LE MONARCHIE NAZIONALI


L'ITALIA DEL SEICENTO

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L'ITALIA DEL SEICENTO

Involuzione della politica

Come tutti i paesi cattolici, incapaci di reggere la concorrenza economica dei nuovi paesi protestanti (Olanda e Inghilterra), le cui potenti flotte navali assicuravano la loro ricchezza, anche l'Italia, dopo la pace di Cateau-Cambrésis (1559), con cui si consegna una penisola controriformistica, divisa in principati, a una nazione veterofeudale come la Spagna, vede il suo declino economico, già iniziato al tempo della discesa di Carlo VIII (1494), procedere senza soluzione di continuità.

In maniera diretta o indiretta gli spagnoli controllavano quasi tutta la penisola, ad eccezione del ducato di Savoia e della repubblica veneta. E i loro metodi erano ovunque gli stessi: enormi tasse e tributi per sostenere le guerre e una vita di lusso, e assoluti favoritismi per i ceti nobiliari, laici e soprattutto ecclesiastici, cui venivano venduti a prezzi di favore o addirittura ceduti gratuitamente titoli nobiliari, feudi, uffici, senza considerare ch'essi erano totalmente esentati dal pagamento delle imposte.

Lo sviluppo della produzione era ostacolato anche dall'introduzione, da parte spagnola, di monopoli (tra l’altro essi avevano nelle loro mani il commercio del grano siciliano) e dalla adulterazione della moneta praticata dalle stesse autorità spagnole.

Un'Italia divisa in tanti staterelli, dominata da una potenza straniera, oppressa da una chiesa avversa allo sviluppo del capitalismo e al libero pensiero, non poteva che ripiombare nel feudalesimo, dopo essere stata per almeno mezzo millennio la punta avanzata della borghesia europea.

In verità non solo l'Italia ma tutta l'Europa cattolica stava sprofondando nel baratro. L'unica a illudersi era appunto la Spagna, che, avendo un impero immenso, pensava di poter sopravvivere, senza particolare fatica, all'urto dirompente del nuovo capitalismo rampante, rappresentato da inglesi e olandesi, ma anche dai francesi, il cui cattolicesimo era solo una facciata per vivere in maniera calvinistica.

L'Europa cattolica del XVII secolo comincia a vivere una situazione socialmente ed economicamente molto drammatica, e per una serie di ragioni:

  1. guerra dei Trent'anni tra gli Asburgo e i francesi (1618-48): entrambi sono cattolici, ma gli Asburgo d'Austria non hanno rinunciato a imporre a tutta Europa la controriforma;
  2. contrazione delle attività artigianali, industriali e commerciali: gli elementi economici più intraprendenti tendono a emigrare verso i paesi protestanti e anche verso l'America del nord;
  3. calo sensibile dell'importazione di metalli pregiati dalle colonie americane, che comporta una mancanza di moneta circolante;
  4. rifeudalizzazione dei rapporti agrari con l'introduzione della mezzadria; ma anche fuga dalle campagne verso le città, in quanto l'attività agricola, da secoli basata sul mercato, non è più redditizia;
  5. decremento demografico dovuto a carestie ed epidemie di peste (1576 e 1630);
  6. generale aumento delle sommosse (Milano, Palermo e Messina dal 1628 al 1647 e Napoli negli anni 1647-49, dove la rivolta contadina di Masaniello, dopo aver portato alla proclamazione della repubblica, viene soffocata dagli spagnoli); nello Stato della chiesa è forte il banditismo e il brigantaggio; ovunque dilaga il pauperismo.

Il granducato di Toscana fruisce di una relativa autonomia, essendo al potere i Medici, al punto che può proteggere la libertà di pensiero e di ricerca di vari letterati artisti scienziati (tra cui spicca Galilei), ma la Spagna lo controlla attraverso la repubblica di Lucca e soprattutto attraverso lo Stato dei Presìdi (isola d'Elba, Piombino, alcuni porti litoranei della Toscana). Il granducato può permettersi di conquistare la repubblica di Siena, ma non senza l'aiuto degli spagnoli. Estinta la famiglia dei Medici, i fiorentini furono costretti ad accettare un duca di Lorena, scelto dalle potenze europee (1738).

Uno degli Stati italiani più poveri in assoluto è quello pontificio, non avendo alcuna iniziativa economica in campo industriale e commerciale. Tuttavia il papato, avvalendosi della forza militare spagnola, può tranquillamente annettersi il marchesato di Ferrara (1598) e il ducato di Urbino (1631). Nel 1542 a Roma viene riorganizzata l’Inquisizione, che ben presto comincia a infierire in tutto il paese, ad eccezione di Venezia. Nel 1559 papa Paolo IV pubblica per la prima volta un Indice di libri proibiti, la cui lettura veniva punita con la morte, mentre numerose grandi opere della letteratura e della scienza vengono date alle fiamme. Nessun libro poteva essere stampato senza la speciale autorizzazione degli inquisitori. L’ordine dei gesuiti, riconosciuto dal papa nel 1540, è divenuto lo strumento principale della reazione cattolica e acquista un'enorme influenza sulla vita politica e spirituale del paese. Nel 1600 il papato mette al rogo Giordano Bruno.

Anche Genova, ove si mantiene al potere l’oligarchia dei banchieri e dei grandi mercanti, sfrutta la presenza spagnola in Italia, concedendole numerosi prestiti finanziari e facendo del proprio porto uno scalo per i traffici spagnoli col ducato di Milano e i territori tedeschi. Tuttavia Genova non potrà in alcun modo sottrarsi al progressivo tramonto della Spagna, già iniziato verso la metà del XVI secolo e precipitato con una serie di catastrofiche bancarotte del governo iberico tra la fine del XVI e gli inizi del XVII secolo.

Gli unici due Stati a conservare una certa libertà di manovra sono il ducato di Savoia, che, con una amministrazione centralizzata e un piccolo esercito permanente, proprio nella seconda metà del Cinquecento prende la decisione di espandersi non più in Francia bensì in Italia: di qui il trasferimento della capitale da Chambéry a Torino. Grazie al trattato di Lione (1601), Carlo Emanuele I può annettersi il marchesato di Saluzzo, cedendo ai francesi alcune terre della Savoia.

L'altro Stato indipendente è la repubblica di Venezia, che, di fronte all'avanzata turca nel Mediterraneo, preferisce limitarsi a curare i propri interessi nell'Adriatico e nell'entroterra, contro ogni tentativo d'intromissione politica dall'esterno. La propria espansione territoriale, realizzata in questo periodo, resterà immutata sino all'arrivo delle truppe napoleoniche nel 1797. Alla ricerca di un appoggio contro la Spagna, essa si avvicinava o alla Francia o ai principi protestanti tedeschi.

Ovviamente l'indipendenza di Venezia, che dava rifugio ai liberi pensatori, refrattari alla controriforma (come p.es. Paolo Sarpi), non piaceva affatto al papato, che arrivò addirittura a scomunicarla. Fu solo attraverso la mediazione del re francese Enrico IV che il papa si convinse a togliere l'interdetto.

Involuzione dell'economia

I grandi mercanti e imprenditori italiani dei secoli XVI-XVII cominciarono ad abbandonare l’attività strettamente commerciale e industriale, e a ricercare altri settori nei quali investire più vantaggiosamente il proprio denaro. Investirono capitali in operazioni finanziarie e usuraie, quali la concessione di crediti ai proprietari terrieri, oppure acquistarono terre insieme a titoli nobiliari. Le terre venivano poi date in affitto ai contadini, a condizioni semi-feudali, in cui la rendita diventava la fonte principale dei redditi. Paradossalmente i contadini potevano anche essere ex-operai, che si trovavano costretti a lasciare la città e a ritornare in campagna, man mano che si chiudevano gli opifici. Questi operai salariati agricoli erano completamente privi di qualsiasi proprietà e talvolta non avevano nemmeno l’abitazione.

Il tipo fondamentale di affitto divenne la mezzadria. In base al contratto, il mezzadro, che era proprietario di parte dei mezzi di produzione, doveva assumersi tutte le spese dell’azienda, apportare i miglioramenti necessari, introdurre nuove colture (piantare vigne, alberi da frutto e gelsi, coltivare riso...). Il proprietario aveva diritto di controllare la conduzione dell’azienda e anche d'interferire nell’operato del contadino, imponendogli ad esempio la coltivazione di determinate colture.

I mezzadri, pur essendo giuridicamente uomini liberi con il diritto di rompere il contratto, erano di fatto dipendenti: ottenevano dal proprietario prestiti sotto forma di sementi, bestiame, strumenti agricoli oppure di denaro per i loro acquisti, e dovevano dare la metà del raccolto al proprietario e pagare le imposte allo Stato. Essi spesso non erano in grado di rispettare tutte queste condizioni, sicché facilmente venivano a trovarsi in condizioni simili a quelle della servitù feudale, tant'è che la fuga, quando si era indebitati, veniva punita con il carcere.

Consideriamo inoltre che tutto il peso dei sistematici saccheggi operati dalle truppe durante le guerre della prima metà del XVI secolo era caduto non sui proprietari terrieri, ma sui contadini, i quali facilmente cadevano preda degli usurai per ottenere dei prestiti. In questo modo l’affitto per un determinato periodo di tempo si trasformava nella maggioranza dei casi in affitto a vita ed ereditario: i mezzadri restavano di generazione in generazione sulle stesse parcelle, sottoposti ad un intenso sfruttamento.

Nel XVI secolo vennero aggiunte al pagamento della metà del raccolto nuove imposizioni di tipo feudale: regalie in segno di “fedeltà”, prestazioni gratuite di lavoro obbligatorie (riparazione di strade, piantagioni di alberi e di vigneti nei campi del signore) ecc. Tra le imposte erano compresi pagamenti per la cottura del pane nel forno del signore, per la macina del grano nel suo mulino e per l’uso del suo frantoio per la lavorazione delle olive.

Il potere giudiziario sui contadini dipendenti feudalmente continuò a restare nelle mani degli onnipotenti proprietari fondiari (baroni), che godevano della più ampia immunità. I signori feudali limitavano spesso la libertà personale dei contadini, proibendo loro di portare sul mercato il grano, l’olio d’oliva, il vino ed altri prodotti, ed acquistando essi stessi questi prodotti a prezzi molto bassi. I mezzadri e i loro familiari non potevano lavorare altrove senza il consenso del padrone e non avevano nemmeno il diritto di sposarsi senza il suo permesso. Non era raro il caso che i baroni togliessero ai contadini i campi comuni o parte delle loro terre arate, trasformandole in pascolo.

Le forme semi-feudali di affitto vennero conservate nell’Italia centro-settentrionale per vari secoli, mentre nell’Italia meridionale e in Sicilia continuarono a permanere i tradizionali rapporti feudali.

Le insurrezioni popolari

Nel 1647 si verifica una grande insurrezione popolare a Palermo, che viene conquistata dagli insorti, in massima parte artigiani e plebei. Il movimento era diretto dall’artigiano Giuseppe D'Alesi, che capeggiò l’assalto al palazzo del viceré, il quale riuscì a malapena ad evitare la cattura.

Nella città fu proclamata una repubblica a struttura democratica, e molti spagnoli invisi alla popolazione vennero uccisi. Gli insorti chiedevano l’abolizione di tutte le imposte, un più razionale approvvigionamento alimentare, una maggiore partecipazione al governo delle città e la cacciata dei governanti ingiusti.

L’insurrezione si estese rapidamente alla maggior parte del territorio dell’isola, assumendo non solo un carattere di lotta di liberazione, ma anche di reazione antifeudale. Nelle zone di Catania e di Girgenti i contadini presero le armi e diedero la caccia ai signori feudali, ma i ricchi abitanti della città, spaventati dal movimento popolare, misero a disposizione degli spagnoli tutte le loro risorse. Alla fine i reparti dei grandi feudatari, assieme alla milizia delle corporazioni e alle truppe spagnole, riuscirono a soffocare l’insurrezione, che comunque proseguì fino al 1648.

Causa immediata dell’insurrezione scoppiata a Napoli nel luglio 1647 fu l’introduzione da parte del viceré spagnolo di nuove imposte sulle derrate alimentari. Il peso del sistema contributivo spagnolo aveva colpito, tra il 1636 e il 1647, quasi tutti i generi di prima necessità, soprattutto l'olio di esportazione, base del commercio napoletano. Madrid, essendo alle prese con la guerra dei Trent'anni, aveva estremo bisogno di denaro.

Il popolo di Napoli, sotto la guida del pescatore Tommaso Aniello detto Masaniello, bruciò gli archivi del fisco e le case degli esattori, liberò i prigionieri detenuti nelle carceri e assediò la fortezza nella quale avevano cercato rifugio i grandi feudatari e il governatore spagnolo. E penso di fissare un prezzo massimo per i generi alimentari.

Masaniello, che godeva di grande popolarità, venne proclamato “capitano generale del popolo di Napoli”. L’insurrezione si estese poi alla Calabria, alle Puglie e agli Abruzzi, dove i contadini distrussero i castelli dei signori feudali e diedero alle fiamme gli archivi di numerosi monasteri nei quali erano custoditi i documenti relativi agli obblighi feudali cui essi erano tenuti.

A Salerno, Aversa, Foggia, Taranto e in molte altre città le masse plebee si armarono e assalirono i palazzi dei ricchi e abolirono le tasse. L’esercito popolare costituito a Napoli sconfisse i soldati spagnoli e i mercenari tedeschi.

Tuttavia il viceré di Napoli, il duca d'Arcos, che pur non era riuscito a corrompere il Masaniello, riuscì a farlo assassinare. Nonostante ciò l’insurrezione assunse proporzioni ancora più vaste, e il viceré fu costretto ad accogliere le richieste degli insorti: destituzione e cacciata dall’Italia meridionale di una serie di funzionari spagnoli, fra cui tutti gli appaltatori ed esattori delle tasse; divieto ai nobili di ricoprire in seguito qualsiasi carica civile e militare; abolizione delle tasse; amnistia generale e mantenimento delle armi nelle mani del popolo.

Gli insorti dichiararono guerra alla Spagna e ai suoi sostenitori, invitarono gli abitanti di tutto il regno a prendere le armi e pubblicarono un elenco dei signori feudali più potenti, condannati a morte; fu poi proclamata l’abolizione delle prestazioni feudali e dei privilegi nobiliari. In ottobre fu proclamata a Napoli la repubblica, e a capo di essa venne nominato l’armiere Gennaro Annese.

Nello stesso tempo, però, gli strati superiori della popolazione di Napoli, in particolare i commercianti e gli artigiani, spaventati dal carattere popolare assunto dall’insurrezione, cominciarono a osteggiare il movimento. Tra le masse dei piccoli artigiani e della plebe napoletana sorsero dei dissensi tra coloro che volevano mantenere la repubblica indipendente e coloro che sollecitavano l’aiuto della Francia, anche se il ministro francese Mazarino lasciò intendere che non era disposto ad offrire alcun appoggio concreto al popolo insorto.

Le agitazioni contadine si frantumarono in azioni isolate, a carattere spontaneo; gli insorti, infatti, non avevano capi di provata fede e lo stesso Annese cominciò a condurre trattative segrete con gli spagnoli. Alla fine l’esercito spagnolo, al quale si erano aggiunti i baroni con i loro reparti militari, occupò Napoli (6 aprile 1648). Questa data segna l’inizio di una feroce repressione nei confronti di coloro che avevano partecipato alla sommossa, la quale, però, non fu priva di risultati: il governo spagnolo, infatti, dovette abolire nell'Italia meridionale una serie di imposte.

Addendum su Masaniello

Masaniello ci è stato tramandato come uno squilibrato, ma la sua pazzia - come dice R. Villari - fu inventata dai suoi nemici (il re Filippo IV, il viceré duca d'Arcos, gli appaltatori, i grandi commercianti legati all'Annona napoletana e sicuramente qualche ministro) come pretesto per assassinarlo. Se fosse stato davvero un forsennato, non sarebbe stato celebrato dai napoletani, dopo la sua morte, come un grande e generoso eroe, né avrebbero scritto sul suo epitaffio "liberatore della patria".

Peraltro la mente della rivolta e di molte riforme non fu lui ma un certo Giulio Genoino, un abate che nel 1620 era stato esiliato per aver chiesto la rappresentanza paritetica (e di voto) tra nobiltà e popolo negli organi politici di Napoli. Non chiedeva l'indipendenza dalla Spagna ma solo una riforma fiscale e un ridimensionamento politico del potere baronale.

Dopo l'assassinio di Masaniello, Genoino fu nominato dal viceré d'Arcos presidente della Regia Camera della Sommaria e del Collegio dei dottori. Con questa carica cercherà di mantenere la protesta nella legalità, ma senza riuscirvi, poiché il conflitto si era radicalizzato. E il viceré, avendo dalla sua quasi tutto il ceto dei baroni, fece eliminare anche lui.

Fu solo dopo l'assassinio del Genoino che si cominciarono ad elaborare delle richieste più marcatamente antispagnole, anche per dar corpo alla protesta, sempre più forte, proveniente dai contadini, che volevano liberarsi di tutti i retaggi vetero-feudali e ripristinare le autonomie comunali.

In breve tempo quasi tutte le province meridionali furono coinvolte da una guerra per bande, senza alcuna guida né una strategia: solo con l'intenzione di cacciar via gli spagnoli, instaurare la repubblica e togliere la terra ai baroni.

Si pensò anche di chiedere aiuto alla Francia del Mazzarino, prima avversaria della Spagna. I francesi infatti, guidati da Enrico di Lorena duca di Guisa, dopo aver occupato Piombino e i Presìdi spagnoli, avevano deciso di entrare nel golfo di Napoli, ma, vedendo la resistenza spagnola, avevano desistito.

Nel 1648, dopo la pace separata con l'Olanda, il sovrano spagnolo decise un intervento articolato per il Mezzogiorno. Con l'aristocrazia feudale del luogo formò uno squadrone di 5000 uomini e dichiarò guerra ai rivoltosi. Tra questi prevalevano gli estremisti, capeggiati da G. Annese, che avevano proclamato la repubblica sotto la protezione francese.

Il cardinale Mazzarino però, pur avendo fatto delle promesse, temeva che, una volta sconfitti gli spagnoli, non sarebbe riuscito a imporre la propria volontà centralistica anche sugli insorti. Sicché cominciò a negare sia l'aiuto militare che quello finanziario, lasciando che gli spagnoli entrassero vittoriosi a Napoli.

Fonti


Web Homolaicus

Enrico Galavotti - Homolaicus - Sezione Storia - Moderna
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Aggiornamento: 02/10/2014