Voltaire: Écrasez l’Infâme

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Voltaire: Écrasez l’Infâme

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Giuseppe Bailone

Nel 1762 Voltaire scrive: “Finisco le mie lettere dicendo Écr. l’Inf. [=Écrasez l’Infâme, schiacciate l’infame] così come Catone diceva sempre Delenda Carthago! [= Cartagine va distrutta]”.

Sono gli anni della lotta contro il fanatismo, la superstizione e l’intolleranza religiosa. L’Infâme è il fanatismo religioso così come s’incarna nelle religioni cristiane, in particolare nel cattolicesimo, ma non solo.

Voltaire non è ateo, né agnostico, ma il suo essere divino è lontanissimo dall’immagine che del divino propone il cristianesimo. Nel Sermon des cinquante, pubblicato nel 1762, scrive: “Possa questo grande Dio che mi ascolta, questo Dio che non è nato da una vergine né è morto sul patibolo, né lo si può mangiare in un pezzo di pane, né può avere ispirato questi libri pieni di contraddizioni, di sciocchezze e di orrori – possa questo Dio, creatore di tutti i mondi, avere pietà di questa setta di cristiani che lo bestemmia” (XXIV).

Voltaire, a differenza di Bayle, pensa che la religione sia necessaria per il governo delle masse popolari, ma ritiene le religioni esistenti gravate da troppi dogmi e superstizioni. Vuole una religione razionale, come molti uomini di cultura del suo tempo. La sua battaglia contro l’intolleranza s’incardina sul principio morale del non fare agli altri ciò che non vuoi che sia fatto a te, un principio centrale nel Vangelo, ma del tutto assente nella pratica dei cristiani.

“Fra tutte le religioni – scrive alla voce “Tolleranza” del suo Dizionario filosofico – la cristiana è senza dubbio quella che per i suoi precetti dovrebbe ispirare maggior tolleranza; e fino ad oggi i Cristiani sono stati i più intolleranti degli uomini”.

Voltaire, che dal 1760 risiede in Svizzera, nel castello di Ferney, impegna gli ultimi vent’anni della sua esistenza nella battaglia contro l’intolleranza e per i diritti dell’uomo, non senza significativi successi, come nel caso Jean Calas.

Il 9 marzo 1762, Jean Calas, commerciante ugonotto, dopo un processo con orribili torture, viene giustiziato per aver impiccato il figlio Antoine, per impedirgli la conversione al cattolicesimo. Convintosi dell’innocenza di Jean Calas, Voltaire mette il caso Calas all’inizio del suo importante Trattato sulla tolleranza del 1763 e imposta una grande campagna di mobilitazione dell’opinione pubblica, che nel 1765 porta alla sentenza del Consiglio di Stato che annulla la condanna, riabilita Jean Calas, libera i suoi familiari, che erano stati arrestati con lui come corresponsabili, e li indennizza. Voltaire è molto abile anche nella gestione della vittoria: riesce a farla passare come una vittoria della filosofia illuminista, anche se, proprio nel 1765, il suo Dizionario filosofico, pubblicato anonimo, viene condannato al rogo dal Parlamento di Parigi e lui è costretto a fingere di non conoscerne l’autore.

Nel Dizionario filosofico, alla voce “Fanatismo”, scrive:

“Il fanatismo sta alla superstizione come il delirio sta alla febbre e il furore alla collera. Colui che ha delle estasi, delle visioni, e scambia i suoi sogni con la realtà e prende le sue fantasie per profezie, è un entusiasta; colui che sostiene questa sua follia con il delitto, è un fanatico. […] Il più detestabile esempio di fanatismo fu quello dei borghesi di Parigi che si precipitarono ad assassinare, scannare, gettare dalle finestre, fare a pezzi, la notte di san Bartolomeo, tutti i loro concittadini che non credevano bene di assistere alla messa cattolica.

Ci sono dei fanatici a sangue freddo: quei giudici che condannano a morte coloro che non hanno altro delitto che di pensarla diversa da loro; e tali giudici sono tanto più colpevoli e più degni dell’esecrazione del genere umano in quanto, non trovandosi in un accesso di furore omicida come i Clément, gli Châtel, i Ravaillac, i Damiens, dovrebbero, a quanto sembra, poter ascoltare la voce della ragione.

Ma il fatto è che, quando il fanatismo ha contagiato un cervello, il male è quasi incurabile. […] Il solo rimedio a questa malattia epidemica è lo spirito filosofico, il quale diffuso pazientemente da uomo a uomo, finirà per addolcire i costumi dell’umanità, e per prevenire gli eccessi del male. Perché una volta che il male ha preso piede, non c’è altro che mettersi in salvo e aspettare che l’atmosfera si purifichi. Le leggi e la religione non valgono contro questa peste degli animi. Anzi, in questi casi la religione, lungi dall’essere un rimedio salutare, diventa un veleno per quei cervelli infetti. Questi miserabili hanno sempre in mente gli esempi di Aod che assassina il re Eglon, di Giuditta che taglia la testa di Oloferne dopo essere andata a letto con lui, di Samuele che taglia a pezzetti il re Agag. Non vedono nella Scrittura se non questi esempi, che, rispettabili in una barbara antichità, sono abominevoli ai tempi nostri, e alimentano i loro furori con quella stessa religione il cui spirito li condanna.

Le leggi dello stato attuale sono impotenti contro questi accessi di rabbia canina: sarebbe come leggere una sentenza del Parlamento a un frenetico. Quella gente è persuasa che lo Spirito Santo che li ispira sia al di sopra delle leggi, e che le loro furiose fantasie siano la sola legge cui essi debbono obbedire. Che rispondere a un uomo che vi dice che egli preferisce obbedire a Dio che agli uomini, e che, di conseguenza, è sicuro di guadagnarsi il Paradiso scannandovi? […] Non c’è stata al mondo che una sola religione indenne dalla macchia del fanatismo: quella dei letterati cinesi. Però le sette dei filosofi, non solo andavano esenti da questo contagio, ma ne presentavano il rimedio: perché l’effetto della filosofia è di indurre alla serenità dell’animo, e il fanatismo è incompatibile con questa serenità. Se la nostra santa religione è stata così sovente corrotta da questo furore infernale, dobbiamo attribuirlo alla follia degli uomini”.

E chiude con la citazione dei versi del vescovo Bertaud su Icaro che, ricevute le ali per la sua salvezza, ne pervertì l’uso e se ne servì per la sua rovina.

Gli anni della battaglia di Voltaire sono anche quelli in cui i Gesuiti vengono espulsi da Portogallo, dalla Francia e da altri Stati cattolici e poi sciolti dal papa Clemente XIV. Voltaire e i gli altri filosofi illuministi presentano come un successo loro un evento causato, in verità, da molteplici ragioni.

Nella sua battaglia contro il fanatismo e l’intolleranza, Voltaire sta, però, attento a non promuovere l’ateismo, da lui considerato insostenibile filosoficamente e pericoloso per l’etica e per l’ordine pubblico.

Alla voce “Ateo, Ateismo”, nel Dizionario filosofico, dopo aver discusso e respinto le tesi di Bayle, scrive: “Qual conclusione trarremo da ciò? Che l’ateismo è un mostro assai pericoloso in quelli che governano; che lo è anche nelle persone di studio, se pure la loro vita è innocente, perché dal loro studio esso può arrivare a quelli che vivono in piazza; e che se non è certo funesto quanto il fanatismo, è tuttavia quasi sempre fatale alla virtù. […] Ma se vi sono degli atei, di chi è la colpa, se non di quei tiranni mercenari delle anime i quali, obbligandoci a ribellarci contro le loro furfanterie, spingono alcuni spiriti deboli a negare quel Dio che questi mostri disonorano? Quante volte le sanguisughe di un popolo hanno provocato i sudditi oppressi a ribellarsi contro il loro re”.

Voltaire cerca di tenere insieme la lotta contro il fanatismo e quella contro l’ateismo, mantenendosi in una difficile situazione di equilibrio fra posizioni non sempre conciliabili. Nella battaglia contro l’ateismo del barone d’Holbach, teorico della morale naturale e dell’ateismo virtuoso, finisce per mettersi contro il suo stesso deismo iniziale, per il quale non ci sono interventi divini nel mondo umano. In questa battaglia, infatti, si affida, contraddicendosi, all’idea di Dio come suprema istanza di giustizia e sostiene la necessità morale di vedere in Dio colui che premia e che castiga. A partire dal 1750 dà a questa sua concezione della divinità il nome di “teismo”, anche per distinguersi dai deisti inglesi come Tolland e Collins, panteisti influenzati da Spinoza e, pertanto, portati a ridurre Dio alla Natura. Voltaire, sempre anticlericale ma mai antireligioso, vuole invece proporre un Dio trascendente e personale, da onorarsi con culti razionali.

Alla voce “Teista”, nel Dizionario filosofico, scrive: “Il teista è un uomo fermamente persuaso dell’esistenza di un Essere supremo tanto benigno quanto potente, il quale ha formato tutti gli esseri estesi, vegetanti, o dotati di sentimento, o di sentimento e ragione; e perpetua la loro specie, e punisce senza crudeltà i delitti e ricompensa con bontà le azioni virtuose.

Il teista non sa in qual modo Iddio punisce, né come egli premia, né come perdona; perché egli non è tanto temerario da lusingarsi di conoscere in qual modo può agire Iddio: egli sa che Dio agisce, e che è giusto. Le difficoltà che si oppongono all’idea della Provvidenza non lo scuotono nella sua fede, perché egli sa che si tratta di grandi difficoltà, ma non di prove decisive. Egli è sottomesso a questa Provvidenza, benché non ne scorga se non alcuni effetti e alcune apparenze; e, giudicando delle cose che non vede in base a quelle che vede, pensa che questa Provvidenza si estenda a tutti i luoghi e a tutti i tempi. Concordando in questo principio col resto dell’universo, egli non appartiene però a nessuna di quelle sette che si contraddicono tutte. La sua religione è la più antica e la più estesa, perché la semplice adorazione di un Dio ha preceduto tutte le dottrine del mondo. Egli parla una lingua che tutti i popoli intendono, mentre quei popoli non s’intendono fra di loro. Egli ha dei fratelli da Pechino alla Cajenna, e stima tutti i saggi suoi fratelli, egli è persuaso che la religione non consiste né nelle opinioni di una metafisica incomprensibile né in vane cerimonie, ma nell’adorazione e nella giustizia. Fare il bene, è il suo culto; obbedire a Dio, è la sua dottrina. Il maomettano gli grida: «Bada a te, se non fai il pellegrinaggio alla Mecca!» «Sventura a te,» gli dice un colletto bianco, «se non fai un viaggio a Nostra Signora di Loreto!» Egli sorride di Loreto e della Mecca, ma soccorre il misero e difende l’oppresso”.

Rivolgendosi “ai filosofi che negano chiaro e tondo l’inferno nei loro scritti”, scrive: “Signori, noi non dobbiamo mica passare la nostra vita con Cicerone, Attico, Catone, Marco Aurelio, Epitteto […] né con Cartesio, Newton o Locke, né con lo scrupoloso Bayle, che era così al di sopra della fortuna, né col virtuoso troppo incredulo Spinoza […]. Noi dobbiamo farcela con una quantità di birbanti che non hanno mai meditato su niente, con una folla di ometti brutali, ubriaconi, ladri. Predicate pure voi, se vi pare, che l’inferno non esiste e che l’anima è mortale. Per parte mia, io mi sgolerò a gridargli nelle orecchie che se mi derubano saranno condannati per sempre; imiterò quel curato di campagna che, essendo stato vergognosamente derubato dal suo gregge, disse loro dal pulpito: «Davvero non so che cosa gli è venuto in mente a Gesù Cristo, di morire per delle canaglie come voi»”.

Ci sono, per Voltaire, due modi molto diversi di valutare le credenze religiose: per la loro base di verità e per la loro funzione morale e sociale. Il secondo aspetto è per lui di tale importanza da travolgere, in certi casi, anche il primo: ci sono credenze, come quella nelle pene eterne dell’inferno, che, in termini di verità, sono difficili da sostenere, ma che è assolutamente necessario sostenere per tenere a freno gli “ometti brutali, ubriaconi e ladri”. Anche se questo porta a contraddire il deismo iniziale e, in parte, anche la battaglia contro le superstizioni che deturpano le grandi religioni popolari: ci sono superstizioni che vanno salvate per l’ordine pubblico.

Per tenere a freno le masse popolari servono anche le religioni false. E in Voltaire, la stessa concezione della religione come impostura clericale, che in ambiente libertino aveva funzione polemica, acquista anche un valore positivo, purché non consegni del tutto il volgo allo strapotere dei preti, al fanatismo e alla superstizione più grossolana. Voltaire si muove in acque agitate, con oscillazioni tra i due pericoli opposti: l’ateismo socialmente pericoloso e la superstizione. Negli anni in cui l’anziano Voltaire lotta contro l’ateismo, anche l’idea dell’immortalità dell’anima, sempre vista soprattutto come freno agli eccessi delle masse ignoranti, viene, forse per una sua crescente paura della morte, coltivata anche come speranza personale. E il Dio che premia e che castiga assume importanza anche lui e per i saggi.

Torino 17 marzo 2014

Giuseppe Bailone ha pubblicato Il Facchiotami, CRT Pistoia 1999. Nel 2006 ha pubblicato Viaggio nella filosofia europea, ed. Alpina, Torino.

Nel 2009 ha pubblicato, nei Quaderni della Fondazione Universitŕ Popolare di Torino, Viaggio nella filosofia, La Filosofia greca.

Due dialoghi. I panni di Dio – Socrate e il filosofo della caverna (pdf) Plotino (pdf) L'altare della Vittoria e il crocifisso (pdf)

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Enrico Galavotti - Homolaicus - Sezione Teorici
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Aggiornamento: 26-04-2015