MARX E WEBER SULL’EVOLUZIONE
DELLE FORME ECONOMICHE E SOCIALI


Marx

Weber

"Questioni di metodo":
l’approccio economicistico di Marx e quello plurifattoriale di Weber

parte seconda

Tra i pensatori del XX secolo, Max Weber fu non solo il principale antagonista di Karl Marx ma anche, per molti aspetti, il suo principale interlocutore. Il suo pensiero può senza dubbio essere letto come un lungo colloquio con l’opera del filosofo di Treviri, finalizzato in gran parte a riequilibrarne molti giudizi, ma capace anche di giungere a conclusioni opposte o comunque radicalmente differenti rispetto alle sue.

Abbiamo visto come il materialismo marxista debba intendersi come una reazione (peraltro non solo speculativa ma anche politica) all’idealismo hegeliano. Forse anche per questo, il pensiero marxista si sbilancia, nell’analisi delle cause del dinamismo sociale, nettamente a favore dei fattori economici e materiali, in contrapposizione all’astratto spiritualismo di Hegel e dei suoi discepoli.

A propria volta, l’opera di Weber fu una reazione (di cui peraltro egli non fu l’unico esponente) a un certo materialismo tendenzialmente acritico, d’ispirazione dichiaratamente marxista. Non si deve perciò cadere nell’errore di credere che il pensiero weberiano finisca per ricadere in una lettura integralmente idealistica della storia, seppure ovviamente liberata dalle basi metafisiche del pensiero di Hegel (un’operazione questa, tentata prima da molti pensatori, tra cui il francese Auguste Comte). Piuttosto, l’ambizione di Weber fu quella di porsi al di là e al di sopra del conflitto tra materialismo e idealismo, da lui considerati visioni aprioristiche e fuorvianti della storia.

In particolare, Weber si occupò dell’influenza che il pensiero religioso - visto come una sorta di "filosofia per le masse", espressione cioè di un modo di sentire e agire comune ai membri di una vasta comunità di individui - avrebbe sull’agire economico di questi ultimi.

Celebre è la tesi (sostenuta ne L’etica protestante e lo spirito del capitalismo) secondo la quale l’affermarsi del Protestantesimo, in particolare nella sua variante calvinista, avrebbe costituito – nonostante la sua natura religiosa e culturale, nonché quindi, in un’ottica marxista, "sovrastrutturale" – un fattore cruciale per la nascita e l’affermazione degli stili economici capitalistici moderni. La tesi fondamentale espressa in questo saggio, è che lo spirito ascetico del Cristianesimo, nel pieno del Medioevo ancora totalmente proiettato verso l’aldilà, conoscesse nel periodo moderno (cioè a partire all’incirca dal XV secolo) un processo di sostanziale 'immanentizzazione'.

La religiosità protestante portava infatti l’individuo a riconoscere già in questa vita i segni della propria salvezza ultraterrena, identificandoli essenzialmente con l’affermazione personale nel lavoro, ovvero con l’acquisizione personale di ricchezza. Proprio da questa diffusa convinzione derivò secondo Weber – almeno nei primi secoli dello sviluppo capitalistico – la propensione dell’individuo moderno verso l’affermazione attraverso l’impresa economica privata: propensione che è uno degli aspetti essenziali della moderna cultura europea e dei suoi peculiari stili economici.

Se – sostiene Weber – una tale visione del mondo, di carattere religioso, non si fosse affermata, il capitalismo moderno non avrebbe potuto sorgere. Prova di ciò è il fatto che gli Stati di tradizione cattolica, e più in generale le famiglie di confessione cattolica, si dimostrano meno propensi a svolgere attività economiche impostate su criteri schiettamente capitalistici (anche se, ovviamente, il modo di produzione capitalistico si era, al tempo di Weber, oramai diffuso, seppure in forme più o meno accentuate, in tutto il mondo europeo occidentale).

D’altronde, nell’ultimo paragrafo della sua opera, Weber afferma: "[…] dovrebbe anche venire in luce il modo in cui l’ascesi protestante, a sua volta, è stata influenzata, nel suo divenire e nella sua natura peculiare, da tutto il complesso delle condizioni sociali della civiltà, anche e specialmente economiche." Ciò prova che egli non si sbilancia a favore di una visione univocamente culturalista, ma contempla la possibilità – che è poi certezza – che anche la religione protestante, che tanto ha influenzato la pratica economica del proprio tempo, sia a sua volta (almeno in parte) il prodotto di quest’ultima.

Resta però il fatto che, nella visione weberiana, il Protestantesimo non si pone come un semplice riflesso dell’organizzazione economica, ma al contrario come un concreto fattore di mutamento della società nel suo complesso, in particolare dei suoi aspetti economici.

Ovviamente questa non è che una delle moltissime tesi del pensiero weberiano. Tra le altre, ricordiamo il discorso sulla razionalizzazione progressiva della mentalità e dell’agire economico, in particolare nel mondo occidentale (un discorso su cui ci soffermeremo più avanti); ma anche quello sul carisma personale del capo, inteso come elemento essenziale per intendere le società nella loro evoluzione; quello sui "tipi ideali" (elaborazioni concettuali astratte che aiutano lo storico a comprendere le costanti e le varianti delle diverse situazioni storiche); e infine le ricerche – peraltro in evidente continuità con quella appena citata – sull’influenza che le confessioni religiose non cristiane ebbero sull’evoluzione delle loro rispettive società.

Nella visione weberiana, in sintesi, l’economia non è più il motore ultimo (né soprattutto unico) dello sviluppo storico. Nonostante l’indubbia centralità dei fattori economici infatti, non si devono per Weber trascurare le profonde ripercussioni che gli aspetti che Marx definirebbe "sovrastrutturali" (ad esempio le religioni, e più in generale il complesso delle credenze condivise in un dato contesto storico e culturale, ma anche le istituzioni, le personalità carismatiche…) possono avere, e anzi sempre hanno, su tale sviluppo.

Il che poi non esclude che tutti questi ordini di fattori non possano essere tra loro profondamente interconnessi, e che debbano anzi essere visti nella loro continua e reciproca interazione.

In altri termini, da una visione gerarchizzata quale quella proposta da Marx, si passa nel pensiero weberiano a una visione di tipo "sistemico", nella quale cioè ogni livello della vita della società agisce sugli altri essendone a sua volta influenzato, senza che vi sia un ordine d’importanza definibile a priori. L’economicismo di Marx cede quindi il passo, in Weber, a una visione plurifattoriale della storia.

Ancora oggi, il dibattito tra pensatori marxisti e pensatori non marxisti (di scuola non solo weberiana) si gioca, tra l’altro, proprio su questi punti.

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Adriano Torricelli - Homolaicus - Contatto - Sezione Economia


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Aggiornamento: 12/09/2014