Bacone: idoli, ragni, formiche, api e filo d'Arianna

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FRANCESCO BACONE: idoli, ragni, formiche, api e filo d'Arianna

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F. Bacon

A differenza dei maghi e degli alchimisti che tengono segreto il loro sapere, Bacone raccomanda ai filosofi il massimo della chiarezza e cerca di farsi capire il più possibile da tutti. A questo scopo ricorre spesso a metafore particolarmente efficaci. Per spiegare la sua concezione del sapere, ad esempio, egli paragona all'attività delle formiche e dei ragni i tipi di sapere che respinge e all'attività delle api il tipo di sapere che intende promuovere.

“Coloro che trattarono le scienze furono o empirici o dogmatici. Gli empirici, come le formiche, accumulano e consumano. I razionalisti, come i ragni ricavano da se medesimi la loro tela. La via di mezzo è quella delle api, che ricavano la materia prima dai fiori dei giardini e dei campi, e la trasformano e la digeriscono in virtù di una loro propria capacità. Non dissimile è il lavoro della vera filosofia che non si deve servire soltanto o principalmente delle forze della mente; la materia prima che essa ricava dalla storia naturale e dagli esperimenti meccanici, non deve esser conservata intatta nella memoria ma trasformata e lavorata dall'intelletto. Così la nostra speranza è riposta nell'unione sempre più stretta e più santa delle due facoltà, quella sperimentale e quella razionale, unione che non si è finora realizzata".[1]

La metafora e il concetto sono presenti anche in Pensieri e conclusioni sulla interpretazione della natura o sulla scienza operativa, nella quale aggiunge: "Bacone non ignora che, fra gli empirici, alcuni non vogliono essere considerati meri empirici, e che, fra i dogmatici, alcuni ambiscono ad essere stimati industriosi e intelligenti nel fare esperienze. Ma si è trattato e si tratta di artifici per aumentare la propria reputazione e per eccellere sugli altri nell'una o nell'altra delle due sette. In realtà il divorzio, che è quasi un odio, fra queste due facoltà è sempre esistito. Per questo Bacone ha pensato che possono derivare molte cose fauste da una più stretta e santa unione".[2]

Per realizzare questa “santa unione", per promuovere una ricerca che assomigli all'attività  delle api, Bacone s'impegna in due direzioni: la prima è diretta a liberare la mente dagli idoli, dai molti pregiudizi che la ingombrano e la portano a costruire ragnatele mentali invece di aprirsi alla realtà per conoscerla; la seconda è diretta a offrire agli uomini-formica il filo d'Arianna che li guidi nel labirinto dell'esperienza.

Gli idoli sono di quattro tipi.

Gli idoli della tribù

Sono gli idoli comuni a tutti gli uomini.

Bacone li chiama "idoli della tribù", considerando l'umanità una sola famiglia, una sola tribù. Essi sono per così dire degli atteggiamenti innati.

Il primo di questi è l'antropomorfismo, cioè la tendenza ad attribuire tratti umani a realtà non umane. Già Senofane, nell'antichità greca aveva criticato l'antropomorfismo religioso, cioè la tendenza a immaginare gli dei con caratteristiche umane. Bacone denuncia questa tendenza nei confronti delle cose, della natura e del mondo. C'è, infatti, in tutti la tendenza a vedere nell'azione delle cose una finalità, come nelle azioni degli uomini, e a ricondurre i fini delle cose al benessere dell'uomo. Si tratta, cioè, di antropomorfismo cosmologico e di antropocentrismo.

Un altro idolo, il più pernicioso, è la tendenza naturale a fidarsi dei sensi, nella convinzione che essi ci mettano realmente in rapporto con le cose, mentre, invece, sono deboli, ottusi e fallaci. “L'intelletto umano è simile a uno specchio che riflette irregolarmente i raggi delle cose, che mescola la sua propria natura a quella delle cose e le deforma e le travisa".[3]

"L'intelletto umano non è un lume secco, ma riceve alimento dalla volontà e dagli affetti e ciò dà luogo a ciò che si potrebbe chiamare «le scienze come uno le desidera». Infatti, l'uomo crede più facilmente vero ciò che preferisce sia vero. Respinge dunque le cose difficili perché è impaziente nella ricerca; respinge le cose semplici perché limitano la speranza; le più profonde della natura per superstizione; la luce dell'esperienza per arroganza e orgoglio e perché non sembri che la mente si occupi di cose vili e transitorie; respinge i paradossi per rispetto all'opinione volgare. Insomma gli affetti, in innumerevoli e talora impercettibili guise, penetrano nell'intelletto e lo corrompono".[4]

Gli idoli della spelonca

"Gli idoli della spelonca sono idoli dell'uomo in quanto individuo. Ciascuno infatti (oltre alle aberrazioni proprie della natura umana in generale) ha una specie di propria caverna o spelonca che rifrange e deforma la luce della natura; o a causa della natura propria e singolare di ciascuno, o a causa dell'educazione e della conversazione con gli altri, o della lettura di libri o dell'autorità di coloro che vengono onorati e ammirati, o a causa della diversità delle impressioni a seconda che siano accolte da un animo già condizionato e prevenuto oppure sgombro ed equilibrato. Cosicché lo spirito umano (come si presenta nei singoli individui) è cosa varia e grandemente mutevole e quasi soggetta al caso. Perciò giustamente affermò Eraclito che gli uomini cercano le scienze nei loro piccoli mondi privati e non nel più grande mondo a tutti comune".[5]

Aristotele, ad esempio, “asservì la sua filosofia naturale alla sua logica, rendendola inutile e verbalistica. Gli alchimisti, sulla base di pochi esperimenti alle fornaci, hanno fondato una filosofia fantastica e limitata; e anche Gilbert, dopo un accuratissimo studio del magnete, costruì su due piedi una filosofia modellata su ciò che principalmente l'aveva interessato".[6]

Gli idoli del foro

Sono prodotti dall'uso del linguaggio. “Gli uomini si associano per mezzo dei discorsi, ma i nomi vengono imposti secondo la comprensione del volgo e tale errata e inopportuna imposizione ingombra straordinariamente l'intelletto … le parole fanno violenza all'intelletto e confondono ogni cosa e trascinano gli uomini a innumerevoli e vane controversie e finzioni".[7]

“Gli idoli che s'impongono all'intelletto per mezzo delle parole sono di due generi: o sono nomi di cose che non esistono (come ci sono cose prive di nome per mancanza di osservazione, così ci sono nomi a cui non corrispondono cose perché derivano da fantastiche supposizioni) o sono nomi di cose che esistono ma confusi, mal definiti e astratti dalle cose in modo affrettato e parziale. Del primo genere sono: la fortuna, il primo mobile, le sfere dei pianeti, l'elemento fuoco e fantasie di questo tipo che derivano da teorie false e vane. Da questo genere di idoli ci si libera più facilmente perché essi possono essere distrutti attraverso un costante rifiuto e abbandono delle teorie. L'altro genere di idoli è invece assai complesso e profondamente radicato perché deriva da una cattiva e inesperta astrazione … Nelle parole esistono diversi gradi di aberrazione e di errore. Il genere meno difettoso è quello dei nomi di alcune sostanze, particolarmente delle specie inferiori e bene dedotte (per esempio la nozione di creta o di fango è buona; quella di terra cattiva); più difettoso è il genere dei nomi di azioni come generare, corrompere, alterare; più difettoso di tutti è il genere dei nomi di qualità (ad eccezione di quelle percepite immediatamente dal senso) come grave, leggero, tenue, denso, ecc.".[8]

Gli idoli del teatro

“Vi sono infine gli idoli che sono penetrati nell'animo degli uomini dai vari sistemi filosofici e dalle errate leggi delle dimostrazioni. Li chiamiamo idoli del teatro perché consideriamo tutte le filosofie che sono state accolte e create come altrettante favole presentate sulla scena e recitate, che hanno prodotto mondi fittizi da palcoscenico. Non parliamo soltanto dei sistemi filosofici attuali o delle antiche filosofie e delle antiche sette, perché è sempre possibile comporre e combinare molte altre favole dello stesso tipo: le cause di errori diversissimi possono essere infatti quasi comuni. Né abbiamo queste opinioni solo intorno ai sistemi filosofici, ma anche intorno a molti principi e assiomi delle scienze che sono invalsi per tradizione, credulità e trascuratezza".[9]

“Gli idoli del teatro, o delle teorie, sono molti e possono essere, e forse saranno un giorno, ancora più numerosi … Le favole di questo teatro hanno le stesse caratteristiche del teatro dei poeti: le narrazioni inventate per la scena sono più leggiadre e eleganti di quelle vere, derivate dalla storia, e corrispondono ai desideri di ciascuno".[10]

Il metodo

Fatta tabula rasa degli idoli, Bacone propone all'intelletto ormai libero dai pregiudizi un metodo molto articolato, una disciplina rigorosa del processo induttivo, il filo d'Arianna per non perdersi nel labirinto dell'esperienza.

Si tratta di un metodo che risente dell'idea baconiana della matematica e della sua polemica contro il pitagorismo. Bacone, infatti, indica in Pitagora e nel pitagorismo interno alla tradizione platonica e neoplatonica un pesante elemento di corruzione della filosofia naturale: “La matematica deve concludere, non generare e procreare la filosofia naturale".[11]

L'idea metafisica galileiana che la natura sia scritta in caratteri matematici è un pregiudizio, un idolo, di cui la mente dello scienziato deve liberarsi.

Gli assiomi generalissimi sono il punto d'arrivo, non di partenza, della ricerca.

“Due sono e possono essere le vie per la ricerca e la scoperta della verità. La prima dal senso e dai fatti particolari vola agli assiomi più generali e sulla base di questi principi e della loro immutabile verità, giudica e scopre gli assiomi medi: questa è la via ora in uso. La seconda dal senso e dai fatti particolari trae gli assiomi ascendendo con misura e gradatamente in modo da giungere fino agli assiomi più generali: questa è la via vera, ma ancora intentata".[12] Gli assiomi generali stabiliti col solo ragionamento, per quanto geniale, non servono alla scoperta della verità, “perché la sottigliezza della natura supera grandemente quella dell'argomentare. Ma gli assiomi ricavati con metodo e con ordine dai particolari facilmente a loro volta indicano e designano particolari nuovi, e in tal modo rendono attive le scienze".[13]

L'induzione deve procedere con misura e per gradi. Bacone è molto preciso nel definire l'una e gli altri. Si comincia con la raccolta dei dati osservati in tre tavole: nella prima si registra la presenza del fenomeno studiato in una varietà di casi e di situazioni; nella seconda si registra la sua assenza; nella terza si registra la variazione di grado del verificarsi del fenomeno. Questa ordinata e sistematica raccolta di dati permette la formulazione di una prima ipotesi sulla natura del fenomeno sotto osservazione. L'ipotesi viene sottoposta a verifica sperimentale adeguata. Si continua, sempre nell'ordine dell'osservazione, dell'ipotesi e della verifica, fino all'esperimento cruciale, quello che, davanti a un bivio di ipotesi opposte, indica la strada giusta.

Il filo d'Arianna baconiano conduce il ricercatore alla natura profonda delle cose, alla loro “ipsissima res". Questo superlativo evidenzia il legame che la scienza baconiana conserva con uno dei caratteri fondamentali della tradizione classica: l'analisi qualitativa, essenzialistica, della realtà. Bacone, nonostante la sua violenta polemica antiaristotelica, usa anche il termine “forma", di origine aristotelica, per indicare il principio interno, invisibile ai sensi, di costituzione e di sviluppo dei fenomeni naturali. E'vero che egli intende differenziare la sua “forma"da quella aristotelica, ma in questo tentativo riesce poco convincente.

Non solo: nonostante la polemica contro l'ermetismo e la magia, “Bacone concepisce il moto ancora in termini vitalistici, come una forza interna ai corpi, che li porta ad avvicinarsi o ad allontanarsi, a unirsi o separarsi a seconda delle simpatie o delle antipatie. Egli infatti presenta un elenco sorprendente dei vari tipi di movimento, tra cui colloca, per esempio il moto di libertà per cui i corpi oppressi tendono a riprendere le loro dimensioni; il moto di bisogno per cui i corpi che si trovano in mezzo ad altri di diversa natura e quasi ostili si allontanano da essi per raggiungere i loro simili; il moto di fuga per cui i corpi si allontanano fra loro per antipatia, come l'olio e l'acqua che non si mescolano. Una delle difficoltà a comprendere il concetto di “forma"in Bacone sembra nascere proprio dal fatto che in lui convivono ancora la concezione corpuscolare e quella vitalistica della materia, che nella scienza del Seicento saranno considerate antinomiche".[14]

E' un fatto, però, che “molti scienziati, da Newton a Darwin, si sono sentiti allievi ideali del grande filosofo inglese, che tra Sei e Settecento è stato considerato uno dei grandi innovatori della scienza".[15]

Note

[1] La grande instaurazione, libro I, aforisma XCV. Questa metafora si trova, espressa con le stesse parole, anche in La confutazione delle filosofie (67) a p. 435 di Scritti filosofici. Naturalmente l'improduttività delle formiche e dei ragni è tale solo dal punto di vista dell'uomo che non riesce (ancora?) a sfruttarla a proprio beneficio, come riesce, invece, a fare di quella delle api. Per le formiche e i ragni, la loro attività è pienamente produttiva, come prova il loro successo biologico. Ma l'antropocentrismo in Bacone è così profondo che egli non avverte i limiti questo paragone, usato, peraltro, anche da altri filosofi.

[2] In Scritti filosofici, p. 395.

[3] La grande instaurazione, libro I, aforisma XLI., a p. 561 degli Scritti filosofici, Utet 2009.

[4] Aforisma XLIX, a p. 565.

[5] Aforisma XLII, a p. 560.

[6] Aforisma LIV, a p. 568.

[7] Aforisma XLIII, a p. 561.

[8] Aforisma LX, a p. 570.

[9] Aforisma XLIV, a p. 561

[10] Aforisma LXII, a p. 572.

[11] Aforisma XCVI, a p. 608.

[12] Aforisma XIX, a p. 555.

[13] Aforisma XXIV, a p. 556.

[14] Fulvia de Luise, Giuseppe Farinetti, Lezioni di storia della filosofia B, Zanichelli 2010, pp. 73-74.

[15] Ib., p. 74.


Torino 9 gennaio 2012

Giuseppe Bailone


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Aggiornamento: 26-04-2015