L'ARTE BIZANTINA E RUSSA

PER UN'ALTERNATIVA UMANISTICA


STORIA DELL'ICONOGRAFIA RUSSA

I - II - III

Salvatore non fatto da mano d'uomo. Simon Ušakov. 1673

L'arte della Russia antica è sostanzialmente religiosa ed è compresa nei secoli X-XVII. Con la conversione della Russia al cristianesimo (fine sec. X), divenuto religione di stato, si adottarono i modelli della cultura bizantina, che erano altamente evoluti nel mondo feudale europeo.

Le città in cui si concentra l'attività degli iconografi sono Vladimir, Kiev e soprattutto Novgorod (la "Firenze russa"). In particolare a Novgorod, rimasta relativamente libera dal giogo tataro, si sviluppa una scuola nazionale iconografica che progressivamente si rende indipendente dai canoni bizantini, pur senza metterne in discussione la concezione della luce, della prospettiva, delle proporzioni.

Il boom dell'arte iconografica russa si verifica nei secoli XIV e XV, poco prima del crollo definitivo dell’impero bizantino, nei secoli dei grandi santi russi, nell’epoca in cui la Russia si raccoglie attorno al monastero di san Sergio e risorge dalle rovine delle invasioni tatare.

Ciò sostanzialmente avviene sulla base di tre fattori: lo sviluppo politico-civile della Russia ortodossa e nazionalista, che ritrova fiducia nelle proprie tradizioni; la spiritualità dei grandi asceti russi, riunitisi soprattutto attorno al monastero della s. Trinità di s. Sergio di Radonez (1313-92), il quale era chiaramente favorevole a una riscossa militare antimongola (non dimentichiamo che tutti i maggiori iconografi erano monaci); l'arrivo in Russia da Bisanzio di un pittore, Teofane il Greco, le cui notevoli capacità artistiche fecero scuola agli iconografi russi, tra cui Rubljov (o Rublev).

Prima di parlare dell'arte russa è bene però sapere a che punto era arrivata l’iconografia bizantina dei secoli XIII e XIV, seguendo la sintesi schematica di Tania Velmans:
“1. l’intrusione dei valori affettivi nel sacro;
2. la comparsa del volume e del modellato;
3. la dinamicizzazione delle scene grazie ai movimenti rapidi dei personaggi;
4. le tendenze narrative che si esprimono mediante un aumento dei protagonisti che partecipano alla rappresentazione di un episodio evangelico e mediante il moltiplicarsi dei dettagli (architetture, alberi, rocce, vasi, brocche, personificazioni ecc.;
5. l’integrazione di dettagli appartenenti al retaggio antico (cariatidi, effetti di tessuti fluttuanti, tipi di fisionomie più arrotondate, più giovanili, carnose, con tratti più ampi e di un certo spessore);
6. a questo si aggiunge, alla fine del XIV e all’inizio del XV secolo, una nuova dimensione lirica, una dolcezza e un’eleganza che ricordano l’arte italiana contemporanea e trovano la loro espressione più compiuta in Andrea Rublev;
7. i rivestimenti in metallo divengono frequenti e, così come le iconi in mosaico, mostrano un gusto spiccato per le materie preziose che è sempre esistito a Bisanzio, ma che adesso si esprime molto più spesso;
8. a partire dai secoli XI e XII, ma ancora di più nei secoli XIV e XV, l’icona è anche toccata da un’influenza proveniente dalla liturgia;
9. il XIV secolo, infine, vede affermarsi le scuole pittoriche regionali e, nella regione di Novgorod in Russia, una variante stilistica particolare e facilmente riconoscibile”(in “Oriente cristiano”, n. 1-2/1982).

Di questi nove punti la tradizione russa farà proprio, in maniera sublime, soprattutto il primo.

I tre grandi fenomeni della storia russa: l’eroismo spirituale dei grandi asceti, lo sviluppo civile della Russia ortodossa, le sublimi conquiste della pittura religiosa paiono legati da uno stretto nesso che l’immagine, triste e insieme gioiosa, di san Sergio, dipinta nelle icone, esprime in maniera eloquente.

Anche gli iconografi, se volevano riprodurre la vita di un santo, non potevano semplicemente calarsi nel personaggio, come fanno gli attuali attori cinematografici: dovevano piuttosto assumere, per quanto possibile, il loro stesso stile di vita. Andrej Rublev, il maggiore degli iconografi, praticava con severità la vita monastica e i digiuni.

Nelle icone della metà del secolo XIV si avverte chiaramente il senso di fiacchezza morale e di generale prostrazione del popolo russo di fronte alle invasioni tatare, la viltà di un popolo che non osa credere in se stesso, nella propria capacità di riscatto e, in campo artistico, nelle proprie forze autonome creative.

I volti delle icone sono allungati, greci, con occhi grandi, barbe corte, a volte leggermente appuntite, non russe. Anche l’architettura delle chiese è greca o quasi. Le cupole sono ancora poco appuntite e hanno la forma quasi rotonda della cupola greca. Così pure le gallerie superiori (“matronei”) all’interno dei templi sono di stile greco.

Nel XIV secolo il grande decollo della pittura religiosa russa porta due nomi stranieri: Isaia il greculo e Teofane il greco. Quest’ultimo fu anche il più grande artista di Novgorod (la “Firenze russa”) e maestro di Rublev ("novello Giotto"), capostipite dell’arte nazionale russa. Dipingendo il tempio di Santa Sofia di Costantinopoli, Teofane il greco influenzò per molto tempo anche lo stile architettonico. Le sue icone si caratterizzavano per un tratto incredibilmente sicuro, per la capacità di ottenere effetti psicologici altamente espressivi con mezzi molto modesti.

Sarà solo nei secoli XV e XVI che le icone acquisteranno carattere più spiccatamente russi. Questo mutamento, dovuto al grande slancio nazionale che in quel momento coinvolgeva tutta la società russa e grazie anche all’eroismo di san Sergio e di Dmitrij Donskoj, si manifesta nell’iconografia anzitutto con la presenza del largo volto russo, spesso incorniciato da una folta barba, con un taglio asiatico degli occhi. Persino il volto di Cristo assume lineamenti russi.

Altri particolari tipicamente russi si possono constatare nella bardatura dei cavalli, nella pelliccia, nel forno del pane… A partire da san Sergio comincia la predilezione per il deserto russo: le selvagge foreste. I monasteri vengono fondati lontano dalla città. La bellezza del bosco impenetrabile, delle rocce deserte e delle acque solitarie viene amata come la manifestazione esteriore di un diverso e più spirituale aspetto della nazione. Accanto all’eremita e allo scrittore, banditore di questo nuovo amore fu l’iconografo.

Tuttavia, la differenza maggiore tra le due iconografie riguarderà la particolare importanza che i russi, non solo con Rublev, ma anche con Dionisio, vorranno dare ai sentimenti umani, al mondo interiore dei loro protagonisti, di contro al carattere austero, rigoroso, oggettivo, ai limiti del convenzionale tipico dell'iconografia tardo-bizantina. Si ha insomma l'impressione che nella nuova arte russa i pittori si sforzino di rappresentare più la psicologia dei personaggi (il lirismo delle loro emozioni) che non il contenuto teologico del contesto in cui essi si muovono.

Ovviamente anche l’architettura subisce delle modifiche: le cupole dei templi ora sono nettamente appuntite, e con esse tutta la parte superiore della facciata ha assunto una forma decisamente a bulbo di cipolla.

All’epoca della dominazione tatara la Russia aveva disimparato a costruire: era stata dimenticata persino la tecnica della costruzione in pietra, tant’è che quando i maestri russi, alla fine del secolo XV, cominciarono a edificare i templi, i muri spesso crollavano. Quando la minaccia tatara scomparve, la Russia cominciò a prendere contatti con l’occidente, e qui gli italiani contribuirono notevolmente ad insegnare ai maestri russi le tecniche migliori per costruire in muratura, anche se, per quanto riguardava le forme architettoniche degli edifici i maestri italiani dovettero uniformarsi ai modelli russi, su esplicito ordine di Ivan III.

Nello stile russo quindi non solo è assente lo stile italiano ma anche quello bizantino. La Russia era diventata cristiana solo nel X secolo: era ancora un giovane paese alla ricerca della propria identità. Dopo la riscossa nazionale dal giogo tataro-mongolo, il risveglio artistico autonomo non poteva prescindere dalle sofferenze subite per circa due secoli, anche a causa della rivalità interna tra i ceti dominanti russi, non disponibili a una centralizzazione dei poteri in funzione anti-mongola.

Guardando ad es. la cupola bizantina gli artisti russi ebbero l’impressione che il tempio esprimesse una compiutezza eccessiva, priva dell’aspirazione verso qualcosa di superiore. Essi avevano bisogno di dimostrare che il riscatto delle sofferenze secolari era diventato possibile, ma, non avendo tradizioni consolidate cui potersi riferire (quelle bizantine avevano appena messo radici nel loro sconfinato territorio) finirono con l’accentuare il momento soggettivo dell’arte, come generalmente avviene quando si fa della sofferenza la principale fonte di ispirazione.

L’armonia bizantina pareva loro una sorta di immobilità orgogliosa, che si addice propriamente solo alla perfezione divina: ecco perché l’arte russa, per avendo preso le fondamenta da quella bizantina, esprime un’ansia per l’assoluto che la rende maggiormente influenzabile ai modelli occidentali.

Questo spiega il motivo per cui il secolo XIV – un secolo di sofferenza popolare – non diede raffigurazioni di dolore più profonde di quelle che diedero i secoli seguenti: soltanto dopo averlo superato i russi giungeranno alla conclusione che il dolore riscattato meritava di essere posto al vertice dei valori esistenziali e culturali e quindi artistici. Fino ad allora si ebbe la percezione di vivere un destino che rischiava di apparire privo di significato.

Per fortuna le tradizioni bizantine riuscirono ad avere la meglio nell’arte facendo sì che nel XV secolo la cosa più importante nell’iconografia non fosse la drammaticità della sofferenza, ma la gioia nella quale essa si trasfigura.

Quest'arte, tuttavia, già sul finire del XVI sec. lascia intravedere i segni della sua decadenza. Divenuta status-symbol del potere politico e religioso, l'icona di trasforma in un oggetto di lusso, dove la forza creativa dell'artista si concentra sul gusto per l'ornato, sulla ricchezza delle vesti dei santi, sulle sontuose decorazioni del trono sul quale siede il Cristo, ecc. Il vigore cromatico inevitabilmente si affievolisce. Si arriverà addirittura a imprigionare l'icona di una rivestitura dorata o argentata (riza), rendendola così una sorta di opera di gioielleria.

Nel XVIII sec. l'arte sacra verrà progressivamente sostituita dall'arte realistica, di contenuto laico.


Web Homolaicus

Enrico Galavotti - Homolaicus - Sezione Storia Medievale - Sezione Arte
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Aggiornamento: 11/09/2017