Cavalleria rusticana, di GIOVANNI VERGA

GIOVANNI VERGA, CAVALLERIA RUSTICANA

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GIOVANNI VERGA


Scritta quasi contemporaneamente all'altra, non meno famosa, La lupa, la Cavalleria rusticana appartiene alla raccolta di novelle verghiane Vita dei campi (1880), che fu la prima a legarsi ai canoni e metodi veristici. Entrambe calcarono le scene teatrali (l'una anche cinematografiche, l'altra anche melodrammatiche: l'opera di Mascagni è forse ancora più nota). Per decenni è stata la novella del Verga più popolare e più rappresentata, al punto che lui stesso provvide a ristamparla in edizioni revisionate: p.es. in quella del 1883 sostituisce la scena finale e molto cruenta del duello, col grido di un personaggio aggiuntivo, Pipuzza ("Hanno ammazzato compare Turiddu"), ripreso poi da Mascagni, e Turiddu, nel melodramma (che ha meno intensità drammatica), chiede alla madre di prendere con sé Santa come figlia, in quanto lui le aveva promesso di sposarla.

E' ambientata nella provincia di Catania, la stessa dell'autore, ma fu scritta a Firenze, proprio nell'anno in cui egli poté ritrovare Giselda Fojanesi, con cui aveva avuto una relazione amorosa nel 1869 (da notare che la ripresa di questo rapporto indurrà il marito di lei, Mario Rapisardi, quotato poeta e accademico catanese, a cacciarla di casa nel 1883). E il titolo si riferisce al fatto che i due rivali in amore si erano dati appuntamento sul luogo del duello senza infamarsi, senza provocarsi (anche se il rifiuto del bicchiere di vino, da parte di Alfio, era un gesto gravemente offensivo), ma con relativa tranquillità, usando persino lo strano rito dell'orecchio morsicato, come prova di lealtà, pur essendo entrambi consapevoli di compiere una cosa illegale, da "selvaggi". Che detta "cavalleria" non fosse aristocratica ma "rustica" è dimostrato dal fatto che il duello viene compiuto in gran segreto, senza rispetto di alcuna regola, senza la presenza di alcun testimone o padrino. Ufficialmente si sapeva che dovevano fare un affare, svolgere una trattativa. Il duello era così segreto che, in teoria, non si sarebbe neppure dovuto sapere il nome di chi aveva accoltellato Turiddu.

D'altra parte non poteva esserci alcuna regolarità, in quanto Alfio, la parte offesa, non avrebbe permesso che se ne conoscesse pubblicamente la motivazione, a meno che qualcuno non l'avesse denunciato. Ma dov'erano i testimoni del delitto? Lo stesso Verga - ci si può chiedere - come ha potuto raccontare nel dettaglio le ultime fasi del duello, senza introdurre una terza persona? Se le avesse raccontate Alfio, non avrebbe certo fatto cenno alla scorrettezza della polvere buttata negli occhi del rivale né all'offesa gratuita rivolta alla madre di quest'ultimo. Sicché proprio la parte più cruda, appare anche la meno realistica (e qui si tace del fatto che con una coltellata all'inguine difficilmente Alfio avrebbe potuto reagire con così tanta forza e destrezza).

E, in ogni caso, se anche vi fossero stati dei testimoni, quale tribunale avrebbe condannato Alfio, in quell'isola dove, allora, i duelli e le faide non erano certo rari e dove i delitti d'onore non erano penalmente perseguibili? Ecco perché nulla vien detto della fine di Alfio. La giustizia è "personale" e, quando è in gioco l'onore, è sempre violenta.

Da notare che persino in quel frangente così altamente tragico vi è un'ironia di fondo, in quanto Turiddu era andato a "militare" come bersagliere per uno Stato della legalità (che voleva imporre anche al Sud le proprie leggi) e si era trovato a duellare per far trionfare la giustizia privatamente.

Ma di che "giustizia" stiamo parlando, visto che la questione del contendere è tipicamente amorosa? Qui bisogna fare molta attenzione a distinguere i due piani del sociale e del personale, che nel Verga invece si sovrappongono di continuo e non solo in questa novella, al punto che il lettore spesso non sa a quale dei due dare maggiore importanza.

Per capire la differenza bisogna concentrarsi sull'unica persona nei confronti della quale Turiddu manifesta sentimenti di umanità: la propria madre, che aveva dovuto vendere (ad Alfio?) la mula baia e (a Cola?) il pezzetto di vigna. Sono le vicende tristissime della madre che inducono il figlio a vendicarsi dei ricchi del suo paese. Egli infatti dirà ad Alfio che se ha torto come "amante", ha però ragione come "figlio" di una donna che ha sofferto ingiustizie, senza che nessuno l'aiutasse.

Quando torna dalla leva Turiddu è ancora innamorato di Lola, ma ben presto muta atteggiamento, in quanto si rende conto di non avere alcuna speranza di sposarla. E comincia a darsi delle motivazioni con cui spiegare il voltafaccia di lei, che non aveva avuto la pazienza di aspettare il suo ritorno. Qui Verga la presenta come una ragazza volubile, materialistica, che ha pensato a sistemarsi, la cui fede religiosa è del tutto formale, convenzionale (è credente ma pensa al denaro e, dopo averlo ottenuto col matrimonio, tradisce il marito, e poi si confessa, recita il rosario...). A lei dispiace vedere Turiddu amareggiato, ma non vuole illuderlo.

A lui dava particolarmente fastidio non solo il fatto che Lola si fosse messa con un carrettiere agiato, ma anche, e ancor più, che sua madre, durante il suo servizio militare, si fosse molto impoverita. Era partito e tornato con le migliori intenzioni e si sentiva doppiamente tradito a causa della sua povertà. Turiddu era di origine contadina e non si vergognava di esserlo (non si vergogna neppure di dire che, a causa della forzata lontananza, aveva versato molte lacrime nel fazzoletto che lei gli aveva regalato). Lola invece voleva emanciparsi, e in lei le due emancipazioni (economica e sessuale) vanno di pari passo. In questa novella i maschi difendono l'onore che le femmine hanno loro tolto.

Lola e Santa, le due giovani donne, belle e attraenti, fanno una parte meschina, ipocrita: solo la madre di Turiddu si salva, la quale però non dice quasi nulla. Turiddu sembra essere soltanto l'espressione dandy di due donne superficiali, che anticipano la Lupa, assetata di sesso. Forse non è proprio lui il vero protagonista, ma Alfio, poiché dietro quest'ultimo vi è il Verga maturo, che riporta le cose al loro ordine naturale (la formalità del matrimonio), usando lo strumento nudo e crudo della forza; Turiddu invece era predestinato alla sconfitta proprio perché vinto dalle sue stesse "illusioni", come il Verga giovane. Persino la tipologia della sua vendetta, essendo alquanto vergognosa e che tale restava nonostante il padre di Santa fosse un vignaiolo "ricco come un maiale" e nonostante cacci di casa Turiddu per la sua povertà, lo destinava all'insuccesso, per quanto l'autore, mescolando il sociale col personale, miri a farlo passare come vittima di circostanze avverse. Turiddu non vuole vendicarsi solo dell'onore ferito, ma anche della miseria subìta, e l'una motivazione sembra sempre giustificare l'altra.

Il misogino Verga, che nel matrimonio non ha mai creduto, preferendo avventure galanti da dongiovanni impenitente (1); il Verga pauperista, che si vantava d'aver difeso contadini e pescatori pur dichiarandosi antisocialista; il Verga miscredente, che pretende di smascherare l'ipocrisia della fede in nome del cinismo, è in realtà presente in ognuno dei personaggi della novella. Che avesse delle debolezze sessuali è ben visibile là dove descrive il momento dell'amplesso di Turiddu e di Santa (si noti la scelta di questo nome, fatta per puro senso antireligioso), seppur con gli artifici dell'eufemismo (Lola si concede proprio mentre dice ripetutamente la parola "chiacchiere"). Che bisogno aveva di dar sfoggio di morbosità e voyeurismo? Non bastavano poche parole per far capire che si amavano? Si ha qui l'impressione ch'egli abbia voluto fare dell'erotismo esagerato un parallelo al lato violento della vita: un modo, questo, di cui l'autore si serviva per scioccare il lettore, per farsi strada nel difficile mondo dell'editoria (in quel mondo in cui scatenò varie controversie giudiziarie a carico dell'editore Sonzogno per il riconoscimento dei diritti d'autore in relazione al melodramma di Mascagni).

La novella è erotica anche là dove viene detto che Lola ascoltava, non vista, i sospiri d'amore dei due amanti e ne provava vergogna (arrossiva), ma nel contempo si eccitava, poiché è proprio lei a invitare esplicitamente Turiddu ad andarla a trovare. Queste forme disinvolte di sessualità non solo denunciano una certa qual morbosità nell'autore (che verrà poi ereditata dal D'Annunzio), ma appaiono anche poco realistiche nella Sicilia del 1880. Il maschilismo allora imperante non avrebbe permesso alla donna di reiterare per molto tempo la colpa; sicuramente il padre di Santa o il marito di Lola non avrebbero avuto bisogno di aspettare che il tradimento, per ripicca o per gelosia, andasse avanti per dei mesi, e molto probabilmente Turiddu sarebbe stato eliminato senza neppure ricorrere ad alcun (rischioso) duello. Non è da escludere che il Verga si sia servito di queste forzature per dare maggiore risalto al suo acceso ateismo: qui una sessualità del tutto istintiva non può essere regolamentata da alcuna etica religiosa, che pur esiste nelle due donne. D'altra parte anche Turiddu è ateo, visto che mangia salsiccia alla vigilia di Pasqua.

Verga ha utilizzato l'ambiente catanese, con tutte le sue tradizioni, i gerghi, i costumi abituali... per collocare in maniera realistica le sue novelle, ma le vicende, anche se possono aver tratto spunto da qualche episodio veramente accaduto, sono per gran parte inventate. Paradossalmente proprio lui, che aveva introdotto in Italia, mutuandolo dalla Francia, il principio estetico dell'impersonalità, al fine di estraniarsi, come autore, dalle vicende raccontate, risultava essere il più coinvolto.

Resta comunque difficile analizzare le sue novelle subito dopo averle lette. Sono tanti i riferimenti ambientali (culturali, antropologici e sociologici) non sempre facili da capire e per i quali, effettivamente, si ha l'impressione che stia parlando la gente comune. Queste novelle bisogna digerirle, lasciarle decantare, cercando di filtrarle accuratamente, poiché vogliono dire molto di più di quanto appaia a prima vista. La rapidità veramente drammatica e sconcertante con cui l'autore fa precipitare la vicenda, cogliendo del tutto impreparato il lettore, rende questa e altre novelle di molto superiore agli stessi romanzi. Il Verga è ben presente non solo quando si nasconde dietro il discorso indiretto libero e alla sua particolare maestria di far parlare i personaggi tenendoli muti, ma anche quando si nasconde dietro il suo background siciliano, di cui ama esasperare alcune singole componenti, in modo da produrre effetti sconvolgenti, sicuramente molto moderni.

Nota

(1) Che fosse misogino lo si capisce anche laddove dice che le ragazze "si rubavano" (o "si mangiavano") Turiddu, vestito da bersagliere, con gli occhi. Se fosse stato vero, al massimo l'avrebbero guardato incuriosite, oppure incredule al vedere che un siciliano potesse andare vestito così: insomma stupite non affascinate, cioè non come se fossero subito disponibili ad andare con uno che pareva uno straniero. Anche quando usa l'espressione "col naso dentro la mantellina", Verga tradisce una certa insofferenza per il genere femminile. La stessa espressione la usa nei Malavoglia, aggiungendo una frase volgare a sfondo anti-religioso: "e Dio sa che peccatacci fa fare ai giovanotti!".

Cavalleria rusticana (pdf) - Materiali vari sulla Cavalleria rusticana (zip) - Eros (zip) - Storia di una capinera (zip) - Mastro don Gesualdo (zip) - I Malavoglia (zip)

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Aggiornamento: 10-02-2019