Volkogonov: Stalin e lo stalinismo

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TRIONFO E TRAGEDIA DI STALIN

Nel 1988 le edizioni sovietiche dell'APN pubblicarono il libro su Stalin del filosofo e direttore dell'Istituto di storia militare, D. Volkogonov, Trionfo e tragedia (Ritratto politico di Stalin). L'opera suscitò subito un grande interesse in Occidente, prima ancora che apparisse in URSS. Grandi case editrici hanno deciso di pubblicarla: Mondadori in Italia, Weidenfeld e Nicolson in Inghilterra, Flammarion in Francia, Econ in Germania ecc.

Presentando la sua opera in un'intervista concessa a un settimanale del suo Paese, Volkogonov ha affermato che gli storici devono imparare a ragionare con i "se" e non soltanto su ciò che è veramente accaduto. Ovverosia devono chiedersi sempre quali alternative ci possono essere nei confronti di determinati fenomeni (in questo caso lo stalinismo). Per evitare d'identificare la storia con la fatalità, lo storico ha non solo il diritto ma anche il dovere di avanzare delle "ipotesi" su come i fatti avrebbero potuto svolgersi se si fosse scelta un'altra strada. Nella vita infatti vi sono sempre delle scelte fra due o più alternative. La logica del fatalismo serve soltanto a giustificare che la decisione presa era la migliore: il che però impedisce di analizzare la storia in maniera scientifica. (Da notare che questa problematica delle "alternative storiche" sta interessando notevolmente, in questi ultimi tempi, a partire dalla perestrojka, gli storici sovietici).

Volkogonov crede di ravvisare in tre cause fondamentali l'emergere dello stalinismo (la figura di Stalin gli interessa relativamente):

  • i tre secoli delle tradizioni monarchiche della dinastia dei Romanov, che hanno indotto nel popolo una grande passività;
  • la povertà delle tradizioni democratiche (di cui s'è dovuta far carico la stessa rivoluzione socialista);
  • la sottovalutazione, da parte dell'entourage di Lenin, del pericolo di una dittatura personale nell'ambito del partito.

L'autore si sente d'affermare che i maggiori leaders del Pc (b) tradirono praticamente subito gli ideali di Lenin, poiché si lasciarono dominare dalle logiche degli schieramenti e dalle lotte accanite per il potere politico dopo la sua morte. Particolarmente duro, in tal senso, è il giudizio di Volkogonov su Trotski, "preoccupato più di se stesso che della rivoluzione. Trotski era imbevuto della propria personalità, si credeva un genio e considerava tutti i suoi oppositori (soprattutto Stalin) come dei "mediocri". Era un partigiano convinto del socialismo da caserma. Proponeva di dividere il Paese in circoscrizioni militari. Parlava d'instaurare la disciplina militare nell'ambito del lavoro e amava le forme di gestione dirigista. Dopo la guerra civile trasformò diverse unità militari in "brigate del lavoro". Tutta la popolazione -secondo lui- andava organizzata militarmente". Viste tali premesse, Trotski -secondo Volkogonov-, nonostante le capacità che tutti gli riconoscevano, non aveva alcuna possibilità di sostituire Lenin.

Né d'altro canto l'avevano gli altri leaders citati dallo stesso Lenin nella sua "Lettera al congresso" (il "testamento politico"). Stalin, Trotski, Zinoviev, Kamenev, Bucharin e Piatakov vennero ricordati da Lenin -secondo Volkogonov- in un modo tale che ognuno di loro, singolarmente preso, non sarebbe stato in grado di sostituirlo. L'unico che avrebbe potuto farlo, sarebbe stato -dice Volkogonov- un "leader collettivo", cioè una gestione collegiale dell'intero partito.

Disgraziatamente questa idea di Lenin non venne capita: sia perché spesso il suo pensiero superava a tal punto quello dei suoi contemporanei da risultare addirittura incomprensibile (il "testamento" cominciò ad essere apprezzato solo al XX congresso!); sia perché il suo entourage non sapeva valorizzare adeguatamente le sue capacità: Lenin infatti era costretto ad occupare il 40% del suo tempo nel cercare di risolvere gli affari correnti, prosaici, fin nei minimi dettagli, dall'organizzazione del rifornimento alimentare all'elettrificazione di un villaggio, ecc.

Relativamente al fenomeno dello stalinismo, Volkogonov afferma ch'esso è "l'alternativa negativa al socialismo scientifico", basata prevalentemente sull'uso della forza e sul culto della personalità. In tal senso lo stalinismo è esistito, p.es., anche in Cina durante "il grande balzo" degli anni 1958-60 e durante la "rivoluzione culturale" del decennio 1966-76, oppure in Cambogia sotto il regime di Pol Pot (1975-79). Di questo fenomeno non può essere colpevolizzato solo Stalin e il suo staff, altrimenti si ricade nel "culto della personalità" che pur a parole si biasima. La responsabilità invece è sempre di tutta la società che, almeno in URSS, non fece abbastanza per contrastare un fenomeno così negativo. "Gli interventi isolati -dice Volkogonov- fanno onore a chi li mette in pratica, ma essi sono votati al fallimento, anzi, a quel tempo furono utilizzati da Stalin per rafforzare le proprie posizioni. Egli infatti negli anni '20, '30 e '40 entrò nella storia come il trionfatore principale nella lotta per gli ideali di Lenin. Tutti coloro che si opponevano a Stalin erano accusati d'essere antileninisti". Non si può dunque vincere un fenomeno come questo partendo da posizioni isolate.

Un'altra acuta osservazione di Volkogonov riguarda il fatto che non si devono considerare le purghe staliniane degli anni '37-'39 come più gravi di quelle degli anni '29-'33, solo perché erano in gioco i migliori intellettuali comunisti del Paese. Volkogonov ci tiene a sottolineare che la tragedia più grande è stata quella dei primi anni '30, non solo perché senza di essa non vi sarebbe stata l'altra (gli intellettuali senza "base sociale" sono debolissimi), ma anche perché in essa morirono milioni di contadini anonimi, sacrificati sull'altare della collettivizzazione forzata e dell'industrializzazione pesante.

L'ultimo aspetto di cui parla Volkogonov, nell'intervista, è non meno tragico: la logica di Stalin, secondo cui è bene sbarazzarsi fisicamente non solo dei nemici reali ma anche di quelli potenziali, si radicò così bene nell'URSS che molti delitti vennero compiuti senza che nemmeno Stalin lo sapesse o l'avesse voluto. L'inerzia della violenza era tale che le sue onde si propagavano automaticamente per tutto il Paese. I "figli legittimi" dello stalinismo sono stati coloro che presero i posti lasciati vacanti dalla "vecchia guardia" leninista, sterminata da Stalin: i vari Suslov, Breznev, ecc.

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Enrico Galavotti - Homolaicus - Sezione Teorici
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Aggiornamento: 26-04-2015

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