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FORNI E FORNAI
Nella raccolta degli statuti di Ravenna del secolo quattordicesimo
si riferisce del giuramento che doveva prestare il magistrato preposto a
stabilire il peso del pane. Da tale giuramento si apprende che fin da
allora esisteva il calmiere.
Nessun fornaio poteva guadagnare più di
quattro soldi per staio, dedotte le spese.
Quando lo staio del grano era
circa al prezzo di venti soldi, i fornai dovevano fare due pani per un
quattrino, al peso determinato dal comune. Il fornaio che contravveniva
a questa disposizione era multato di cinque soldi e perdeva il pane. |

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Era usanza allora diffusa impastare il pane in casa per portarlo a
cuocere al forno pubblico. Il fornaio che riceveva il pane crudo da
cuocere era obbligato a consegnarlo ben cotto e stagionato, altrimenti
doveva risarcire il danno.
Non poteva cedere ad altri la custodia del
forno e doveva dar fideiussione di cento soldi all'ufficiale deputato a
controllare che queste norme venissero rispettate. Due volte la
settimana due uomini probi a ciò, nominati dal podestà, erano tenuti a
verificare se il pane che si vendeva nei vari forni di Ravenna era di
giusto peso, se era "albus sine buffetto", cioè bianco e ben fermentato. |
Nei libri delle Parti Del Comune, cioè negli atti consiliari, si
legge in data 18 giugno 1538 che, venduto il dazio del pane, il nuovo
Conduttore volle imporre condizioni ritenute onerose dai fornai i quali
si ribellarono invocando il calmiere affinché il loro guadagno restasse
di quattro bolognini per staio. Così per vari secoli funzionò il
calmiere, non senza di tanto in tanto qualche veemente contestazione. |

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Nei capitoli della "Grascia", del Cardinal Valenti Gonzaga
pubblicati nel 1779, si legge testualmente al capo XX: "Perché la città
di Ravenna resti provveduta di pane, si accorderà ai fornai concorrenti
l'obbligo del mantenimento del medesimo, li quali però saranno obbligati
osservare li capitoli, che se coloro verranno concordati nell'istromento
d'appalto, e uniformarsi al calmiere che di mese in mese verrà loro
fatto dal Magistrato dei Signori Savi". |
E ancora, curiosa clausola: "Se accadesse che qualche fornaro ardisse di
porre studiosamente dell'oglio nel pane, o terra, gesso, calcina, semola, o di
mescolarvi altre cose cattive sarà castigato in mena di scudi 10, perdita del
pane, privazione dell'esercizio e tre tratti di corda ad arbitrio di Sua
Eminenza Legato".
Il 10 aprile 1801 venne con editto del Cardinale
Braschi-Onesti proclamata la libertà del commercio interno dei grani, tanto per
la circolazione che per i prezzi, ma le antiche privative dei forni continuarono
a sussistere nonostante fosse stato accordato a tutti il diritto di fabbricare
pane, senza alcuna prescrizione di prezzo o di peso. |
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Con avviso del 25 gennaio 1820 il Gonfaloniere stabiliva che per
tutto l'anno avrebbe avuto luogo la libera vendita e fabbricazione del
pane e delle farine. Ma le cose non andarono bene.
Troppi furono gli
abusi tanto che l'anno dopo il consiglio comunale adottò la creazione
del cosiddetto "Forno Normale" che veniva controllato dagli addetti del
Comune e serviva da confronto per i forni privati. Ma dato il fluttuare
del prezzo del grano avveniva talvolta che i privati vendessero il loro
pane ad un prezzo inferiore a quello del "Forno Normale". |

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Nel 1872 il calmiere fu abolito a causa di tante lagnanze da parte della
popolazione per la sofisticazione della qualità del pane dovuta alla mistura di
sostanze, e nel 1880 fu chiuso il "Forno Normale", sia perché la gara di appalto
andò deserta, sia perché non recava alcun vantaggio pratico.
Nel 1880 a Ravenna il pane di prima qualità costava 50 centesimi, di seconda
35 centesimi. A Forlì i prezzi erano rispettivamente di 36 e 33 centesimi. Solo
due anni dopo a causa dei numerosi abusi dei fornai venne ripristinato il
calmiere in uso per il pane non di lusso fino a pochi anni fa.
Testi di Umberto Foschi e
Gianluca Missiroli |