GIOVANNI VERGA, LA LUPA
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TESTO (in mp3) Era alta,
magra, aveva soltanto un seno fermo e vigoroso da bruna--e pure non era più
giovane; era pallida come se avesse sempre addosso la malaria, e su quel pallore
due occhi grandi così, e delle labbra fresche e rosse, che vi mangiavano. Al
villaggio la chiamavano la Lupa perché non era sazia giammai--di nulla. Le donne
si facevano la croce quando la vedevano passare, sola come una cagnaccia, con
quell'andare randagio e sospettoso della lupa affamata; ella si spolpava i loro
figliuoli e i loro mariti in un batter d'occhio, con le sue labbra rosse, e se
li tirava dietro alla gonnella solamente a guardarli con quegli occhi da
satanasso, fossero stati davanti all'altare di Santa Agrippina. Perché la Lupa
non veniva mai in chiesa, né a Pasqua, né a Natale, né per ascoltar messa, né
per confessarsi. Padre Angiolino di Santa Maria di Gesù, un vero servo di Dio,
aveva persa l'anima per lei. COMMENTO I Pubblica la novella nella "Rivista nuova di Scienze, Lettere e Arti" e poi la inserisce nella raccolta Vita dei campi, del 1880: sedici anni dopo ne fa una trasposizione teatrale di successo a Torino (con accenti più realistici), cosa che verrà ripetuta nel 1953 da Lattuada (che sposta l'ambientazione dalla Sicilia alla Lucania), nel 1966 da Zeffirelli, sino al film di G. Lavia trent'anni dopo. Sette anni prima di scriverla, nella Prefazione del romanzo Eva, aveva fatto una chiara denuncia del mondo borghese. Infatti tra il 1876 e il 1881 Verga, tutto intento a riscoprire la purezza del mondo rurale, vagheggiava una società arcaica, precapitalistica, incontaminata dall'egoismo e dal calcolo, influenzato, in questo, dal romanzo naturalista francese, che però con Zola s'era concentrato soprattutto sui bassifondi urbani, per mostrare le conseguenze dell'industrializzazione borghese. Con La Lupa - scrive V. Spinazzola - "mai era apparsa in Italia un'eroina letteraria che sconsacrasse tanto radicalmente il culto della femminilità domestica, sottomessa all'uomo, assorta nel compito di badare alla casa e alla prole". Una contadina siciliana che pare strumento nelle mani del destino, come nella tragedia greca, in cui però l'erotismo non poteva essere vissuto nella consapevolezza del "peccato". Che poi una vera consapevolezza, nella novella, sembra neppure esserci, poiché la Lupa vuol vivere il proprio erotismo belluino, nel più assoluto ateismo, in totale dispregio di qualunque remora religiosa. L'italiano antiletterario del Verga, desunto da costrutti e locuzioni dialettali, s'attaglia perfettamente - come d'altronde tutta la descrizione ambientale - alla situazione ferina, pulsionale, priva di freni, di dubbi ("Te voglio... Voglio te"). Qui il sesso è concepito modernamente come possesso esclusivo: il corpo va posseduto nella sua fisicità, indipendentemente da qualunque sovrastruttura ideologica morale ambientale. L'ateismo della Lupa, l'infernale caldo estivo, i lavori sporchi e faticosi, che spossano e abbruttiscono: tutto fa parte di un gioco in cui la protagonista vuol far valere il primato dei sensi su ogni regola familiare e convenzione sociale. Di fronte a questa prepotenza egocentrica a nulla servono i rapporti personali tra madre e figlia, tra genero e suocera, né quelli istituzionali tra parroco e genero, tra brigadiere e l'intera famiglia, e tanto meno quelli sociali tra la comunità locale e la stessa famiglia. La narrazione sembra condotta da un popolano del luogo (presso l'Etna, forse l'entroterra di Catania), che si rivolge a dei compaesani, senza compiacenze di alcun genere, aderendo semplicemente ai fatti, in pieno stile verista, lasciando parlare le cose, descrivendo le scene d'amore con pochissime allusive ma incisive pennellate. Verga, in questo, era un genio assoluto. In una novella di neanche millecinquecento parole, in cui l'intreccio dei rapporti è così umanamente contorto da far ipotizzare mille congetture, vediamo svolgersi una sequenza incredibile di lavori rurali: mietere il grano, spremere le olive, potare le viti, sarchiare, zappare, accudire gli animali. Eppure, nonostante questi lavori, la novella non vuole affatto rinchiudersi nel ruralismo, anzi aspira a un carattere più universale, non essendo scritta per i ceti che rappresenta ma per il lettore borghese. Verga si trovava a Milano, non aveva ancora deciso di tornare definitivamente nella sua Sicilia. S'è detto che la descrizione della Lupa richiama i tratti della strega nell'immaginario popolare. Ma poteva un intellettuale illuminato come il Verga limitarsi a descrivere la follia di una disadattata? Sarebbe stata un'operazione molto banale. Voleva semplicemente scandalizzare la borghesia di Milano con qualche eccesso contronatura (che poi rischiava d'essere un mero artificio letterario), oppure voleva far vedere che al Sud poteva esserci qualcosa di sconvolgente, di inaspettato, qualcosa che in fondo poteva anche irretire la curiosità di qualche intellettuale benpensante, qualcosa che poteva far rientrare in gioco una realtà che la si voleva tenere ai margini? La Lupa usava l'erotismo come il Verga la scrittura? Quello che qui viene spontaneo chiedersi è il motivo per cui egli abbia accettato di descrivere una contadina con dei sentimenti così esasperati, che inevitabilmente l'avvicinavano a una ninfomane. Che cosa voleva dimostrare? forse che, pur nella loro negatività, quei comportamenti erano più genuini di quelli borghesi, viziati dall'ipocrisia? In effetti il genero, che qui appare come un borghese rurale, non fa una gran parte in questa vicenda: accetta un matrimonio d'interesse con Maricchia, si lascia sedurre più volte dalla Lupa, senza reagire in maniera concreta, supplica il brigadiere di metterlo in carcere ma pare solo una spacconata e a più riprese manifesta una religiosità a dir poco infantile, il cui spessore è meno di nulla al cospetto della fiera miscredenza della Lupa. E il parroco non svolge forse il ruolo del fariseo quando rifiuta di amministrare l'estrema unzione al Nanni mezzo morto, solo perché in casa si trovava la suocera? La Lupa appare come il rovescio della medaglia: alla chiusura retriva di un paese bigotto e patriarcale, lei reagisce con la sfacciataggine di una mezza prostituta, capace di annichilire tutti i suoi abitanti. In quanto donna atea ed emancipata, invece di ritirarsi in buon ordine nella propria casa, a recitar preghiere dalle tre alle sei del pomeriggio, se ne stava sola in campagna "a lavorare cogli uomini, proprio come un uomo". Al punto che non si capisce se è lei a essere un'esclusa dalla comunità a causa della sua insaziabilità sessuale o se invece è lei a riscattarsi sessualmente da una comunità che non l'accetta. In questa novella il pregresso non c'è: Verga non vuole cercare giustificazioni; il protagonista è il perverso destino, senza apparenti motivazioni. Si sa soltanto che la gnà Pina è vedova, abbastanza agiata, sembra che vada con tutti i maschi che vuole e questi ci vanno, anche se di uno solo (che non aveva nulla di speciale a parte la propria bellezza e gioventù) sembra invaghirsi veramente, e però, nonostante tutti questi rapporti, ha avuto soltanto una figlia dal proprio marito. In quanto vedova veniva forse emarginata da una comunità che, resa sempre più precaria dall'unificazione nazionale, andava accentuando elementi di primitivo egoismo? Fa non poco spavento vedere una donna non più giovane obbligare al matrimonio la figlia, con minacce di morte, per poter andare a letto col genero. Oppure dobbiamo pensare che s'era decisa a sedurlo perché nella famiglia della figlia si sentiva di troppo? In fondo prima della relazione incestuosa, la figlia aveva già partorito almeno due figli. Ma la Maricchia non era forse una "buona e brava ragazza"? Per quale ragione la madre avrebbe dovuto sentirsi un'esclusa? Difficilmente una donna come la Lupa, di fronte alle sue esigenze erotiche sarebbe andata in depressione come le donne borghesi insoddisfatte dei loro mariti e costrette però, per convenienza, a recitare la parte che il loro ruolo imponeva. Cosa voleva far capire il Verga a queste donne borghesi, che bisogna essere più coerenti? Verga aveva forse anticipato Freud contestando la morale sessuale borghese, che nell'inconscio vorrebbe essere come quella della Lupa e che però sa che non le è lecito? Tuttavia una figura positiva in questa novella c'è, ed è Maricchia, che piangeva di nascosto a causa del comportamento libertino della madre (cosa che le impediva di poter contrarre un matrimonio regolare e che forse la escludeva dalla società), e che alla fine si ribella in maniera netta al rapporto incestuoso con suo marito, inducendo la madre, la cui relazione è ormai sulla bocca di tutti, a prendere delle decisioni. Sbaglia chi sostiene che l'omicidio ristabilisce l'ordine patriarcale spezzato: in realtà esprime proprio l'impotenza di quest'ordine a risolvere in maniera umana e democratica i propri problemi. L'unico personaggio in grado di opporsi al destino, salvaguardando la propria dignità, era stata proprio Maricchia, che rifiutò senza macchiarsi di sangue il rapporto subalterno alla madre. Lei era andata a denunciarla, esponendola alla pubblica riprovazione: avrebbe potuto continuare a vivere in famiglia se il marito non l'avesse uccisa o se la vergogna si fosse ripetuta? O essa stessa l'avrebbe uccisa? E la madre? come avrebbe potuto continuare a vivere in quella casa o con quale coraggio (anche se il diritto l'aveva, essendo sua la casa) avrebbe potuto cacciare la figlia e il genero? Orgogliosa com'era non poteva che suicidarsi facendosi ammazzare. Forse aveva sopravvalutato il suo ascendente su Nanni e sulla figlia, aveva voluto sfidare la sorte, non s'era resa conto che in una morale religiosa l'istinto contro la coscienza produce alla lunga un climax insopportabile. II Noi ovviamente non possiamo sapere se questa novella peschi nella realtà (Capuana disse che il suo ritmo stilistico pareva quello di una leggenda popolare), ma ci piace ipotizzare ugualmente delle piste ermeneutiche, abbozzando qualche soluzione interpretativa, senza alcuna pretesa. Ecco dunque quattro domande:
Ed ecco alcune possibili risposte:
Se alla lettura di questa novella la borghesia del Nord, sul piano morale, ne usciva scandalizzata, pretendendo la censura del Verga; sul piano politico, invece, ne usciva riconfermata nell'esigenza della propria dittatura di classe, e allora il Verga doveva essere strumentalizzato in senso anti-meridionalista. Per la borghesia del Nord non era in questione soltanto la relazione incestuosa che andava necessariamente biasimata, ma anche, più in generale, l'esperibilità esplicita dell'erotismo, basata sul puro istinto. Facendo fare ai contadini del Sud la parte della borghesia priva di scrupoli etico-religiosi, Verga non solo non ha ottenuto consensi da parte della stessa borghesia, ma ha dato anche una rappresentazione falsata dei contadini del Sud, risultati vittime di tutto: del Nord, delle circostanze, delle passioni e del destino. Dal punto di vista borghese Verga non fu abbastanza furbo; invece di prendere sul serio il dramma del Mezzogiorno post-unitario, avrebbe dovuto fare come Pirandello, che aveva perfettamente capito che cosa la borghesia del Nord voleva sapere delle classi sociali del Sud, per sentirsi giustificata nella propria posizione egemonica. |
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