LE MONARCHIE NAZIONALI


GLI STATI ITALIANI E LE RIFORME DEL '700

I - II - III

Cesare Beccaria

Le guerre europee del Settecento avevano portato in Italia il nuovo dominio di due grandi dinastie: gli Asburgo a Milano e Firenze e i Borboni a Napoli e Parma. Il progetto di ammodernamento della struttura statale che i sovrani perseguivano nei loro paesi, si ripercosse dunque anche nel territorio italiano, influenzando l'opera degli altri monarchi illuminati.

LA LOMBARDIA

Prima sotto l'imperatrice Maria Teresa e dopo sotto i suoi successori Giuseppe II e Leopoldo II, la Lombardia fu investita da un piano di riforme. In Italia essa era un territorio in cui si stavano formando i primi nuclei della nuova organizzazione capitalistica. Qui l'agricoltura aveva raggiunto un maggior sviluppo e si era diffuso l'affitto capitalistico della terra con aziende agricole gestite da imprenditori.

Il dispotismo illuminato degli Austriaci trovò quindi un terreno favorevole e una sua necessità nel territorio lombardo. Vennero infatti eliminati i vincoli ancora esistenti al commercio della terra, si limitarono le possibilità di acquisto da parte della Chiesa e si autorizzò la vendita delle terre comuni: tutte le misure atte a incrementare la produttività della terra sottoponendola alla proprietà borghese.

La riorganizzazione del sistema tributario, l'imposta sulla proprietà fondiaria, l'abrogazione delle immunità feudali furono misure che andavano verso la stessa direzione. La centralizzazione della pubblica amministrazione doveva inoltre meglio garantire il controllo austriaco sul territorio occupato.

Le contraddizioni di un'opera di riforme che nel contempo tendesse a rafforzare l'autorità dispotica di uno Stato, specie in una terra di dominio come quella lombarda, vennero alla luce quando i sovrani asburgici intrapresero riforme nel settore della istruzione pubblica, togliendo il monopolio alla Chiesa in questo importante settore. Le reazioni a questi provvedimenti vennero infatti da due fronti opposti: quello dei conservatori e quello degli illuministi italiani fautori dell'indipendenza politica, che non potevano accettare la formazione di una scuola sotto il controllo austriaco che avrebbe formato solo sudditi soggetti alla corona.

IL GRANDUCATO DI TOSCANA

Il Granducato di Toscana era stato unito all'impero austriaco sotto Francesco Stefano di Lorena, Granduca di Toscana e imperatore d'Austria. L'unione politica di natura personale cessò quando Pietro Leopoldo ereditò solo la Toscana e la resse in piena autonomia da Vienna (1765). L'opera di riforma del sovrano fu sostenuta da un folto gruppo di illuministi ed il risultato più significativo fu realizzato nel campo della procedura giudiziaria: egli abolì la pena di morte e la tortura, ispirato dalle idee di Cesare Beccaria. Istituita una Consulta straordinaria per lo studio dei problemi del paese, l'opera di riforma procedette con criteri sistematici e portò, come prima iniziativa, ad un censimento e ad un tentativo di riforma agraria sostenuta dall'Accademia dei Georgofili, fondata nel 1751 come centro di studi sui problemi agrari.

Le bonifiche e il frazionamento delle terre abbandonate al latifondo favorirono la formazione di un ceto borghese di piccoli proprietari terrieri. Fu aperta alla borghesia la via alle cariche del governo locale: i magistrati vennero eletti non per diritto di nascita ma in base al censo. L'ultimo atto del sovrano riformatore, unico per i tempi, prima di lasciare il regno per cingere la corona imperiale, fu di rendere pubblico il bilancio dello Stato per mezzo della stampa.

IL REGNO DI NAPOLI

Un'antica tradizione storica risalente ai tempi degli Angioini faceva del Mezzogiorno d'Italia la terra classica del feudalesimo italiano. Nel Settecento troviamo ancora un tessuto sociale assolutamente arretrato, caratterizzato dalla mancanza di un ceto intermedio borghese tra le masse contadine, avvilite da ogni sorta di legame servile, e i feudatari con i loro privilegi di casta ed un potere incontrastato. Non vi era alcuna traccia di industrie ed ormai debolissima era l'attività mercantile. Le enormi proprietà terriere non avevano subito alcun rinnovamento, il latifondo e la miseria erano le caratteristiche di questa società ancora medievale, insieme alla malaria e al brigantaggio. Accanto alla nobiltà, il clero manteneva una serie di privilegi, così da essere una casta privilegiata capace di paralizzare l'azione del governo centrale.

L'azione riformistica di Carlo di Borbone fu condizionata dal predominio degli ordini privilegiati e fu diretta, secondi i criteri dell'assolutismo regio, alla costruzione di uno Stato capace di imporsi su tutti i suoi sudditi. L'azione di riforma fu assai limitata e lasciò il Mezzogiorno e la Sicilia in uno stato di arretratezza economica e di fortissima disuguaglianza sociale.

Lo stesso non può dirsi per quanto riguarda la vita culturale del regno. Napoli fu infatti, intorno alla metà del secolo, uno dei centri più vitali dell'Illuminismo italiano. Sede di studi economici e giuridici, fu la città di Antonio Genovesi, Ferdinando Galiani, Gaetano Filangieri, studiosi tra i più significativi della cultura illuministica italiana.

IL REGNO DI SARDEGNA

Il regno sabaudo aveva avuto un periodo di rinnovamento sotto il regno di Vittorio Amedeo II, al potere dal 1685 al 1730.

I suoi successori ripresero a governare secondo i principi dell'ancien régime. Rinsaldarono i legami con i ceti più retrivi del regno e combatterono le spinte al rinnovamento che venivano dalla borghesia e dagli intellettuali, ai quali si aprì la strada dell'emigrazione (il caso più illustre fu quello di Vittorio Alfieri). Si venne così a determinare una frattura tra la popolazione e la corte autoritaria e militarista. Il progresso economico restò affidato a gruppi di borghesia agraria che, pur ostacolata dall'autoritarismo statale, iniziò una graduale trasformazione dei sistemi produttivi.

Il movimento riformatore dei sovrani si esaurì nell'ultimo decennio del Settecento. Esso mostrò i suoi limiti in tutti gli Stati in cui fu presente, in primo luogo perché l'opera di riforma restò sempre legata alla figura di pochi sovrani e fu scarsamente proseguita dai successori; in secondo luogo perché essa cercò di mutare aspetti non sostanziali dell'organizzazione politica e sociale, che rimase sempre quella del potere dispotico e del dominio aristocratico. La convergenza tra il movimento illuminista e la politica riformatrice dei sovrani mostrò agli stessi illuministi tutta la sua precarietà e radicalizzò il movimento culturale borghese, che nei suoi esponenti più illustri si indirizzò verso una prospettiva rivoluzionaria.


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Enrico Galavotti - Homolaicus - Sezione Storia - Moderna
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Aggiornamento: 02/10/2014