GIOVANNI GENTILE

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GIOVANNI GENTILE

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Diego Fusaro - www.filosofico.net

VITA E INTRODUZIONE ALLA FILOSOFIA

Gentile è stato, con Croce, l'esponente principale del neoidealismo italiano, ma la sua posizione filosofica è maturata attraverso esperienze in parte diverse da quelle crociane.

Nato a Castelvetrano (Trapani) nel 1875, Giovanni Gentile si formò presso l'università di Pisa, dove ebbe come maestri soprattutto Alessandro D'Ancona e Donato Jaja, che lo avvicinò allo studio di Kant, di Rosmini e Gioberti, di Hegel.

Il primo lavoro gentiliano, su Rosmini e Gioberti (1898), si colloca nella prospettiva di ripresa del pensiero criticistico-idealistico tedesco già avviata da Croce, e si ispira a una visione fortemente speculativa (teoretico-sistematica) della filosofia.

Negli ultimi anni del secolo Gentile approfondisce, da un lato, Spaventa e, dall'altro, Marx, che esamina nel volume La filosofia di Marx (1899). A proposito del marxismo si tratta, per Gentile, di ritrovarne il nucleo speculativo più autentico e di affermarlo come una "filosofia della prassi" che unifica pensiero e azione e che occorre reinterpretare in termini idealistici. Ciò che viene a cadere, del pensiero di Marx, è proprio il materialismo. La realtà come materia viene interpretata come un residuo sensibile-oggettivo che limita l'attività creatrice della prassi umana.

Ma è anche attraverso la nozione marxiana di prassi liberamente rivisitata (attraverso la lettura di Vico e degli idealisti tedeschi) che Gentile delinea la sua concezione della soggettività trascendentale intesa come "attività creatrice" per cui verum et factum convertuntur, come "sviluppo necessario" che collega soggetto e oggetto in un fare che "è insieme conoscere" e che si manifesta nella storia.

In quegli stessi anni di fine secolo Gentile stringe con Croce un'amicizia che durerà fino a quando la differenza tra lo storicismo crociano e l'attualismo gentiliano si farà troppo vistosa.

Nel 1903 Gentile, nella prolusione tenuta all'università di Napoli e dedicata a La rinascita dell'idealismo, delinea la propria posizione filosofica che prende il nome di attualismo e ch'egli svilupperà in una serie di saggi teorici fino al 1922. Contemporaneamente si dedica anche alla ricerca storico-filosofica con gli studi: Le origini della filosofia contemporanea in Italia (1903-1914), Dal Genovesi al Galluppi (1903), Il pensiero italiano del Rinascimento (1920), Studi vichiani (1915), Gino Capponi e la cultura italiana del secolo decimonono (1922).

Nello stesso periodo il filosofo affronta anche i problemi della pedagogia (Sommario di pedagogia come scienza filosofica, 1913-14; La riforma dell'educazione, 1920; Educazione e scuola laica, 1921; Preliminari allo studio del fanciullo, 1924) e poco più tardi quelli estetici in Filosofia dell'arte (1931). E soprattutto tra il 1911 e il 1922, che la riflessione gentiliana si articola intorno a temi prevalentemente teoretico-sistematici. Nel 1911 esce L'atto del pensare come atto puro, nel 1913 La riforma della dialettica hegeliana, nel 1916 Teoria generale dello Spirito come atto puro e, infine, dal '17 al '22, il Sommario di logica come teoria del conoscere.

Nel dopoguerra Gentile affronta i problemi politici in Guerra e fede (1919) e si avvicina sempre più al fascismo, fino a divenirne uno dei principali esponenti in campo intellettuale. Dopo la marcia su Roma viene nominato ministro della Pubblica Istruzione ed elabora, nel '23, un'importante e discussa riforma della scuola. Negli anni successivi si occupa quasi esclusivamente di organizzazione della cultura, è direttore dell'Enciclopedia Italiana e presidente dell'Accademia d'Italia. Dopo la crisi del 25 luglio 1943 si apre a un ripensamento in chiave sociale della sua filosofia che prende forma nell'opera Genesi e struttura della società (1946). Nel 1944 muore a Firenze, ucciso barbaramente dai partigiani antifascisti.

LA RIFORMA DELLA DIALETTICA HEGELIANA

Determinante, nella formazione filosofica di Gentile, fu l'insegnamento di Donato Jaja (1839-1914), seguace dell'hegelismo e, sulle orme di Spaventa, impegnato a fondare nel soggetto l'identità di pensiero ed essere. Attraverso quell'insegnamento Gentile maturò la sua prima adesione all'idealismo. Nella già ricordata prolusione-manifesto del 1903, intitolata proprio La rinascita dell'idealismo, Gentile rivendicava contro ogni dualismo e naturalismo da un lato la fondamentale unità di natura e spirito nella coscienza, dall'altro il primato ontologico e gnoseologico di quest'ultima. La coscienza, affermava Gentile, è "sintesi di soggetto e oggetto": ma una sintesi nella quale è il primo termine-concetto che 'pone' il secondo. Correlativamente, anche "atto" e "fatto" sono strettamente uniti e in qualche modo complementari: ma solo nel senso che, se indubbiamente il fatto c'è ed è necessario, esso si dà solo nell'unità dell'"atto" - che è sempre atto della coscienza.

Nella prolusione del 1903 sono già contenute in nuce alcune delle tesi chiave dell'attualismo gentiliano. Ma la definitiva maturazione speculativa di Gentile passa (come quella di Croce) attraverso un serrato confronto con l'hegelismo. Di Hegel il giovane filosofo siciliano apprezza (a differenza di Croce) non tanto la prospettiva storicistica (cioè il suo voler cogliere lo Spirito nel divenire stesso della realtà storica) quanto l'impianto più direttamente coscienzialistico-idealistico. Per Gentile il massimo merito di Hegel è di aver posto una Coscienza (un Logos, un Pensiero) a fondamento e inizio di tutto il reale, contribuendo con ciò a edificare l'idealismo moderno nella sua fase più evoluta.

Hegel ha anche elaborato una raffinata logica dialettica. Ma è proprio a proposito di questa dialettica che Gentile (come anche Croce, seppure per ragioni e in prospettive diverse) sente di dover muovere critiche radicali al maestro tedesco. In effetti il filosofo tedesco ha confuso due dialettiche, che invece per Gentile devono restare nettamente separate. Queste dialettiche non sono (come per Croce) la "dialettica degli opposti" e la "dialettica dei distinti": sono quelle che Gentile chiama la "dialettica del pensare"e la "dialettica del pensato". Se Hegel ha genialmente colto e individuato la "dialettica del pensare" (ossia la dialettica della Coscienza o del Pensiero attivo e vivente), egli vi ha poi lasciato forti residui della "dialettica del pensato" (ossia la dialettica del pensiero determinato e delle scienze) - anzi, come si è detto, ha mescolato l'una con l'altra. E questo, per Gentile, è un errore: "La dialettica del pensato è, si può dire, la dialettica della morte; la dialettica del pensare, invece, la dialettica della vita. Infatti il presupposto fondamentale della prima è la realtà o verità tutta quanta ab aeterno determinata in guisa che non sia più concepibile una determinazione nuova, come determinazione attuale della realtà [...]. La dialettica, invece, del pensare non conosce un mondo che già sia, che sarebbe un pensato; non suppone una realtà al di là della conoscenza e di cui toccherebbe a questa d'impossessarsi, perché sa, come ha dimostrato Kant, che tutto ciò che si può pensare della realtà (il pensabile, i concetti dell'esperienza) presuppone l'atto stesso del pensare. E' in questo atto vede perciò la radice di tutto". (La riforma della dialettica hegeliana, I) Nella misura in cui Hegel ha confuso queste due dialettiche, la 'sua' dialettica va "riformata". Va riformata soprattutto eliminando dalla "dialettica del pensare" ogni componente oggettivistica, statica, inerte (come ad esempio la struttura categoriale fissata in modo universale e rigido-astratto), e conferendo invece un'assoluta libertà al vivente "dialettismo" del concreto atto del pensiero: quel dialettismo che è la ricca, vera e inesauribile "inquietezza del pensare".

I PRINCIPI FILOSOFICI DELL'ATTUALISMO

L'attualismo gentiliano si costruisce intorno ad alcuni precisi nuclei teorici: 1. L'interpretazione di Hegel e la riforma della dialettica hegeliana; 2. La teoria dell'atto puro 3. Il rapporto tra logica del pensare e logica del pensato.

Nella costruzione del suo sistema Hegel ha perduto, secondo Gentile, l'unità di soggetto e oggetto raggiunta nella Fenomenologia. L'Idea hegeliana infatti, si articola nei momenti della logica e della filosofia della natura concepiti come anteriori alla filosofia dello spirito, il che ripropone un sostanziale e inammissibile dualismo. Inoltre Hegel separa l'"intelletto che concepisce le cose, dalla ragione che concepisce lo spirito". Da questo dualismo viene caratterizzata anche la concezione della dialettica, irrigidita in concetti "astratti" e "immobili" che non rendono ragione della dinamicità del reale.

La dialettica va invece riformata attraverso la lezione di Spaventa, che ha saputo cogliere l'unità viva e concreta delle categorie nell'atto del pensiero. Attraverso Spaventa Gentile risale a Fichte e afferma, in parte sulle orme del filosofo tedesco, la priorità dello spirito inteso come pensiero in atto e come unità di coscienza e autocoscienza. "La dialettica del pensare non conosce un mondo che già sia, che sarebbe un pensato; non suppone una realtà, al di là della conoscenza, e di cui toccherebbe a questa impossessarsi; perché sa, come ha dimostrato Kant, che tutto ciò che si può pensare della realtà (il pensabile, i concetti, l'esperienza) presuppone l'atto stesso del pensare. E in questo atto vede perciò la radice di tutto." (La riforma della dialettica hegeliana, I)

L'atto del pensiero pensante, o Atto puro, è dunque per Gentile il principio e la forma della realtà in divenire. Esso è "autoctisi" (ossia creazione di sé) e sintesi a priori: crea se stesso, ma attraverso un oggetto che è (fichtianamente) condizione necessaria della sua attività e non può essere separato da essa. Ove lo fosse, infatti, l'oggetto decadrebbe a "natura", a "pensato", a "passato", assumendo un aspetto dogmaticamente oggettivo e inerte.

La dialettica dell'atto puro è, per Gentile, triadica e si articola nei due momenti della tesi e dell'antitesi, ambedue unilaterali e astratti, e nel terzo momento della sintesi. Il momento astratto della soggettività (tesi) è rappresentato dall'arte, quello dell'oggettività (antitesi) dalla religione, mentre la sintesi è propria della filosofia.

Il compito della filosofia è, da un lato, quello di rendere autocosciente questa dialettica dell'atto e, dall'altro, di opporsi ad ogni interpretazione dell'attività dello spirito suscettibile di reintrodurre rigidi dualismi e dogmatismi. In particolare Gentile sottolinea la netta distinzione della filosofia dalla scienza, in quanto quest'ultima è dogmatistica ("presuppone il suo oggetto"), naturalistica e priva di storia ("non può avere svolgimento, perché presuppone una verità perfetta"). La filosofia, invece, coincide con la storia della filosofia poiché ogni posizione filosofica realizza, nella sua forma specifica, l'autocoscienza dello spirito in un dato momento storico. "La nostra dottrina dunque è la teoria dello spirito come atto che pone il suo oggetto in una molteplicità di oggetti, e insieme risolve la loro molteplicità e oggettività nell'unità dello stesso soggetto. Teoria che sottrae lo spirito a ogni limite di spazio e di tempo e da ogni condizione esteriore; rende pure impensabile ogni sua reale moltiplicazione interna, per cui un momento suo possa dirsi condizionato da momenti anteriori; e fa quindi della storia, non il presupposto, ma la realtà e concretezza dell'attualità spirituale, fondando così la sua assoluta libertà." (Teoria generale dello spirito come atto puro, XVI)

Un altro aspetto centrale dell'attualismo gentiliano è la dottrina del rapporto tra io empirico e io trascendentale. L'io trascendentale è "quello che si coglie nella realtà del nostro pensiero quando il pensiero si consideri non come atto compiuto, ma, per così dire, quasi atto in atto": un Io rispetto al quale la nostra individualità, con le sue caratteristiche psicofisiche, si configura come un oggetto finito e condizionato. In tal modo, l'autonomia e il valore del soggetto umano concreto risultano nell'attualismo largamente ridotti, e per lo stesso soggetto si delinea un preciso compito "educativo": quello della propria autoelevazione all'universalità e all'autocoscienza dell'Io trascendentale.

Infine, dal punto di vista gnoseologico, l'atto puro si fonda sull'opposizione tra "logica del pensiero pensante" e "logica del pensiero pensato", o tra "logo concreto" e "logo astratto". La prima è una logica filosofica, dialettica e attivistica; la seconda e una logica astratta, formale ed erronea. A questa seconda forma del pensiero appartengono le logiche formali, antiche e moderne, che rendono invariabili e definitive le forme del pensiero, fissandole come "cose" o "fatti". Anche l'errore è legato alla "logica dell'astratto", in quanto scambia il pensiero coi pensati, l'atto con le sue determinazioni, operando un'indebita astrazione dell'oggetto dal pensiero che lo pensa.

GLI STUDI SU MARX

Quello che può definirsi l'esordio filosofico di Gentile fu il suo studio sulla filosofia di Marx, una rielaborazione della sua tesi per l'abilitazione all'insegnamento secondario, dal titolo Una Critica del Materialismo Storico, che apparve a Pisa nel 1897. A questo testo seguì La filosofia della prassi che venne pubblicata, insieme al primo studio, nel 1899, nel volume, edito sempre a Pisa, dal titolo La filosofia di Marx.

L'incontro tra Gentile e il pensatore tedesco si deve in gran parte alle sollecitazioni di Benedetto Croce, che in quegli stessi anni, sotto la spinta del suo maestro, Antonio Labriola, stava cercando di definire la sua posizione rispetto al dibattito sulla dottrina marxista, in un periodo in cui l'Italia era attraversata da forti tensioni sociali. La formazione del Partito Socialista nel 1892 e la diffusione dei testi di Marx e Engels all'interno della nuova componente politica avevano contribuito alla diffusione di studi e articoli sull'argomento.

L'approccio di Gentile alla filosofia di Marx e alla "questione sociale", fu però distaccato e, per alcuni versi, prevenuto (come ebbe modo di costatare lo stesso Croce); ciò dipese sia dalla noncuranza eccessiva nei confronti del clima che si respirava in Italia alla fine del secolo (peraltro dimostrata dagli scarsi accenni che Gentile fece nelle sue lettere), sia dalla sua impostazione hegeliana, che gli fece vedere nella filosofia di Marx un mal riuscito tentativo di superamento della filosofia di Hegel.

Il tono dei due studi appare ambivalente, perché, mentre entrambe le conclusioni risultano essere una stroncatura del marxismo, dal corpo del testo, al contrario, si evince una certa ammirazione per le intuizioni filosofiche di Marx. Gentile rivendica, nel corso dei due saggi, la matrice hegeliana del pensiero di Marx contro l'interpretazione positivistica, e contro il dilettantismo filosofico di coloro che scrivono sull'argomento senza una reale preparazione filosofica.

Il primo studio si occupa di rispondere alla domanda se il materialismo storico possa essere definito o no una filosofia della storia: secondo Gentile il pensiero di Marx può essere scisso in una visone storica, e quindi una filosofia della storia, e in una metafisica artificiosa su cui lo stesso Marx non insistette; mentre la seconda può considerarsi "una superfetazione del suo pensiero", la prima ne rappresenta la vera essenza.

La conclusione di Gentile è che la filosofia della storia di Marx sia mutuata da quella di Hegel, sia per quanto riguarda la forma, dialettica per entrambi, sia per quanto riguarda il contenuto: all'Idea hegeliana Marx ha sostituito la Materia, ma facendo questo è incorso in una contraddizione, data l'impossibilità logica di una filosofia della storia del relativo, dell'a-posteriori; il materialismo storico quindi, secondo Gentile, altro non è se non "uno dei più sciagurati deviamenti dell'hegelismo".

Nel secondo studio, Gentile si sofferma su quello che giudica il maggior risultato della speculazione marxiana, e cioè il concetto di prassi, che elimina il dualismo tra teoria e pratica, conoscere e fare. Per il concetto di prassi la conoscenza non può mai essere disgiunta dell'esperienza, ogni conoscenza si scopre facendola. Ma questo concetto, come nota lo stesso Marx, è vecchio quanto l'idealismo stesso e Gentile ne traccia la storia partendo da Socrate fino a Hegel, passando per Platone e Vico.

Il saggio gentiliano si sviluppa contro il materialismo dualista (il testo si apre con le Undici Tesi di Marx a Feuerbach ed è un merito di Gentile averle pubblicate per la prima volta in Italia) e contro ogni metafisica dualista, rivendicando, come nel primo saggio, la paternità hegeliana del materialismo storico e, nella conclusione, asserendo la finale contraddizione di quest'ultimo.

Malgrado il magro successo di pubblico che ebbero, e malgrado il fatto che solo nel 1932 furono pubblicati il Italia L'Ideologia Tedesca e I manoscritti economico-filosofici del 1844 di Marx (due saggi importanti per l'interpretazione del pensiero marxiano), i due testi gentiliani offrirono un contributo importante al dibattito sul marxismo (Lenin ne terrà conto e lo giudicherà uno dei testi migliori di autori non marxisti), e offrono tutt'ora un importante spaccato sullo sviluppo del pensiero di Gentile, che in quel periodo, oltre agli scritti su Marx, pubblicava anche nel 1898 la sua tesi di laurea su Rosmini e Gioberti.

Il testo La filosofia di Marx cerca di rispondere alla domanda se la concezione materialistica della storia sia o no una filosofia della storia: a questa domanda aveva risposto positivamente Labriola e negativamente Croce. Ad avviso di Gentile, come accennato, Marx desume da Hegel la forma dialettica, grazie alla quale si può determinare a priori il corso dello sviluppo storico nella sua necessità e formulare la previsione della sua direzione e dei suoi tratti generali essenziali. In questo consiste il carattere scientifico e non utopistico del materialismo storico, e così si può affermare, stando a Gentile, che, per quel che riguarda la forma, esso è una filosofia della storia.

Ma, per Marx, quel che vi è di essenziale nel processo storico è la materia, cioè il fatto economico, non l'idea, come invece era per Hegel. Su questo punto, il marxismo, per Gentile, manifesta la sua inferiorità e insufficienza rispetto all'hegelismo: per Hegel, infatti, l'idea non è trascendente la materia, ma è l'essenza del reale, che comprende al suo interno la materia come un momento relativo. Ritenendo, invece, la materia, che è il relativo, diversa dall'idea, che è l'assoluto, e scambiando il relativo con l'assoluto, i marxisti hanno attribuito a quel che è relativo la funzione dell'assoluto e, dato che l'assoluto si sviluppa dialetticamente e questo sviluppo è determinabile a priori, come aveva dimostrato Hegel, sono giunti alla conclusione balzana di considerare determinabile a priori anche quel che è meramente empirico, cioè la materia, il fatto economico, e quindi a considerare prevedibile quel che non può esserlo e, così, non appartiene alla filosofia della storia. Il fatto è di pertinenza della storiografia, che si occupa del già accaduto, non della filosofia della storia.

Dal punto di vista filosofico il materialismo storico appare a Gentile una deviazione erronea del pensiero hegeliano ("uno dei più sciagurati deviamenti dell'hegelismo"), proprio perché concepisce erroneamente "una dialettica, determinabile a priori, del relativo". Certo Marx ha anche dei meriti, spiega Gentile: ha criticato il materialismo tradizionale poiché esso concepisce l'oggetto come un dato, non come un processo, e il soggetto come una visione o rappresentazione passiva di tale oggetto. Marx invece concepisce "l'oggetto intrinsecamente legato all'attività umana" : è la prassi umana che modifica e produce l'oggetto, il quale a sua volta modifica anche il soggetto, in modo che "l'effetto reagisce sulla causa e il loro rapporto si rovescia, l'effetto facendosi causa della causa, che diviene effetto pur rimanendo causa".

In questo consiste il cosiddetto rovesciamento della prassi: "la prassi che aveva come principio il soggetto e termine l'oggetto, si rovescia, tornando dall'oggetto (principio) al soggetto (termine)". Per Marx reale è l'individuo sociale, che non può "sciogliersi dai vincoli della società che è effetto della sua prassi", e lo studio della prassi è possibile a priori, in virtù del ritmo dialettico che la caratterizza: su questa base è appunto possibile determinare a priori lo sviluppo della storia, ossia costruire una filosofia della storia, cioè uno schema a priori. Lo sviluppo della prassi, infatti, non può non produrre divisioni nella realtà, cosicché la lotta di classe non è un fatto accidentale e ha, anzi, uno sbocco inevitabile: la filosofia della storia di Marx è dunque caratterizzata dal determinismo o teleologismo. Marx era stato "filosofo prima che rivoluzionario" e una filosofia è confutabile solo filosoficamente, a differenza di quel che pensava Croce, il quale voleva confutarla empiricamente.

Dal punto di vista filosofico, però, il marxismo presenta "il radical vizio" di un'indebita mescolanza di schema razionale a priori e di determinazione del contenuto della storia a posteriori, a partire dal fatto economico, che è puramente empirico. L'errore di Marx consisteva nell'aver preteso di trasportare la storia, che è propria dello spirito, nella materia, ma proprio il materialismo settecentesco stava a dimostrare l'inconciliabilità dei due princìpi, cioè della forma, identificata con la prassi, con la materia, che è inerte: il marxismo si configurava dunque come una concezione eclettica composta da elementi contradditori.

L'errore di Marx era stato di considerare il pensiero "forma derivata e accidentale dell'attività sensitiva". A questo Gentile opponeva una tesi, destinata ad essere il pilastro portante della sua filosofia: "il pensiero è reale, perché e in quanto pone l'oggetto. O il pensiero è, e pensa; o non pensa, e non è pensiero. Se pensa, fa". A ben vedere, il Marx teorico della prassi, a cui andava il consenso di Gentile, era già in qualche modo contenuto, e in forma migliore, nella tradizione idealistica di Fichte e di Hegel: il processo del reale tornava ad essere risolto nella coscienza che il soggetto ne ha. Il problema di Gentile, negli anni successivi, sarebbe stato di fare i conti con questa tradizione.

ESTETICA E RELIGIONE

Accanto all'aspetto teoretico-sistematico, l'attualismo gentiliano svolge anche alcune analisi concrete di momenti fondamentali dell'esperienza e della cultura. Ciò accade, in particolare, in relazione alla dimensione dell'arte e della religione, della pedagogia e della politica, che vengono indagate nelle loro strutture teoretiche fondamentali. In verità questo aspetto analitico dell'attualismo resta spesso sopraffatto dall'altro, più teoretico e astratto, e le indagini gentiliane si risolvono, a volte, in un gioco di puri concetti filosofici.

Nell'opera dedicata all'arte Gentile si sofferma essenzialmente su due temi: la soggettività dell'arte e il suo rapporto con l'intera vita dello spirito (religione e filosofia). Sotto il primo aspetto, l'arte si manifesta come il momento soggettivo dell'io, in quanto è legata al sentimento e alla sua immediatezza, ed esprime soprattutto l'individualità dell'artista.

Sotto il secondo aspetto, essa è però anche un atto sintetico, che comprende tutti i momenti della vita dello spirito. L'arte, cioè, è sì immediatezza del sentimento, ma solo in quanto questo assume consapevolezza di sé e sa esprimere la complessità del mondo spirituale. L'arte acquista quindi anche alcuni caratteri propri del discorso razionale.

L'estetica gentiliana si differenzia rispetto all'estetica di Croce su altri punti non meno rilevanti: il rapporto tra forma e contenuto viene considerato come inscindibile e non risolvibile in un privilegiamento della forma; il fondamento dell'arte è il sentimento e non l'intuizione-espressione; lo scopo dell'estetica è non già quello di ricavare una metodologia sulla base della quale formulare i giudizi sull'arte e la non-arte (poesia e non-poesia), bensì l'altro di definire il ruolo che l'esperienza artistica occupa nella dialettica dello spirito.

Nelle opere dedicate all'esperienza religiosa - Il modernismo e i rapporti tra religione e filosofia (1909), Discorsi di religione (1920), la conferenza La mia religione (1943) - Gentile sviluppa una concezione della religione come momento dell'assoluta oggettività dello spirito, dell'unità oggettiva del reale; ma è un momento che si rivela "unilaterale, astratto e falso", alla luce della filosofia. Quest'ultima, infatti, dissolve i postulati dogmatici della religione e risolve lo stesso Dio nell'attività dell'io trascendentale. La religione viene così, ad un tempo, esaltata come la forma più alta della presa di coscienza del reale (prima dell'autocoscienza filosofica) e superata in quanto concepita come inferiore alla filosofia.

PEDAGOGIA E SCUOLA

Nell'importante saggio Il concetto scientifico di pedagogia (1900), Gentile avvia una rifondazione in senso idealistico della pedagogia, negandone i nessi con la psicologia e con l'etica. Affermato che l'oggetto specifico della pedagogia è l'educazione, egli sottolinea che questo processo, in quanto rivolto a "fare lo spirito", si risolve nel "farsi dello spirito", nella dialettica della vita spirituale - cioè nella filosofia. La pedagogia si identifica così con la filosofia, come l'educazione si esprime primariamente sotto forma di autoeducazione.

Questi principi generali vengono poi svolti nelle loro implicazioni concrete. Di particolare rilievo sono le tesi sul rapporto tra maestro e scolaro. Esso è caratterizzato da un dualismo che deve risolversi in unità attraverso la comune partecipazione alla vita dello spirito che, tramite la cultura, muove dall'educatore verso l'educando e lo riassorbe nell'universalità dell'atto spirituale.

Nella vita della scuola il maestro occupa quindi il posto centrale e in lui si esprime il modello formativo spirituale e culturale che deve guidare l'alunno. Per quanto riguarda i suoi contenuti culturali, la scuola che emerge dalla dottrina pedagogica gentiliana è tanto legata alla tradizione umanistico-letteraria quanto sorda nei confronti del sapere scientifico.

Relativamente alla sua organizzazione, essa è caratterizzata da un ordinamento gerarchico e centralistico. Si tratta anche di una scuola aristocratica, pensata per gli "studi di pochi, dei migliori", e rigidamente suddivisa a livello secondario in un ramo classico-umanistico per le classi dirigenti e in uno professionale per il popolo.

Nella scuola, infine, viene introdotto l'insegnamento religioso a livello primario, perché Gentile considera necessario che gli uomini, i cittadini abbiano una concezione religiosa della vita. Onde conseguire questo risultato "è necessario insegnare la religione ai bambini. E dato che siamo in Italia, dove la religione cattolica è dominante, i bambini devono essere istruiti in essa".

LO STATO ETICO E TOTALITARIO

La filosofia gentiliana, per la sua esigenza di collegare unitariamente tutti gli aspetti della vita pratica dell'uomo, oltre che per lo stretto legame mantenuto con il pensiero di Hegel e della destra storica, culmina in una dottrina etico-totalitaria dello stato.

Lo stato è per Gentile il momento di unificazione della società. Davanti ad esso individui e gruppi sono il "relativo", rispetto all'"assoluto". La collettività nel suo insieme deve sentire e si deve ispirare agli stessi valori. Lo stato è la sorgente di elaborazione concreta di questi fini unitari della collettività: di qui il suo carattere morale.

Alla luce di tale dottrina si comprende come il pensiero politico gentiliano possa essersi connesso strettamente col fascismo: con la visione autoritaria ed anti-individualistica dello stato, con la sua mistica della patria e della sua "missione" spirituale.

Anche le ultime riflessioni del filosofo contenute in Genesi e struttura della società, pur abbozzando un "nuovo umanesimo del lavoro" che rivaluta in qualche misura il soggetto umano e l'interazione tra gli individui, rivelano che Gentile non esce mai dal quadro di una concezione centralistica e totalitaria della comunità politica.

Una pur rapida menzione merita anche l'instancabile attività di Gentile come organizzatore di cultura. Tale attività si esplicò soprattutto in sede editoriale. Il padre dell'attualismo organizzò numerose collane (di contenuto prevalentemente filosofico) presso vari editori italiani. Inoltre fondò e diresse alcune importanti riviste, quali il "Giornale critico della filosofia italiana" (1920-1944), "Educazione fascista" (1927-1933) e "Civiltà fascista". Attraverso queste attività Gentile tese a sviluppare la presenza dell'attualismo nella cultura filosofica italiana e a renderne espliciti i presupposti storici (da Vico a Gioberti) e le applicazioni nelle varie sfere della cultura (educazione, arte, religione).

Ma la principale impresa culturale realizzata dal filosofo fu la promozione (con G. Treccani) e la direzione dell'Enciclopedia italiana, pubblicata dal 1929 al 1937 in 36 volumi. L'opera veniva in qualche modo a rappresentare la summa della cultura moderna, orientata secondo i princìpi dell'idealismo e dello storicismo. Attorno a questo ampio e ambizioso progetto culturale Gentile favorì la confluenza di intellettuali di vario orientamento (ivi compresi alcuni esponenti della cultura cattolica e perfino antifascista) allo scopo non solo di realizzare un obiettivo di egemonia culturale, ma anche e soprattutto per promuovere il consenso degli intellettuali nei confronti del fascismo.


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Enrico Galavotti - Homolaicus - Sezione Teorici
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Aggiornamento: 28-04-2015