LA GUERRA DEL VESPRO (1282-1302)
LU REBELLAMENTU DI SICHILIA


Premessa su Carlo d'Angiò - Gli Svevi nel Mezzogiorno - La politica angioina
La politica ecclesiastica - La guerra del Vespro - Dopo il Vespro - Considerazioni - Fonti


Papa Gregorio XPapa Clemente IV

La politica ecclesiastica

Convenzioni di Viterbo (1267)

Nel maggio 1267 le Convenzioni di Viterbo, sottoscritte da papa Clemente IV (1265-68), Carlo I d’Angiò, re di Sicilia (1266-85), Guglielmo II di Villehardouin, principe di Acaia/Morea (1246-78), Baldovino II di Courtenay, imperatore spodestato di Costantinopoli (1240-61; titolare: 1261-73), stabilirono di conquistare definitivamente l’impero bizantino entro sei anni dalla loro stipulazione, cioè entro il 1274. Era soprattutto Carlo d’Angiò che voleva appropriarsi del Levante.

Il trattato si poneva come un grave ostacolo alla riconciliazione tra mondo latino e mondo bizantino, che proprio nel 1274 si sarebbe tentata al concilio di Lione.

Con esso si rinunciava alla politica ecclesiastica di Innocenzo IV (1243-54), che aveva preferito trattare con Giovanni III Ducas Vatatze (1222-54), imperatore bizantino a Nicea, e col patriarca ecumenico Manuele II (1243-54), pensando di restituire loro l’impero e la sede, tolti con la IV crociata e la nascita dell’impero latino d’oriente, a condizione che la chiesa d’oriente si sottomettesse a quella romana.

Gli ultimi tentativi di riconciliazione verranno fatti dall’imperatore Michele VIII Paleologo (1258-82) e da papa Gregorio X (1271-76).

Concilio di Lione II (1271-76)

Al concilio di Lione II la chiesa romana cercò di ratificare gli accordi unionisti firmati nel 1274 a Costantinopoli, favoriti anche dall’iniziativa dei Paleologhi, principi di Nicea, che, aiutati dai genovesi, ristabilirono l’egemonia dell’impero bizantino sui territori che i crociati latini avevano conquistato dal 1204, anno della IV crociata (ideata contro i musulmani ma condotta praticamente contro Bisanzio), quei territori che rimasero in mano latina sino al 1261.

La chiesa romana, sfumato il disegno di conquistare con la forza i domini del basileus, aveva tentato, col concilio appunto di Lione, di riconquistarli con la diplomazia, cercando di accattivarsi le simpatie dei sovrani bizantini contro l’ostinata autonomia del clero ortodosso, che non voleva piegarsi a riconoscere il papato superiore alle istanze conciliari, né la sede romana superiore a tutte le altre.

Tuttavia a quegli accordi si opposero gli stessi francesi con Carlo d’Angiò e i veneziani, che volevano schiacciare il basileus, servendosi dei patti viterbesi del 1267.

Non dimentichiamo infatti che Filippo I di Courtenay (1273-83), successore del padre Baldovino II e genero di Carlo d’Angiò, veniva considerato in occidente “imperatore titolato di Costantinopoli”, così come il veneziano Pantaleone Giustiniani si considerava “patriarca di Costantinopoli”. Sia Filippo che Carlo d’Angiò volevano occupare tutto l’impero di Bisanzio.

Dopo il concilio, Niccolò III, un anno prima di morire, mandò nel 1279 una legazione a Bisanzio per convincere il basileus Michele VIII Paleologo (1261-82) e il patriarca Giovanni Bekkos XI (1275-82), ch’era stato scelto da Michele proprio per ratificare l’unione di Lione, a sottomettersi pacificamente all’egida della chiesa romana, prima che fossero costretti a farlo militarmente per opera di Carlo e Filippo.

I risultati però dell’iniziativa furono nulli, non per volontà dei due sovrani ortodossi, ma per volontà del popolo. Sicché Carlo, che sfruttò il concilio anche per ottenere fondi finanziari, iniziò a spedire un’armata nei porti dell’Albania, al comando di Ugo de Sully, il quale però, quando sferrò l’attacco a Berat, con l’appoggio del despotato di Epiro, subì una pesante sconfitta da parte dei bizantini.

Tuttavia a Viterbo, dopo sette mesi di tempestoso conclave in cui Carlo d’Angiò arrivò persino a imprigionare i due più influenti cardinali italiani, che si opponevano alla fazione francese, accusandoli di interferenze illegali nel conclave, venne eletto all’unanimità al soglio pontificio il cardinale francese Simon de Brion, col nome di Martino IV (1281-85), intenzionato ad appoggiare il piano militare di Carlo.

Il papa infatti gli restituì subito la dignità di “senatore di Roma” e gli affidò il governo politico nazionale e internazionale in funzione anti-bizantina.

Per legittimare questa svolta indice un convegno a Orvieto nell’estate del 1281 e nell’autunno ordina di appendere sulla porta del duomo la sentenza di scomunica contro il basileus Michele VIII, con cui in pratica si poneva fine a tutti i tentativi diplomatici di riunificazione delle due confessioni cristiane.

Lo scopo era di notificare a Carlo I, a Filippo I, agli ambasciatori veneziani (i genovesi restarono fedeli al Paleologo) che, essendo il basileus uno scismatico impenitente, non restava che muovergli una crociata. La partenza dell’armata sarebbe dovuta avvenire a Corfù, isola già di dominio angioino, nel maggio del 1282.


Enrico Galavotti - Homolaicus - Sezione Storia Medievale
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Aggiornamento: 01-05-2015