LA RIVOLUZIONE INDUSTRIALE


PREMESSA: PARTE II

I - II - III - IV

I

Quando si parla di capitalismo si deve per forza parlare di rivoluzione industriale, la quale, a sua volta, non può prescindere da quella tecnico-scientifica.

Noi non sappiamo se avrebbe potuto esserci rivoluzione industriale senza capitalismo. Sappiamo però che il capitalismo commerciale e quello finanziario possono fare a meno della tecnologia, mentre quello industriale assolutamente no.

Sappiamo anche che il passaggio dal capitalismo commerciale e finanziario a quello industriale non è affatto automatico. P. es. là dove c'è schiavismo (privato o statale) o servaggio, la tecnologia a fini produttivi resta primitiva. L'Italia ha conosciuto un capitalismo commerciale e finanziario prima di ogni altro paese europeo, ma è stata una delle ultime a fare la rivoluzione industriale. Di regola la rivoluzione industriale si fa soltanto quando esiste uno Stato e un mercato nazionali.

Il capitalismo presuppone una cosa che la rivoluzione industriale, di per sé, non può garantire: la libertà giuridica della persona. In particolare l'imprenditore ha bisogno di un operaio libero da sottoporre a contratto. E, poiché l'imprenditore non è un agrario, l'unico modo di ottenere profitti è quello di far lavorare un operaio davanti a una macchina.

L'imprenditore, storicamente, non era che un ex-commerciante disposto a investire i propri capitali nell'acquisto di macchinari, mediante cui far lavorare per un salario i propri dipendenti, padroni soltanto della loro capacità lavorativa.

Laddove si è imposta una rivoluzione industriale, il fine è sempre stato quello di realizzare profitti sui mercati. L'industria produce anzitutto valore di scambio, il cui valore d'uso è inerente appunto allo scambio. Per il capitalismo ciò che non si scambia, ovvero ciò che non ha un prezzo, non ha alcun valore. I valori d'uso si producono nei sistemi basati sull'autoconsumo e sul baratto. E in questi sistemi l'industria non esiste neppure: al massimo esiste l'artigianato, che è locale e basato anch'esso sull'autoconsumo.

Laddove esistono scienza, tecnica, capitali da investire nelle macchine, industrializzazione e mercati, esistono anche altri tre aspetti di fondamentale importanza, se il capitalismo è il sistema di riferimento in cui tutte queste cose vengono realizzate: 1. proprietà privata dei mezzi produttivi; 2. sfruttamento del lavoro salariato, che può portare a un'acuta conflittualità tra capitale e lavoro; 3. sfruttamento intensivo dalla natura.

La storia ha cercato di dimostrare che le due rivoluzioni, tecnico-scientifica e industriale, avrebbero potuto realizzarsi anche in assenza dei tre suddetti aspetti, ma l'esperimento (quello del cosiddetto "socialismo reale") è fallito. Indubbiamente il socialismo, nazionalizzando la proprietà dei mezzi produttivi, aveva risolto il conflitto tra capitale privato e lavoro salariato. E tuttavia aveva creato un nuovo problema: lo Stato veniva a porsi come unico sfruttatore di tutta la manodopera lavorativa. Con l'eliminazione del mercato si disincentivava la produzione, soprattutto quella leggera e di qualità. Con la pianificazione degli obiettivi produttivi, imposta dall'alto, s'incoraggiavano atteggiamenti che di etico non avevano nulla (dalle vessazioni da parte delle autorità costituite ai rapporti falsificati in merito agli indici produttivi raggiunti, sino agli atteggiamenti opportunistici di quelle aziende che, pur essendo economicamente improduttive, sapevano a priori che lo Stato non le avrebbe fatte fallire). E, quel che è peggio, le risorse naturali venivano saccheggiate impunemente. Il rispetto integrale per l'ambiente sembra essere possibile solo in assenza di tecnologia industriale.

II

Vi sono altre due questioni da affrontare: una è relativa alla cultura, l'altra riguarda il luogo. Le due domande sono le seguenti: quale cultura è in grado più di altre di promuovere lo sviluppo della rivoluzione industriale del capitalismo? Perché la rivoluzione industriale avvenne anzitutto in Inghilterra?

Per quanto riguarda la cultura, bisogna dire che sono state due le confessioni religiose (cioè le culture dominanti di quel tempo) che hanno favorito la nascita della borghesia: quella cattolico-romana e quella protestante. La prima ha permesso la nascita della classe borghese, ben presente nei Comuni italiani già a partire dal Mille, poi nelle Signorie e nei Principati. Lo sviluppo di questa classe borghese ha poi permesso la rivoluzione tecnico-scientifica in campo astronomico e nella navigazione transoceanica. La cultura protestante (soprattutto nella sua variante calvinistica), dopo aver ereditato mezzo millennio di dura contestazione nei confronti del papato, favorì sicuramente lo sviluppo della borghesia mediante il capitalismo commerciale e finanziario, entrambi molto più potenti laddove si era ottenuta l'unificazione nazionale.

La prima vera rivoluzione industriale avverrà però solo verso la metà del XVIII secolo e in un ambito protestante già abbondantemente laicizzato. Essa avvenne in Inghilterra per una serie di ragioni, la prima delle quali fu che, dopo la cocente sconfitta nella guerra dei Cent'anni con la Francia, dopo la trentennale guerra delle Due Rose, in cui i principali Casati aristocratici si erano quasi sterminati, dopo la lunga e dolorosa rivoluzione politica della borghesia, terminata alla fine del Seicento, l'Inghilterra era una nazione che avrebbe potuto risollevarsi soltanto puntando decisamente sui commerci oltreoceano, sulla conquista delle colonie in Asia e America e persino sulla pirateria (il Regno Unito aveva la più potente flotta mercantile d'Europa). Furono i capitali (legali e illegali) realizzati con questi traffici, unitamente ad altri fattori, che permisero agli inglesi di diventare i fautori della prima rivoluzione industriale.

Tra gli altri fattori si possono segnalare i seguenti:

1. in forza delle disastrose guerre (interne ed esterne) subite nei secoli XVI e XVII, l'aristocrazia inglese era passata dal feudalesimo a una gestione borghese delle proprie terre, trasformando gli arativi in prativi, con conseguente vendita della lana delle pecore; recintando i beni agricoli comuni; espellendo forzatamente i contadini dalle loro terre, in quanto manodopera in esubero; introducendo la rotazione quadriennale, ecc.;

2. questa manodopera eccedente, unitamente a una forte crescita della popolazione, a partire dal 1741, permetteva, a chi voleva investire i propri capitali, di poter usufruire di un ottimo mercato del lavoro a prezzi molto contenuti; l'incremento demografico era peraltro indispensabile per un'industria di largo consumo come il tessile;

3. grazie al proprio colonialismo, gli inglesi poterono rifornirsi di materie prime a basso costo (fondamentali per il tessile, come p.es. il cotone) e potevano beneficiare di mercati di sbocco per le loro merci;

4. la libertà di commercio, a livello nazionale, era assicurata da una totale assenza di barriere doganali;

5. due risorse naturali, necessarie per far sorgere una rivoluzione industriale, erano relativamente abbondanti: carbone e ferro, con cui si potranno costruire nuovi mezzi di trasporto.

In particolare gli inglesi capirono subito che il cotone, una fibra vegetale omogenea, si prestava meglio della lana alla lavorazione meccanizzata. Tessitura e filatura cambiarono completamente, al punto che negli anni '30 dell'Ottocento una persona poteva, con un solo aiutante, far funzionare quattro telai, producendo 20 volte di più di un tessitore a mano. E si trattava ancora di macchine utensili mosse dalla sola energia umana e costruite prevalentemente in legno.

Il tessile a livello artigianale e il sistema dell'industria a domicilio (putting-out system) erano definitivamente tramontati. Con i nuovi sistemi il filato di cotone, nel 1816, costituiva il 40% delle esportazioni inglesi ed era una produzione i cui protagonisti erano donne, ragazzi e persino bambini. E non mancò chi cercò di distruggere le macchine, trovandosi praticamente senza lavoro (vedi il fenomeno del luddismo).

Il tessile, a sua volta, favoriva la produzione del ferro, con cui si cercò di sostituire i telai in legno. La fusione del ferro però non poteva più avvenire col carbone della legna, perché le riserve del legname si stavano esaurendo (inoltre la ghisa prodotta in questa maniera era poco pura). La svolta si ebbe quando si cominciò a produrre ghisa di buona qualità in altiforni alimentati a coke (carbon fossile): in meno di vent'anni la produzione di lingotti di ghisa era raddoppiata, e di ciò trasse grande beneficio anche il nascente settore ferroviario.

Ma una svolta ancora più grande si ebbe quando, nel 1775, si risolse con una ingegnosa macchina a vapore il problema dell'acqua in profondità nelle miniere in cui si estraeva il carbon fossile. Per la prima volta si era capito che il vapore poteva essere usato come forza attiva, capace di generare movimento. Questa macchina a vapore fu poi applicata massicciamente al tessile, nelle fonderie (come mantice) e soprattutto all'industria dei trasporti (treni e navi). La prima locomotiva è del 1814, e nel giro di qualche decennio l'industria ferroviaria sostituì quella tessile nel ruolo di settore trainante di tutta l'economia.

L'industrializzazione europea

1. Fino agli anni '70 dell'Ottocento tutti i paesi europei hanno imitato l'industria inglese, senza però aver bisogno di ripercorrere tutte le sue tappe. Quindi è vero sino a un certo punto che chi scopre per primo le cose resta sempre avvantaggiato. E' invece vera un'altra cosa: che nell'ambito del capitalismo - sistema antagonistico per definizione -, chi arriva secondo è più aggressivo del primo, perché per imporsi deve essere più spregiudicato. Infatti il decollo industriale, che tra i primi paesi europei vide il Belgio (Valle della Schelda, per le miniere di carbone) e la Francia (1830-60), portò a eventi epocali in altre tre nazioni: la Germania e l'Italia, col nazi-fascismo, che furono le ultime a industrializzarsi, e non a caso queste stesse nazioni, oltre all'impero austro-ungarico, saranno indotte a scatenare la prima guerra mondiale, in cui si troverà coinvolta anche la Russia, paese arretrato sul piano industriale, che però per modernizzarsi preferirà la via della rivoluzione d'Ottobre.

2. Quando s'impone l'industria, l'artigianato muore, poiché l'industria ha prezzi più bassi e può soddisfare, in minor tempo, più persone, anche se le merci sono tutte uguali e non possono essere personalizzate (se non a costi molto elevati). Quindi non viene rovinato solo l'artigianato della nazione industrializzata, ma l'artigianato di qualunque nazione, semplicemente perché nessuna nazione può fare a meno, ad un certo punto, d'importare prodotti meno costosi dei propri. Se poi in questione vi sono delle colonie, esse devono per forza importare le merci provenienti dalla madrepatria (come p. es. l'India nei confronti del Regno Unito, a meno che non siano le stesse colonie a ribellarsi, come fecero gli Stati Uniti, sempre nei confronti degli inglesi).

3. Il fatto che i paesi europei e americani abbiano imitato abbastanza facilmente la Gran Bretagna, non vuol dire che sia così facile imitare una produzione di tipo industriale. Ciò è potuto avvenire perché le basi culturali di partenza erano, fra tutti questi paesi, relativamente equivalenti. Non esisteva quell'enorme divario, ancora oggi presente, tra la cultura euro-americana e altre culture africane o sudamericane.

4. Di regola quanto più in Europa l'industrializzazione fu tardiva, tanto più si allontanò dal modello inglese, basato, grazie al potente colonialismo, su imprese che si autofinanziavano e che non avevano bisogno di un sostegno da parte dello Stato o delle banche. Inoltre il modello inglese, essendo gestito da privati, si basava su beni di consumo rivolti al mercato (specie i tessuti di cotone) per poter realizzare profitti immediati; altri modelli invece si concentrarono di più sull'industria pesante, sulla produzione di macchinari, sull'estrazione di materie prime. Per questo avevano bisogno del sostegno o dello Stato o delle banche.

5. Nell'Ottocento l'industria più importante è stata quella ferroviaria. Le ferrovie stimolarono la produzione di macchine a vapore (p.es. le locomotive), nonché l'estrazione di carbone e ferro. Le ferrovie favorirono la circolazione di merci e persone. Esse furono la forma principale di penetrazione del capitalismo nelle campagne e di collegamento tra le città (in Russia precedono addirittura l'industrializzazione).

Grazie alle ferrovie nascono le banche d'investimento vere e proprie, cioè disposte a investire nel lungo periodo, per poter realizzare ingenti profitti.

Tra il 1850 il 1870 il commercio, l'industria, la circolazione della moneta, delle cambiali, dei titoli di credito, dell'oro aumentano in maniera incredibile. I paesi sono persino in grado di agganciare il valore delle loro monete al valore dell'oro fisico presente nei loro forzieri. Cosa che oggi sarebbe impensabile, poiché il valore della moneta circolante è di molto superiore a quello dei lingotti conservati nelle banche statali.

6. Naturalmente le nazioni che sono partite per prime vogliono soltanto il libero commercio e nessuna forma di protezionismo, mentre quelle partite dopo hanno bisogno del protezionismo per tutelare le loro industrie dalla concorrenza straniera. Perché vi sia libero scambio, bisogna specializzarsi in qualcosa, con cui vincere la competizione. Quindi almeno sino al 1860-70 permane in Europa il protezionismo, in assenza del quale, per non soccombere, diventa prioritario fare continui investimenti sulla conoscenza scientifica e tecnica e continui miglioramenti ai macchinari.


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Enrico Galavotti - Homolaicus - Sezione Storia
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Aggiornamento: 22/02/2015