AGOSTINO D'IPPONA

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AGOSTINO D'IPPONA (354-430)

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AGOSTINO E LO SCETTICISMO

Nella sua prima opera giuntaci, La controversia accademica, Agostino nega allo scetticismo che si possano confutare le verità matematiche o il principio di non-contraddizione o l'autocoscienza umana.

Come noto, sul principio d'identità s'è fondata la logica in Europa occidentale e ci vorrà Hegel per sostenere ch'esso in realtà rispecchiava una forma di ingenuità, in quanto la verità non sta né in A né in B ma in C, cioè nella loro sintesi.

Ragionamento analogo si potrebbe fare per la matematica, i cui teoremi sono validi non in sé ma in rapporto a un certo contesto logico e spazio-temporale (si vedano ad esempio le geometrie non-euclidee).

Ma forse la contestazione più significativa è la terza: lo scettico, cioè l'ateo, può dubitare di tutto, ma non del fatto di dubitare. Dunque l'assoluto relativismo è una contraddizione in termini, una posizione intellettualistica, in quanto, di fatto, uno non può relativizzare che sta relativizzando tutto.

Anticipando di oltre un millennio Cartesio, Agostino dirà "Se m'inganno sono". Con la differenza che mentre Agostino voleva dire che, comunque la si pensi, non si può dubitare della propria esistenza, ovvero lo scetticismo non può arrivare a negare ciò che lo pone; in Cartesio invece l'esistenza veniva posta come conseguenza logica del dubbio individuale.

La differenza era inevitabile per questa ragione: il "sum" dell'uno voleva dire "comunque sono", nell'altro voleva dire "dunque sono". In Agostino il "sum" voleva essere la controprova di un'esistenza che non dipende da noi, in quanto di origine divina; nell'ateo Cartesio l'esistenza è come una conseguenza logica del Cogito, cioè non è data da qualcuno o da qualcosa di esterno al soggetto, ma si autopone.

Con Cartesio nasce la filosofia borghese, quella che non tollera la dipendenza ontologica dalla tradizione ecclesiastica (né d'altra parte quella dalla natura né quella dalla collettività). Con Agostino invece nasce una teologia cristiana astratta, a tendenza filosofica, che presume di arrivare a conclusioni inoppugnabili e che oggi però consideriamo del tutto indimostrabili.

Infatti con quella sua massima (Si fallor sum) egli aveva addirittura la pretesa di dimostrare l'esistenza di un'anima indipendente dal corpo. Gli animali - diceva - non dubitano, non hanno alcuna autocoscienza, quindi sono privi di anima.

Ora, a parte il fatto che è tutto da dimostrare che gli animali non dubitino (quando un felino si apposta per catturare un erbivoro, non può avere alcuna certezza che vi riuscirà veramente e deve per forza fare un calcolo delle probabilità), di sicuro è quanto mai assurdo pensare che, solo per il fatto che dubitiamo, deve per forza esistere in noi un'anima del tutto separata dal corpo e che in essa vi siano principi e regole universali che precedono qualunque sensazione o esperienza.

In altre parole, anche ammettendo che nell'essere umano vi siano capacità di astrazione, di riflessione, di empatia ecc. che l'animale non può avere, e che la presenza di queste capacità ci sia innata e non possa essere razionalmente spiegata, non ha alcun senso sostenere che tutto ciò implica di necessità l'esistenza di un essere superiore chiamato "dio". Aristotele gli avrebbe detto che questo sillogismo non solo non è vero ma neppure valido.

Un ragionamento del genere può farlo solo una persona isolata, alienata, alla ricerca non della verità delle cose, ma di una propria identità e che non riesce a trovare mettendosi a confronto con la realtà. Agostino arriva alla fede religiosa soffrendo di una forte estraniazione nei confronti della realtà sociale. Il suo "dio" è soltanto una soluzione intellettualistica, che resta tale anche quando s'introducono elementi emotivi, che sono poi quelli così tanto apprezzati dai filosofi occidentali, anche perché l'anima di cui egli parla non è qualcosa di esclusivamente "razionale", come in Aristotele, o una "scintilla divina" come in Platone, ma è "travagliata", anzi "lacerata" da una doppia volontà: una che tende al bene, l'altra al male, così come predicavano i manicheisti, che lui frequentò per circa un decennio.

I critici dicono che Agostino è il primo filosofo a interrogarsi sulla natura ambivalente della volontà e a mettere seriamente in discussione il semplicismo della filosofia greca, secondo cui non è possibile compiere il male se si conosce il bene sino in fondo.

Eppure il teologo Paolo di Tarso non aveva già forse detto che il suo era un "corpo di morte", in quanto la volontà faceva non ciò che desiderava ma ciò che detestava (Rm 7,18-25)? Dunque perché non limitarsi a dire che in Agostino si conciliano astratte istanze platoniche con riflessioni giudaiche di tipo esistenzialistico? E' curioso che nella storia del pensiero europeo, quello di origine ebraica sia sempre stato tenuto in così scarsa considerazione e che anche quando la sua influenza appare evidente, si faccia così tanta fatica a riconoscerne la paternità.

Persino quando nei manuali di storia della filosofia si prendono in esame dei teologi, assai raramente questi appartengono al mondo ortodosso-bizantino. La patristica greca, di molto superiore a quella latina, generalmente viene liquidata come "troppo oggettiva", troppo uguale a se stessa, priva di personalizzazione.

LA CRISI ESISTENZIALE DI AGOSTINO E LA FINE DELL'IMPERO ROMANO

In sant'Agostino si nota facilmente che l'esigenza di affermare un dio personale, un dio-padre è direttamente proporzionale alla percezione di una propria crisi di identità. E' talmente sfiduciato nelle possibilità che gli uomini hanno di cambiare gli eventi negativi, che ritiene inevitabile affidarsi esclusivamente alla grazia della divinità.

Probabilmente i greci non erano arrivati a tanto perché la realtà della polis impediva una lacerazione così profonda nell'animo umano. Sant'Agostino invece appare come un uomo alienato, solo, che ha assolutamente bisogno di credere in qualcosa di molto significativo, che dia senso all'intera sua vita. L'alternativa alla sua dissociazione (che nel suo periodo giovanile si esprimeva anche come dissolutezza) sembra essere o il suicidio o il credo quia absurdum. Le dimostrazioni logiche che lui fa dell'anima e di dio sono patetiche, in quanto vengono confusi nettamente i piani d'indagine, anzi, sarebbero del tutto ridicole se non pescassero in questa lacerazione esistenziale le loro inconsce motivazioni.

Sant'Agostino vive la drammatica crisi dell'impero romano non sapendo più cosa fare di "utile". Il mestiere dell'insegnante gli sembra ben poca cosa: non ha neppure un buon rapporto coi suoi studenti. Ha bisogno di darsi un obiettivo pubblico, chiaramente delineato, che però non riesce a trovare nel manicheismo: di qui la scelta per il cristianesimo predicato dal vescovo Ambrogio di Milano, che fu il primo a permettersi di utilizzare la scomunica per motivi politici, comminandola all'imperatore Teodosio.

Dai critici viene considerato un progresso il fatto che egli, per la prima volta nell'ambito della filosofia occidentale, abbia voluto interrogarsi sulla natura della volontà, che vedeva del tutto slegata dalla ragione, in quanto per lui l'uomo vuole una cosa e nel contempo il suo contrario. Viene considerata molto moderna la constatazione psicologica di una profonda contraddittorietà tra il dire e il fare nell'individuo, tra il desiderio e la volontà, tra l'essere e il dover essere.

In realtà era solo un progresso al negativo, con cui certamente egli sapeva mettere in luce l'illusorietà della filosofia platonica, per la quale si compie il male solo perché non si conosce il bene sino in fondo, ma senza nel contempo riuscire a costituire alcuna vera alternativa all'ingenuità filosofica dei greci (quella che anche Aristotele chiamava "intellettualismo etico").

Nell'immaginario di sant'Agostino la percezione di una catastrofe imminente dell'impero è così forte ch'egli pensa di poterla fronteggiare non avviando un discorso sul sociale, ma concentrandosi solo su di sé e sulla sua scrittura. E' all'interno di un soggettivismo esasperato, temperato dalla disciplina di uno scrittore di talento, che pensa di trovare la possibilità di un riscatto minimo.

La sua riflessione filosofica, tutta di origine pagana, s'innesta in una teologia tutta di origine ebraico-cristiana (quella soprattutto di san Paolo). La sua ignoranza della teologia greca gli aveva impedito di accorgersi che questa sintesi ideologica era già da tempo avvenuta nei Padri orientali, ma riesce comunque a trovarla nella letteratura latina cristiana a lui precedente, dagli scrittori occidentali del III sec. sino ai grandi Padri a lui contemporanei, tra cui appunto Ambrogio di Milano, Girolamo e Ilario di Poitiers. Combatté tutta la sua vita contro le eresie manichee, donatiste e pelagiane.

Viene considerato il massimo filosofo cristiano di tradizione latina e sicuramente il più influente teologo della chiesa romana fino ai tempi della Scolastica: ha scritto un centinaio di libri, di cui solo 10, di quelli da lui elencati, sono andati perduti. Tra le sue opere maggiori di carattere apologetico il De civitate Dei; tra quelle dogmatiche il De Trinitate e il De haeresibus; tra quelle psicologiche ed esistenziali le Confessioni e le Ritrattazioni.

LE TEORIE CREAZIONISTE DI AGOSTINO

Quando Agostino dice che la mutevolezza non ha essere, non è molto diverso dai grandi filosofi greci. E quando aggiunge che, proprio per questo motivo, tutto è stato creato da dio, ivi inclusa la materia e il tempo che la caratterizza nel suo movimento, egli non fa un passo avanti rispetto ai greci, ma, semmai, un passo indietro. Quelli almeno credevano nell'eternità del creato e quindi nell'eternità del suo movimento: il "demiurgo" andava inteso solo come ordinatore o regolatore dell'universo.

Per i greci non poteva esserci il nulla, in quanto a loro pareva un concetto troppo astratto per poter essere dimostrato o per poterci fare sopra dei ragionamenti razionali. In effetti i greci non avevano capito che il nulla, cioè il non-essere, è soltanto ciò di cui l'essere ha bisogno per rinnovarsi di continuo, per poter appunto essere se stesso. Ma in Agostino il nulla o il non-essere non esistono, perché quell'insicurezza che i greci provavano sul piano cosmologico, che li portava a negare il nulla, lui la viveva a titolo personale, nella sua coscienza lacerata, per cui gli diventava necessario darsi delle sicurezze artificiose, supplementari, che inevitabilmente, col tempo, già nella sua stessa teologia si trasformano in verità intolleranti nei confronti della diversità (non a caso la stragrande maggioranza dei suoi libri è stata scritta polemicamente "contro" qualcuno o qualcosa).

Un dio che crea dal nulla dà più sicurezza a chi percepisce il mondo come votato al male. All'inizio, quand'era manicheo, faceva il ragionamento inverso: un mondo incomprensibile porta a credere che in origine bene e male equivalgono, anche se l'uomo deve cercare di difendersi dal male. Invece quando diventa cristiano sostiene che spetta a dio solo decidere cosa fare del mondo, visto che soltanto lui l'ha creato. Ma sia nell'una che nell'altra maniera l'uomo non potrà mai essere padrone del proprio destino, non potrà mai risolvere i propri conflitti sociali.

Le sue idee creazionistiche in campo cosmologico sono state accettate per così tanto tempo dalla chiesa che verranno messe in discussione solo in epoca moderna. E bisogna dire che Agostino non ha certo reso meno rigida la sua teoria creazionista, accettando le idee stoiche sulle "ragioni seminali", secondo cui dio aveva immesso nelle cose essenziali della creazione alcuni germi o semi che, col passar del tempo, le avrebbero diversificate all'infinito, sempre rispettandone la sostanza iniziale (le ragioni seminali non sono che variazioni sul tema, che dio tiene unite grazie alla sua provvidenza). Se in natura vi sono imperfezioni, ciò è dovuto esclusivamente all'uso sbagliato della libertà umana.

In forza dei condizionamenti della teologia ebraico-cristiana, Agostino non poteva accettare la teoria platonica delle idee, in cui il demiurgo è limitato da idee eterne che gli stanno sopra e dall'eternità della materia che gli sta sotto, ma doveva per forza sostenere che ogni idea è in dio, che è uno e trino. Quindi solo dopo si può sostenere che ogni cosa creata corrisponde a un'idea.

Egli attribuisce l'idea di creazione al solo dio perché lo ritiene unico ente buono di natura. Gli uomini al massimo possono generare (per giunta nel peccato!) o trasformare una materia già data, ma creare dal nulla no. Disgustato dalle assurdità del mondo, Agostino gli nega qualunque possibilità di vero miglioramento e, con fare categorico, attribuisce a una realtà del tutto esterna la causa e quindi la responsabilità di decidere il destino di ogni cosa. La sua teologia, per questo motivo, ha posto le premesse per ogni futuro autoritarismo ecclesiastico.

Se questa realtà esterna fossero state le idee platoniche, non si sarebbe potuta formare una chiesa autoritaria, anche se certamente l'idea platonica di Stato è intollerante, ma si trattava pur sempre di una semplice idea personale. E se questa realtà esterna fosse stata la materia primordiale, non si sarebbe potuta imporre l'immagine di un dio unico e onnipotente. Finché ci si limita a dire che ogni cosa ha la sua idea corrispondente, si resta platonici, anche se si pone l'origine delle idee nella stessa mente divina. E' quando si dice che il proprio dio è l'unico vero e che, per questa ragione, la corrispondenza di idee e cose non può essere discussa, che si smette d'essere platonici.

Agostino si pone come teologo che vuole difendere ideologicamente un'istituzione che, anche grazie a lui, stava diventando sempre più politicizzata. Viceversa Platone era soltanto un insegnante che voleva difendere la sua Accademia filosofica.

Sarà proprio Agostino sostenere che il bene va imposto con la forza (compelle intrare), proprio perché all'atto della creazione, in cui tutto era buono, l'unica creatura diventata cattiva è stato l'essere umano.

SINTESI DEL PENSIERO AGOSTINIANO

  1. La sua formula principale, con cui cercava di trovare un punto d'accordo tra fede e ragione, era Intellige ut credas (comprendi per credere) e Crede ut intelligas (credi per capire). La sua teologia è sempre stata viziata da un certo intellettualismo filosofico.
  2. Non si è occupato, come gli Scolastici, in maniera logica e sistematica delle prove dell'esistenza di dio, però accetta l'idea platonica che nell'anima vi è già tutto, e questo per lui è sufficiente a credere ch'esista un dio.
  3. Quando affronta l'argomento della trinità, non parla delle "persone" (alla maniera greca), ma dell'essenza divina. Vede cioè le relazioni tra le persone come funzionali all'unità dell'insieme e spiega i procedimenti delle relazioni interpersonali in chiave psicologica, per cui non c'è l'affermazione vera e propria della persona ma solo del suo ruolo. Non c'è una vera differenziazione ontologica delle persone, in quanto, in ultima istanza, esse possono anche coincidere. Se vogliamo le tre persone sono una proiezione di tre facoltà umane: memoria (Dio), intelligenza (Cristo), volontà o amore (Spirito). Nella processione ab utroque dello Spirito santo è sottesa l'eresia filioquista.
  4. La creazione ex-nihilo è il fondamento della sua dottrina cosmologica. La materia non viene considerata preesistente (e quindi da ordinarsi per farla uscire dal caos primordiale), ma è creata da dio per un fine di bene.
  5. Sostiene che col peccato originale l'umanità è diventata una massa perditionis o damnata, anche perché il peccato viene trasmesso per mezzo della concupiscenza carnale al momento del concepimento: vale quindi l'equazione sesso=peccato. In tal senso dà un'interpretazione fisicista alla teologia filosofica paolina. Da questa colpa ereditaria ci si può liberare, misticamente, col battesimo e, nella pratica, con l'ascesi e la purificazione.
  6. Sul piano cristologico egli ammette che in Cristo vi sono due nature non confuse e inalterate, in un'unica persona. Ma non offre alcun contributo originale al dibattito cristologico del suo tempo.
  7. Sul piano mariologico crede nella verginità perpetua di Maria, anche in partu, essendo essa priva di peccato personale, benché Agostino non abbia mai insegnato la dottrina dell'immacolata concezione.
  8. Il demonio viene considerato uno strumento di cui dio si serve per regolare i suoi rapporti con gli uomini peccatori, ma esso non ha un'entità equivalente a quella divina.
  9. Intorno al 396, nello scritto Ad Simplicianum, esclude che la fede possa essere opera dell'uomo, in quanto senza la grazia è impossibile averla. La grazia precede ogni merito. Dopo il peccato originale è in un certo senso impossibile aver fede (di realizzare il bene) senza l'aiuto di una forza esterna, la grazia. E le persone che hanno la fede sono in genere una minoranza eletta, scelta da dio, che può ottenere il paradiso quasi a prescindere dai propri meriti. D'altra parte nessuno ha diritto alla grazia, che viene concessa dalla volontà insondabile di dio, il quale saprà bene come regolarsi nell'aldilà coi peccatori. Sulla terra gli uomini non possono spiegarsi i motivi per cui alcuni si salvano e altri no. Agostino non si è mai preoccupato di cercare nel sociale le cause degli antagonismi. La sua dottrina, su questo aspetto, viene considerata contraddittoria a quella formulata da san Paolo (cfr 1Tim 2,4) o comunque un'interpretazione molto forzata di alcuni passi dell'Apostolo.
  10. Non ritiene possibile una vera e propria salvezza al di fuori della chiesa (salus extra ecclesiam non est), anche se ammette che sulla terra la chiesa sia sempre composta da buoni e cattivi credenti (l'espressione extra ecclesiam nulla salus era già presente in Cipriano). Considera inoltre la sede vescovile di Roma quella decisiva per le sentenze finali: Roma locuta, causa finita.
  11. Riteneva validi i sacramenti a prescindere dalle colpe di chi li amministra. Essi imprimono un carattere indelebile in chi li riceve. Una dottrina, questa, del tutto sconosciuta nella chiesa orientale, che al massimo avrebbe potuto ammetterla in maniera simbolica.
  12. Riteneva necessario lo Stato per la convivenza umana, in quanto voluto da dio, quindi riteneva necessario che lo Stato dovesse essere cristiano: sua principale preoccupazione doveva essere l'equa distribuzione dei beni, poiché senza giustizia non vi è pace e senza la pace lo Stato va in rovina, e uno Stato che non vuole andare in rovina, compiendo guerre di conquista, è solo un ladro e un assassino. Tuttavia approva le misure costrittive contro gli eretici.

AGOSTINO E CARTESIO

Come noto, il dubbio cartesiano non può essere assunto come "metodo": il dubbio metodico è una contraddizione in termini che porta diritto al nichilismo, cioè all'assoluto relativismo, al punto che la conseguenza logica "ergo sum" diventa del tutto indimostrabile, inapplicabile.

Il dubbio ha un qualche valore solo in via ipotetica, sospensiva, in attesa di "chiarimenti": sempre che ovviamente vi siano degli indizi probanti che lo giustifichino. E, se vogliamo, il dubbio ha un qualche valore in riferimento al passato, a situazioni già avvenute, come strumento di falsificazione di presunte verità dogmatiche o scontate, non certo di verificazione di decisioni appena prese. Il dubbio aiuta a ricercare la verità là dove si presume che non vi sia, ma non aiuta ad affermare la verità là dove occorre che vi sia.

Il dubbio mette in crisi le false certezze, ma non sa crearne di nuove; sono anzi queste che al loro porsi determinano la necessità del dubbio nei confronti del passato. Il dubbio quindi mette in discussione l'ovvietà, le certezze acquisite, le quali così devono essere ridimostrate.

In verità neppure Cartesio ha mai posto il dubbio a fondamento dell'essere, poiché sul piano ontologico egli ha sempre affermato la soggettività della verità, mentre sul piano logico (matematico) ne ha addirittura affermata l'oggettività. A Cartesio è mancata l'idea di un'oggettività della verità sul piano storico-sociale.

In ogni caso le riflessioni di Cartesio sul dubbio non sono più importanti di quelle di Agostino. Questi infatti aveva già capito che il dubbio non poteva essere assunto come criterio del vivere e che tale criterio andava cercato nella verità. Senonché, invece di porre l'uomo a fondamento della verità, Agostino vi ha posto dio, cioè un'astrazione dell'uomo, avente le caratteristiche dell'immutabilità-eternità-necessità.

In tal modo Agostino distrugge, con la fede nel dogma, l'esigenza della continua ricerca; inoltre svaluta l'esperienza concreta a vantaggio dell'illuminazione mistica, dell'obbedienza all'autorità della chiesa, custode unica della rivelazione (compelle intrare, è il suo motto).

Agostino capì meglio di Cartesio i limiti del dubbio e il primato della verità, ma offrì delle soluzioni molto più illusorie ed alienanti. L'aver fatto coincidere la verità con dio è stato come se si fosse ammesso ch'essa non poteva coincidere con l'uomo.

Da questo punto di vista, Cartesio costituisce un certo progresso rispetto ad Agostino. In fondo, a un uomo che crede in una realtà inesistente o comunque indimostrabile, è sempre preferibile un uomo che dubita, foss'anche di se stesso.

LE AMBIGUITA' DI AGOSTINO D'IPPONA

Agostino d'Ippona era un teologo quanto meno contraddittorio. Quando combatteva i pelagiani, che affermavano il libero arbitrio, cioè la facoltà di scegliere se vivere un'esistenza buona o cattiva e il diritto di guadagnarsi il paradiso comportandosi bene, sosteneva che, dopo il peccato originale, l'uomo non può che essere incapace di bene e, senza la grazia divina, di sicuro non si salva.

Quando però combatteva i manichei, che ponevano bene e male sullo stesso piano, in continua lotta tra loro, diceva il contrario, e cioè che il male in sé non esiste, è soltanto un'assenza di bene, sicché, grazie alla divina provvidenza, il bene trionfa sempre.

Ma era davvero una contraddizione? No, era una sua furbizia intellettuale. Agostino visse in un periodo molto particolare (354-430): quello in cui il cristianesimo da religione perseguitata era diventato non solo tollerato (come ai tempi di Costantino), ma addirittura privilegiato. Nel 380 infatti l'imperatore Teodosio aveva creato la chiesa di stato, ovvero uno Stato orientato in senso nettamente confessionale, sicché tutti i culti non cristiani o non in linea con l'ortodossia ufficiale venivano vietati.

Una situazione politica del genere, assolutamente senza precedenti per il cristianesimo, non poteva non influire sulla riflessione filosofica di Agostino (che, nel suo caso, assume un connotato teologico).

Perché dunque arrivò a sostenere una cosa e il suo contrario? I passaggi, in realtà, sono molto semplici: se, a causa della colpa originaria, l'uomo è incapace di bene, diventa però automaticamente "buono" nel momento in cui accetta la grazia divina, cioè il potere della chiesa. Di qui il suo famoso detto: "compelle intrare" ("forzateli a entrare nella chiesa").

Nella concezione agostiniana del male la chiesa diventa una sorta di deus ex-machina, in grado di risolvere qualunque problema. Davvero qualunque problema? Certamente non quello dello schiavismo, che nella Città di Dio viene tranquillamente giustificato.

D'altra parte lo schiavismo non è per sant'Agostino una "struttura di male", con le sue caratteristiche sociali ed economiche. È semplicemente un "modo di essere", che non condiziona affatto la propria esperienza cristiana. Lo schiavismo è solo una "prova" permessa da dio, che non sfugge a un disegno provvidenziale sugli uomini.

Il cristianesimo non ha il compito di modificare le dinamiche sociali dell'impero, ma solo quello di adeguarvisi, dando però ad esse una nuova spiegazione, che naturalmente era di tipo escatologico: alla fine dei tempi, nel giudizio universale, si risolverà ogni cosa.

Agostino non voleva un cristianesimo che, come il paganesimo, fosse del tutto prono ai poteri dominanti, ma voleva un cristianesimo combattivo, in grado di misurarsi con questi poteri, pur senza mettere in discussione il sistema sociale. Egli pose indubbiamente le basi, insieme al vescovo Ambrogio, della progressiva politicizzazione della chiesa.

Le due "città" (terrena o l'impero, celeste o la chiesa) sono, tra loro, in un'opposizione meramente relativa, in quanto destinate a coesistere sino alla fine dei tempi. Nella misura in cui i soggetti dell'impero si cristianizzano, le strutture del male tendono a scomparire, in maniera irreversibile, anche se in maniera definitiva lo saranno solo nell'aldilà.

Curioso che gli autori della riforma protestante preferissero il suo pensiero a quello tomista. Infatti se tutto dipende dalla grazia divina, a che pro preoccuparsi se le opere che si compiono sono buone o cattive? Nessuna opera può giustificare l'uomo davanti a dio. Uno cerca di comportarsi come meglio può, ma se non vi riesce, non è certo colpa sua. Sono le circostanze che formano gli uomini. Ed è sulla base di queste idee che nacque il capitalismo.

Insomma, Agostino si era avvicinato alla verità quando aveva intuito che senza un "aiuto esterno", l'uomo individuale, il singolo, non avrebbe potuto essere libero, nel senso che occorre una consapevolezza intellettuale precisa dei problemi da risolvere e un'organizzazione collettiva, non basta il desiderio spontaneo di ribellarsi al sistema, ma se n'era allontanato subito dopo, quando aveva fatto coincidere tale "aiuto" con la "grazia divina", trasformando l'uomo in un burattino nelle mani di dio e il genere umano in una "massa dannata" da convertire. Peraltro questa "grazia divina", in ultima istanza, altro non era che l'intellighenzia ecclesiastica, che voleva amministrare, dall'alto, l'intera chiesa, e indirettamente persino lo Stato, se si guarda la storia della chiesa romana.

LE IDEE DI UN SANTO SONO SEMPRE SANTE?

I

Se si guarda la vita di sant'Agostino d'Ippona (354-430), bisogna dire che, per i suoi travagli interiori e i suoi pregressi giovanili poco edificanti, così ben documentati nelle Confessioni, in teoria dovrebbe apparirci molto più “moderno” di tanti altri teologi medievali, spesso molto pedanti. Di fatto però si tratta solo di una superficiale percezione.

Se gli studiosi laici moderni non fossero così insofferenti, peraltro non senza ragione, ai testi di teologia, scoprirebbero facilmente, leggendo quelli concettualmente più impegnativi di Agostino, che qui si ha a che fare con un teologo straordinariamente reazionario, in grado purtroppo di dominare la scena del pensiero euro-occidentale medievale per oltre mezzo millennio, trovando un primo ridimensionamento solo con lo sviluppo razionalistico della Scolastica. Non dimentichiamo che persino Lutero preferiva Agostino a molti Scolastici (lui stesso era stato monaco agostiniano). Anche il giansenismo, una delle ultime correnti ereticali interne al cattolicesimo, si rifaceva all'agostinismo in funzione anti-gesuitica. Infatti, tutte le volte che i credenti vogliono screditare l'importanza delle “opere” ai fini della salvezza, affidandosi alla volontà divina in via esclusiva, lì la chiesa sente puzza di agostinismo.

In che senso? Nel senso che Agostino riteneva gli uomini una “massa dannata” a causa del peccato originale, bisognosa d'essere redenta con un intervento esterno (la chiesa coi suoi sacerdoti, sempre più politicizzati, e i suoi sacramenti, sempre più magici, in quanto presumono d'imprimere un carattere indelebile in chi li riceve). Chi non capiva come stavano le cose (soprattutto dopo il fatidico 380, con cui l'imperatore Teodosio inaugura la chiesa di stato), doveva essere costretto a far parte (“compelle intrare”) di una sorta di “salvezza istituzionalizzata”, rappresentata appunto dalla chiesa (“nulla salus extra ecclesiam”), proprio per il suo bene. E il mondo feudale, seppur obtorto collo, vi si adeguò. (1)

II

A partire dal Mille però i papi smisero d'apprezzare questo modo di ragionare, preferendo quello della Scolastica, e soprattutto quello di Tommaso d'Aquino, la cui teologia è ancora oggi considerata il terminus ad quem di qualunque riflessione religiosa.

Come mai questo rivolgimento di fronte? Non si erano forse sempre comportati così come voleva Agostino? Senza dubbio. Tuttavia quando qualcuno usa le teorie fatalistiche di Agostino per sostenere che il papato o la chiesa istituzionale di Roma non può pretendere di dettare legge, di avere la verità in tasca, di stabilire sempre e comunque, a prescindere dalla propria corruzione, dove sta il confine tra bene e male, ecco che allora il gioco non funziona più e il teologo d'Ippona diventa pericoloso. Ecco che il papato comincia a dire, in maniera più vicina alla borghesia, che alle verità di fede ci si può arrivare anche attraverso l'autonomia della ragione, almeno sino a un certo punto (cosa che Agostino non avrebbe mai ammesso, proprio perché l'uomo è irrimediabilmente peccatore).

La chiesa romana bassomedievale, incredibilmente corrosa da tanti secoli d'indiscusso privilegio, non poteva più sostenere le posizioni intransigenti del teologo africano: aveva perso quella credibilità ereditata dai tre secoli delle persecuzioni subite al tempo degli imperatori. Chiunque avrebbe potuto utilizzare le pessimistiche idee agostiniane, stravolgendole nel loro fine, per sostenere che tra dio e l'uomo non c'era bisogno di alcuna mediazione ecclesiastica, visto che questa si comportava nella maniera peggiore possibile. Prima di arrivare a Lutero però ci vorrà mezzo millennio di dura lotta ereticale.

III

Ecco, posta questa semplice premessa, il resto è facile da capire. Il papato infatti conserverà quasi del tutto inalterato l'insegnamento agostiniano inserendolo nella cornice accademica degli Scolastici, indubbiamente più disponibili alle esigenze affaristiche e autonomistiche della borghesia.

Basteranno alcuni esempi per convincersene. Agostino era favorevole alla schiavitù: i servi non devono diventare socialmente liberi, ma moralmente buoni, e devono stare sottomessi per il piacere del dovere. D'altronde i ricchi sono necessari, perché, aiutando i poveri, si guadagnano la vita eterna.

Con la Scolastica si ammetterà che il cristiano possa emanciparsi, trasferendosi dalla campagna alla città, ma chi non riuscirà a migliorare la propria condizione, limitandosi a svolgere il mestiere del garzone presso una bottega artigiana o quello dell'operaio presso un imprenditore, dovrà comunque restare sottomesso, come se dovesse obbedire a un imperativo categorico voluto da dio.

Quando si diffonde il donatismo in Africa, Agostino pensa che la repressione violenta, organizzata dall'imperatore, sia, ad un certo punto, l'unica strada percorribile. Cosa farà di diverso la chiesa bassomedievale quando istituirà l'Inquisizione? Semplicemente il processo! Cioè cercherà di salvare le apparenze della forma giuridica.

Dal Commento al Vangelo di Giovanni vien fuori tutto l'antisemitismo agostiniano, sulla base di una tesi che farà testo sino al Concilio Vaticano II (ove si abolirà il concetto di “popolo deicida”): gli ebrei si sono meritati la distruzione romana d'Israele perché avevano crocifisso il figlio di dio.

E così via. P.es. il nesso da lui stabilito tra colpa e sessualità e, in modo particolare, quello tra contraccezione e prostituzione, è stato riconfermato, seppur con altre parole, non solo dalla famosa enciclica di Paolo VI, Humanae Vitae, ma anche da vari pronunciamenti di Wojtyla (Familiaris Consortio, Mulieris dignitatem), per il quale il semplice desiderio libidico nei confronti del proprio partner di vita costituisce peccato, seppur intenzionale. Sull'antifemminismo di Agostino e della chiesa romana non val neppure la pena soffermarsi, poiché vige imperterrito da duemila anni. Agostino arrivò persino a elogiare il comportamento di sua madre, che aveva accettato di servire suo marito come una serva, perdonandolo di ogni tradimento.

Dulcis in fundo, Agostino è il teorizzatore della “guerra giusta”, anzi “santa”, sul modello di Mosè, che non entrò certo in Palestina con l'obiettivo di fare delle “guerre difensive” e che non poteva certo farsi venire degli scrupoli nei confronti degli ebrei traditori che s'erano messi ad adorare il vitello d'oro.

Le guerre – secondo Agostino – servono per impedire mali peggiori, in primis la diffusione dell'eresia. In tal senso non era neanche il caso di discutere se approvare o meno l'operato dei magistrati che condannavano a morte, quello dei boia che eseguivano le sentenze e gli omicidi richiesti da una ragione di stato. Una riserva, al massimo, la si poteva avere nei confronti della tortura, ma anche questa eccezione l'Inquisizione la risolverà con un certa logica: la tortura serve per far capire all'accusato che l'accusa è grave e che non ci si può fidare ad occhi chiusi del suo tentativo di difesa, anche perché si è costretti a dare per scontata la presunzione di colpevolezza.

Oggi ovviamente siamo contro la tortura, per quanto largamente praticata in varie parti del mondo. Abbiamo anche sostituito la parola eresia con “democrazia”. Facciamo crociate non tanto in nome di dio, della cui benedizione comunque non vogliamo fare a meno, ma in nome della democrazia parlamentare, quella in cui periodicamente si deve andare a mettere un voto dentro un'urna.

Note

(1) Da notare però che Agostino non era favorevole al primato giurisdizionale del papato romano, ritenendo che ogni vescovo sedesse sulla cattedra di Pietro. Per questa ragione il Concilio Vaticano I fu costretto ad attribuirgli delle “opinioni maligne”.


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Enrico Galavotti - Homolaicus - Sezione Teorici
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Aggiornamento: 26-04-2015