DEDALO E LA TECHNE

Testo di Ovidio - Interpretazione del mito di Dedalo

Dedalus and Icarus - Frederick Leighton, 1869

Quando si parla del mito di Dedalo e Icaro è molto facile ricordarsi della vicenda in cui Icaro perse la vita: fa quasi parte di una memoria collettiva, appresa sui banchi di scuola. Eppure di Dedalo, il padre di Icaro, sappiamo molto poco: chi ha studiato i classici o letto qualche libro di mitologia saprà certamente ch'egli fu il costruttore del famoso labirinto del Minotauro, da cui appunto, insieme al figlio, uscì "volando".

Premessa storico-culturale

Nella storia della mitologia della Grecia antica l'artigiano si trova ad essere spesso confuso con altre funzioni sociali o professionali: medico, ambasciatore, assistente religioso, mediatore, indovino... che potevano far capo a una funzione onnicomprensiva: quella del demiurgo. Ed è probabile che anche nella vita reale in parte fosse così. Tra gli dèi dell'Olimpo Efesto, p.es., appare come un demiurgo, in quanto loro coppiere, signore dei metalli e dei talismani, nonché del fuoco, con cui appunto si forgiavano i metalli.

La stessa techne si riferiva a due categorie economiche che noi oggi teniamo, a motivo della divisione del sapere e delle esigenze produttive del capitale, assai poco unite: arte e artigianato.

Il demiurgo (ne parliamo perché lo stesso Dedalo può in parte rientrare in questa funzione) va considerato senza dubbio come un soggetto mitologico che rispecchiava una dimensione del lavoro sociale molto meno frantumata di oggi nelle varie specializzazioni, un soggetto dotato di abilità manuale e di intelligenza pratica, una sorta di "tuttofare", capace di districarsi nelle situazioni più difficili o impreviste, in cui veniva richiesta una competenza a 360 gradi.

Ovviamente, poiché si trattava di una civiltà antica, i cui conflitti di classe, molto forti, non trovavano nella tecnologia quella mediazione sufficiente a eliminare l'esigenza del religioso, era molto facile confondere scienza e magia. La religione permeava di sé ogni aspetto della vita sociale, per cui facilmente l'uso della tecnologia, specie nella letteratura, veniva ad essere ricollegato a un uso di tipo magico.

La metallurgia di Efesto, p.es., è sempre strettamente legata alla magia: Ares e Afrodite, sorpresi in adulterio, vengono chiusi in una sua rete dalle maglie invisibili (oggi parleremmo di "raggi infrarossi"). Efesto ha addirittura la capacità  di mettere in movimento esseri che dovrebbero restare immobili: p.es. i mantici della fucina si muovono da soli (come fossero dei robot in una catena di montaggio).

I greci avvertivano le grandi potenzialità della tecnica, se ne sentivano affascinati, ma nello stesso tempo le temevano, poiché sembravano rendere superflua la presenza dell'uomo, ovvero minacciare dei rapporti sociali e politici costituiti.

Non dobbiamo inoltre dimenticare che un rapporto economico di tipo schiavile, in cui cioè la dipendenza del lavoratore era "fisica" e non, come oggi, contrattuale, non ha mai favorito, in nessuna civiltà antica, lo sviluppo illimitato della tecnologia: oltre un certo livello non si è mai andati.

La tecnologia si sviluppa enormemente sotto il capitalismo proprio per surrogare un rapporto umano non più possibile, cioè per ripristinare lo schiavismo in forma sublimata, garantendo la libertà personale o giuridica al lavoratore, con cui egli (che per definizione è nullatenente) può accettare le condizioni dell'imprenditore o morire di fame. Ovviamente l'operaio può ribellarsi a questa situazione, ma potevano farlo anche gli schiavi al tempo dei greci e dei romani. Allora era la religione a influenzare negativamente i lavoratori, oggi sono sempre più le forme ideologiche del consumismo.

E' sintomatico, in tal senso, che Efesto sia una delle pochissime divinità a occuparsi di artigianato (l'altra è Pallade) e sia anche l'unica a essere invalida (soffriva di una debolezza alle gambe o di una deformità ai piedi). I greci hanno sempre guardato con sospetto uno sviluppo eccessivo della tecnologia, formalmente perché temevano d'infrangere i rapporti uomo/natura o anche uomo/dio (Prometeo, p.es., pagherà caro l'aver fatto conoscere agli uomini i segreti del fuoco); nella sostanza per i motivi suddetti relativi ai limiti dell'economia schiavile.

Probabilmente ci si rese anche conto (come ben testimonia anche il mito di Aracne, oltre quello di Prometeo) che uno sviluppo eccessivo della techne avrebbe potuto portare a uno sviluppo dell'ateismo: il che sarebbe stato rischioso in una società il cui antagonismo di classe aveva bisogno della religione (che oggi come allora si esprime in miti e leggende) per essere meglio accettato dalla popolazione di cultura modesta, non intellettuale.

Inoltre molto forte era il disprezzo, da parte dei ceti più benestanti, del lavoro manuale, considerato un'occupazione da schiavi o da servi domestici. La moderna borghesia, da questo punto di vista, rappresenta, almeno nella sua fase iniziale, il riscatto del lavoro nei confronti della rendita dovuta alla proprietà trasmessa per via ereditaria. E Dedalo, sotto questo aspetto, può simboleggiare una sorta di borghese ante litteram.

Insomma, uno sviluppo eccessivo della techne avrebbe contribuito a dare al lavoro una dignità pericolosa, che avrebbe potuto rimettere in discussione i rapporti di classe, basati su precise differenze di censo, di casta ecc.

Non dimentichiamo che secondo le versioni di Omero e di Esiodo, Efesto imparò la metallurgia all'insaputa dei propri genitori, che l'avevano in un certo senso disconosciuto (era nato senza amore e abbandonato perché deforme). Efesto è una sorta di figura piccolo-borghese rinnegata dall'aristocrazia, un reietto dell'alta società, che fa fortuna in virtù del proprio lavoro di fabbro, della propria abilità artigianale, e che però sul piano politico o culturale non avrà mai il coraggio di emanciparsi né dai poteri che governano l'economia schiavile né dalle ideologie religiose che la giustificano. E' anzi proprio Efesto che, seppur malvolentieri, incatena Prometeo, su ordine di Zeus, alla rupe.

La versione femminile di Efesto è, come noto, quella di sua sorella Pallade Atena, anch'essa nata per sbaglio, come frutto indesiderato, e nei cui confronti Zeus non poté fare altro che prendere atto.

Non a caso il culto delle due divinità, tra gli operai e gli artigiani, marciava sempre in coppia, in quanto entrambi hanno la stessa indole e la stessa passione per la scienza e per l'arte.

Atena (la Minerva dei romani) è a un tempo guerriera e protettrice dei falegnami, signora dei carri e delle navi, patrona dei tessitori e dei vasai, inventrice dell'aratro.

L'unico momento in cui fece una pessima figura fu nella sfida con Aracne, quando un'artigiana senza religione dimostrò di essere migliore di lei.

Dunque in questo contesto culturale va visto il mito di Dedalo, che rappresenta, se vogliamo, l'archetipo dell'artigiano geniale, tra i primissimi inventori, in assoluto, accanto a Epeo (famoso per aver costruito il cavallo di Troia) e Palamede (fatto uccidere da Ulisse, il cui genio militare mal sopportava uno sviluppo eccessivo della scienza e della tecnica applicato alla vita civile).

Il mito di Icaro

Prima di parlare di Dedalo affrontiamo il mito di Icaro, perché, rispetto al primo, appare come una sorta di banalizzazione.

Icaro rappresenta, col suo volo aereo straordinariamente anticipatore, il sogno dell'adolescente di diventare adulto prima del tempo, di superare la mediazione di una vita piena di contraddizioni (quella di Dedalo) nell'immediatezza di una coerenza assoluta all'ideale, quella coerenza che porta sempre, come anche la sua vicenda dimostra, a contraddizioni ancora maggiori, tragiche in quanto irrisolvibili.

Icaro vedeva l'accortezza e la moderazione del padre (che chiedeva, come strategia di volo, di abbandonarsi ai venti e di volare né troppo alto né troppo basso) come una forma di cedimento all'ideale assoluto di perfezione, come una forma di eccessiva esitazione, un compromesso inaccettabile con le forze della natura e dell'ignoto insondabile.

Icaro, ch'era figlio di una schiava, aveva fretta di volare in alto, per liberarsi dei timori, delle riserve mentali, dei pregiudizi del passato, senza tener conto dei condizionamenti della realtà. Ecco perché raffigura, sul piano politico, l'avventurismo, l'estremismo infantile.

Forse Icaro rappresenta anche l'ateismo impulsivo, autoritario, egocentrico: il suo bisnonno, Eretteo, nonno di Dedalo, fu sepolto vivo sotto terra per il suo ateismo.

Il mito di Dedalo

Cosa dice la leggenda?

Della stirpe regale ateniese di Cecrope o Metionidi, figlio di Metione, pronipote di Eretteo o Erittonio, Dedalo è geniale artefice in ogni settore artigianale. Inventa molti nuovi strumenti di lavoro: sega, trapano, accetta, filo a piombo, succhiello, colla...

Geloso di suo nipote Talo, che immaginava di poter realizzare il tornio, il compasso, una sega metallica o che forse pensava di rivelare ad altri i segreti di Dedalo, lo uccide gettandolo dall'Acropoli. Costretto all'esilio o forse fuggiasco, ripara a Creta presso Minosse, fabbricando statue che muovevano da sole occhi, braccia e gambe e progetta un luogo per la danza, destinato ad Arianna, figlia di Minosse.

Per la moglie di Minosse, invece, costruisce una struttura a forma di vacca di legno ricoperta di cuoio che permetteva alla regina, nascosta all'interno, di unirsi a un toro, quello che il dio Poseidone aveva donato a Minosse, perché lo sacrificasse, e che lui invece aveva sostituito con un altro di minor valore, suscitando così le ire del dio, che indusse la regina ad innamorarsi del toro. Dall'unione sessuale nascerà il Minotauro: un mostro che sul corpo umano aveva una testa di toro.

Minosse, per nascondere il Minotauro, chiede a Dedalo di costruire il Labirinto (a Cnosso), dove, essendo chiuso da un bosco, con molti andirivieni, era impossibile uscirne una volta entrati.

Accade poi che Androgeo, uno dei figli di Minosse, viene ucciso dagli Ateniesi: il padre li combatte e, approfittando dell'occasione, li costringe al tributo di sette giovani e di altrettante giovinette da inviare, ogni nove anni a Creta per essere divorati dal Minotauro.

Atene però, al terzo tributo, manda Teseo per uccidere il Minotauro. E' proprio Dedalo che per compiacere Arianna che amava l'eroe, dà a questa il gomitolo che doveva servire per far ritrovare a Teseo la strada del ritorno, dopo aver ucciso il Minotauro.

Ma Minosse viene a sapere tutto e, non potendo punire la figlia ch'era fuggita con Teseo, rinchiude lo stesso Dedalo col figlio Icaro nel labirinto.

Dedalo però trova un altro modo per uscirvi: riesce a preparare grandi ali di penne, tenute insieme con la cera, e ad applicarle sulle sue scapole e su quelle di Icaro, col quale spiccano il volo.

Dedalo aveva raccomandato a Icaro di volare ad altezza media, ma quello vola troppo in alto, sicché il sole scioglie la cera delle ali, e Icaro, sotto gli occhi del padre, precipita nel mare Tirreno e affoga.

Dedalo, invece, proseguendo nel suo volo, raggiunge la Sicilia (Agrigento), mettendosi al servizio del re Cocalo. Gli costruisce una diga, fortifica una cittadella per proteggere i tesori del re, edifica su una roccia a picco le fondamenta di un tempio ad Afrodite, installa uno stabilimento termale...

Ma Minosse lo cerca perché lo vuole morto e propone una ricompensa a chi sarà in grado di far passare un filo attraverso il guscio di una chiocciola. Il re Cocalo sottopone Dedalo alla prova. Questi attacca il filo a una formica che introduce nel guscio attraverso un buco praticato alla sommità. Quando la formica esce il problema è risolto.

Minosse scopre così la presenza di Dedalo e chiede che gli venga consegnato, ma le figlie del re Cocalo, per salvare Dedalo, lo aiutano a far morire Minosse nell'acqua bollente mentre il re sta facendo il bagno.

Dedalo torna poi ad Atene dove diventa capostipite della famiglia ateniese dei Dedalidi.

Commento

Per un uomo di stirpe regale, grande dovette essere lo smacco dell'esilio, dopo l'omicidio del nipote. Già in patria tuttavia era dedito a lavori artigianali, quindi è da presumere che la sua fosse una stirpe in declino.

Dallo smacco tuttavia si riprese presto, mettendo il suo ingegno al servizio del re cretese Minosse.

Riteneva d'essere stato cacciato ingiustamente e agognava un ritorno in patria da persona ricca e famosa.

Non lavorando più in proprio ma alle dipendenze di un potente, aveva dovuto modificare il proprio carattere: imparò se non la modestia, certamente la prudenza.

Poi, "insofferente d'essere confinato a Creta da troppo tempo e punto dalla nostalgia della terra natale" -come dice Ovidio-, Dedalo fece di tutto per andarsene, disposto persino a barattare la propria libertà con la schiavitù del figlio, che aveva avuto da una schiava dell'isola, per quanto fosse disponibile anche a una soluzione opposta.

Dedalo aiutò Teseo a uccidere il Minotauro anche per vendicarsi del fatto che Minosse non voleva lasciarlo tornare in patria. D'altra parte Dedalo sapeva troppe cose sul labirinto e su altri segreti del regno minoico perché potesse muoversi liberamente.

Quando Minosse lo inseguì fino in Sicilia, l'intento era chiaro: Dedalo sarebbe stato meglio morto che libero. Il labirinto di Cnosso era stata la sua fortuna ma anche la sua disgrazia, poiché lì si celavano i segreti più reconditi della debolezza della monarchia cretese.

Fortuna per lui che fu inseguito da un potere agli sgoccioli, destinato ad essere superato da quello miceneo.

Proprio per aver aiutato Teseo, Dedalo poté rientrare da trionfatore nella sua Atene, riverito e rispettato. Ritornò da borghese arricchito e inaugurò una nuova stirpe.

Critica

Nella mitologia greca l'artista-artigiano è un personaggio ambiguo per definizione, in quanto capace di svelare i segreti della natura, di piegare il volere degli dei, di mettersi al servizio dei potenti per ingannare le masse (fabbrica illusioni), di arricchirsi notevolmente.

Dedalo, in tal senso, rappresenta lo scienziato che si mette al servizio della politica e che, senza un preciso ideale da conseguire, finisce col tradire questo potere per mettersi al servizio di un altro potere, che gli offre un contratto più vantaggioso. Infatti, se avesse tradito Minosse avrebbe recuperato la cittadinanza ateniese con tutti i diritti annessi.

Dedalo è uno scienziato senza scrupoli, che per interesse o vanità è in grado di concorrere alla creazione di mostri disumani, come appunto il Minotauro.

E' un uomo pericoloso in quanto potenzialmente disposto a tutto, "maestro della creazione e della vita, il demiurgo è anche colui che uccide, che aiuta a uccidere o che fa uccidere, assassino geloso del proprio allievo e discepolo, omicida per imprudenza del proprio figlio Icaro, complice dell'uccisione compiuta da Teseo del Minotauro, istigatore dell'assassinio di Minosse suo sovrano" (F. Frontisi-Ducroux, Dédale, Paris 1975).

Lo stesso labirinto "è un luogo enigmatico, scarsamente materiale, un percorso inestricabile, rappresentazione spaziale del concetto di aporia, di problema insolubile o che contiene la soluzione in se stesso. Il "dedalo" è l'immagine stessa dello spirito che lo ha concepito: tortuoso, sinuoso, ricco di infiniti meandri come ricco di risorse è il genio del suo autore. Se l'intelligenza di Atena è tecnica, la techne di Dedalo è concettuale. Anche Minosse, per ritrovare l'artigiano, non propone una prova manuale, ma un test di capacità intellettuale"(op.cit.).

Tuttavia la civiltà greca, essendo ostile per cultura al lavoro manuale, preferirà attribuire alla funzione dell'artigiano-scienziato un posto di rilievo più nella leggenda che nella vita reale.


Web Homolaicus

Enrico Galavotti - Homolaicus - Sezione Storia - Antica
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Aggiornamento: 01/05/2015