LEZIONI SU MONTALE

LEZIONI SU MONTALE

LA VITA - L'UOMO

I - II - III

EUGENIO MONTALE


La vita di Montale, specie se conosciuta dopo quella un po' avventurosa e randagia di Ungaretti, appare priva di "colpi di scena".

In fondo è la vita piana di un intellettuale borghese.

Montale nasce a Genova nel 1896. La famiglia è agiata e possiede una villa a Monterosso, nelle Cinque Terre, dove trascorre ogni villeggiatura. Eugenio è di salute malferma, perciò interrompe gli studi tecnici avviati. Proseguirà con l'aiuto di una sorella. Intanto scopre la passione per il canto, che l'accompagnerà, sotto sotto, tutta la vita.

Studia regolarmente presso un vecchio cantante lirico, ma alla fine rinuncia al sogno di calcare il palcoscenico, forse soprattutto per timidezza.

Le prime poesie le scrive quando ha vent'anni, nel '16.

Subito dopo è chiamato alle armi e sarà ufficiale fino al '19.

Partecipa alla vita culturale genovese, frequentando, tra gli altri, Camillo Sbarbaro, che pochi anni prima aveva pubblicato "Pianissimo".

Nel 1925 esordisce con OSSI DI SEPPIA, edito da Gobetti, alle cui idee si era accostato. A Milano, nel 1926 conosce Svevo, alla cui opera aveva dedicato penetranti articoli (contribuendo in sostanza a "scoprirlo") l'anno prima.

Di fronte al fascismo dilagante il suo atteggiamento è fermo: anche lui sottoscrive il Manifesto antifascista di Croce.

Si chiude, nel 1927, il periodo "genovese" della sua vita. Montale, desideroso di indipendenza economica, trova un impiego a Firenze, da Bemporad. Ma presto lo lascia, per la direzione del Gabinetto Vieusseux, che terrà alcuni anni, fino al licenziamento per aver rifiutato la tessera del fascismo.

Intanto ha conosciuto e, dopo anni di relazione, sposato Drusilla Tanzi, che sarà "Mosca", moglie di un critico d'arte, .

Ma altre donne aveva già conosciuto e amato. Irma Brandeis in particolare, americana, partita la quale (era ebrea) nel 1938, egli tornò alla sua "Mosca", sposandola dopo la morte del marito di lei. A Firenze partecipa alla vivacità di quell'ambiente culturale, raccolto simbolicamente intorno al Caffè delle Giubbe Rosse. Lì trova scrittori, artisti, e critici (De Robertis, Contini, Praz). E' il clima di modernità e di europeismo inaugurato da SOLARIA (una celebre rivista letteraria degli anni Trenta).

Tra le altre suggestioni di questo periodo spicca l'interessamento per la poesia inglese e francese, ma per Eliot in particolare.

Dopo la pubblicazione, nel 1939, de LE OCCASIONI, i giovani poeti, Luzi, Bigongiari, Parronchi, cominciano a sentirlo maestro sulla via dell'ermetismo.

Durante la guerra Montale, nel '44, sente il dovere dell'impegno politico e si iscrive, ma per poco, al Partito d'Azione. E' tra i fondatori de Il Mondo, rivista di grande prestigio culturale e di ispirazione liberale e democratica, e lo dirigerà fino al 1947.

Si apre così l'ultimo periodo della sua vita, quello milanese e della collaborazione al Corriere della Sera. Nel 1963 morirà Mosca e la vena poetica, dopo un lungo silenzio, tornerà a farsi viva, con le poesia di SATURA, DIARIO E QUADERNO.

Intanto cresce la sua fama e i riconoscimenti fioccano, fino al Nobel del 1975.

Muore a Milano, nel 1981 e al suo funerale partecipano quarantamila persone. Aveva voluto i funerali religiosi.

Questa la vita.

Ma l'uomo, con la sua arguzia, le sue scontrosità, la sua ingenuità, emerge meglio che in ogni altro modo, da qualche episodio che la bella biografia di Giulio Nascimbeni rievoca.

Intanto vale la pena di sottolineare, nel tracciarne la vita, il carattere schivo del poeta e il suo rifiuto radicale di ogni concessione alla moda, alla mondanità, all'enfasi. In un'intervista del 1976, per esempio, egli affermava di essere divenuto poeta non per una "prepotente vocazione", come si potrebbe romanticamente o dannunzianamente dire, ma "perché non vi fu occasione di diventare musicista o pittore". Cioè quasi per ripiego. E nella stessa intervista egli sottolineò come la sua giovinezza fosse stata solitaria e che essa, del resto "passò presto".

COLLOCAZIONE STORICA

La collocazione di Montale entro una storia della letteratura italiana del Novecento non è ancora del tutto pacifica, perché restano discussioni intorno al suo rapporto con Ungaretti e con l'ermetismo. Talvolta, infatti, nei manuali di letteratura, troviamo Ungaretti e Montale accomunati sotto l'etichetta dell'ermetismo, altre volte i due, invece, fanno un capitolo a parte (o due), cui segue un altro sull'ermetismo.

Oggi prevale la tendenza a differenziare più che ad accomunare Ungaretti e Montale; e a distinguere i due poeti dalla generazione dei lirici propriamente ermetici, operanti negli anni 30 del '900; a individuare le ragioni che fecero di Ungaretti e Montale due "maestri" dell'ermetismo (ma per Petronio è propriamente Ungaretti il maestro dell'ermetismo ); a riconoscere, infine, la difficoltà di una periodizzazione e classificazione nell'ambito di una realtà letteraria ancora, tutto sommato, forse ancora fluida perché troppo recente.

La proposta più convincente che viene dai manuali è di separare Ungaretti Montale e Saba (o anche Cardarelli) dai grandi predecessori (Pascoli e D'Annunzio) e di accomunarli sotto la definizione di "poeti nuovi"; definizione utile proprio perché generica, che indica, appunto, soltanto lo stacco consumato tra i grandi decadenti a cavallo dei due secoli e i nuovi poeti, esordienti entro il primo ventennio del 900.

I nuovi poeti, insomma, sono quelli che hanno attraversato e superato Pascoli e D'Annunzio; che guardano ad essi e al simbolismo come a esperienze concluse e tracciano nuovi orizzonti. Ma questi poeti nuovi, poi, non possono "fare gruppo", cioè costituire una "scuola", perché se ai contemporanei Montale, Ungaretti e Saba sembrarono "fare triade" (Santoro), oggi emergono sempre più le differenze che li dividono.

Così, per esempio, si segnala che Montale ha un profilo intellettuale e un carattere poetico profondamente legati alle esperienze europee, mentre Ungaretti (con Saba e Cardarelli) è attratto dal recupero della tradizione più propria della poesia in lingua italiana (Ricciardi). Ma si segnala anche che Ungaretti, agli esordi, si presenta come eversore della tradizione, mentre Montale se ne tiene entro i confini e, anzi, cerca un discorso diffuso, e desidera un colloquio, sebbene vano, con se stesso e con gli altri. (Pazzaglia)

E' però anche vero che sono numerose le somiglianze tra i "poeti nuovi". Pazzaglia, per esempio, usa per essi la definizione di "poesia pura" e traccia questo elenco di elementi comuni: reazione al conformismo e all'anonimato della società massificata; nuova percezione, non razionale, non scientifica, del reale, affidata invece alla poesia; liquidazione del superomismo dannunziano e del provincialismo pascoliano e richiamo ai simbolisti e ai surrealisti francesi; essenzialità espressiva contro l'effusione romantica; poesia che non "rispecchia" una realtà data ma è "fondazione" di realtà, illuminazione che giunge dall'ignoto (ecco il senso dell'analogia); la parola come atto di conoscenza dell'inconoscibile, perciò sottratta ai significati consueti, all'uso comune, e destinata a evocare, più che a descrivere.

Certo, in questo elenco trovano posto caratteristiche montaliane, ma per altri versi lui, Montale, ne è fuori (montaliana infatti è la fedeltà ad un impegno di razionalità e di decifrazione di "questa" realtà).

In definitiva bisogna convenire che la collocazione storica di Montale e, in genere, dei poeti del Novecento (a parte forse il gruppo degli ermetici di "scuola"), è controversa, forse perché la critica non ha ancora individuato le categorie, le coordinate necessarie alla loro storicizzazione.

In linea di massima, però, si può convenire con Petronio che, pur riconoscendo quanto sia variegato il panorama della lirica del Novecento, individua in essa una linea più significativa e "alta", che cerca l'essenzialità espressiva, rifiuta le convenzioni ottocentesche, il ruolo del poeta-vate (cui incapparono sia Carducci sia Pascoli e D'Annunzio) e, soprattutto, è unita dalla consapevolezza di una generale crisi di valori, che coinvolge la storia, la realtà, l'uomo e che lascia l'individuo solo e smarrito di fronte al suo destino; a questa situazione (che trova il suo corrispettivo nella narrativa sveviano-pirandelliana) fa riscontro la residua fiducia nella poesia, non come banditrice di verità, ma come capacità di riscattare dalla disperazione e come suprema dignità di chi non vuole rassegnarsi, avvilito, allo scacco. In questo, e proprio in questo Montale è ben vicino ad Ungaretti, perché tutti e due trasfigurano nei dati della propria esistenza una crisi storica (Petronio) e della propria condizione fanno specchio della condizione di solitudine e di alienazione dell'uomo contemporaneo (Santoro).

OSSI DI SEPPIA

1. I critici sono concordi nel ritenere che questa prima raccolta montaliana esprima una concezione del mondo radicalmente negativa.

Nell'uomo, e anche nel poeta, manca ogni certezza; e nel mondo dominano l'aridità e il male. Tutto è preda del "male di vivere". Ma il poeta non si acquieta in questa constatazione, e a maggior ragione non se ne compiace romanticamente (non ne vuol fare "merce da salotto"); anzi egli assegna alla poesia un compito privilegiato, ne fa uno strumento di conoscenza, che, prima di tutto confessa la fragilità, l'inconsistenza, lo sbandamento dell'individuo chiuso entro un mondo/prigione, ostile, duro. Per questo, nel naufragio di valori e di certezze, è affermata da Montale la suprema e superstite dignità della poesia.

Proprio il celebre "ciò che non siamo..." è in fondo affermazione di una scomoda e difficile testimonianza che la poesia si carica sulle spalle, rinunciando a facili illusioni. Ma la poesia è anche conoscenza, atto intellettuale "che si dirige verso qualcosa che non appartiene a questo mondo oppure si nasconde dietro le apparenze ". La poesia è definita da Montale stesso "metafisica" (Ricciardi), è allora... "l'arte che nasce dal cozzo della ragione con qualcosa che non è ragione...". Perciò la poesia non è sfogo sentimentale, indagine psicologica, decorazione, diffusione di valori o di messaggi. E' ricerca intellettuale, la quale riconosce un "essere" nelle cose inconoscibile alla ragione.

2. Però Montale non resta appiattito sulla sua visione negativa. Di tanto in tanto (a cominciare da "I limoni", fino alle ultime liriche della raccolta : Crisalide ecc.) si profila la tensione di un animo, di una mente che cerca un "varco" oltre il quale, fuori della "prigione", sorrida la vita, la felicità, la pienezza dell'essere. Il tema del "varco", appunto, (e della "fuga") è uno dei motivi portanti di tutta la raccolta.

3. Qualche critico ha trovato che nel buio di un pessimismo così solido si accende, pure, qualche luce, qualche barlume anzi, che allude a una indefinita e indefinibile salvezza. Sono figure, suoni, oggetti, che misteriosamente sembrano rimandare ad una realtà diversa, ad una imprecisata "salvezza", che spezzi le sbarre della prigione.

Ne ha fatto cenno Contini ("Il-fantasma-che-ti-salva") e vi ha insistito soprattutto Gioanola, che ha trovato già negli Ossi (e più nelle Occasioni e dopo) le tracce di un'ansia religiosa di fronte ad un'esistenza di angoscia e di nulla (esempio: il girasole, simbolo del divino). Gioanola ha trovato negli Ossi " i segnali impercettibili di una pura possibilità che non si apre" e ha detto che negli ultimi testi della raccolta " è la donna a porsi come mediatrice di impossibili possibilità: è la ragazza conosciuta nelle estati di Monterosso, Annetta-Arletta".

Altri critici, però, trovano che questi miti femminili, misteriosi e remotissimi, non contraddicono il clima di disperazione della raccolta (Pazzaglia). E tuttavia anche Pazzaglia non può negare che in "Riviere" si apra lo spiraglio di una pur difficile speranza.

4. Dietro gli Ossi, come precedenti culturali ma anche dentro, come trama filosofica, dobbiamo riconoscere la traccia, l'eco, del dibattito filosofico contemporaneo. Ecco allora l'eco di Schopenhauer, il quale depaupera l'uomo di ogni vera possibilità di conoscere le cose; ecco Boutroux, che ispira il tema della necessità, la quale incatena l'uomo e dalla quale solo l'improbabile miracolo ci può "salvare". Insomma, presupposto culturale degli Ossi, è la reazione filosofica alla crisi delle certezze e dell'ottimismo positivistici.

5. Presupposti storico-sociali non è certo che gli Ossi ne abbiano.

Qualcuno ha collegato la negatività di Montale allo sbandamento generale del primo dopoguerra e all'isolamento della buona borghesia liberale di fronte al dilagare del fascismo, ma altri hanno constatato che le affermazioni di fondo, già nette e lucide, del pessimismo montaliano sono ben anteriori al fascismo (Pazzaglia); d'altronde il post-fascismo non ci ha dato un Montale diverso.

Ha invece ragione chi (Salinari) riconosce che Montale, per i giovani tra le due guerre, fu una guida e un sostegno: "la sua poesia dava voce alla nostra profonda infelicità ma ci ammoniva a guardarla in faccia con coraggio e a non sperare consolazioni". Lezione di forza morale (leopardiana, direi) che contrassegna bene una costante dell'opera di Montale.

6. Se ci avviciniamo, ora, alle caratteristiche più propriamente letterarie degli Ossi, e, insomma, al volto col quale la poesia ci si mostra, troviamo che Montale non si presenta, agli esordi, come eversore della tradizione (quale fu invece Ungaretti). Se nuovo è il contenuto, il linguaggio manca di ogni ostentazione rivoluzionaria e, anzi, è in continuità con Pascoli e con Gozzano (Contini) e non esula dalla metrica tradizionale, sia pure operando in essa delle novità e quasi nascondendo l'adesione ad essa (es.: l'adesione alla rima, dissimulata nell'uso della rima al mezzo o interna). Dunque, un rifiuto dell'avanguardismo sperimentalistico e un conservatorismo formale che, addirittura, talvolta riecheggia Dante. Questi rapporti letterari sono, tuttavia, ancora in discussione e specialmente lo è il rapporto tra Montale e D'Annunzio.

In genere (Gioanola) viene accentuato il distacco fra i due poeti e, per esempio, viene notato che gli Ossi, con la loro natura povera e con quell'io poetante ancor più povero e smarrito, siano il capovolgimento della situazione alcyonica; come pure il rapporto col mare è differente. Entità materna, accogliente, gratificante in D'Annunzio, il mare è, per Montale, il "padre", la legge, "l'altro" che gode della verità e della pienezza dell'essere, e da esso il poeta si sente esiliato, rottame rifiutato, "osso di seppia". Il mare è l'immobilità nel tempo, pur apparentemente mutevole; l'uomo è "l'essere-per-la-morte", temporalità alla deriva.

Altri critici (Ricciardi), invece, dicono che il rapporto con D'Annunzio è più complesso e che Montale -come lui stesso ha notato per Gozzano- ha "attraversato" D'Annunzio. Cioè Montale "non appare oppositore e tanto meno eversore della poesia dannunziana (ad es. permangono il motivo dell'adesione al ciclo vitale della natura, o certi echi verbali), ma piuttosto come colui che attua una riduzione ironica e un abbassamento di tono rispetto alla retorica e all'enfasi dannunziane. "Di particolare interesse è anche la scarsa attenzione mostrata da Montale per Ungaretti, che discende dal suo rifiuto per una poesia "pura" e accentuatamente lirica. Montale non ama la poesia/folgorazione, che diventa creazione" di realtà, grazie all'insistito uso dell'analogia; e non ama, perciò, il frammento. Tenace è l'impegno conoscitivo, invece, che conduce spesso all'andamento discorsivo e ragionativo.

7. Per concludere questa breve introduzione alla lettura degli Ossi, bisogna ancora avvertire che un elemento caratterizzante e unificatore di queste liriche è l'ambientazione geografica, precisa e unitaria: la Liguria, colta nella sua natura meno "turistica" e accattivante, anzi più povera e dimessa. Prevale, anche, la stagione estiva (e compare il ricordo di lontane estati di fanciullo), ma questo paesaggio assolato, pur minutamente descritto, non possiede nemmeno un minimo di vitalità, che sempre si ritrova nell'operazione poetica. Getto infatti parla di forme nude, quasi pietrificate, e ridotte come a pure cifre, stilizzate, immobili. Questo è il paesaggio propriamente montaliano.

LE OCCASIONI

1. In questa seconda raccolta Montale trasferisce la fenomenologia del negativo dalla natura (lo spazio) alla storia (tempo), storia personale e storia collettiva.

Non si può trascurare, per comprendere questa "negatività" che investe il tempo, il clima dell'epoca: sono i secondi anni Trenta, le dittature di destra e di sinistra incombono, si agita lo spettro di un'altra guerra.

2. Ma nemmeno si deve considerare la poesia delle Occasioni solo una risposta ai "tempi". La disarmonia, che Montale canta, tra se stesso e il mondo, prescinde dal tempo storico in cui è collocato il canto: è la disarmonia assoluta tra l'uomo e la vita.

Ha scritto C.Bo: "Montale si era subito schierato con gli altri (gli antifascisti), i vinti, all'ombra di Croce, ma la sua partecipazione all'antifascismo aveva un altro suono: gli avvenimenti per lui non avevano un valore assoluto, erano piuttosto simboli di una condizione dell'uomo, il segno che quaggiù nulla dura, nulla è certo e all'uomo è concesso soltanto di percepire- in qualche momento di grazia- dei lampi di verità, delle minuscole frazioni di luce interiore." La crisi, cioè, di cui egli intendeva farsi poeta, non era solo politica, sociale o addirittura esistenziale ma uno stato di perenne interrogazione accanita e impietosa.. dal quale l'uomo si sente avvolto fin dalla nascita della coscienza e dal quale non riuscirà più a sciogliersi. (Cfr. anche il tema della sua religiosità come ricerca non compiuta).

3. Nelle Occasioni, comunque, emerge un tema, che già si annunciava negli ultimi Ossi: la donna-che-salva; il fantasma-miracolo-che-riscatta.

Anzi, secondo Contini, la sostanza del libro è la rivelazione di questi fantasmi salvatori: l'amuleto di Dora Markus, la casa dei doganieri, l'anguilla.

Insomma il pessimismo, più di prima, diventa febbrile tensione e la rinuncia alla vita diventa una sorta di radar per captare segnali con paradossale energia decifratoria (Raboni).

4. Ecco quindi che l'unità del libro non è più "ambientale", come negli Ossi, ma affidata al filo conduttore della presenza femminile; l'unità è nella donna, che propizia le "occasioni", cioè gli episodi e le "epifanie di senso".

La donna, in definitiva, sebbene difficilmente identificabile, appare depositaria di una difficile, indeterminata salvezza, che si attuerebbe attraverso un improbabile ma desiderato miracolo.

La donna, dunque, quasi stilnovisticamente, come salvezza, circondata anzi di connotazioni metafisiche.

5. Per questo, qualcuno (Contini) parla delle Occasioni come di un canzoniere d'amore, in cui, però, si canta l'assenza.

Anche altri (Ghidetti-Romagnoli) trovano che i più bei canti d'amore della lirica contemporanea li abbia scritti Montale: gli addii, rimpianti, le nostalgie, le angosce di una solitudine che non si rassegna.

6.Per la lingua poetica, le Occasioni forniscono lo spunto a parlare dell'ermetismo di Montale.

I giovani poeti degli anni Trenta, gli ermetici cioè, guardarono soprattutto al Montale delle Occasioni come a un maestro.

In realtà il Montale delle Occasioni è oscuro. Lo stesso poeta lo ammette, e lo attribuisce ad un eccesso di "confidenza" con la materia.

Gioanola, però, nega che si possa parlare di vero ermetismo e attribuisce l'oscurità non tanto al gioco, all'abbondanza, (talvolta abuso) delle analogie, ma alla densità dei significati, per molti dei quali manca la chiave interpretativa.

Ecco perché può dirsi un eccesso di confidenza: Montale allude a luoghi, persone, eventi scrivendone come se le allusioni bastassero per decifrarli; ma il lettore non sa, e continua a non sapere.

Non c'è -aggiunge Gioanola- tanto il simbolismo <creazione, fondazione di realtà/altra attraverso la parola> quanto piuttosto l'allegoria e la utilizzazione dell'esperienza poetica di area inglese (Eliot, Blake, Browning).

E' il "correlativo oggettivo" eliottiano per il quale l'oscurità non è verbale, legata al gioco del significante, ma dei contenuti.

Perciò bisogna convenire -conclude Gioanola- che Montale è poeta realissimo, legato a circostanze precise, delle quali, però, non sappiamo nulla, almeno spesso.

Ma il dato di partenza, concretissimo, si apre a significati ulteriori, allegorici, visionari.

Gioanola dà l'esempio di "Verso Capua", dove elementi realistici sono immediatamente sollevati in un'atmosfera allegorica e visionaria.

LIRICHE SIGNIFICATIVE

La casa dei doganieri

Dora Markus

Non recidere forbice

Notizie dall'Amiata

Ti libero la fronte dai ghiaccioli

DALLA BUFERA AL DIARIO

Diamo ora uno sguardo alle raccolte poetiche di Montale successive alle Occasioni.

1. Ne La Bufera e altro (1956) è largamente presente il tema della guerra, della tragedia storica mondiale.

2. In questo contesto di Male che incombe sul mondo, la donna diventa sempre più la Beatrice che salva.

Addirittura, in Iride, Clizia assume propriamente funzioni cristologiche. (Gioanola).

Santoro concorda affermando che la tragedia storica fa affiorare una vena di religiosità, anche se non si tratta di una religione positiva o di una chiesa determinata.

La Chiesa è invisibile, e formata da membri inconsapevoli, accomunati dall'anelito a rompere la fredda rete di una realtà opprimente.

In questa religiosità Santoro trova riflesso il dramma personale di Montale e quello dell'uomo contemporaneo, che si sente disperatamente solo e pure aspira a ritrovare il divino e l'eterno.

Boncompagni insiste su questo tema della religiosità montaliana:

"La domanda religiosa che sale dall'uomo per trovare appagamento in un senso trascendente non è ignota a Montale ed essa trova sicuramente il suo vertice nella terza raccolta: Iride e Clizia... sono le mediatrici di questa domanda.

"Virgilio Fagone notava ... che l'inquietudine del poeta ligure ha una <chiara matrice metafisica> e non è quindi riconducibile ad una sofferenza privata."

"Antonielli: il Montale... interpreta una società propensa a orientarsi fra i suoi molti problemi con la filosofia dell'esistenzialismo e viene a dirci... che l'aspetto essenziale della crisi del 900 è per lui quello religioso."

Conclude Boncompagni :"E' l'invocazione, e non l'esaudimento, la più autentica misura della religiosità montaliana, la sua impronta è nella domanda che lascia aperto uno spazio per Dio... ma non si sa poi riempirlo se non di riflessioni disincantate o di presenze iinafferrabili."

Ma intanto è pur vero che Montale ha scritto: "... non c'è pensiero che imprigioni il fulmine ma chi ha veduto la luce non se ne priva."

3. Però, per tornare a La Bufera, bisogna dire che la raccolta va cronologicamente oltre gli anni della guerra: avanzano così i nuovi tempi. E' epoca delle ideologie, di confusione, di pace precaria, di massificazione etc.

Impallidisce, ora, il fantasma della donna-che-salva. Ma permane la tenace resistenza contro la tirannide: ora nuova tirannide, rossa" o "nera", tirannide dei partiti, del numero, volgarità delle masse.

La poesia si disegna, così, come difesa umanistica contro il caos; e lascia, perciò, permanere una speranza.

4. Altri critici trovano invece che la novità della Bufera sia nel fatto che il male di vivere esistenziale prenda corpo, ora, in figure della Storia, che lo realizzano compiutamente.

Da un lato, perciò, si colloca la consueta trasfigurazione allegorica; dall'altro un fremito di indignazione civile e quasi il desiderio di una partecipazione più diretta alla difesa dal male.

5. SATURA (il titolo riecheggia il genere letterario latino) inaugura un Montale ispirato alle minute vicende della cronaca. Sarà così anche per il DIARIO.

La fenomenologia del negativo, eterna, emerge ora dalla politica dei politicanti, dal consumismo, dal chiacchiericcio pseudoculturale, dalla massificazione dei cervelli.

Su questi avvenimenti, o micro-avvenimenti, l'intelligenza di Montale si esercita in una critica lucida e tagliente.

Ironicamente egli demistifica i miti, scopre i falsi valori, i trucchi, la povertà dei conformismi.

I valori di fondo che guidano Montale in questa ricognizione sono la razionalità, la serietà, la "decenza": insomma un ideale aristocratico di civiltà avverso ai guasti della democrazia.

6. Tuttavia, nonostante questo "abbassamento" di tono, c'è chi trova che anche questi avvenimenti apparentemente comuni o minimi riescono a diventare una dimensione poetica del mondo (Ghidetti e Romagnoli).

7. Il linguaggio cambia. Esso scende di tono, si fa prosastico, quasi per adeguarsi ai nostri prosaici tempi che non vogliono poesia.

Sono frequenti i momenti ironici e addirittura spesso lo stile poetico è comicamente deformato a imitazione ironica dei linguaggi correnti, di cui molti studiosi ormai denunciano l'esasperato tecnicismo o il declino verso la sciatteria e il grigiore.

8. Gioanola segnala anche un altro aspetto, nelle ultimissime raccolte (Diario, Quaderno, Altri versi): il distacco, qualche volta polemico, contro i procedimenti poetici da lui stesso adottati in passato; il che si mescola al rifiuto del proprio tempo. E' come, infatti, se dovessero convivere banalità e discorso sulle banalità.

La propria opera passata, anzi, è in certo senso ripercorsa, ma dal basso, cioè dal punto di vista di chi lamenta la perdita del "poetico" affogato nel quotidiano materialismo.

Compare talvolta la spiegazione di qualche "cifra" e qualche tentazione di ritorno alle grandi "ombre": Annetta, Arletta.

9. Merita di essere segnalata una osservazione di Contini: Montale nel diario traccia un bilancio della sua fatica di vivere che sarebbe difficile non chiamare ottimistico.

Fatica di vivere, vita ridotta (il famoso 5%) opposta alle enfatiche scelte esistenziali: di qui nasce un messaggio altamente significativo: "amo la terra..."

10. Un posto a parte, in Satura, hanno gli Xenia: poesia per la moglie morta. Anche queste "poesie d'amore" si inquadrano nel generale mutamento del tono segnalato.

Alle Clizie sublimi, all'angelo salvatore, subentra un mini angelo ironico, veggente che resiste, con la sua forza silenziosa, ad un mondo disumanizzato, e a questo mondo è testimonianza del "diverso".

Per Mosca Montale ha scritto alcune delle più originali e più struggenti poesie d'amore del nostro tempo: "Avevamo studiato per l'al di là..." oppure "Ho sceso dandoti il braccio...".

LIRICHE SIGNIFICATIVE

LA BUFERA

L'arca

Voce giunta con le folaghe

Iride

L'anguilla

La primavera hitleriana

Piccolo testamento

SATURA

Avevamo studiato

La storia

Ho sceso dandoti il braccio

Incespicare

DIARIO

Lettera a Malvolio

Per finire

Andrea de Lisio a.delisio@aliseo.it direttore@altromolise.it

Scheda su Montale

Testi di Montale


Web Homolaicus

Enrico Galavotti - Homolaicus - Sezione Letteratura
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Aggiornamento: 10-02-2019