FRANCIS BACON (BACONE) e il mito di Dedalo

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FRANCESCO BACONE E IL MITO DI DEDALO (1561-1626)

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Bacone

“Gli antichi adombrano sotto la figura di Dedalo, uomo ingegnosissimo ma esecrabile, la scienza e l’industria meccanica, anche in quegli artifici illeciti volti a cattivi usi. Costui, per l’uccisione di un condiscepolo rivale, era andato in esilio, ma quivi era gradito ai re e alle città. Realizzò anche molte ed egregie opere, tanto in onore degli dei, quanto ad ornamento e a magnificenza delle città e dei luoghi pubblici; ma il suo nome è celebrato soprattutto per le illecite invenzioni. Costruì infatti per la libidine di Pasifae una macchina che le permettesse di unirsi ad un toro: in tal modo dalla scellerata industria e dal pericoloso ingegno di quest’uomo trasse la sua infelice ed infame origine il mostruoso Minotauro che divorava la nobile gioventù. Allora Dedalo, ammucchiando e proteggendo il male con il male, escogitò e costruì per difesa di questa peste il Labirinto, opera destinata ad un fine nefando, per quanto insigne e ragguardevole per tecnica. Infine, per non divenire noto solo per male arti, e perché gli fossero chiesti anche rimedi (non solo strumenti) per i delitti, fu anche autore dell’ingegnoso espediente del filo con cui furono sciolti i meandri del labirinto. Questo Dedalo fu perseguitato con accuratezza e severità durissima da Minosse; ma tuttavia sempre trovava nascondigli e modi di fuggire. Infine, avendo insegnato al figlio Icaro la tecnica del volo, quello novizio, ostentandola, precipitò nel mare.

Il senso della parabola pare essere il seguente. Nell’inizio si fa riferimento a quell’invidia che dorme nell’animo dei più eccellenti artisti e li domina in modi strani. Nessuna categoria di uomini più di questa si affanna per un’invidia così acerba e nociva. Poi si aggiunge del tipo di pena meno politico e provvido che a Dedalo fu inflitto: l’esilio. Infatti questi grandi artisti hanno questa dote: che sono bene accetti presso tutti i popoli; tanto che l’esilio per un valente artefice è a stento una pena. Fuori della patria non è difficile che possano trovare altre condizioni e generi di vita; infatti la fama degli artisti perviene propagata ed accresciuta presso i forestieri e stranieri, essendo insito nell’animo umano valutare poco l’arte meccanica dei propri conterranei. Il resto della favola fa esplicito riferimento all’uso delle arti meccaniche: ad esse molto deve la vita umana avendo tratto dai loro tesori molte cose per il servizio della religione, e per l’ornamento della vita civile, per il miglioramento dell’intera esistenza. Tuttavia, da quella stessa fonte, derivano strumenti di vizio e di morte. Tralasciata l’arte dei lenoni, i più potenti tossici, le macchine belliche e pesti di tal fatta (che son dovute alle invenzioni della meccanica) ben sappiamo quanto abbiano superato per crudeltà e pericolosità lo stesso Minotauro. Stupenda è l’allegoria del Labirinto nella quale è adombrata la natura in generale della meccanica. Tutte le invenzioni meccaniche che sono accurate e ingegnose possono essere considerate simili a un labirinto: e per la sottigliezza e varia complicazione e per l’ovvia somiglianza derivante dal fatto che possono essere sorrette e distinte non da un giudizio, ma solo dal filo dell’esperienza. Non meno giustamente si aggiunge che colui il quale ideò i meandri del labirinto, ha mostrato anche la necessità di un filo. Le arti meccaniche sono infatti di uso ambiguo e possono produrre nel contempo il male e offrire il rimedio, la loro virtù scioglie e scopre se medesima. Spesso poi Minosse perseguita le arti illecite e per di più le arti stesse: simboleggia le leggi che quelle arti dannano ed interdiscono al popolo. Nondimeno quelle arti vengono preservate  e nascoste e ovunque trovano rifugi e nascondigli; cosa che fu ben notata da Tacito ai suoi tempi in una situazione non molto differente. Riguardo ai matematici e agli astrologi, ebbe a dire: «Genia che sempre sarà cacciata dal nostro stato e sempre vi si troverà». Tuttavia queste illecite e abnormi arti di qualunque genere, in breve tempo, non offrendo ciò che promettono cadono dalla stima di cui godevano (come Icaro dal cielo), vengono disprezzate e muoiono per troppa ostentazione. Di certo se bisogna dire tutto il vero non tanto sono felicemente imprigionate dai freni delle leggi, quanto sono annullate dalla loro vanità”.[1]

Bacone, “il profeta della tecnica”,[2] si rivela perfettamente consapevole dei rischi che il potere tecnico comporta, quando non s’accompagni alla saggezza e si pieghi ciecamente al potere politico. Non a caso nella sua isola ideale, Nuova Atlantide, gli uomini di scienza godono di totale autonomia.

Non convince l’interpretazione della caduta di Icaro: le ali fornitegli dal padre non sono un’invenzione a scopo immorale ed è piuttosto illusorio pensare che le “illecite ed abnormi arti” siano “annullate dalla loro vanità”.

Della caduta di Icaro, Bacone offre un’altra interpretazione nel cap. 27, Il volo di Icaro ed anche Scilla e Cariddi o la via di mezzo.

“La via della virtù – scrive – si apre direttamente tra l’eccesso e il difetto. Non v’è da meravigliarsi se Icaro, spinto da giovanile ardore, si lasciò trasportare all’eccesso. I giovani hanno quasi sempre il vizio dell’eccesso; i vecchi quello del difetto. Tuttavia Icaro tra le vie false e dannose scelse la migliore (dato che doveva morire). Infatti giustamente si giudica peggiore il peccare per difetto che il peccare per eccesso. Molto spesso l’eccesso ha una certa grandezza d’animo e consonanza col cielo, similmente ad un uccello; il difetto invece, al pari di un rettile, striscia a terra”.

Due interpretazioni, a distanza di poche pagine, molto diverse.


Note

[1] Ho riportato interamente il cap. 19 del De veterum sapientia,  dal titolo Dedalo o la meccanica, in Scritti filosofici, Utet 2009, pp. 482-483.

[2] Così lo proclama N. Abbagnano in Storia della filosofia II, Utet 1963, p. 181.

Torino 19 dicembre 2011

Giuseppe Bailone


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Aggiornamento: 26-04-2015