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VIDEMUS NUNC PER SPECULUM IN ENIGMATE
1-2-3-4

Barbaglia contro
Augias-Pesce (pdf-zip)
Queste riflessioni vogliono essere un commento alle osservazioni critiche che
don Silvio Barbaglia ha fatto al testo di C. Augias – M. Pesce,
Inchiesta su Gesù. Chi era l’uomo che ha cambiato il mondo, ed. Mondadori,
Milano 2006.
Il valore della fede
Testi come quello di Augias-Pesce, oggi sempre più numerosi, rendono
esplicito un fatto che alla chiesa romana piace sempre meno, e cioè che
un'analisi storica delle fonti neotestamentarie può salvaguardare una certa
"fiducia" nei confronti dell'uomo-Gesù, rinunciando però del tutto alla "fede"
nel Cristo figlio di dio. Di fatto la "fede personale" non solo si presenta come
ingrediente del tutto inutile nell'indagine storica di quelle fonti, ma
addirittura diventa fuorviante, in quanto impedirebbe una qualunque
reinterpretazione critica di quelle stesse fonti.
In effetti, dando per scontato che gli aspetti
religioso-confessionali siano all’origine della predicazione del Cristo, appunto
perché così essi appaiono nelle fonti cristiane più antiche, gli esegeti
credenti non riescono ad accettare che uno storico possa mettere in discussione
tale postulato. E per loro, che non si rassegnano all'idea della fine di un loro
monopolio interpretativo delle verità cristiane, è dunque difficile pensare che
sulla base di questo postulato si possa impostare un confronto che porti a
risultati convergenti.
Don Silvio
Barbaglia p.es., per il quale la prova della verità delle fonti neotestamentarie sta proprio nel fatto
che esiste ancora oggi una chiesa che crede in quelle fonti, considera i racconti relativi all’ultima cena, quelli in cui -
secondo la chiesa - il Cristo dà per certo che verrà tradito e ucciso, come
la quintessenza della nascita del cristianesimo, quando proprio in quei racconti
la falsificazione redazionale raggiunge uno dei suoi massimi livelli.
E dice questo senza rendersi conto che su molte parti di quelle stesse fonti vi
sono interpretazioni discordanti persino all’interno delle stesse confessioni
cristiane (si pensi p.es. al passo matteano sul cosiddetto “primato di Pietro”).
Ebbene, noi sappiamo che anche il mondo contadino ha creduto per millenni in
tante verità agricole, trasmesse oralmente, ma questo non ha impedito alla
borghesia di distruggerle con la forza.
La differenza tra coscienza laica borghese e coscienza laica democratica sta
proprio in questo, che oggi non si vuole distruggere con la forza alcuna verità,
ma si vuole lasciare al libero dibattito la formazione di una consapevolezza
critica del fenomeno religioso. E' disposta la storiografia confessionale a un
confronto del genere?
Se è disponibile a un dibattito franco e aperto perché, pur non chiedendo allo storico di aderire
spontaneamente alla fede, pretende ch'egli non metta mai in forse la religiosità
dell’evento Gesù? Per quale ragione uno storico laico deve accettare la tesi
confessionale secondo cui non esiste un Gesù diverso da quello dei vangeli?
E' stata la coscienza laica, non certo quella
religiosa, ad aprire la ricerca sulle fonti neotestamentarie. Il fatto che siano
state scoperte palesi incoerenze, inspiegabili lacune, stridenti contraddizioni
dovrebbe indurre i credenti a guardare quelle fonti con più spirito critico e
meno ingenuità.
L’approccio laico delle fonti cristiane non si pone come obiettivo politico
quello di distruggere la fede, quanto quello di stabilire dei percorsi culturali
in cui sia possibile muoversi liberamente, alla ricerca di una verità che non
può più essere data per acquisita né può essere considerata appannaggio della
sola fede. Starà poi alla coscienza di ognuno trarre le debite
conseguenze.
Il valore delle fonti
Il fatto che esistano fonti prodotte dalla “fede” non deve portarci a
considerarle del tutto inutili ai fini della ricerca storica della verità. Lo
storico può sempre cimentarsi in una loro reinterpretazione, cercando di
scoprire o almeno di ipotizzare dove e come è stata operata una falsificazione o
manipolazione dei fatti.
Certo, si lavora sulla base di ipotesi, in quanto non avendo fonti alternative
(di carattere laico) che ci diano un’altra versione dei fatti, non si può aver
la pretesa di dire l’ultima parola sulla vicenda che ha visto coinvolto
l’ebreo-Gesù. Forse l’unica fonte che mette in crisi l’intero impianto
filoromano presente nei vangeli, i quali attribuiscono le maggiori
responsabilità della morte del Cristo agli ebrei, è costituita dalla Sindone,
che non ha subito immediatamente le censure delle altri fonti proprio perché
solo con la moderna tecnologia se ne è scoperto il vero contenuto politico
(l’esecuzione di un rivoluzionario).
In ogni caso per uno storico laico è meglio lavorare sul materiale che c’è
dando per scontate le falsificazioni, piuttosto che non lavorarci affatto dando
per scontato che sia tutto vero.
Alla storiografia laica interessa assai poco scoprire i veri autori di tutte le
fonti protocristiane. Il Nuovo Testamento è stato scritto da Autori Vari per lo
più anonimi, che rappresentavano interessi comunitari diversificati.
Non è questo che rende poco credibili quegli scritti. In genere non si considera
propriamente “falsificato” un testo quando nel momento della riscrittura viene
manipolato in qualche singolo aspetto. Questa operazione sarebbe meglio
definirla col termine di “interpolazione”.
La falsificazione vera e propria è una sorta di “mistificazione ideologica” e riguarda
aspetti di fondo, sostanziali, dell’intero testo.
Nei confronti di questa falsificazione, su cui poggia l’intera struttura
ecclesiastica, una posizione storiografia di tipo “confessionale” non è in grado
di operare una ricerca scrupolosa, obiettiva… La storiografia clericale, se
vuole restare tale, deve accettare una preliminare falsificazione, quella
appunto che le permette di restare clericale.
Per la chiesa studiare l’evento Gesù non è come studiare Giulio Cesare. Cristo
non è solo un personaggio storico, ma anche un avvenimento che ha prodotto un
movimento di credenti che, seppur non omogeneo, è attivo ancora oggi.
Gli storici laici non possono non rendersi conto che quando esaminano le fonti
neotestamentarie si è in presenza di testi che si ponevano l’obiettivo di creare
una sorta di partecipazione popolare al potere costituito, in cui però gli
aspetti politici dovevano apparire come mediati da un’istanza di tipo culturale,
in quanto lo Stato romano veniva sì contestato a motivo del proprio integralismo
politico-religioso a favore del politeismo pagano, ma non come ente preposto
alla tutela del sistema schiavistico.
Questa forma di partecipazione popolare la chiesa la definiva e ancora oggi la
definisce di tipo “religioso”. Tant’è che studiosi come Barbaglia, anche se sono
disposti ad ammettere che nell’evento Gesù vi fosse un’intenzione di
trasformazione della realtà, da trasmettere alle future generazioni, non si deve
mai mettere in discussione che tale intenzione sia stata sin dall’inizio di
natura “religiosa”, pena il fraintendimento totale del significato delle fonti.
Dunque, secondo lui, solo uno storico di chiesa può adeguatamente interpretare
il cristianesimo.
In tal senso Barbaglia vorrebbe semplicemente limitare la ricerca storica
all’individuazione di quegli aspetti formali che hanno differenziato le varie
interpretazioni dell’evento Gesù, salvaguardando quella che può essere
considerata ancora oggi la parte sostanziale, e cioè che il Cristo è risorto in
quanto “figlio di dio”. Cioè vorrebbe semplicemente riconfermare operazioni esegetiche
già note, eventualmente con l’apporto dell’ermeneutica, senza mettere in
discussione né la fede né la teologia.
Sotto questo aspetto ci rendiamo conto che una qualunque discussione critica, con un uomo di fede,
sulle fonti cristiane, rischia di diventare una fatica sprecata. Infatti, per quanto illuminata possa essere
la sua posizione, sarà sempre minata da un vizio culturale di fondo, quello
appunto della fede, che se è necessaria per accettare le fonti cristiane,
diventa del tutto inutile, e anzi fuorviante, quando si tratta di
interpretarle. Meglio dunque sarebbe affrontare coi credenti temi extradottrinali,
argomenti di carattere generale, utili alla società civile.
Un punto di vista strumentale
L’uso delle fonti storiche è sempre strumentale a un proprio punto di vista.
Chi nega questa necessità, la riconferma tacitamente, anche quando il punto di
vista non è “proprio” ma “altrui”.
Si tratta piuttosto di far sì che tale punto di vista esca dai confini personali
e diventi un sentire comune, e qui i metodi da usare possono soltanto essere
quelli del libero confronto.
E' assurdo pensare che le fonti cristiane possano far valere la loro autenticità
basandosi semplicemente sul fatto che la chiesa ha duemila anni di storia
(l'ebraismo, p. es., ne ha quattromila), anche
perché all’interno della chiesa stessa l’interpretazione delle medesime fonti
non è mai stata univoca. A tutt’oggi le confessioni mondiali che si fronteggiano
nell’esegesi delle fonti cristiane sono tre: ortodossa, cattolica e protestante
(quest’ultima suddivisa in una miriade di comunità tra loro indipendenti).
Tutto quello che Barbaglia dice contro le intenzioni della storiografia laica
(relativa p.es. alla strumentalizzazione delle fonti) può essere tranquillamente
ritorto contro la chiesa stessa: l’atteggiamento strumentale non può essere
il "peccato" di qualcuno in particolare.
Il fatto stesso che “esistano” delle fonti scritte dovrebbe indurre lo storico a
porsi di fronte ad esse in maniera guardinga. Infatti da quando esistono le
“civiltà” la storia non è mai stata scritta dai poteri “deboli” (che spesso non
hanno neppure gli strumenti per scriverla).
Se fra mille anni restassero in mano agli storici solo i film americani sugli
indiani, che possibilità avrebbero di recuperare la verità originaria su quelle
tribù? E se oggi esistesse una persona analoga a Gesù Cristo, con l'unica differenza che fosse
preoccupata di mettere tutto per iscritto, al fine di non essere male
interpretata, avrebbe forse più speranze di poter raggiungere i propri
obiettivi?
Non è forse vero che qualunque cosa può sempre essere manipolata da chi sta al
potere? E se questo potere trova dei seguaci convinti, degli eredi spirituali,
non è forse vero che le manipolazioni possono andare avanti anche per decine di
anni, addirittura per secoli? Ci sono voluti 700 anni prima di scoprire che la
Donazione di Costantino era un falso patentato.
Un ricercatore non può non sapere che nell’ambito delle civiltà basate su
interessi antagonistici, le idee dei fondatori di movimenti politici o religiosi
facilmente vengono travisate, strumentalizzate o censurate dai loro epigoni. Se
si accetta questo dato di fatto per un grande personaggio della cristianità come
Francesco d’Assisi, tanto per fare un esempio, non si capisce perché lo si
dovrebbe escludere nei confronti di Gesù Cristo.
Insomma, a uno storico laico poco importa se, non tenendo conto del carattere
confessionale delle fonti neotestamentarie, egli rischia di ritrovare solo "se stesso"
nell’analisi dell’evento Gesù. L’importante è dimostrare che ai fatti
possono essere date interpretazioni diverse, la cui fondatezza sta unicamente
nella coerenza argomentativa. Chi può dire a priori che qualunque
interpretazione dell’evento Gesù che non voglia tener conto di aspetti religiosi
precostituiti, preliminari a qualunque ricerca, sia destinata al fallimento?
Stando alla storia è fallito piuttosto il progetto clericale di voler
trasformare qualitativamente la realtà sulla base della fede religiosa.
E' incredibile che uno storico del cristianesimo affermi che siccome
l’interpretazione ufficiale dell’evento Gesù, tramandataci dalla storia, è stata
di tipo confessionale, è impossibile sperare di poter ottenere, sulla base di
quelle stesse fonti, un’interpretazione non-confessionale di quel medesimo
evento.
Il che, detto in altre parole, vorrebbe dire: se una falsificazione s’è imposta,
è impossibile ottenere una verificazione; rebus sic stantibus, non si capisce
perché si debba considerare falsa l’interpretazione confessionale di un evento
che comunque è stato diffuso per duemila anni in tutto il pianeta, coinvolgendo
centinaia di milioni di persone.
Barbaglia in sostanza muove le sue argomentazioni all’interno di paletti
epistemologici ben strani, anche se comprensibili in uno storico cattolico:
- le fonti cristiane rappresentano non solo l’interpretazione più vera
dell’evento Gesù, ma anche l’unica possibile, al punto che se fosse del tutto
falsa, non vi sarebbe alcuna possibilità di dimostrarlo;
- uno storico laico non può dir nulla di significativo sull’evento Gesù proprio
perché è “laico” e come tale non è in grado di affrontare storicamente un evento
di tipo religioso.
Questa epistemologia fa inevitabilmente venire in mente le pagine illuminanti di
Orwell relative al “Bispensiero”. Per accettare le fonti cristiane occorre un
atteggiamento di fede che deve restare di fede anche in presenza di
dimostrazioni razionali che contraddicono i suoi postulati. "Se il tuo superiore
ritiene che il nero sia bianco...".
Fonte interna e fonte esterna
Se vogliamo affermare - sulla scia di Barbaglia - che una fonte esterna ai fatti
narrati è meno
attendibile di una interna, ci sono mille ragioni per sostenere anche il
contrario.
La verità di una fonte non è cosa che possa essere dimostrata a priori o una
volta per tutte, non è data neppure dalla presunta coerenza ch’essa ha coi fatti
che intende rappresentare. Generalmente anzi una coerenza troppo stretta o
stringente viene vista con sospetto dagli storici.
In astratto si può sostenere che una fonte può essere ritenuta autentica quando
si può dimostrare che non è falsa, ma questa dimostrazione, dal sapore
tautologico, è puramente tecnica e quasi priva di valore.
L'autenticità che ci interessa non è tanto quella di attribuire con certezza
la paternità o la data di un'opera, quanto piuttosto quella che offre un'interpretazione
verosimile della realtà.
Il quarto vangelo, p. es., viene
attribuito falsamente a Giovanni, eppure ha alcune versioni dei fatti (la
cacciata dei mercanti dal tempio, la scoperta della tomba vuota ecc.) più
convincenti di quelle di Marco, che è fonte primaria di Matteo e Luca.
Non solo, ma la verità dei fatti raramente viene scoperta soltanto attraverso le
fonti, autentiche o meno che siano: occorre anche una loro continua
reinterpretazione.
Se Lenin non avesse scritto una riga e noi avessimo come fonte storica le sole
opere di Stalin, noi non avremmo capito la fondamentale differenza tra leninismo
e stalinismo. Questo tuttavia non ci avrebbe impedito, in maniera assoluta, di
risalire alla verità dei fatti; certo sarebbe stato un lavoro più faticoso, ma
alla fine qualcuno ce l’avrebbe fatta.
In ogni caso resta molto significativo che pur in presenza di tante opere
scritte da Lenin non si sia potuto impedire allo stalinismo di travisarne il
contenuto e di far prevalere un’ideologia antidemocratica: questo dovrebbe
portarci a credere che una fonte scritta non offre maggiori garanzie di
autenticità o minori rischi di falsificazione di una fonte orale.
Una fonte è sempre un’interpretazione dei fatti, anche quando presume d’essere
una loro oggettiva descrizione. Dunque quella interpretazione, per essere meglio
compresa, va sempre reinterpretata e non semplicemente, come fanno gli esegeti
confessionali, chiosata, commentata, motivata. Gli avvocati, nel corso delle loro cause,
conoscono benissimo questo principio.
Non ha più senso sostenere che quanto ha detto e fatto Gesù Cristo può essere
stabilito solo prendendo le fonti canoniche così come sono (as is),
proprio perché quelle fonti
vanno continuamente reinterpretate, a prescindere da altri possibili
ritrovamenti archeologici; anzi, nella misura in cui gli storici smetteranno di
essere credenti, vi saranno sempre più nuove ipotesi esegetiche, che non avranno
certo il timore, discostandosi dalle fondamentali tesi dogmatiche, di apparire
"eretiche".
D’altra parte uno storico non può essere così ingenuo da credere che
un’interpretazione degli eventi cristologici, rifiutata dalla chiesa sin dalle
origini e quindi considerata “eretica”, sia di per sé più attendibile di quella
canonica. Il trotskismo non costituiva certo una convincente alternativa allo
stalinismo, ma questo non significa che non vi possano essere barlumi di verità
o elementi che avvicinano alla verosimiglianza anche negli scritti che la storia
ha considerato “minoritari” o “eterodossi”.
Oggi è importante sostenere che una qualunque indagine “critica” della vicenda
del Cristo deve necessariamente partire da un affronto laico delle fonti, cioè
da un affronto che non considera l’approccio di fede come il più idoneo
a interpretare quella vicenda.
Un approccio laico, p.es., esclude a priori tutti i racconti di resurrezione
come fonti attendibili dei fatti, anche se si guarda bene dal cestinarli come
non-fonti in quanto tali. Anche quei racconti vanno reinterpellati: la loro
importanza non sta tanto in ciò che volevano dimostrare (nella fattispecie la
resurrezione di Gesù), quanto piuttosto nel modo in cui volevano dimostrare
questa tesi.
Il fatto stesso che allora si avvertì l’esigenza di produrre racconti del
genere sta necessariamente ad indicare che sulla questione della tomba vuota
circolavano tesi diversificate se non contrapposte, già nell’ambito dei primi
discepoli del Cristo, e che al momento in cui quei racconti furono scritti, come
tutti quelli inerenti a cose fantastiche e sovrumane, non poteva esistere più
nessuno in grado di smentirli.
La stesura delle fonti
Indubbiamente sono state più comunità a redigere le fonti neotestamentarie, non
sono opera di singoli redattori autonomi. A monte di quei testi vi sono comunità
la cui ideologia, ad un certo punto, è divenuta maggioritaria tra i discepoli
del Cristo.
Lo sviluppo di questa canonizzazione non ha solo comportato profonde
fratture tra le versioni laiche e religiose dell’evento Gesù, ma anche tra le
stesse versioni religiose (il petrinismo p.es. non è certo uguale al
paolinismo).
Se non fosse stato così, sarebbe impossibile spiegare il motivo per cui di tutti
i discepoli evangelici alla sequela di Gesù, ne restano pochissimi negli Atti.
In particolare risulta ancora oggi del tutto inspiegabile il motivo per cui
l’apostolo Giovanni, che nel quarto vangelo viene definito con l’appellativo di
“discepolo prediletto”, non abbia alcun ruolo negli Atti, pur essendo
vicinissimo a Pietro subito dopo la scoperta della tomba vuota.
Ma di esempi come questi se ne potrebbero fare a iosa.
Sicuramente una posizione come quella dell’apostolo Tommaso indicava una
corrente realistica o materialistica all’interno della comunità post-pasquale.
Molto misterioso è il ruolo politico e umano giocato da un personaggio come
Lazzaro, citato solo nel vangelo di Giovanni.
E' difficile pensare che la chiesa, già per mezzo di Pietro, non abbia
voluto ridimensionare le pretese politico-rivoluzionarie dei discepoli di Gesù.
Pare anzi che l’esaltazione degli aspetti religiosi in tutte le fonti
neotestamentarie sia direttamente proporzionale alla volontà di censurare gli
aspetti politici della predicazione di Cristo.
Anzi quella di servirsi di aspetti etico-morali o sovrannaturali (in primis i
miracoli) per
censurare o strumentalizzare quelli politici, specie se eversivi, è una
peculiarità di tutte le religioni. L’umanesimo religioso è stato usato dal
cristianesimo proprio in contrapposizione al socialismo laico.
L’ideologia religiosa, in tal senso, andrebbe considerata come
un’interpretazione mistificata della realtà. Essa lo è oggettivamente, a
prescindere dalle intenzioni di chi la usa per interpretare la realtà.
Questo ovviamente non significa che un’interpretazione laica non possa essere
mistificante (nella sua Storia delle dottrine economiche Marx smontò o
decodificò una per una le teorie laico-borghesi dell’economia), ma sicuramente
non lo è per i classici motivi religiosi (che sponsorizzano fenomeni mistici,
soprannaturali o irrazionali), anche se dietro un’interpretazione laica
mistificata spesso si celano condizionamenti di tipo religioso (quante volte si
è detto che l’idealismo filosofico tedesco altro non era che una sorta di
laicizzazione del protestantesimo?).
In ogni caso la “scientificità” di una ricerca storica non può essere data
dall’aderenza alla volontà interpretativa dei fatti che avevano i primi
cristiani, proprio perché il significato di quella volontà oggi viene sempre più
messo in discussione (lo stesso Barbaglia fa risalire a Reimarus le prime
operazioni di smontaggio laico del cristianesimo primitivo).
Qualunque storico sa benissimo che non si è certo più “obiettivi” interpretando
il redattore di una fonte così come lui vuole essere interpretato, anche se
questa sua volontà, più o meno dichiarata, non può essere trascurata.
L’ebraicità di Gesù
L’ebraicità di Gesù sta nel carattere politico-rivoluzionario del suo
messaggio, non certamente nel nesso di politica e religione. L’integralismo
politico-religioso, a sfondo nazionalistico, gli era del tutto estraneo. E, se
per questo, gli era ancora più estraneo lo spiritualismo mistico-cosmopolita
elaborato da Paolo di Tarso.
In un caso non vi sarebbe stato nei vangeli il duro scontro del movimento
nazareno con le istituzioni ebraiche (del tempio: sadducei, sommi sacerdoti,
anziani; e delle sinagoghe: scribi e farisei); nell’altro caso non vi sarebbe
stato il faticoso e contrastato sviluppo del paolinismo, ben individuabile nelle
Lettere e nella seconda parte degli Atti.
Sostenere, come fa Barbaglia, che gli storici laici “sottraggono arbitrariamente
la figura di Gesù dal suo contesto giudaico originario”, quando un’operazione
del genere è stata compiuta dalla chiesa cristiana sin dai tempi di Paolo, fa
specie in uno studioso qualificato delle fonti cristiane.
Conclusione
La storia non è uno specchio in cui ci si possa riflettere adeguatamente. Gli
storici laici che danno interpretazioni non conformi all’obiettivo confessionale
delle fonti neotestamentarie, non sono “selvaggi arbitrari disonesti”, ma, con
le parole di Paolo, affermano: “Ora vediamo come in uno specchio, in maniera
confusa; ma allora vedremo a faccia a faccia” (1 Cor 13,12). Il che, in parole
evangeliche, voleva dire: “Lasciate che il grano e la zizzania crescano insieme
fino alla mietitura” (Mt 13,30).
Uno che insegna religione dovrebbe sapere queste cose. Fonti
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Ateismo filosofico nel mondo antico. Religione, materialismo, scienza. La
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L'illuminismo e la rinascita dell'ateismo filosofico
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Necessità e libertà. L'ateismo oltre il materialismo
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Dio non esiste. La realtà e l'evoluzione cosmica tra caso e necessità
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La filosofia e la teologia filosofale. La conoscenza della realtà e la
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Vita morte evoluzione. Dal batterio all'homo sapiens
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Dal nulla al divenire della pluralità. Il pluralismo ontofisico tra energia,
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Il diavolo nei dettagli. Saggi sull'agnosticismo
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Ateismo nel Cristianesimo. Per la religione dell'Esodo e del Regno. «Chi
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Una religione senza Dio. Satori e ateismo
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Problematica dell'ateismo
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