LE ORIGINI E LA NATURA DELLA DEMOCRAZIA IN GRECIA
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IL PERCORSO CULTURALE E POLITICO DEI GRECI

(b.5) Considerazioni conclusive
Prima di passare a parlare dell'età
classica, vogliamo riassumere brevemente i concetti principali espressi fin qui.
Abbiamo in questo secondo capitolo analizzato la fase arcaica della
storia greca, quella cioè che va dall’VIII (inizio della grande
colonizzazione) alla prima metà del VI secolo a.C. (ultimi decenni prima
della rivoluzione democratica ateniese).
Come si è visto, tale periodo fu
caratterizzato dalla nascita e dal consolidamento di stati territoriali
costituiti da un centro urbano sede sia delle attività politiche che di alcune
specifiche attività economiche (commercio e artigianato), che dominava su un più
o meno vasto comprensorio rurale. Alla base di questa trasformazione vi furono
alcuni fenomeni concomitanti e in gran parte interconnessi: l'espansione dei
traffici e della produzione finalizzata al commercio; la nascita di nuove classi
emergenti d'estrazione non nobiliare e di nuove classi di poveri (teti),
entrambe in buona misura gravitanti attorno ai centri urbani; e infine – fattore
certo non secondario – l'invenzione degli eserciti oplitici.
La città-stato del resto, non fu
assolutamente caratterizzata dal dominio univoco di una classe sulle altre,
bensì al contrario dal fatto di essere il luogo dello scontro/incontro tra
diverse classi, portatrici ciascuna di propri interessi e di propri parametri
mentali. In questo essa si differenziò dalle città moderne, sorte essenzialmente
per iniziativa delle borghesia e come tali fondamentalmente dominio di
quest’ultima (e ciò anche perché l'aristocrazia feudale rimase prevalentemente
insediata e radicata nelle campagne e quindi lontana dalle città).
In Grecia, al contrario, ogni ceto
sociale finì per dare un proprio apporto essenziale alla vita della città e
dello stato. Il popolo in generale (ovvero sia le classi più ricche, che quelle
più povere) lottò per la conquista di leggi scritte che mitigassero gli enormi
poteri di cui l'aristocrazia aveva goduto nei secoli passati. Le nuove classi
emergenti (le cosiddette “classi medie”) si batterono invece, e con parziale
successo, per ottenere il diritto a entrare a fare parte della cittadinanza
attiva al fianco alla nobiltà. Quest’ultima infine, consapevole – almeno nelle
sue sfere più illuminate – dell'inevitabilità delle trasformazioni in atto, si
sforzò di mantenere il proprio ruolo d’egemonia rinnovandosi e facendo propri in
una certa misura i valori e le esigenze del mondo che si andava delineando. Non
a caso (come abbiamo già mostrato e come avremo modo di mostrare ancora nel
prossimo capitolo) fu proprio la nobiltà la classe che diede la prima
formulazione dei fondamenti etici a base della città-stato.
La polis sorse insomma nel
segno della convivenza e della contaminazione tra classi sociali differenti,
portatrici di diverse visioni delle cose, ovvero essenzialmente: dell’antica
aristocrazia guerriera e possidente, impregnata di valori agonali
fortemente individualistici; della sfera più umile dei ceti popolari, la
cui esistenza era da sempre improntata a valori solidaristici e
comunitari; ed infine delle classi emergenti e benestanti (le quali, in tempo di
guerra, andavano a comporre le fila degli eserciti oplitici) portatrici
di una visione per molti versi intermedia alle precedenti, in quanto
basata sull’idea di un libero apporto del singolo cittadino alla
vita della comunità a partire da condizioni di fondamentale eguaglianza
giuridica.
E fu proprio quest’ultima visione
quella che, laddove almeno riuscì, attraverso la lotta politica, a prevalere
sulle altre due (e in particolare sulla prima), determinò la nascita e lo
sviluppo di sistemi sempre più paritari: ovvero nei casi più estremi (come
quello di Atene) democratici.
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