territorio di Enlil.
Per questo voglio scendere giù nell'Apsu, e là abitare
con il mio signore Enki.

Su di voi però Enlil farà piovere abbondanza,
abbondanza di uccelli, abbondanza di pesci.

40
Egli vi regalerà ricchezza e raccolto.
Al mattino egli farà scendere su di voi focacce,
di sera egli vi farà piovere una pioggia di grano".
45

La costruzione dell'arca (48-88)

Appena l'alba spuntò,
si raccolse attorno a me tutto il paese;
il falegname portò la sua ascia,
il giuncaio portò il suo ...
I giovani uomini [ ]
le case [ ] le mura di mattoni.
I fanciulli portarono pece.
50
Il povero [ ] portò il necessario.

Al quinto giorno disegnai lo schema della nave;

la sua superficie era grande come un campo,
le sue pareti erano alte 120 cubiti.
Il bordo della sua copertura raggiungeva anch'esso 120 cubiti.
Io tracciai il suo progetto, feci il suo modello:

55
suddivisi la superficie in sei comparti,
innalzai fino a sette piani.
La sua base suddivisi per nove volte.

Nel suo mezzo infissi pioli per le acque;
scelsi le pertiche e approntai tutto ciò che serviva alla sua costruzione:

60
tre sar di bitume grezzo versai nel forno,
tre sar di bitume fine impiegai;
tre sar di olio portarno le persone portatrici dei canestri.
Tranne un sar di olio che il niqqu ha consumato,
e due sar di olio messi da parte dal marinaio.
65
Come approvvigionamento macellai buoi,
giorno dopo giorno uccisi pecore;
mosto, birra, olio e vino
gli artigiani bevvero come fosse acqua del fiume,
essi celebrarono una festa come se fosse la festa del Nuovo Anno!
70
Al sorgere del sole io feci un'unzione;
al tramonto la nave era pronta.

Il varo della nave fu molto difficile;
corde per il varo furono lanciate sopra e sotto;
due terzi di essa stavano sopra la linea d'acqua.

75
Tutto ciò che io possedevo lo caricai dentro:
tutto ciò che io possedevo di argento lo caricai dentro,
tutto ciò che io possedevo di oro lo caricai dentro,

tutto ciò che io possedevo di specie viventi le caricai dentro:
sulla nave feci salire tutta la mia famiglia e i miei parenti,

80
il bestiame della steppa, gli animali della steppa,
tutti gli artigiani feci salire.

L'inizio del diluvio me lo aveva indicato Shamash:

"Al mattino farò scendere focacce, la sera farò piovere
una pioggia di grano;
allora sali sulla nave e chiudi la porta!".

85

Il diluvio distrugge ogni forma di vita (89-134)

Venne il momento indicato:
al mattino scesero focacce, la sera una pioggia di grano.
Io allora osservai le fattezza del giorno:
al guardarlo, il giorno incuteva paura.

Entrai dentro la nave e sprangai la mia porta.
Al marinaio Puzur-Amurri, il costruttore della nave,

90
regalai il palazzo con tutti i suoi averi.

Appena spuntò l'alba,
dall'orizzonte salì una nuvola nera.

Adad all'interno di essa tuonava continuamente,
davanti ad essa andavano Shullat e Canish;

95
i ministri percorrevano monti e pianure.

Il mio palo d'ormeggio strappò allora Erragal.
Va Ninurta, le chiuse d'acqua abbatte.

Gli Anunnaki sollevano fiaccole,
con la loro luce terribile infiammano il paese.

100
Il mortale silenzio di Adad avanza nel cielo,
in tenebra tramuta ogni cosa splendente.

Il paese come un vaso egli ha spezzato.
Per un giorno intero la tempesta infuriò,
il vento del sud si affrettò per immergere le montagne nell'acqua:

105
come un'arma di battaglia la distruzione si abbatte
sugli uomini.

A causa del buio il fratello non vede più suo fratello,
dal cielo gli uomini non sono più visibili.

Gli dei ebbero paura del diluvio,
indietreggiarono, si rifugiarono nel cielo di An.

110
Gli dei accucciati come cani si sdraiarono la fuori!
Ishtar grida allora come una partoriente,
si lamentò Belet-Ili, colei dalla bella voce:

"Perché quel giorno non si tramutò in argilla,
quando io nell'assemblea degli dei ho deciso il male?

115
Perché nell'assemblea degli dei ho deciso il male,
dando, come in guerra, l'ordine di distruggere le mie genti?
Io proprio io ho partorito le mie genti
ed ora i miei figli riempiono il mare come larve di pesci".

Allora tutti gli dei Anunnaki piansero con lei.

120
Gli dei siedono in pianto.
Secche sono le loro labbra; non prendono cibo!

Sei giorni e sette notti
soffia il vento, infuria il diluvio, l'uragano livella il paese.

Quando giunse il settimo giorno, la tempesta, il diluvio
cessa la battaglia,

125
dopo aver lottato come una donna in doglie.

Si fermò il mare, il vento cattivo cessò e il diluvio si fermò.

Io osservo il giorno, vi regna il silenzio.
Ma l'intera umanità è ridiventata argilla.
Come un tetto è pareggiato il paese.

130

La missione esplorativa degli uccelli (135-154)

Aprii allora lo sportello e la luce baciò la mia faccia.

Mi abbassai, mi inginocchiai e piansi.
Sulle mie guance scorrevano due fiumi di lacrime.
Scrutai la distesa delle acque alla ricerca di una riva:
finché ad una distanza di dodici leghe non scorsi un'isola.

135
La nave si incagliò sul monte Nisir.
Il monte Nisir prese la nave e non la fece più muovere;
un giorno, due giorni, il monte Nisir prese la nave
e non la fece più muovere;
tre giorni, quattro giorni, il monte Nisir prese la nave
e non la fece più muovere;
cinque giorni, sei giorni, il monte Nisir prese la nave
e non la fece più muovere.
140
Quando giunse il settimo giorno,
feci uscire una colomba, la liberai.
La colomba andò e ritornò,
un luogo dove stare non era visibile per lei, tornò indietro.

Feci uscire una rondine, la liberai;

145
andò la rondine e ritornò,
un luogo dove stare non era visibile per lei, tornò indietro.

Feci uscire un corvo, lo liberai.
Andò il corvo e questo vide che l'acqua ormai rifluiva,
egli mangiò, starnazzò, sollevò la coda e non tornò.

150

Sacrifici propiziatori del superstite (155-176)

Feci allora uscire ai quattro venti tutti gli occupanti
della nave e feci un sacrificio.
Posi l'offerta sulla cima di un monte.
Sette e sette vasi vi collocai:
in essi versai canna, cedro e mirto.

Gli dei odorarono il profumo.

155
Gli dei odorarono il buon profumo.
Gli dei si raccolsero come mosche attorno all'offerente.

Dopo che Belet-Ili fu arrivata
innalzò in alto le sue grandi 'mosche' (=lapislazzuli)
che An aveva fatto per la sua gioia:

"Voi, o dei, siete come i lapislazzuli del mio collo!

160
che io ricordi sempre questi giorni e non li dimentichi mai!
Gli dei vengano all'offerta,
ma Enlil non venga all'offerta,
perché egli ha ordinato avventatamente il diluvio,
destinando le mie genti alla rovina!".
165
Dopo che Enlil fu arrivato,
vide la nave e si infuriò,
d'ira si riempì il suo cuore verso gli dei Igigi:
"Qualcuno si è salvato? Eppure nessun uomo
doveva sopravvivere alla distruzione".

Ninurta aprì la sua bocca e disse, così parlò ad Enlil l'eroe:

170
"Chi può aver escogitato ciò se non Enki?
Solo Enki conosce ogni arte!".
175

L'ultimo diverbio nel mondo divino (177-196)

Enki aprì allora la sua bocca e parlò ad Enlil, l'eroe:

"O eroe, tu il più saggio fra gli dei,
come, come hai potuto agire così sconsideratamente,
ordinando il diluvio?

Al colpevole imponi la sua pena, a colui che commette
un delitto imponi la sua pena,
flettilo, ma non venga stroncato; tiralo, ma non sia spezzato!

Piuttosto che mandare il diluvio, sarebbe stato meglio che
un leone fosse venuto e avesse fatto diminuire le genti!

Piuttosto che mandare il diluvio, sarebbe stato meglio che
un lupo fosse venuto e avesse fatto diminuire le genti!

Piuttosto che mandare il diluvio, sarebbe stato meglio che
una carestia si fosse abbattuta sul paese e lo avesse decimato!

180
Piuttosto che mandare il diluvio, sarebbe stato meglio che
la peste si fosse abbattuta sulle genti e le avesse decimate!

Per quanto mi riguarda io non ho tradito il segreto dei grandi dèi!

Ho fatto avere soltanto un sogno ad Atramkhasis, al saggio
per eccellenza! Così egli comprese il segreto dei grandi dei!
Ora però prendi per lui una decisione".

Enlil salì allora sulla nave,

185
prese la mia mano e mi fece alzare,
prese mia moglie e la fece inginocchiare al mio fianco.
Toccò la nostra fronte e stando in mezzo a noi ci benedisse:

"Prima Utnapishtim era uomo,
ora Utnapishtim e sua moglie siano simili a noi dei.

190
Risieda Utnapishtim lontano, alla foce dei fiumi".

Essi allora mi presero e mi fecero abitare lontano, alla foce dei fiumi.
Ed ora chi potrà far radunare per te gli dei
in modo che tu trovi la vita che tu cerchi?
Orsù, cerca di non dormire per sei giorni e sette notti".

195

La prova del sonno (197-234)

Ma appena egli si sedette al suolo con la testa tra le sue ginocchia,
il sonno scese su di lui come un velo di nebbia.

Utnapishtim parlò allora a lei, a sua moglie:
"Guarda il grande uomo che cerca la vita,
il sonno è sceso su di lui come un velo di nebbia".

200
Sua moglie così parlò a lui, a Utnapishtim il lontano:
"Toccalo, fallo svegliare!
Possa egli tornare indietro in pace per la via da cui è venuto.
Possa egli tornare indietro nel suo paese attraversando la porta
da cui è uscito".

Utnapishtim parlò a lei, a sua moglie:

205
"L'umanità è ingannevole; egli raggirerà pure te.
Orsù cuoci un pane per lui e ponilo vicino alla sua testa,
segna anche sul muro i giorni che egli passa dormendo".

Essa cosse un pane e lo depose vicino alla sua testa;
segnò inoltre sul muro i giorni che egli passò dormendo.

210
Il pane del primo giorno era già secco,
quello del secondo giorno era raggrinzito, quello del terzo
giorno era molliccio, quello del quarto giorno aveva la crosta bianca,
quello del quinto giorno aveva perso colore, quello del sesto
giorno era appena cotto,
quello del settimo giorno lo aveva appena sfornato, allorché
egli lo toccò e lo svegliò.

Gilgamesh così parlò a lui, a Utnapishtim il lontano:

215
"Non appena il sonno è sceso su di me,
mi hai subito toccato e mi hai svegliato".

Utnapishtim così parlò a lui, a Gilgamesh:
"Guarda, Gilgamesh! Conta i pani!
Così apprenderai quanti giorni hai dormito.

220
Il pane del primo giorno è già secco,
quello del secondo giorno è raggrinzito, quello del terzo
giorno è molliccio, quello del quarto giorno ha la crosta bianca,
quello del quinto giorno ha perso colore, quello del sesto
giorno è appena cotto,
quello del settimo giorno era appena stato sfornato, quando
io ti ho toccato".

Gilgamesh così parlò a lui, a Utnapishtim il lontano:

225
"Ahimè! Come ho potuto fare ciò, Utnapishtim!
Dove potrò andare adesso?
I rapinatori mi hanno intrappolato,
nella mia camera da letto alberga la morte;
dovunque io ponga il mio piede, là c'è la morte".
230

La melanconica partenza del perdente (234-257)

"Urshanabi, il molo ti rifiuti, il traghetto ti disprezzi!
Tu che sei andato alla sua sponda, rinuncia ad accostarti ad essa;
l'uomo che tu hai portato fin qui, il suo corpo è pieno di sporcizia;
la bellezza del suo corpo hanno rovinato le pelli che indossa;

prendilo Urshanabi! Portalo al lavatoio;
possa egli lavare con acqua la sua sporcizia,
fino a diventare bianco come la neve;

235
possa egli buttare via le pelli, sicché il mare le porti con sé:

fa' che il suo corpo sia strofinato fino a tornare bello;
poni sul suo capo un nuovo turbante;
fagli indossare un vestito che lo rinobiliti;
fino a che egli non giunga alla sua città,

240
fino a che egli non compia il suo viaggio,
che il suo vestito non si scolori, che sia nuovo, che sia nuovo".

Urshanabi lo prese e lo condusse al lavatoio;
lavò con acqua la sua sporcizia, fino a diventare bianco come la neve;
egli buttò via le pelli, sicché il mare le portò con sé:

245
il suo corpo strofinò fino a farlo tornare bello;
pose sul suo capo un nuovo turbante;
indossò un vestito che lo rinobilitò;
fino a che non fosse giunto alla sua città,
fino a che non avesse compiuto il suo viaggio;
250
il suo vestito non si sarebbe scolorato, sarebbe rimasto nuovo.

Gilgamesh e Urshanabi salirono sulla nave;
liberarono la nave dagli ormeggi e partirono.

255

La pianta dell'irrequietezza (258-301) [Commento]

Sua moglie così parlò a lui, al lontano Utnapishtim:
"Gilgamesh è venuto a te stanco e abbattuto;
che cosa puoi dargli che possa portare con sé nel suo paese?".

Egli allora Gilgamesh sollevò il remo
e fece accostare la nave alla sponda.
Utnapishtim così parlò a lui, a Gilgamesh:
"Gilgamesh, tu sei venuto stanco e abbattuto,

260
cosa posso darti da portare con te al tuo paese?

Ti voglio rivelare, o Gilgamesh, una cosa nascosta,
il segreto degli dei ti voglio manifestare.
Vi è una pianta, le cui radici sono simili a un rovo,
le cui spine, come quelle di una rosa, pungeranno le tue mani;

265
se raggiungerai tale pianta con le tue mani troverai la vita".

Appena Gilgamesh udì ciò, egli aprì un foro,
si legò ai piedi grandi pietre,
e si immerse nell'Apsu, la dimora di Enki;
egli prese la pianta sebbene questa pungesse le sue mani,

270
slegò quindi le grandi pietre che aveva ai piedi,
e così il mare lo fece risalire fino alla sponda.

Gilgamesh parlò a lui, ad Urshanabi il battelliere:
"Urshanabi, questa pianta è la pianta dell'irrequietezza;
grazie ad essa l'uomo ottiene la vita.

275
Voglio portarla ad Uruk, e voglio darla da mangiare
ai vecchi e così provare la pianta.
Il suo nome sarà: "Un uomo vecchio si trasforma in uomo
nella sua piena virilità".

Anch'io voglio mangiare la pianta e così ritornerò giovane".

Dopo venti leghe essi fecero uno spuntino;
dopo trenta leghe essi si fermarono per la notte;

280
Gilgamesh vide un pozzo le cui acque erano fresche,
si tuffò in esse e si lavò;

ma un serpente annusò la fragranza della pianta,
si avvicinò silenziosamente e prese la pianta;
nel momento in cui esso la toccò, perse la sua vecchia pelle.

285
Gilgamesh quel giorno sedette e pianse,
le lacrime scorrevano sulle sue guance.

Egli allora parlò ad Urshanabi il battelliere:
"O Urshanabi, per che cosa si sono affaticate le mie braccia?
Per quale scopo è scorso il sangue nelle mie vene?

290
Non sono stato capace di ottenere alcunché di buono per me stesso!

Io ho fatto del bene persino al leone della steppa, ed ora
l'onda si è già allontanata di venti leghe.

Nell'aprire il foro ho lasciato cadere dentro gli arnesi di lavoro;
cosa potrei trovare ora da porre al mio fianco? Io voglio
abbandonare la ricerca!
Avessi lasciato la nave ai suoi ormeggi!".

295
Dopo venti leghe
essi fecero uno spuntino;
dopo trenta leghe essi si fermarono per la notte;
300

Rientro ad Uruk (302-308)

Quando essi giunsero ad Uruk, l'ovile,
Gilgamesh così parlò a lui, ad Urshanabi:

"Sali, o Urshanabi, sulle mura di Uruk! Percorrile!
ispeziona le fondamenta, scrutane i mattoni:
non è forse vero che sono davvero mattoni cotti?

Non sono stati i Sette Saggi a porre le sue fondamenta?

Un miglio quadrato è la città, un miglio quadrato sono
i suoi orti, e così pure le sue cisterne
oltre alle terre del tempio di Ishtar.
Per tre miglia quadrate si estende Uruk senza contare
i suoi terreni agricoli.

Avessi lasciato oggi il pukku nella casa del falegname!".

305

Commento (vv. 8-19)

Il contenuto di questa tavola è la celeberrima versione caldea del diluvio universale. La scoperta di questo documento, più noto come la tavoletta del diluvio, avvenne intorno al 1870 da parte dell'assiriologo inglese George Smith che ne diede notizia nel corso di una concitata assemblea della Società londinese di Archeologica Biblica. La storia del ritrovamento è talmente ricca di colpi di scena che ho voluto proporla in una sezione dedicata.
Vorrei qui ricordare alcuni punti fondamentali. Questo documento non solo rivelò al mondo l'esistenza di una letteratura precedente a quella greca e biblica, ma addirittura confermò narrazioni contenute nell'Antico Testamento.  La sua scoperta pertanto diede un fortissimo impulso agli studi biblici, alla nascente assiriologia, all'epigrafia ed ovviamente all'archeologia mediorientale.
La storia di Utnapishtim fu solo la prima di una serie di remote testimonianze sul diluvio ad emergere dalle sabbie della Mesopotamia. Fra la fine dell'800 e l'inizio del '900, nuovi scavi portarono alla luce la versione babilonese (mito di Atramkhasis, 1700 a.C.) e quella sumerica (mito di Ziusudra, ca. 2000 a.C.). E' anzi probabile che la tavoletta del diluvio, sia direttamente ispirata a questi precedenti.
In effetti l’Epopea di Gilgamesh ha dietro di sé una lunghissima storia letteraria. Per esempio, la versione babilonese dell'epopea, detta poema di Gilgamesh, non contiene il racconto del diluvio. Questo è stato aggiunto dagli scribi assiri che, nella biblioteca di Ninive, potevano direttamente consultare un patrimonio letterario vecchio di secoli.

Il mito del Grande Saggio

Molti ritengono che la versione del diluvio contenuta nella tavola XI dell'epopea sia un'interpolazione dell'episodio centrale dell'Atramkhasis (=grande saggio), dove il diluvio è solo l'ultima di una serie di calamità decisa dagli dei per punire il genere umano.
Secondo questo mito, le calamità furono provocate per ridurre al silenzio gli uomini che col loro lavoro disturbavano il riposo degli Anunnaki. Un motivo in apparenza fra i più ottusi, dato che gli uomini, è vero, erano rumorosi ma perché producevano il fabbisogno degli dei. Eliminando gli uomini, gli dei finivano col bruciare la loro stessa fonte di sostentamento. E' per questo che recenti interpretazioni hanno cominciato a vedere nella "rumorosità" una metafora dell'ingegno umano. L'uomo, attraverso il miglioramento delle condizioni di vita e l'accrescimento del sapere, si rendeva indipendente dall'elemento divino.
L'Atramkhasis non è "solo" il diluvio. Il bel mito racconta delle origini del mondo divino, diviso tra Anunnaki (gli aristocratici) e Igigi (la servitù) e della creazione dell'uomo per sollevare gli Igigi dalla fatica del lavoro. Una lettura dell'Atramkhasis, o almeno dei circa 800 versi giunti sino a noi, è possibile in Bot 1992, pp. 559-639 e in Bot 1996, p.117.
Vale la pena osservare che a causa di una svista degli scribi di Ninive, Atramkhasis fa un cameo nella tavoletta del diluvio (avete capito dove?).

Commento (vv. 29-47)

L'episodio della teofania di Utnapishtim è infilato in modo posticcio nell'epopea rinunciando, quanto volutamente non ci è dato sapere, a dettagli che ci aiuterebbero nella sua comprensione. Gli illustri antecedenti (>>> commento) aiutano a chiarire la situazione. Cominciamo con la versione sumerica (sec. XVIII a.C.):
In quel tempo Ziusudra, il re, l'unto
costruì un riparo rotondo.
In umiltà, fervida preghiera, timore
stando ogni giorno costantemente...
ogni giorno gli appariva la parola...
... gli dei al muro...
Ziusudra stando sul fianco alscoltò:
«Stai presso il muro, a sinistra!
Che io dica la parola presso il muro, la parola mia ricevi
L'orecchio tuo alla mia purificazione»
(riportato in Bot 1992 pp. 602-603).
Nel Grande Saggio paleobabilonese apprendiamo altri particolari dello stratagemma di Enki:
Atramkhasis aprì la sua bocca e disse al suo signore:
«Informami sul contenuto del sogno,
...che io veda la sua conseguenza».
Ea aprì la sua bocca e disse al suo servo:
«Tu dici: "che cosa devo vedere".
Il messaggio che ti dico custodiscilo!
Muro, ascoltami!
Canniccio, custodisci tutte le mie parole!
Distruggi la casa, costruisci una nave!
Odia i beni!
Conserva la vita!»
(riportato in Sap 1996 pp. 64-65).
Risulta chiaro dall'unione insiemistica delle tre versioni che Enki (qui chiamato col nome accadico Ea) ricorre ad un ingenuo stratagemma per non violare il patto stipulato con gli altri Anunnaki. Egli non avverte direttamente Utnapishtim ma parla al muro di canne mescolate a terra della sua casa. Secondo una logica spicciola, Enki non avrebbe dunque la responsabilità che il mortale nascosto dietro al muro possa far tesoro delle informazioni divine! Rimane un mistero come potrebbe mai un canniccio pensare di salvarsi costruendosi una nave!
Più tardi la faccia tosta di Enki in relazione all'episodio sarà senza limiti (vv. 187-188):
Per quanto mi riguarda io non ho tradito il segreto dei grandi dèi!
Ho fatto avere soltanto un sogno all'uomo saggio per eccellenza!

Commento al testo (vv. 258-301)

Il regalo di commiato proposto da Utnapishtim a Gilgamesh è la pianta dell'irrequietezza. Questo oggetto appare frequentemente nell'epica mesopotamica in varianti destinate a prolungare l'esistenza direttamente (immortalità o gloria), indirettamente (discendenza) o ciclicamente (seconda giovinezza).
La pianta raccolta dagli abissi da Gilgamesh rientra nella terza tipologia. Per molti studiosi questa pianta sarebbe una trasfigurazione delle perle della specie Pinctada che gli antichi, dalla preistoria al Medioevo, consideravano simbolo di immortalità (p. 63 Archeo n. 218, 2003).
Nella versione elamita della saga, è raccontato che questa pianta garantisce fertilità e discendenza. Nella stessa accezione diviene oggetto di ricerca da parte di Etana. Secondo il mito, il re di Kish volerebbe fino in cielo, aggrappato a un'aquila, alla ricerca della pianta che gli possa garantire una discendenza.
Il problema assilla anche il re ugaritico Keret dal cui mito sono tratti questi bellissimi versi rivolti al padre degli dei dell'antica Siria:
«Che me ne faccio dell'argento, degli ori con i loro piedistalli, degli schiavi, dei bronzi, dei cavalli, dei carri, delle scuderie, dei servitori? Concedimi El di poter procreare figli e avere una discendenza!»
(da Sap 1996 pp. 109-110).
In un altro mito, al sacerdote Adapa (uno dei Sette Saggi) vengono offerti il pane e l'acqua della vita dal dio An in persona. Ma Adapa, istruito da Enki, rifiuta il dono divino:
«Avanti, saggio Adapa, perché non mangi e non bevi? Non vuoi vivere? Non sognano forse tutti gli uomini di diventare immortali»
«Enki il mio signore mi ha detto: non dovrai mangiare ne bere»
An riflettè: «Ebbene se non posso donarti la vita decreterò per te un altro destino: tu sei un mortale Adapa, ma la tua fama vivrà per sempre!»
(da Pon 2000 p. 129)

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Aggiornamento: 01/05/2015