LA GRECIA TRA ORIENTE E OCCIDENTE
Storia ed evoluzione della Grecia classica


La connessione rito-mito-fiaba-epos

di Alfonso Cardamone

E' sufficiente sfogliare un catalogo di testi di narrativa per la scuola media, o aprire una antologia tra quelle oggi in adozione, per notare che tra gli argomenti o le unità didattiche proposte ci sono sempre, ormai da qualche anno, vuoi testi dedicati singolarmente ad argomenti fiabistici o mitologici, vuoi unità didattiche riservate ai due generi, quasi sempre separate tra di loro, raramente in qualche maniera interconnesse.

Questa presenza continua e costante dei due "generi" (ancorché, per lo più, scollegati tra di loro) può risultare sorprendente a chi abbia avuto dimestichezza con i libri scolastici in uso negli anni Settanta quando, sull'onda lunga della contestazione, che aveva attraversato anche l'istituzione scolastica, un certo sociologismo frettoloso e di maniera, trionfante a tutti i livelli della vita culturale, aveva prodotto la cancellazione di generi come la fiaba e il mito, ritenuti poco o niente riconducibili alla dimensione dell'indagine sociologica.

La ricomparsa, relativamente recente, di tali generi nei testi e nelle antologie della scuola media può significare almeno due cose : certamente l'avvenuta decantazione delle scorie più velenosamente ideologiche della contestazione che, non dimentichiamolo, aveva comunque accompagnato e, sia pure marginalmente, condizionato il processo di riforma della scuola media, ma anche -cosa ancora più importante- l'implicita rivalutazione degli aspetti non solo letterari, ma anche antropologici e sociologici, inerenti ai due generi.

Quello che voglio in sostanza sostenere è che la riproposizione, nella scuola, della fiaba e del mito riposi fondamentalmente sul riconoscimento, da una parte, del valore letterario ed estetico di questi "generi", ambedue originariamente appartenenti al complesso della letteratura orale, e, dall'altra, delle implicazioni di ordine antropologico e sociologico che quel riconoscimento inevitabilmente veicola.

Mai come in questo caso, in effetti, la didattica è apparsa, pienamente e positivamente, tributaria della ricerca letteraria e scientifica e, nello specifico, delle acquisizioni che la medesima ricerca ha fatto registrare nel campo degli studi relativi ai diversi generi di letteratura originariamente orale, quali appunto la fiaba e il mito, la leggenda eroica e lo stesso epos. Per limitarci, a titolo esemplificativo e in omaggio alla brevità espositiva, al mondo della fiaba, basterà pensare all'eco sollevata ed alla vasta influenza esercitata, a livelli non solo accademici, dagli studi di un Luthi o di un di Propp. Il primo, autore sicuramente fondamentale, a nostro giudizio, per l'acutezza dell'analisi condotta sulle ragioni dell' "autonomia" della fiaba in quanto "genere" letterario specificamente dotato di precisi, particolari ed esclusivi connotati formali e strutturali; il secondo decisivo, in due distinte opere, per gli apporti arrecati non solo alla teoria funzionale-strutturale, ma anche storico-antropologica della fiaba.

Il riferimento a questi due autori non è un semplice omaggio formale al loro valore di ricercatori e di studiosi, bensì un passaggio doveroso e indispensabile se si vogliono cogliere le premesse fondamentali di natura culturale e scientifica, oltre che i suggerimenti d'ordine didattico, che stanno a monte dell'attuale "utilizzazione" scolastica dell'universo fiabistico-mitologico. Premesse e suggerimenti, e loro sviluppi e implicazioni, che, a maggior ragione (e, possibilmente, con sempre maggiore consapevolezza e più avvertiti approfondimenti), dovranno essere tenuti presenti nel momento in cui, a seguito della riforma, sarà protratto il termine della scuola dell'obbligo.

Nella sua opera principale, "La fiaba popolare europea (forma e natura)", Max L(thi individua le cosiddette leggi connotative della fiaba, con cui delinea una fenomenologia generale del genere e, indagandone le costanti formali, ne dimostra l'autonomia estetica.

Se sul piano dell'analisi formale la teoria del L(thi può essere utilmente completata ed integrata (anche a fini didattici) con quella ormai classica del Propp autore di "Morfologia della fiaba", è all'altro Propp, quello delle "Radici storiche dei racconti di fate", che dobbiamo rifarci se vogliamo affrontare con attendibilità scientifica e rigore di analisi il problema delle origini e dell'evoluzione storica dei "motivi" di questo genere letterario. L'ipotesi di base del Propp è che le fiabe di magia abbiano un'origine antichissima collegata ai rituali di iniziazione delle società di clan di cacciatori e raccoglitori.

L'origine delle storie sarebbe dunque orale, sprofondando sia nelle narrazioni che accompagnavano i riti di iniziazione, sia in quelle che tramandavano (e che via via nel tempo subivano parziali trasformazioni secondo il modificarsi dei gusti, dei costumi e della morale delle diverse epoche) le esperienze a quei riti collegate. La teoria del Propp, al di là dei limiti di determinismo storicistico che in essa pure sono rintracciabili, non solo ha trovato conferme e promosso svolgimenti di notevole interesse (si pensi ai lavori, per diversi ambiti interessanti, di un Eliade o di una Seppilli), ma ha offerto anche numerosi spunti positivi all'impostazione didattica della fiaba.

E questo non solo per l'analisi delle trasformazioni storiche dei motivi costituenti l'intreccio delle fiabe, ma anche per il collegamento, che l'opera del Propp suggerisce, della fiaba con il mito (e, attraverso questo, con l'epos), sul piano della comune origine ritualistica non meno che della condivisione, da parte di tutti e due i generi, del territorio dell'oralità narrativa originaria.

Così, per esempio, una studiosa come Anita Seppilli, nel suo ormai classico "Poesia e magia", rintraccia nelle "storie" documentate nell'epos greco (e specificatamente nell' Iliade e nell' Odissea) i motivi del rito di iniziazione e rileva nei miti greci ricorrenti nell'epica la prese za di motivi fiabistici, che, giusta la lezione del Propp, riconduce alla memoria di antichissimi riti e, in modo particolare, del rito per eccellenza, il "rito d'iniziazione" per l'appunto. E ancora voglio ricordare il Burkert di "Mito e rituale nell'antica Grecia", il quale, analizzando la storia mitologica ittita di Telipinu, "il dio che scomparve", non può fare a meno di rilevare il rapporto che questa suggerisce con la struttura della cosiddetta fiaba popolare. Lo studioso, appuntando l'attenzione soprattutto sugli aspetti ritualistici a cui la storia allude, nota che il racconto in sé è strutturato molto semplicemente intorno ad una variazione dei temi fiabistici fondamentali della "mancanza-mancanza rimossa" e della "ricerca", secondo le funzioni 8,9,11,15 di Propp. E a questo proposito parla di un fenomeno di "cristallizzazione" di temi, ben noto sia nell'ambito generico del folklore che -aggiungiamo noi- in quello più specifico della fiaba.

Anche Gaster, lo studioso che ha riportato tra "Le più antiche storie del mondo", il mito di Telipinu, ha sottolineato il rapporto originario tra miti, riti, fiabe e sopravvivenze del patrimonio folklorico. Sarà interessante citare direttamente dall'introduzione alle più antiche storie del mondo: "Gli studiosi di tradizioni popolari hanno da lungo tempo osservato che assai sovente tanto le cantilene quanto i giochi infantili non sono che l'ultima sopravvivenza di antichi riti religiosi. Vi sono nenie, ad esempio, che si rifanno a versi usati negli esorcismi, mentre il gioco della mosca cieca trova invece la sua origine nei precedenti primitivi che si usavano per scegliere le vittime umane destinate al sacrificio. Lo stesso può dirsi delle fiabe. Ciò che con l'andar del tempo è divenuto semplice svago, ha spesso le sue origini in un mito liturgico.

Spesso gli antichi riti assumevano la forma di pantomime o di drammi, conservando tuttavia la propria funzione rituale: l'anno vecchio e quello nuovo, l' state e l'inverno, la pioggia e la siccità si scontravano in finte battaglie che simboleggiavano il loro avvicendarsi; i re e le regine, in queste rappresentazioni, si sposavano e guerreggiavano, venivano deposti o erano condannati a morte per simboleggiare con le loro esperienze e la loro 'passione' le alterne vicissitudini della vita dei loro popoli.

E quando questi riti drammatici venivano rappresentati, canti o racconti di miti li accompagnavano per commentare il susseguirsi delle scene e per darne una interpretazione che mediante il particolare spiegasse l'universale. Nel corso dei secoli poi, quelle cerimonie sacre e quei drammi scomparvero; ma la forma primitiva permase ancora a lungo: la natura e lo svolgersi della trama, i particolari dei personaggi e dell'azione continuarono ad essere ancora in gran parte determinati dalle passate esigenze dei riti primitivi.

In seguito, il materiale originario divenne tradizione popolare; nuovo materiale venne introdotto; sui motivi e sui tratti caratteristici di un mito altri si innestarono; nuove canzoni e nuove rime vennero inserite per interrompere la monotonia della recitazione....Racconti narrati in una determinata regione si ritrovano sovente in altre: vi è infatti un ampio fondo di credenze primitive e di superstizioni che sono patrimonio comune della storia dell'umanità e che non sono in alcun modo confinate in una singola area".

Facciamo un altro esempio, questa volta prelevato dal mondo delle fiabe, ed in modo particolare dal mondo delle fiabe russe. Nella raccolta di Afanasjev, "Antiche fiabe russe", una delle più vicine al modello originario dell'antichissima fiaba popolare di tipo orale, spesso ci imbattiamo nell' "isba dalle zampe di gallina", dimora della baba-jaga, la strega della tradizione popolare russa. Questa "capannuccia" non solo presenta la stranezza di poggiare su "zampe di gallina", ma anche quella di "volteggiare", cioè di ruotare intorno al suo asse, operazione che compie ogni qualvolta l' "eroe", il protagonista della storia, formula una richiesta in tal senso.

Perché questa "capannuccia", o "isba" o "casetta" presenta queste stranezze di costituzione e di comportamento? Perché ha le "zampe di gallina"? E perché deve "rigirarsi" per fare entrare l'eroe? Perché in queste fiabe in cui l'eroe chiede di entrare, e "l'ingresso è dalla parte opposta", egli non può aggirare la capanna ed entrare da quell'altra parte? Evidentemente perché questo non si può fare, perché la capannuccia, che si trova in mezzo alla foresta, è situata su una frontiera, che egli non può assolutamente varcare. La può solo attraversare mediante e attraverso la capannuccia, che per consentirgli il passo deve rigirarsi verso di lui. Ma se c'è una frontiera, di quale frontiera si tratta?

Leggiamo a questo proposito il Propp delle "Radici storiche dei racconti di fate", il quale, riferendo dei riti di iniziazione presso le antichissime società di clan, così si esprime: "si riteneva che durante il rito il fanciullo morisse e che quindi risuscitasse come un uomo nuovo. E' questa la cosiddetta morte temporanea. La morte e la risurrezione erano provocate da atti raffiguranti l'inghiottimento e il divoramento del fanciullo ad opera di animali favolosi. Si immaginava che egli venisse inghiottito da questo animale e, dopo aver trascorso qualch tempo nello stomaco del mostro, ritornasse alla luce, vale a dire fosse sputato fuori o vomitato.

Per la celebrazione di tale rito si costruivano talvolta apposite case o capanne aventi la forma d'un animale, le cui fauci erano rappresentate dalla porta... Il rito si celebrava sempre nel folto della foresta o della boscaglia". L'isba dalle zampe di gallina delle fiabe russe altro non sarebbe che la proiezione fantastica ed il residuo fiabistico del ricordo rimosso della capanna dei riti di iniziazione che, di necessità, rappresentava l'ingresso al mondo dei morti. La stessa foresta in cui essa sorge rifletterebbe, da un lato il topos fisico dove si celebrava il rito e, dall'altro, il topos metaforico dell'ingresso al regno dei morti.

D'altronde, non solo una gran mole di materiali etnografici e antropologici dimostra che nelle civiltà dei cacciatori la foresta circonda sempre l'altro mondo come una barriera protettiva, così come attesta che la strada per il mondo dei morti passa attraverso la foresta, ma anche i documenti letterari, epici mitologici e leggendari dell'antichità classica documentano le medesime cose. Sempre nella citata opera di Propp leggiamo: "la maggior parte degli ingressi al mondo sotterraneo erano circondati da un'impenetrabile foresta vergine: nei poemi dell'antichità classica, per esempio, questa foresta era un elemento costante nella rappresentazione ideale dell'ingresso dell'Ade".

La porta rischiosa, poi, che introduce agli Inferi (quella porta che, per esempio, nell'antichissimo poema sumerico dedicato all'eroe Gilgamesh ferisce la mano di Enkidu, che vuole penetrarla) è la stessa che incontriamo tanto nella tradizione popolare quanto in quella classica. In una fiaba italiana, Prezzemolina, la porta che conduce alla dimora della Fata Morgana (qui fata cattiva che mangia le bambine!) è rappresentata come una porta pericolosissima che, solo se opportunamente "unta", si lascerà attraversare. E Propp, ancora, ricordando da un lato "le porte che sbattono e talora imprigionano il calcagno dell'eroe, le porte coi denti, le porte che mordono, e, dall'altro anche i monti semoventi che minacciano di schiacciare il nuovo venuto", non manca di rilevare l'analogia che, a questo proposito, si evidenzia tra le fiabe e le storie mitologiche ed epiche del tipo degli Argonauti.

Giusto per concludere questo breve e molto sommario excursus con un ulteriore riferimento alla studiosa da cui ho preso le mosse, ricorderò che l'approfondita ricerca che Anita Seppilli, nel già citato "Poesia e magia", ha sviluppato intorno al mito della divinità pre-ellenica Helene, ed alla sua trasposizione nell'epica classica sotto le spoglie della più nota Elena di Troia, approda alla conclusione che l'Elena dei poemi omerici non sarebbe altri che la diretta discendente di una Elena del mito, una figura del culto (e precisamente di un culto pre-miceneo, connesso a forme di civiltà matrilineare), una di quelle figure destinate a discendere agli inferi ma anche a risorgerne, dopo essere state liberate da qualcuno, spesso uno straniero, in seguito ad una lotta tra due persone o tra gruppi, esattamente come accade alle eroine di un preciso gruppo di fiabe della raccolta di Afanasjev, per la cui analisi rimando al mio libro "L'ultimo dei reami".

  • AFANASJEV A. N., "Antiche fiabe russe", Torino, 1981.
  • W. BURKERT, "Mito e rituale in Grecia", Bari, 1987.
  • CALVINO I., "Fiabe Italiane", Milano, 1969.
  • CARDAMONE A., "L'ultimo dei reami", 1995
  • CARDAMONE A. - DI SORA A., "Labirinti di letteratura e di teatro", Frosinone, 1989. "Nuovi labirinti", Frosinone, 1994.
  • ELIADE M., "Miti, sogni e misteri", Milano, 1976.
  • GASTER T. H., "Le più antiche storie del mondo", Torino, 1961.
  • GRAVES R., "I miti greci", Milano, 1983.
  • LüTHI M., "La fiaba popolare europea", Milano, 1979.
  • OMERO, "Iliade", "Odissea".
  • PROPP V. Ja., "Morfologia della fiaba", Torino, 1966. "Le radici storiche dei racconti di fate", Torino, 1973.
  • SANDARS N. K. (a cura di), "L'epopea di Gilgamesh", Milano, 1986.
  • SEPPILLI A., "Poesia e magia", Torino, 1971.
  • Il problema religioso nel pensiero classico e cristiano (pdf-zip)
  • Il mito della Fenice nella poesia romanza del Medioevo (rtf-zip)
  • Essais sur le régime des castes (pdf-zip)

I - II - III - IV - V - VI - VII


Web Homolaicus

Enrico Galavotti - Homolaicus - Sezione Storia - Antica
 - Stampa pagina
Aggiornamento: 01/05/2015