IL PENSIERO DI SCHOPENHAUER

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IL PENSIERO DI SCHOPENHAUER

I - II

Arthur Schopenhauer nasce a Danzica nel 1788, da un padre ricco commerciante appartenente a una delle famiglie più antiche e ben in vista della città (morto, forse suicida, nel 1805) e da una madre scrittrice di romanzi (il suo salotto letterario era frequentato da Goethe, Wieland, i due Schlegel e Friedrich Majer). Gli Schopenhauer hanno relazioni amichevoli con personalità tra cui il poeta Klopstock e il filosofo Reimarus.

Nel 1808 il rapporto con la madre s'incrina al punto ch'egli va a vivere a casa del suo insegnante di greco. Probabilmente il motivo stava nel fatto che non voleva caricarsi dell’onere di continuare l’attività paterna né di avviarsi ad alcuna attività commerciale.

Nel 1809 compie il ventunesimo anno acquisendo il diritto di prelevare la propria cospicua parte di eredità (circa 19.000 talleri). La tranquillità economica gli permette di frequentare i corsi dell’Università di Gottinga. S’iscrive prima alla facoltà di medicina e successivamente a quella di filosofia.

Come studente universitario segue le lezioni di Fichte, Wolff e Schleiermacher (di Fichte dirà ch'era del tutto incapace di comprendere l’irriducibile negatività dell’esistenza). Si laurea a Jena nel 1813 con una tesi Sulla quadruplice radice del principio di ragion sufficiente, in cui critica la gnoseologia kantiana.

Nel 1814 rompe definitivamente con la madre e frequenta l’orientalista F. Majer, che gli fa apprezzare alcuni testi della filosofia indiana, tra cui le Upanishad. Vuole partire volontario nella guerra antinapoleonica, ma poi vi rinuncia ritirandosi a Dresda.

Nel 1816 scrive un testo in difesa delle dottrine scientifiche di Goethe, con cui era in amicizia: Sulla vista e i suoi colori, e due anni dopo pubblica la sua opera principale: Il mondo come volontà e rappresentazione, che rimane pressoché ignorata dalla critica e dal pubblico, al punto che gran parte delle copie vanno al macero.

Si consola compiendo un viaggio in Italia nel 1819. La sua conoscenza della letteratura italiana si estende ad autori quali Dante, Boccaccio, Ariosto, Tasso e Alfieri. Rientrato in Germania a causa del fallimento della banca presso cui aveva versato 8.000 talleri, fa di tutto per recuperare la propria somma. Decide d'intraprendere la carriera universitaria ed effettua domanda per la libera docenza all’Università di Berlino.

Nel 1820 tiene, dinanzi alla Facoltà riunita dell'Università di Berlino, una discussione Sulle quattro distinte specie di causa, distinguendosi immediatamente per un diverbio con Hegel, suo esaminatore. Si abilita comunque alla libera docenza, tenendo, sempre con molta difficoltà i suoi corsi liberi, in quanto gli studenti, che gli preferiscono le lezioni di Hegel, astro nascente, sono pochissimi.

Sempre nel 1820 s’innamora di Carolina Richter, detta Medon, corista all’Opera di Berlino. Nel 1823 Carolina dà alla luce un figlio, Gustavo, la cui paternità non risalirebbe però a Schopenhauer (lontano dall’amata nei mesi precedenti), anche se taluni biografi sostengono il contrario. Da lei comunque si separa nel 1825. L’anno successivo cerca di spostare il suo insegnamento presso altre Università, ma i suoi tentativi falliscono.

L'epidemia di colera (che porterà Hegel alla morte) lo costringe a trasferirsi a Francoforte (1832), dove nel 1836 pubblica La volontà nella natura, in cui cerca di far confluire i frutti dei suoi studi di medicina, astronomia e linguistica.

Nel 1839 riceve dalla Reale Società delle Scienze di Norvegia il primo riconoscimento ufficiale: un premio per il suo saggio su La libertà del volere umano. L’anno dopo partecipa al bando della Reale Società delle Scienze di Danimarca con lo scritto Il fondamento della morale, ma non ottiene alcun premio poiché nell’opera vengono insultati i maggiori filosofi dell’epoca.

Nel 1841 riesce a far pubblicare da un editore di Francoforte I due problemi fondamentali dell’etica giudicati sfavorevolmente dalla critica. Intanto ha i primi contatti con Julius Frauenstädt, l’allievo più fedele che riceverà in eredità tutti i suoi inediti.

Nel 1843 Friedrich Dorguth pubblica La falsa radice dell’ideal-realismo, in cui per la prima volta un critico esalta il pensiero di Schopenhauer.

L’anno dopo l’editore Brockhaus ristampa Il mondo con l’aggiunta dei Supplementi, ma le recensioni della critica continuano a essere fredde e il libro non si vende.

Il successo finalmente arriva, inaspettato, con Parerga e paralipomena (1851), soprattutto da parte dei critici inglesi. D'altro canto la crisi politico-ideologica derivante dal fallimento rivoluzionario dei moti liberali del 1848, è favorevole alla ricezione della filosofia schopenhaueriana, per quanto egli non avesse affatto parteggiato per le riforme liberali.

Nel 1854 il romanziere Wilhelm Gwinner, suo grande amico, diventa anche il suo primo biografo. Wagner è entusiasta di lui e gli invia una copia del poema L’anello dei Nibelunghi.

Nel 1856 l'Università di Lipsia bandisce un concorso per un saggio sulla filosofia di Schopenhauer, che è ormai famosa in tutta Europa. F. De Sanctis scriverà il libro Schopenhauer e Leopardi. Ma alla mancata fortuna di Schopenhauer in Italia contribuirà molto il neo idealismo di Croce e Gentile.

Muore di polmonite nel 1860 a Francoforte.

Radici culturali della sua filosofia

Le radici culturali del suo sistema filosofico vanno cercate:

  • nella teoria platonica delle idee, intese come entità separate dall'esistenza umana, che è copia sbiadita di quelle;
  • nel criticismo kantiano, di cui accetta tre categorie a priori (spazio, tempo e causalità), nonché l'impianto agnostico della prima Critica in direzione di un ateismo esplicito;
  • nel materialismo meccanicistico dell'illuminismo, là dove la vita psichica sensoriale è ridotta alla fisiologia del sistema nervoso e là dove si tende a demistificare le tradizioni cristiane (Voltaire);
  • in alcuni temi romantici: l'infinito, il dolore, l'irrazionalismo, il genio artistico, il valore della musica…;
  • nelle filosofie orientali, grazie alla mediazione dell'orientalista F. Majer. Schopenhauer è considerato il primo filosofo occidentale a tentare un recupero di alcuni temi del pensiero indo-buddista.

Tutte queste influenze sono state usate in funzione anti-hegeliana o, più in generale, anti-idealistica. Schopenhauer è considerato anche il fondatore della moderna filosofia pessimistica. Non dimentichiamo ch'egli conosceva anche la poetica leopardiana.

Fenomeno e Volontà

Il punto di partenza della sua filosofia è la distinzione kantiana tra fenomeno e noumeno. Essendo un irriducibile pessimista, Schopenhauer stravolge questa distinzione:

  • facendo del fenomeno non una realtà esterna al soggetto, con una sua propria oggettività, ma solo una rappresentazione esistente nella coscienza soggettiva, data dai sensi, collegati tra loro mediante tre forme a priori di tipo kantiano (spazio, tempo, causalità), con tutta la carica emotiva che ciò può comportare ("la vita è sogno"), in quanto soggetto e oggetto non sono separabili o riducibili l'uno all'altro;
  • e facendo del noumeno una volontà di vivere percepita dal soggetto come qualcosa d'irrazionale.

Quando Schopenhauer parla di fenomeno lo intende in due maniere.

- La prima è quella della tesi di laurea, secondo cui il fenomeno è determinato da tre forme a priori: spazio, tempo e causalità, imprescindibili alla materia. I quattro principi che rendono possibili i fenomeni sono: 1) quello del divenire, che determina la successione necessaria dell'effetto dalla causa (fisica), 2) quello del conoscere, che fa dipendere la verità delle conclusioni da quella delle premesse (logica), 3) quello dell'essere, che regola i rapporti fra tempo, spazio e fenomeni (matematica), 4) quello dell'agire, che regola i rapporti fra le azioni, facendole dipendere dai loro motivi (etica). Il principio di ragion sufficiente era stato elaborato da Leibniz, secondo cui nessun fatto potrebbe esistere, nessuna enunciazione essere vera senza una ragione sufficiente perché sia così e non altrimenti. La conclusione, per Leibniz, era che il nostro mondo è il migliore dei mondi possibili. Invece per Schopenhauer diventerà il peggiore dei mondi possibili e lo farà capire già nel quarto principio della sua tesi di laurea, allorché dirà che la volontà umana è oscura, nel senso che ha proprie motivazioni che ci spingono ad agire (spesso come non vorremmo), di cui noi non siamo del tutto consapevoli.

- La seconda maniera di considerare il fenomeno è quella trattata nella prima parte del mondo come volontà e rappresentazione. Qui Schopenhauer riduce le tre categorie kantiane (spazio, tempo e causalità: quest'ultima include tutte le 12 categorie della logica) a forme rappresentative non tanto della realtà, bensì del rapporto che il soggetto ha con la realtà; quindi quelle forme fanno già parte di una rappresentazione soggettiva della realtà, in quanto la realtà, in sé, resta se non inconoscibile, di sicuro incomprensibile. Cioè si possono comprendere le leggi che la determinano, ma non le motivazioni di fondo che le generano, poiché queste appaiono come insensate. Non c'è quindi rapporto di causalità tra soggetto e oggetto, ma solo tra oggetti (in senso fisico-matematico). Non esiste per l'intelletto la possibilità di un riferimento oggettivo al mondo esterno, perché per esso non vi è differenza fra realtà e illusione e quindi la conoscenza oggettiva della vera essenza delle cose è impossibile. Le cause, al massimo, possono essere percepite in maniera astratta, come rappresentazioni di concetti che si basano su intuizioni, ma non si può mai essere sicuri della loro validità, proprio perché la volontà agisce ciecamente. Il vero elemento dominante non è la conoscenza, mai oggettiva, ma la volontà, la cui oggettività è irrazionale, istintiva, cieca, che gli animali, a differenza dell'uomo, vivono in maniera incosciente e, per questa ragione, soffrono di meno.

Il corpo umano e la volontà

Il noumeno o cosa in sé Schopenhauer lo definisce col termine di "volontà di vivere", un impulso irresistibile che spinge gli esseri umani ad esistere e ad agire, cercando di soddisfare i loro desideri.

Nella seconda parte del Mondo, per far capire il senso di questa volontà, Schopenhauer parte dal corpo umano. E' infatti attraverso il corpo che ci rapportiamo al mondo. E nel corpo non c'è distinzione tra essere e dover essere: volere e azione coincidono, non sono in relazione causale. Il corpo è espressione di un volere che lo precede e che lo costringe a relazionarsi con il mondo secondo parametri che sfuggono all'uso della ragione. Il corpo non può non volere, poiché questa è la sua caratteristica istintiva, primordiale: l'unico modo per impedirglielo è quello di costringerlo con la ragione a non-volere.

Il corpo è fatto di bisogni e desideri che chiedono continuamente d'essere soddisfatti. Questa caratteristica non appartiene solo all'essere umano e animale, ma a tutta la materia, anche a quella inorganica e vegetale. Esiste una volontà eterna e indistruttibile che costringe tutto l'universo a desiderare sempre qualcosa e nessuno è in grado di spiegarsene il motivo.

La volontà si organizza in un sistema di forme immutabili (chiamate platonicamente da Schopenhauer "idee"), che vanno dal grado più basso (per es. gravità e magnetismo) al grado più alto, quello umano. Tutto è sottoposto ad attrazione e repulsione, cioè a una lotta incessante che contrappone tra loro gli esseri naturali, di cui quelli più forti vogliono dominare i più deboli.

E' come se la volontà universale si autolacerasse in una molteplicità conflittuale di elementi reciprocamente ostili che si contendono lo spazio e il tempo. Il caso-limite è quello della formica gigante d'Australia, che se viene divisa in due, la testa cercherà di afferrare l'addome per sopravvivere, ma questo si difenderà col suo pungiglione, finché entrambe le parti moriranno.

Desiderio, dolore, piacere e noia

Questa caratteristica della vita universale viene interpretata da Schopenhauer in chiave non solo filosofica, ma anche psicologica ed esistenziale, usando categorie come desiderio, dolore, piacere e noia.

Vivere (o volere) significa desiderare qualcosa che non si ha. Nell'uomo questa cosa istintiva viene percepita secondo coscienza, per cui se il desiderio non viene appagato, la sofferenza è maggiore. Quando si desidera si soffre, perché si è in tensione; e quando si raggiunge lo scopo, si è soddisfatti, ma solo temporaneamente, poiché ben presto emergono nuovi bisogni o desideri e il ciclo si ripete.

Se non vi sono nuovi desideri, subentra la noia. Quindi la vita non è che un pendolo che oscilla tra il dolore di non avere qualcosa e la noia di possederlo, passando attraverso il breve intervallo del piacere (che è quindi illusorio), sicché il male non sta solo nel mondo, ma anche nel principio che l'ha creato.

Il primato della specie sull'individuo

Per quanto riguarda il genere umano, Schopenhauer è convinto che alla volontà non interessi affatto il singolo individuo, quanto piuttosto la specie, per cui il fine dell'amore è in realtà soltanto la riproduzione della specie. Il caso-limite è quello della mantide religiosa, che divora il maschio dopo l'accoppiamento. Ecco perché l'unico amore accettabile è quello asessuato della pietà. La sessualità viene percepita dagli umani con vergogna, perché per suo mezzo si crea un altro essere soggetto alla volontà, e quindi alla sofferenza eterna.

La causa di questa irrazionalità Schopenhauer non se la spiega: si limita a constatarla (il suo metodo è induttivo). Solo in un punto afferma che forse in origine la volontà non era vista come nemica, nel senso che l'uomo soffre a causa di una colpa originaria, di un distacco dalle idee eterne.

Rifiuto delle filosofie ottimistiche

Con questa forma di radicale pessimismo cosmico, Schopenhauer non può che rifiutare qualunque filosofia ottimistica o idealistica:

  • l'ottimismo cosmico, quello hegeliano, soprattutto perché è filosofia ufficiale dello Stato prussiano, che si ritiene il più avanzato d'Europa, ma anche quello del cristianesimo, basato sulla provvidenza divina che sistema ogni cosa. Schopenhauer rifiuta l'identità di reale e razionale: la realtà non ha nulla di razionale e non può essere compresa adeguatamente dalla ragione;
  • l'ottimismo sociale, in quanto l'uomo sin dalla nascita è tendente al male e non diventa sociale se non per bisogno: di qui le leggi, i contratti e lo Stato che regolamentano la sua aggressività;
  • l'ottimismo storico, in quanto la storia non è progressiva, ma ripetitiva: non vi è una linea ascendente verso il bene, ma un circolo chiuso in cui gli uomini ripetono sempre gli stessi errori.

Le vie di liberazione dal dolore

Le vie di liberazione dal dolore vengono trattate nella terza e quarta parte del Mondo e sono di tre tipi:

- arte, come forma di conoscenza libera e disinteressata da parte del genio, che, dimentico della propria individualità e lui stesso un po' folle, si rivolge alle idee (modelli eterni delle cose), contemplandole o intuendole, nel mentre le riproduce, come aspetti universali della realtà, a prescindere dalle esigenze pratiche (pulsionali) della volontà. Ma la contemplazione disinteressata del bello garantisce solo un conforto momentaneo, un piacere estetico passeggero. Al livello più basso di arte Schopenhauer pone l'architettura (che è materia inorganica), al livello più alto la musica, che è immediata rivelazione della volontà a se stessa. In mezzo vi è la scultura, la pittura e la poesia (di quest'ultima il vertice è raggiunto dalla tragedia, che è l'autorappresentazione dell'insensatezza e drammaticità della vita);

- compassione o pietà, come tentativo di vincere l'egoismo impegnandosi nel mondo a favore del prossimo, che patisce una sofferenza universale. Dalla moralità sorge la conoscenza più umana. La pietà o carità è superiore alla giustizia, poiché questa consiste nel non fare il male, mentre quella nel fare il bene;

- ascesi, intesa come tentativo di estraniarsi totalmente dalla vita e da qualunque forma di desiderio e di piacere, mortificando se stessi, con umiltà, castità, povertà, digiuno, sacrifici d'ogni tipo. Non è prevista l'estasi, l'unione mistica con la divinità, ma il Nirvana, cioè l'esperienza del nulla. La volontà va negata completamente (nolontà, noluntas), negazione dell'individualità (o del principium individuationis): si plaude cioè all'atarassia, all'imperturbabilità. La morte è salutata con gioia, ma senza suicidio, perché sarebbe un atto individualistico e un rifiuto della vita, non della volontà: il problema non è come desiderare di non essere, ma come non desiderare.

Influenze della sua filosofia

Nietzsche lo ricorderà come il solo vero educatore della nuova Germania, mentre tra fine Ottocento e inizi del Novecento troverà lettori appassionati come il giovane Thomas Mann, Freud e Wittgenstein, interpreti e continuatori come Georg Simmel e Carlo Michelstaedter. Ma la sua opera influenzerà anche Wagner, Kierkegaard, Bergson, Spengler, Jaspers, Horkheimer, André Gide, Stuart Mill, George Eliot, Thomas Hardy, G. B. Shaw, Italo Svevo, Tolstoi, ed è impossibile non vedere nella filosofia di vita di Verga e Pirandello caratteristiche simile alla sua.

Aspetti critici

Come fa una persona a immaginarsi o a rappresentarsi una volontà (astratta, metafisica) del tutto irrazionale se non ha, in sé, il senso della razionalità? Bisogna chiederlo a Schopenhauer.

Ovvero come fa uno ad avvertire questa irrazionalità come un peso e non come una caratteristica naturale dell'esistenza? Bisogna sempre chiederlo a lui o, se si preferisce, a Leopardi, che in questo, si somigliano molto.

Una cosa infatti è sostenere che la vita (questa concreta e maledettissima vita) non ha senso, un'altra che si è costretti a viverla come un destino ineluttabile, al punto che cercare di opporvi resistenza sarebbe del tutto inutile, al pari degli ergastolani che un tempo marcivano ad Alcatraz.

Nella filosofia aristocratica di Schopenhauer gli effetti dell'insensatezza della vita sembrano non avere altra causa che se stessi, poiché sulla loro vera causa (che dipende da una volontà cieca e irrazionale) non è possibile dire alcunché di oggettivo.

Cioè in pratica, invece di attribuire agli esseri umani in generale (o ad alcuni in particolare) il non-senso dell'esistenza, lui preferisce attribuirlo alla natura, che si servirebbe degli uomini per riprodursi all'infinito, senza uno scopo preciso.

Schopenhauer ha polemizzato tutta la vita con tutti i filosofi euroccidentali, eppure non è mai riuscito neppure una volta a distinguere chi, tra gli uomini, è responsabile, più di altri, dell’insensatezza della vita. Alla fine nessuno è responsabile di nulla, in quanto tutti siamo determinati da forze oscure e inconsce, come nella psicanalisi freudiana, che a lui deve molto.

L'uomo quindi non sembra avere alternative, e il fatto di non volersi suicidare, arrendendosi alla volontà irrazionale, ma di combatterla rinunciando a tutti i desideri, alla fine diventa soltanto una forma di resistenza fine a se stessa, priva di sbocchi. Si rinuncia a tutte le illusioni, illudendosi di avervi davvero rinunciato, cioè facendo di questa stessa rinuncia una nuova forma di volontà irrazionale: una volontà che non vuole avere desideri senza senso e che quando li distrugge lo fa di nuovo senza senso. “Dio mio, direbbe san Paolo, se faccio non ciò che voglio ma ciò che non voglio, chi mi libererà da questo corpo di morte?” (Lettera ai Romani, 7, 13-25).

Una cosa infatti è impedire a se stessi di confondere la realtà coi propri desideri, un’altra è dire che il miglior modo per non illudersi è non-desiderare alcunché. In ultima istanza, non diventa forse anche questa una scelta non meno forzata di quell'esistenza obbligata a compiere cose contro la propria volontà?

La contraddizione maggiore di Schopenhauer sta nel fatto ch'egli cerca di negare il principium individuationis, cioè l'individualità, tramite soprattutto l'ascesi (non mistica, beninteso), che invece è tipicamente individuale. In un senso capovolto fa la stessa cosa della volontà cieca e irrazionale, che pur egli voleva combattere: infatti alla volontà - scrive Schopenhauer - non interessa l'individuo, ma solo la specie, cioè la riproduzione sessuale, mascherata dall'illusione dell'amore. Sicché, mentre in natura la mantide religiosa divora il maschio dopo l’accoppiamento, lui invece ha rinunciato al matrimonio perché la donna con cui s’era messo lo tradiva.

Se si esaminano le tre vie di liberazione dalla volontà irrazionale (arte, compassione e ascesi), si scopre che in ognuna di esse ciò che il soggetto nega è, in ultima istanza, solo la sessualità, cioè la riproduzione fisica.

L'arte è riproduzione intellettuale di un genio individualista che contempla le idee eterne senza lasciarsi condizionare dalle esigenze prevaricatrici e prepotenti della volontà. La compassione è praticata da chi non ha famiglia e si dedica esclusivamente al prossimo, condividendo un dolore universale, quello di vivere in una vita senza senso, priva di un fine gratificante. L'ascesi è quella forma di misticismo indo-buddista che gli uomini vivono rinunciando al matrimonio, o che iniziano a vivere da anziani, dopo essersi fisicamente riprodotti. Con l'ascesi si supera la tentazione del suicidio, che è rifiuto volontario dell'esistenza, mentre il problema sta nel superare qualunque forma di volontà.

In tutte e tre le soluzioni l'uomo è sessualmente casto, quindi vien da pensare che il motivo attorno a cui ruota il pessimismo di Schopenhauer sia appunto quello della sessualità repressa. Rinunciare a questa, voleva in un certo senso dire per lui rinunciare a qualunque altro desiderio. Egli non arrivò mai a sublimare questa forma di auto-castrazione in un'attività davvero positiva. Al contrario, ha fatto di quella forma estrema il pretesto per negare l'esigenza di affermarsi in qualche campo della vita. Questo naturalmente gli è stato possibile perché il padre l’aveva messo in condizioni di poter campare di rendita.

L'unica soddisfazione della sua vita è coincisa con la sua stessa produzione teoretica da filosofo isolato; infatti neppure l'insegnamento universitario gli diede mai un qualche piacere (alle sue lezioni gli studenti preferivano quelle di Hegel). Concretamente comunque, delle tre vie di liberazione dall'irrazionalismo, egli non ne praticò alcuna. Neppure l’astinenza sessuale, poiché dovette curarsi contro la sifilide.

- L'attrazione e repulsione degli opposti non viene interpretata in maniera dialettica, ma in maniera esclusivistica, nel senso che l'elemento più forte prevale sempre sul più debole.


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Enrico Galavotti - Homolaicus - Sezione Teorici
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Aggiornamento: 26-04-2015